30.4.02

La fine dell'impunità



di Massimo Granellini



Viva la fine dell’impunità, purché sia uguale per tutti. In un regime democratico il poliziotto accusato di comportamenti sadici deve poter essere perseguito, arrestato e giudicato senza che nessuno gridi al complotto. Ma perché nessuno possa gridarlo, in un regime democratico vanno perseguiti, arrestati e giudicati anche i criminali.

Nell’inchiesta sui pestaggi di Napoli c’è un numero che balza agli occhi con violenza stridente ed è quello degli indagati: 130 poliziotti e solo 13 manifestanti.

Le immagini di quel giorno però le abbiamo viste tutti.

E, a meno che non siano anch’esse frutto di un complotto, accanto ai contestatori pacifici mostrano decine e decine di teppisti armati di pietre e catene, e impegnati a sfasciare vetrine, rovesciare macchine e compiere altri gesti che del pacifismo non hanno neanche l’odore.



E’ miope, retorico e pure un po’ disonesto continuare a tacere questo piccolo particolare.

Che non diminuisce di un’unghia le responsabilità di chi ha usato la divisa dello Stato per scaricare, spesso su degli innocenti, la propria frustrazione.

Ma ne spiega le cause, che poi all’osso si riducono a una: quell’impunità che oggi nessuno vuole più garantire ai poliziotti viene sistematicamente elargita a chi li combatte per la strada: bulli da stadio, rivoluzionari alle vongole, papponi d’ogni razza, delinquenti comuni.

I quali ridono in faccia all’agente che li arresta perché tanto sanno che il giorno dopo saranno di nuovo fuori.


come si effettua il boicottaggio



La lettera, intestata con il proprio Nome, Cognome ed Indirizzo, va inviata via email, via posta, o via fax, alla lista di cinque aziende qui sotto riportata. Essendo il primo invio per permettere una migliore diffusione e partecipazione al "Progetto Valanga" l'invio delle lettere / e mail / fax deve essere sincronizzato, e l'invio delle lettere non deve avvenire prima della Domenica 21 aprile 2002.



Dal mese prossimo in poi, insieme alla lista delle aziende cui si deve inviare la lettera n.2, si confermerà o sospenderà (dipende dalle loro scelte) il boicottaggio alle aziende della lista del mese precedente. Nel caso di conferma, il boicottaggio ha inizio e si sospende l'acquisto dei prodotti.



LISTA DELLE CINQUE AZIENDE :



· BARILLA ALIMENTARE S.p.A.
via Mantova 166, 43100, Parma (PR)
Fax. 0521 262083

Responsabile Relazioni Esterne e Ufficio Stampa:

a.marchi@barilla.it



· FATER S.p.A. (marchio PAMPERS)
via Italica 101, 65127, Pescara (PE)
fax 085 4552364


relesterneit.im@pg.com
recchia.m@fater.it



· FERRERO S.p.A.
piazzale Pietro Ferrero, 12051, Alba (CN)
fax 0173 363034


Responsabile Relazioni Esterne:
fax 011 8152370
comments.it@magic-kinder.com



· PARMALAT S.p.A.
via O. Grassi 26, 43044
Collecchio (PR)

fax 0521 808322


x_investor_relations_it@parmalat.net
(segnalato da Pietro)


Oppure fate un cut&paste della lettera utilizzando questo form:
http://www.parmalat.net/www/riferimenti/rifer.htm
(segnalato da Irene)




· NESTLE` ITALIANA S.p.A. (marchio BUITONI)
viale G. Richard 5, 20143, Milano (MI)
fax 02 89123400
02-89405137

Responsabile Relazioni Esterne:
alessandro.magnoni@it.nestle.com

pizzala@it.nestle.com

nestle@it.nestle.com

ufficiostampa@it.nestle.com

Servizio Consumatori Buitoni Casella Postale 58 52037 Sansepolcro Arezzo





TESTO LETTERA (da mandare come e mail, posta normale, o fax)



Nome e Cognome Indirizzo Data



Oggetto: preavviso di boicottaggio.



Distinta azienda ........................, le comunico la mia decisione di boicottare l'acquisto dei vostri prodotti/servizi che sono pubblicizzati sulle reti televisive "mediaset" di proprietà di Berlusconi. Questo e` il motivo di tale mia decisione ed azione: Con i soldi che percepite dal mio acquisto di un vostro prodotto/servizio voi poi pagate a "mediaset" lo spazio per la trasmissione dei vostri spot e/o promozioni. Dunque io indirettamente attraverso voi mi ritrovo contro la mia volontà a finanziare "mediaset" ed il suo proprietario il sig. Berlusconi, contribuendo cosi sempre involontariamente a mantenere, ampliare e rafforzare il suo conflitto d'interessi, inoltre cosi` ne finanzio anche l'attività politica cosa che non rientra in nessun modo nella mia volontà. Trascorso un mese da questa mia comunicazione se la vostra azienda continuerà ad essere inserzionista pubblicitaria di "Mediaset" io non ne acquisterò più` nessun prodotto sostituendolo con quelli della vostra concorrenza, e invitando a seguirmi nel boicottaggio anche i parenti, amici e conoscenti. Questo boicottaggio sarà da me automaticamente revocato e sospeso quando voi sospenderete l'investimento pubblicitario sulle reti "Mediaset".



Distinti Saluti Nome e cognome Firma



V'informo che da questo momento in poi tutti gli aggiornamenti le informazioni e i comunicati stampa saranno direttamente pubblicati su http://www.piazzatelematica.com , e tutti i siti collegati, e partecipanti al "Progetto Valanga" http://it.geocities.com/provalanga/.



Qualsiasi informazione economica di difficile reperimento (es. dati Ac Nielsen) che possa essere utile al compito di stilare mensilmente la lista di cinque aziende, e` sicuramente ben accetta , nel caso rivolgersi a http://www.piazzatelematica.com , lo stesso se avete in mente collaborazioni e sinergie con altri progetti e situazioni. Non mi resta che biblicamente dirvi, andate e moltiplicatevi.



Un saluto a tutti.



Fabio62


CARTEGGIO BARILLA-BOICOTTATORI



La Barilla scrive



Ho ricevuto il suo preavviso di boicottaggio dei nostri prodotti in quanto investitori sulle reti Mediaset.



Mi dispiace che sia stata coinvolta anche la nostra azienda che non è mai stata (né mai sarà) politicamente schierata e che, producendo beni di largo consumo, deve necessariamente fare pubblicità su RAI e su Mediaset nella
stessa misura.



Capisco le ragioni della sua protesta, ma desidero fare sapere a lei e a tutte le persone che hanno aderito all'appello di Piazza Telematica e di Umberto Eco, che a tutt'oggi (lunedì 29 aprile) ho ricevuto 449 mail come il suo, 30 fax e 2 lettere.



Le segnalo questi dati non per sminuire quello che ha fatto, ma per esprimere anche qualche dubbio sull'efficacia dello strumento che state utilizzando e che tra l'altro coinvolge terzi "senza colpe".



Comunque rispettiamo le sue opinioni e anche le civili modalità con cui ha voluto attuare questa protesta. Mi auguro che sia temporalmente limitata allo stretto necessario.



Un cordiale saluto



Armando Marchi -Responsabile Relazioni Esterne Barilla.




LA RISPOSTA DI A. CAVAZZUTI





Grazie della risposta.
Nulla di personale nei suoi confronti ne' nei confronti della vostra ditta ne' tantomeno nei confronti dei vostri lavoratori.


Purtroppo pero' ritengo che la situazione italiana sia talmente abnorme che e' impossibile restare fermi e subire senza fare qualcosa.



500 "boicottaggi non sono nulla per ora, vedremo piu' avanti.

In ogni caso proprio a lei che sembra "umano" e si abbassa a rispondere alle mail tipo la mia vorrei dire che ho dei dubbi sul fatto che i terzi siano senza colpe perche' per quante belle parole diciate finche' finanziate Berlusconi e le sue aziende per quanto mi riguarda siete in un qualche modo corresponsabili della situazione in quanto finanziate indirettamente anche la sua nefasta attivita' politica.



Capisco che il nostro metodo e' un po' brutale ma visto che per quanto mi riguarda il berlusconismo e' un enorme cancro o bubbone che appesta tutta l'Italia anche solo l'operazione di sensibilizzazione della vostra opinione mi sembra valga lo sforzo. Mi piacerebbe vi sentiste un po' in colpa quando firmate un bel contratto pubblicitario con Mediaset della serie "ecco sto finanziando il conflitto di interesse di Berlusconi" e vi facciate un po' schifo e magari sentiate un po' di puzza di ##### nella vostra mano.



Se poi dall'alto delle centinaia di milioni annui che sicuramente prendete (dato il vostro ruolo) tutto sommato questo fetore di marcio non lo sentite per niente oppure lo ritenete sopportabile anzi magari sentite solo profumo (dei soldi), in tutti questi casi il mio boicottaggio da colmo di dubbi si tramuta in una cosa fatta con molto piacere.



Ovviamente comunico anche che rimane fermo il mio pensiero di cercare di coinvolgere quante piu' persone posso in questo stesso tipo di lotta politica: visto che a voi piu' che alla qualita' della protesta siete interessati alla quantita' (da come si deduce dalla sua e-mail per altro molto rispettosa e gentile), spero di contribuire in un qualche modo a far diventare questo per ora piccolo sasso che rotola una vera valanga.



Confermo d'altra parte che il mio boicottaggio verra' attuato
esclusivamente secondo le modalita' e nei limiti e tempi previsti dal sito piazza telematica, secondo il calcolo delle cinque ditte che maggiormente spendono ecc. ecc.
Saluti.

***





LA RISPOSTA DI MAURO



La ringrazio per la risposta sollecitamente inviatami e dei dati sullo sviluppo dell'iniziativa.



Per quanto mi riguarda i numeri sono certamente importanti: come si deduce anche dal tono della Sua risposta, più numerosi saremo, più riusciremo a incidere sulle scelte delle Aziende.



Per questo mi adopererò per una maggiore diffusione della iniziativa.



Ma il mio gesto riguarda anche e soprattutto la sfera personale, e quindi, indipendentemente dai numeri e dal seguito raggiunto, e a prescindere dalle scelte "politiche" della Vs. Società (non ho mai pensato che gli spaghetti fossero politicamente schierati, anche se il Sig. Barilla e Confindustria non hanno mai negato il loro sostegno a questo Governo), mi asterrò dall'acquisto di Vs. prodotti fino a che continueranno i Vs. spot sulle reti Mediaset: non voglio infatti contribuire, neanche per 2 lire, a cofinanziare l'impero mediatico del Sig. Berlusconi, in quanto ritengo che rappresenti una grave anomalia del sistema Italia ed una minaccia per la libertà, la democrazia e la libertà di espressione.

29.4.02

Presunzione d' impunità


di Curzio Maltese

La Repubblica 27 Aprile 2002






Si possono indagare i poliziotti? La legge è uguale anche per le forze dell' ordine? E' lecito arrestare un poliziotto accusato di abusi, sequestro di persona e violenze?





Dovrebbero essere domande retoriche in uno Stato di diritto, in una democrazia occidentale. Non vediamo poliziotti arrestati in un film americano su due? La scena vista ieri davanti alla Questura di Napoli invece è assolutamente inedita.





Decine e decine di poliziotti si sono ribellati agli arresti domiciliari di otto colleghi, inscenando un girotondo eversivo, ammanettandosi e gridando al complotto politico.





Gli otto sono accusati di gravissimi reati commessi durante il raduno del Global Forum a Napoli nel marzo 2001. Quello che è servito, in tutti I sensi, a preparare Genova.





Il gruppo di poliziotti avrebbe fatto irruzione in un Pronto Soccorso e prelevato un pugno di manifestanti per condurli in una caserma e qui sottoporli a una serie di violenze. Il tutto "senza motivazione", come si dice nell'ordinanza del magistrato Cordova, cioè senza uno straccio di mandato.





A guidare la spedizione era il vice questore di Napoli, Fabio Ciccimarra, che è anche indagato per aver dato nei giorni di Genova l'irruzione nella scuola Diaz.





Naturalmente per gli otto indagati di Napoli, come per quelli di Genova, esiste la presunzione d'innocenza, e ci mancherebbe. Ma è intollerabile che, anche in questo caso, la presunzione di innocenza venga stravolta nella presunzione di impunità.





La casta militare, dopo quella politica, si ribella alle norme del diritto: la polizia non si tocca, non s'indaga. Quindi non è importante stabilire la verità dei fatti ma impedire, da subito, che vengano accertati con i processi.





E quest'idea barbara viene rivendicata con orgoglio, in maniera teatrale. Così com'è teatrale l'arresto degli otto poliziotti alla Questura di Napoli, organizzato contro la volontà dei magistrati, forse proprio per offrire l'occasione della spettacolare rivolta.





L'episodio sarebbe già inquietante se si fosse fermato qui, all'ammutinamento di un pezzo di Stato contro un altro pezzo di Stato. Che democrazia è, che Stato è quello dove perfino le forze dell'ordine si ribellano contro le inchieste della magistratura?





Ma a rendere il quadro democratico ancora più fosco e allarmante sono state le reazioni del governo, totalmente prive di senso dello Stato.





Il moderato Fini si limita a osservare che "sarebbe gravissimo se i provvedimenti della magistratura non avessero il necessario riscontro", ma dimentica di aggiungere che sarebbe ancora più grave se per caso l'avessero, visti i crimini imputati.





Neppure Scajola si turba per le accuse rivolte ai poliziotti ma soltanto per la decisione della magistratura, che pure l'ha maturata dopo oltre un anno di indagini. Quanto all'ammutinamento della Questura di Napoli, non una parola di condanna e tanto meno l'annuncio di provvedimenti da parte del ministro dell'Interno, che anzi esprime "sentimento di vicinanza" agli ammutinati.





Il reato di resistenza a pubblico ufficiale vale soltanto per i comuni cittadini? Ma il ministro Gasparri va oltre ed emette un comunicato ideologico e oggettivamente eversivo, da vecchio Msi, in cui la presunzione di impunità degli otto arrestati si tramuta in certezza di colpa nei confronti dei magistrati.





Gasparri accusa Cordova di aver agito "per scopi politici", un reato, lo processa e lo condanna per direttissima.





Per chiudere in bellezza, al pronunciamento di Napoli arriva il plauso, la solidarietà e perfino l'abbraccio di Forza Italia e di AN.





Prendiamo atto che la spaccatura fra poteri dello Stato si è del tutto compiuta. La guerra permanente governo-magistratura ha partorito il pericoloso conflitto fra polizia e magistratura. Le forze dell'ordine si ribellano al controllo della legge, con la benedizione dei politici.





Negli ultimi decenni era successo soltanto in qualche paese sudamericano. Ora, in qualche paese sudamericano e nell'Italia di Berlusconi.

I CONTI DI MANI PULITE




di Antonio Di Pietro



Finora nessuno ha ancora provato a fare i conti in tasca all'inchiesta Mani Pulite svolta dalla Procura di Milano. Non mi riferisco ai costi della Giustizia ovviamente, giacche' questa per definizione non ha prezzo.



Mi riferisco all'aspetto meramente economico dell'operazione, ai soldi cioe' che lo Stato ha speso per permettere ad una cinquantina di magistrati (tra P.M., GIP e Tribunali vari) e ad un centinaio di loro collaboratori di portare a termine le inchieste ed i processi (oltre alle spese di cancelleria di routine e per permettere la funzionalita' delle infrastrutture e della sicurezza). Non credo di sbagliare molto se affermo che il costo effettivo dell'operazione non e' andato oltre qualche decina di miliardi di vecchie lire (diciamo 50, anzi 100 per abbondare, pari a circa 50 milioni di euro). Ebbene durante l'inchiesta Mani Pulite sono stati sequestrati oltre 1000 miliardi di lire di cui oltre la meta' e' gia' stata definitivamente confiscata.

E' di ieri l'ultimo "colpaccio" messo a segno dalla Procura di Milano. In un solo processo (quello relativo alle vicissitudini della discarica di Cerro Maggiore di cui gia' ebbi ad occuparmi anch'io ai primordi dell'inchiesta) un solo imputato ha offerto alla Procura per poter ottenere il "patteggiamento" la bellezza di 50 milioni di euro. Lo stesso imputato aveva gia' dovuto pagare - per la stessa inchiesta, si badi bene - altri 38 milioni di euro all'Erario solo per chiudere il contenzioso che aveva in corso con il Fisco proprio a causa delle evasioni fiscali scoperte dai magistrati per la stessa vicenda. Insomma solo il processo di ieri e solo cio' che ha versato o deve versare un solo imputato (pari a circa 180 miliardi di lire) e' stato sufficiente per finanziare tutta l'inchiesta di Mani Pulite (anzi ne avanzerebbe pure).

Gia' questi dati dovrebbero bastare per mettere a tacere quei detrattori che hanno spesso sostenuto in questi anni che tra i tanti danni che l'inchiesta avrebbe provocato vi sarebbe pure l'eccessivo costo che lo Stato ha dovuto sopportare. Ironia della sorte, invece, possiamo oggi dire che il costo di Mani Pulite e' stato coperto quasi completamente da quello che il Gruppo Berlusconi ha dato e deve ancora dare allo Stato, a titolo di risarcimento danni. Si da' il caso, infatti, che l'imputato in questione altri non sia che Paolo Berlusconi, il "fratellino" del nostro Presidente del Consiglio. Gia', perche' - mentre il "fratellone" Silvio va in giro per l'Europa (da ultimo l'altro giorno in Bulgaria) a dire peste e corna dei magistrati di Milano sostenendo che le loro accuse al suo gruppo imprenditoriale siano tutte fasulle e mosse da delirio veterocomunista - il giovane della famiglia (zitto, zitto ed alla chetichella) ha messo l'altro giorno sul tavolo di quegli stessi magistrati ben 100 miliardi di vecchie lire per poter patteggiare la pena sotto il tetto dei due anni e quindi per risparmiarsi il rischio di dover andare in carcere.

Non e' che ha patteggiato una contravvenzione stradale qualsiasi ma tutta una serie di imputazioni per peculato, appropriazioni indebite e corruzioni (cioe' proprio quei reati che il Presidente del Consiglio si ostina a dire che nella sua azienda non si "facevano"). Questi soldi - altra ironia della sorte - saranno destinate alle casse del Comune e della Provincia di Milano ed a quella della Regione Lombardia, cioe' proprio a quegli enti oggi governati da una maggioranza di centrodestra che - terza ironia -invece di ringraziare i magistrati di Milano spesse volte ha visto nelle sue fila esponenti di partito sputare addosso ai giudici contumelie di ogni tipo.



Ancora una "chicca", giacche' ci siamo. Tra le imputazione "patteggiate" (e quindi riconosciute, verrebbe da dire, se non fosse per la distinzione formale con le sentenze di condanna) vi e' anche quella di corruzione insieme al Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni per una vicenda molto recente (1999/2000) riguardante la regolazione economica della bonifica ambientale della discarica in questione. Cosa fara' Formigoni all'udienza preliminare? Si sdoppiera' idealmente, giacche' - come Presidente della Regione destinataria di una parte del risarcimento versato dal coimputato Berlusconi - e' parte civile e dovra' sostenere le ragioni dell'accusa e come coimputato dovra' rintuzzare quelle stesse accuse. Di "chicche" ce ne sarebbero tante altre ancora da segnalare.

Ne cito solo due ancora per non rubare ulteriore spazio. Il consulente della Fininvest Massimo Maria Berruti - condannato per corruzione con sentenza passata in giudicato nella vicenda delle tangenti alla Guardia di Finanza - e' stato candidato da Forza Italia alle scorse elezioni ed ora siede tra i banchi di Montecitorio. Stessa sorte e' toccato a Gianstefano Frigerio, consulente politico personale di Silvio Berlusconi e condannato anch'egli ad una pena per cui e' pure scattato l'ordine di carcerazione definitivo (ironia per ironia, a suo tempo Frigerio venne condannato anch'egli per una vicenda di autorizzazione regionale ad aprire discariche, tra cui c'era pure quella di Cerro Maggiore.



Ovviamente, nel mentre tutte queste cose avvengono, il nostro ineffabile Presidente del Consiglio non fa altro che andare in giro per il mondo ad infamare il lavoro dei magistrati. Tace invece su tutte le illegalita' che gli sono girate attorno. Fa finta che queste realta' non esistono. Ci passa sopra. Il grave e' che ci passano sopra pure tanti organismi di informazione (Rai, in testa, ultimamente, all'insegna del nuovo corso). Invece l'opinione pubblica dovrebbe essere informata di questi risvolti per poter meglio rendersi conto della strumentalita' e falsita' di certe accuse. Molti cittadini italiani che ancora si sforzano di "dare ragione" a Berlusconi dovrebbero riflettere sulle reali ragioni per cui il nostro Presidente del Consiglio ce l'ha tanto con i magistrati di Mani Pulite, che e' una cosa semplice da capire per chi non vuole rinunciare a ragionare.

Egli e' "arrabbiato" perche' le sue aziende e diversi suoi collaboratori e parenti hanno dovuto pagare il conto allo Stato ed e' preoccupato che alla fine non tocchi pure a lui la stessa sorte. Per questo si sta dando tanto da fare per cambiare certe leggi in materia penale.

26.4.02

EBREI CONTRO




da Tom Graham



Trovo vergognoso la palese strumentalizzazione che si fa del anti-semitismo per ridurre al silenzio le voci che si alzano contro la politica di Israele nei confronti dei palestinesi. Ho appena fatto un giro del internet cercando "ebrei contro". Ecco i risultati .



Gerald Kaufman, ebreo, parlamentare inglese: "E' ora di ricordare a Sharon che la Stella di Davide appartiene a tutti gli ebrei, e non al suo repellente governo."
(http://www.guardian.co.uk/israel/Story/0,2763,685701,00.html).



Rabbi Michael Lerner, Tikkun Community, San Francisco: "Il popolo americano e' stato ingannato dai mass media e dal governo, e non capisce quanto sono immorali e distruttivi le politiche di Israele."
(http://www.tikkun.org/community/index.cfm/mode/display/forum_id/4/action/forums.html)



Ronnie Kasrils, ebreo, Ministro nel governo di Sudafrica: "Sudafricani di tutti i colori e credenze capiscono l'injustizia, le crimini, la violenza sanguinaria che si sta infliggendo sul popolo della Palestina."
(http://famulus.msnbc.com/FamulusIntl/reuters04-21-110445.asp?reg=AFRICA)



Adam Gutride, ebrea, Jewish Voice for Peace, San Francisco: "Vogliamo che gli Stati uniti prende azioni concrete per assicurare che Israele si ritira completamente dalla Cisgiordania, Gaza e gerusalemme est che che smantella completamente gli insediamenti."
(http://www.jewishvoiceforpeace.org/pressRelease/releasePage.asp?prID=4)



Jewish Voices Against the Occupation, California: "Come ebrei e contribuenti, chiediamo al governo di sospendere gli aiuti militari a Israele, che sono usati per mantenere l'occupazione, finche Israele non si ritira completamente dai territori occupati."
(http://www.jvao.org/AdText.htm)



Jews for Peace in Palestine and Israel, Washington: "Israele deve terminare la sua brutale occupazione della Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme est."
(http://www.jppi.org/mission_statement.html)



International Jewish Manifesto, Stoccolma: "Vogliamo che Israele si ritira immediatamente dai i territori occupati, che una forza internazionale sia mandata nella regione, che Israele obedisce alla legge internazionale, e che Israele dichiara la sua volonta' di negoziare la pace sulal basi delle risoluzioni dell'Onu."
(http://members.chello.se/srebro/nytt.htm)



Paul Oestreicher, Coventry, UK: "La mia nonna si e' suicidata piuttosto che affrontare Auschwitz. Questo e' ragione sufficiente per esprimere la mia solidarieta' con la coraggiosa minoranza di patrioti israeliani che ritengono che quello che sta facendo la loro nazione in Palestina e' una vergogna criminale." (http://www.guardian.co.uk/Archive/Article/0,4273,4398000,00.html)



Coalition of Women for Peace, Regno unito (organizzazione di ebrei e palestinesi): "Vendetta e morte, distruzione e vendetta: questo e' il programma politico di Sharon. Questi sono le sue tappe: la fame e l'umilizione, distruzione sistematica, l'uccisione di civili, e crimini di guerra."
(http://www.coalitionofwomen4peace.org)



James Ron, ebreo, McGill University, USA: "Da militare di leva nel esercito israeliano, ho partecipato nella brutale occupazione del Libano. Se vuole vedere la fine della rabbia [nel Medio oriente], Israele deve riconoscere e compensare le sue vittime. Se Israele non puo' farlo da solo, la communita' internazionale lo deve costringere a farlo." (http://www.jppi.org/forward_4_12_02.html)



Bluma Goldstein, profossore, l'Universita' di Berkeley, co-autore di un annuncio sul New York Times che protesta contro Sharon: "Se un ebreo critica Israele, siamo ebrei che odiano se stessi; se sei un non-ebreo che critica Israele, sei un anti-semita. Il nostro annuncio indica che ci sono tanti ebrei che si oppongono alla politica di Israele."
(http://www.jppi.org/forward_4_12_02.html)

21.4.02

Lo sciopero dei consumatori
della pasta Cunegonda




di UMBERTO ECO



dalla Repubblica



IN LINEA di principio non è anticostituzionale che lo schieramento che ha ottenuto la maggioranza in parlamento proceda all'occupazione di enti e agenzie varie, Rai compresa. E' quello che si chiama "spoils system", usato anche in altri paesi. E' vero che i vincitori potrebbero dare prova di fair play tenendo conto di una minoranza che conta quasi la metà degli elettori, ma non si può chiedere buona educazione e sensibilità democratica a chi ha deciso di usare in modo spregiudicato una forza elettorale ottenuta legalmente. D'altra parte abbiamo avuto per anni una radiotelevisione interamente controllata dalla Democrazia cristiana, dove si misuravano addirittura i centimetri di pelle femminile esposti e non si assumevano redattori comunisti o socialisti, e il paese se l'è cavata benissimo, anzi, una televisione cosiddetta di regime ha prodotto la generazione più contestataria del secolo.



L'unico inconveniente è che il capo del governo possiede le altre televisioni private, e lo "spoils system" conduce a un monopolio quasi totale dell'informazione (mentre se Bush mette dei repubblicani in tutti i gangli del potere, rimane una fetta consistente di giornali, televisioni, radio indipendenti a controllare il suo operato).



Un incoveniente aggiunto è che il padrone di tutte queste reti ha una nozione (come dire?) abbastanza autoritaria del proprio ruolo padronale, come è stato dimostrato dall'invito che ha appena rivolto ai suoi direttori designati affinché liquidassero alcuni giornalisti che non gli vanno a genio. Questo è il fatto nuovo, nuovo rispetto agli usi degli altri paesi democratici e delle costituzioni scritte quando fenomeni del genere erano imprevedibili.



Questo fatto nuovo, certamente scandaloso, richiede una risposta nuova da parte dell'elettorato non consenziente. Si è visto che i girotondi e le manifestazioni di piazza per questo servono poco: ovvero, servono a rinsaldare il senso d'identità di una opposizione smarrita, ma dopo (se questa identità è reale) si deve andare oltre anche perché, detto in termini tecnici, il governo dei girotondi se ne sbatte, ed essi non convincono l'elettorato governativo a cambiare idea. Quale mezzo di protesta efficace rimane dunque a quella metà degli italiani che non si sentono rappresentati dal nuovo sistema televisivo?



Questi italiani sono tanti, alcuni milioni hanno già manifestato il loro dissenso, ma altri ancora sarebbero pronti a manifestarlo, se vedessero un modo veramente efficace. Rifiutarsi di guardare la televisione e di ascoltare la radio? Sacrificio troppo forte, anche perché, anzitutto, è legittimo che voglia guardarmi alla sera un bel film, e di solito non mi chiedo quali siano le idee del padrone di una sala cinematografica, e in secondo luogo è utile conoscere le opinioni e il modo di dare le notizie del partito al governo (se pure ci fosse una trasmissione sulla Resistenza gestita solo da Feltri, Er Pecora e Gasparri, ho diritto e desiderio di sapere cosa pensano e dicono queste persone). Infine, anche se fosse possibile, rifiutarsi di guardare tutte le televisioni sarebbe un poco come castrarsi per far dispetto alla consorte, perché si sceglierebbe, per opporsi alla maggioranza, di entrare a far parte di una minoranza totalmente all'oscuro di tutto.



Di quale forza effettiva può disporre l'Italia che non accetta il monopolio televisivo? Di una potente forza economica. Basterebbe che tutti coloro che non accettano il monopolio decidessero di penalizzare Mediaset rifiutandosi di comperare tutte le merci pubblicizzate su quelle reti.



E' difficile? No, basta tenere un foglietto vicino al telecomando e annotarsi le merci pubblicizzate. Si raccomandano i filetti di pesce Aldebaran? Ebbene al supermercato si compreranno solo i filetti di pesce Andromeda. Si pubblicizza la medicina Bub all'acido acetilsalicilico? Dal farmacista si compera un preparato generico che contiene egualmente acido acetilsalicilico e che costa meno. Le merci a disposizione sono tante e non costerebbe nessun sacrificio, solo un poco di attenzione, per acquistare il detersivo Meraviglioso e la pasta Radegonda (non pubblicizzati su Mediaset) invece del detersivo Stupefacente e della pasta Cunegonda.



Credo che se la decisione fosse mantenuta anche solo da alcuni milioni di italiani, nel giro di pochi mesi le ditte produttrici si accorgerebbero di un calo nelle vendite, e si comporterebbero di conseguenza. Non si può avere niente per niente, un poco di sforzo è necessario, se non siete d'accordo col monopolio dell'informazione dimostratelo attivamente.



Allestite banchetti per le strade per raccogliere le firme di chi s'impegna, non a scendere in piazza una volta sola ma a non mangiare più pasta Cunegonda. E chissà che sforzo! Si può fare benissimo, basta avere voglia di dimostrare in modo assolutamente legale il proprio dissenso, e penalizzare chi altrimenti non ci darebbe ascolto. A un governo-azienda non si risponde con le bandiere e con le idee, ma puntando sul suo punto debole, i soldi. Che se poi il governo-azienda si mostrasse sensibile a questa protesta, anche i suoi elettori si accorgerebbero che è appunto un governo-azienda, che sopravvive solo se il suo capo continua a far soldi.



Questa forma di protesta sarebbe assolutamente legale. E' illegale incendiare un McDonald, ma in una rubrica di arte culinaria si può benissimo invitare i lettori a non mangiare i Big Mac e a preferire, che so, i Burger's King, così come li si avverte che il tale ristorante non è all'altezza dei suoi prezzi. Un critico cinematografico ha il diritto di raccomandare ai propri lettori di non andare a vedere un film che egli giudica orribile.



Qualcuno a cui ho parlato di questa idea mi ha detto: "Ti accuseranno di luddismo, di minare il mercato, di danneggiare aziende." Per nulla. Io non consiglio di non comperare più filetti di pesce, bensì di non comperare quelli che fanno pubblicità sulle reti Mediaset. Il mercato della pasta continuerebbe a fiorire come prima, salvo che invece che cinque chili di pasta Radegonda e cinque chili di pasta Cunegonda si venderebbero sette chili di pasta Radegonda e tre di pasta Cunegonda. Se la pasta Cunegonda non avverte un calo di vendite, può continuare a fare pubblicità sulle reti Mediaset, altrimenti può farla sulle reti Rai (e spero che Baldassarre mi ringrazi).



E' luddismo distruggere le macchine, non incitare a usare, tanto per dire, auto diesel invece che auto a benzina. Da più di vent'anni io non uso più l'automobile in città e invito tutti a fare altrettanto per non incrementare l'inquinamento e contribuisco però all'incremento dei mezzi pubblici. Ricordo che negli anni sessanta si era diffusa la voce che una certa marca di benzina finanziava un movimento politico da cui alcuni di noi dissentivano, e in autostrada semplicemente evitavamo di fermarci ai punti di rifornimento di quella marca e facevamo il pieno dieci chilometri prima o venti chilometri dopo. Non per questo (e neanche se lo avessero fatto tutti) è diminuita la libera circolazione automobilistica.



Era forse luddismo e attentato alle industrie e ai commerci avvertire che non bisognava più acquistare prodotti spray che potevano contribuire al buco nell'ozono? La gente ha cominciato a manifestare sensibilità in proposito e le aziende produttrici si sono adeguate. Tutti continueremmo a essere ottimi consumatori, tranne che saremmo consumatori selettivi; il che è indice di maturità e motore di sviluppo economico.



A nuove forme di governo, nuove forme di risposta politica. Questa sì che sarebbe opposizione.



Vediamo quanti italiani si sentono di farla. Altrimenti la smettano di lamentarsi, e si tengano il monopolio dell'informazione.

19.4.02

ARTICOLO DI ROBERTO BERNABEI




Un paio di mesi fa lo US Census Bureau riporta che l' Italia e' il paese piu' vecchio del mondo con il 18.1% di ultrasessantacinquenni. In pratica un italiano su cinque e' ufficialmente vecchio. Vedo la notizia sulla Reuters e chiamo una giornalista che si occupa di salute su un importante quotidiano nazionale. Questa volta -ragiono- la notizia c'e' e si parlera' di invecchiamento, si aprira' il dibattito, si allerteranno responsabili, si promuoveranno iniziative...Vengo invece richiamato dalla giornalista che mi riferisce della mancanza di spazio e che purtroppo...Io sbaccalisco e comincio a chiedermi in quale paese vivo perche' ne' i quotidiani ne' le televisioni riportarono nei giorni a seguire la notizia! Sponsor, i media, di una gigantesca rimozione collettiva. La stessa domanda me la rifaccio oggi ad una settimana dalla conclusione dell' assemblea mondiale sull' Invecchiamento di Madrid. Infatti, a parte un' articolo sul Corriere della Sera ed un paio di pezzi di commento sul Messaggero, non ho visto altro e certamente non ho visto un pezzo di telegiornale o uno degli approfondimenti televisivi di seconda serata. Mi rispondo che vivo allora in un paese che discute solo di Di Bella e Cogne, per capirci, perche' solo quello passa il convento mediatico nostrano. Pagine su pagine sull' invecchiamento del globo, invece, nei giornali europei. La "catastrofe demografica" hanno titolato per giorni El Pais e The Times, e spagnoli ed inglesi ad invecchiamento stanno messi meglio di noi. Televisioni di tutto il mondo presenti (non quelle italiane, ripeto) anche perche' il problema e' enorme per i paesi sviluppati ma e' oramai sentito dai paesi in via di sviluppo, con la piccola differenza che noi siamo prima diventati "ricchi" e poi vecchi, loro sono diventati vecchi senza esserdiventati "ricchi". Pensate, ad esempio, che la Cina si avvia ad avere oltre 300 milioni di vecchi. Provo allora io a raccontare cosa succede ad essere vecchi augurandomi che si parli meno, molto, molto meno di Cogne per mettere il cervello di tutti a cambiare noi ed il paese. Perche' invecchiare tocca, grazie a Dio, a tutti e quindi c'e' da affrontare il fatto individualmente e come popolo. Individualmente una donna su cinque già oggi arriva a 90 anni, ma come? Acciaccata. E sempre di piu' lo sara' se non comincia da giovane e continua per sempre (vale ovviamente anche per i maschi che campano un po' meno) a fare movimento e ad avere una dieta appropriata. Quello che ha interessato ad oggi fasce particolari di popolazione (giovani, atleti, gente dello spettacolo, maniaci della fitness) diventa obbligatorio ed a tutte le eta'. Il rischio infatti e' quello si' di esser vivi fino ad una ragguardevole eta' perche' i farmaci e le conquiste della medicina ci mantengono vivi...ma disabili. E disabili magari per un mucchio di anni. Solo un radicale e nuovo stile di vita garantisce non solo la vita ma la qualita' della stessa. E questo deve penetrare a scuola, nell' ambulatorio del medico di medicina generale, e nei giornali e nelle televisioni per penetrare nelle case! Ad oggi questa penetrazione e' modesta ed infatti la disabilita', cioe' il funzionare male nel fisico, e' in aumento in modo significativo. Piu' vecchi e piu' malati, insomma. Come popolo anche si deve far diversamente. Non mi addentro nel problema pensioni perche' non e' mestier mio ma oggi un pensionato viene pagato da nove lavoratori, domani ce ne saranno solo quattro a pagare quella singola pensione. C'e' da "ridisegnare" un intero paese appunto disegnato per il giovane adulto, e per nulla per il vecchio. Banalmente (ma non tanto) togliere i predellini dei treni, abbassare le leve dei cassonetti della spazzatura, mettere gli scivoli per far passare le sedie a rotelle per le strade, posizionare corrimano strategici, dotare gli autobus di sollevatori. E poi ci vorra' un' automobile dove si entra e si esce con facilita' estrema, una cucina ad altezza ed utilizzo comodo, un corso per insegnare ad utilizzare internet o il forno a micro onde, un seggiolino nella doccia con maniglia di sostegno. E per la salute un' assistenza domiciliare integrata e sempre meno ospedale. Sappiate che ad oggi abbiamo in Italia intorno all' 1% degli ultrasessantacinquenni forniti di qualche tipo di assistenza domiciliare quando la Danimarca e' al 16%, la Finlandia al 13% etc. Insomma non c'e' da "dire" cose di sinistra come suggeriva qualcuno a D'Alema. Altro che dire. C'e' da fare cose importanti, ne' di destra ne' di sinistra. Semplicemente cose necessarie se vogliamo tenere botta al mondo che cambia. E in Italia piu' velocemente e quantitativamente che in tutto il resto del pianeta. Allora oggi a Madrid e nel futuro sempre di piu', non gliene frega nulla di Cogne o del conflitto di interessi ai 160 paesi presenti. Vogliono semmai "bere" informazioni su quello che facciamo e faremo noi italiani nel nostro incredibile laboratorio naturale di paese piu' vecchio del mondo. Media, se ci siete, battete un colpo ed aiutateci a raccontare cose serie.
Roberto Bernabei

da: "JackFolla c'è" - 17.4.2002


L’Oriana non è riuscita, stavolta, a farmele girare come un elicottero; l’Oriana, stavolta, mi ha suscitato solo umana compassione. Anch’io sono stato un esaltato, ma da giovane. Alla sua età, il non avere mai dubbi, dovrebbe provocarle un dubbio enorme. Gerusalemme, come ha detto un soldatino israeliano, “è tutto un fronte”. Non c’è più “qui la casa” e “lì la guerra”. I funerali, da una parte e dall’altra, ormai se li celebrano nelle vene; è un sangue nero, pesto, che uniforma tutto, i diritti dei vivi e quelli dei morti; i martiri d’Israele e i martiri palestinesi; le colpe di Sharon, le colpe di Arafat. Sì, Jack Folla è più filopalestinese. Interessa? A me no. Ma visto che, volente o nolente, Alcatraz è uno show delle opinioni, vi spiego con disarmante semplicità il perché. Perché Israele è uno Stato ricco, armato e forte. E la Palestina è un non-Stato, una colonia; una terra disperata. Ed io –non chiedetemi perché- ma sto coi disperati. E poi vorrei capire la differenza che c’è tra Via Rasella e un kamikaze palestinese. Perché se fossi figlio della Palestina non la capirei. Ma -vedete- questo non m’impedisce di disperarmi per i bimbi, le donne, i civili ebrei trucidati dal fondamentalismo kamikaze. Se fossi ebreo, e avessi il DNA marchiato da Aushwitz e da Dachau, vorrei capire la differenza che c’è tra Gerusalemme d’oggi e i forni crematori. Perché se fossi figlio d’Israele non lo capirei.

La pace, il pacifismo, è un ostinato, duro, quasi violento atto d’amore che non può essere mai di parte, altrimenti si fa inevitabilmente complice del sangue innocente e delle armi. Chi, come l’Oriana, ha un così grande seguito nell’inconscio collettivo dei lettori, farebbe meglio a non recitare la macchietta dell’Oriana di un tempo, con quei giochini letterari da donna barbuta del Circo Barnum, tipo la ripetizione ossessiva, egocentrica e moralista, di un’affermazione “Io trovo vergognoso”, che merita una sola risposta “chi se ne frega”, e poi via, sciò, voltare pagina, perché non si usano questi espedienti da best-seller di quarta quando i bimbi di Gaza saltano sulle mine, i civili ebrei crepano negli autobus, e i carri armati israeliani rispondono decimando altri innocenti, invadendo altrui territori, facendo le stesse cose identiche dei kamikaze, ma con un esercito regolare. Sì, la Fallaci è uno di quei rari casi (a parte quelli di dementia precox) in cui un vecchio è addirittura più coglione di quand’era giovane. Ma a questo punto, al di là della bieca operazione commerciale, comincio a nutrire seri dubbi anche su chi, in questi suoi fallaci deliri di punti esclamativi e d’indignazione da bancarella del mercato delle pulci, ci si rivolta felice come un porcello nel fango, cioè il Corrierone, Panorama, e i nuovi nani e ballerine del generone che sta governando il paese, con uno scimmiottamento (da destra) del peggio a cui ci aveva abituato la sinistra. No. Noi tutti dobbiamo capire di essere complici, colpevoli, e che saremo giudicati tutti, dalla Storia e dal Tempo, né più né meno di chi, negli Anni Quaranta, vedeva passare i treni degli ebrei deportati e fingeva di non vedere e di non sapere. Perché noi non possiamo pretendere che un palestinese capisca. Non possiamo pretendere che un ebreo di Gerusalemme (convivente col terrore kamikaze dall’alba al tramonto) capisca. Palestinesi e ebrei non possono più capire, e tutti coloro, come l’Oriana, che si schierano atrocemente e senza dubbi con gli uni o con gli altri, alimentano il non dialogo e prolungano le stragi. Perché noi europei possiamo capire, loro no. La Fallaci, Mieli, Gad Lerner, Giulianone e il sottoscritto, non siamo sotto schiaffo della morte, quella morte; non siamo sotto schiaffo delle religioni, quelle che diventano odio; e stasera se vogliamo continuiamo a litigare al ristorante, davanti alla birra. Ma loro a Gerusalemme non possono farlo, perché nella lattina di birra ci può essere il tritolo. E non possono farlo i palestinesi, perché come escono di casa un soldato israeliano gli taglia le gambe, dopo averlo umiliato fin nelle viscere. Umiliando Arafat. E allora le chiacchiere stanno davvero a zero e siamo tutti assassini, soprattutto noi che tromboneggiamo. Ma dove sta l’Europa? Che fanno le Nazioni Unite? Dov’è l’invincibile NO di tutta la terra? Si è perso in mille rivoli di fango, dove rotolano leader e capetti, Oriane e copie vendute, e perfino io prenderò diritti d’autore per queste parole. Sono i nostri interessi che stanno sparando a Gerusalemme e in Palestina. E’ il nostro granitico egoismo che ci rende tutti ciechi e colpevoli. E’ solo questo che “io trovo vergognoso” cara Oriana. E non ho bisogno di ripeterlo mille e una volta come fai tu. Perché è scritto nel mio sangue.

Siamo tutti infami.



14.4.02

Appello a tutti i sostenitori della causa palestinese





Unendoci all'appello pubblicato dagli intellettuali arabi in Francia (le monde 09-04-2002), affermiamo quanto segue:


Noi, in quanto arabi e italiani di origine araba, dichiariamo che gli atti contro gli ebrei che si sono verificati recentemente in alcuni paesi europei sono intollerabili. La collera e la rabbia che i crimini di Sharon potrebbero ispirare non devono e non possono, in nessun caso, giustificare né derive né sconsiderate reazioni. Richiamiamo perciò tutti i difensori della causa palestinese in Italia ad un'estrema vigilanza e desideriamo ricordare alcuni fatti evidenti:


- La comunità ebraica non è identificabile con il popolo israeliano.


- Il popolo israeliano stesso non è fatto a immagine di Sharon. I numerosi israeliani che oggi per la paura e l'insicurezza, si schierano dalla sua parte, prenderanno più facilmente coscienza dell'essere stati abbagliati e fuorviati se noi sapremo convincerli dell'assenza di animosità nei loro confronti da parte nostra, in quanto parte della stessa comunità e, soprattutto, in quanto esseri umani.


- I nostri interlocutori e sostenitori più preziosi sono gli ebrei che operano, al fianco dei palestinesi, contro l'occupazione, la repressione, la colonizzazione e si battono per la coesistenza di due stati sovrani, uno palestinese e uno israeliano.


- Molti di questi ebrei hanno una storia familiare tragica, segnata dall'olocausto. Sta a noi render loro omaggio e raggiungerli sulla linea di condotta che consiste nel saper mettere da parte lo spirito di tribù quando si tratta di difendere diritti e libertà universali.


Non cadiamo quindi nella trappola di Sharon. Non confondiamo le battaglie. L'insulto contro un ebreo o un arabo è la stessa cosa. In entrambi i casi esso non fa che rendere servizio all'estremismo del quale si vantano Sharon e i suoi. Leila Shahid, rappresentante dell'ANP a Parigi, non avrebbe potuto dire meglio quando ha definito gli attacchi contro le sinagoghe e i negozi ebrei "crimini contro i palestinesi". Ascoltiamo il suo appello.



Roma 12-04-2002



Firmatari:

Firmatari:

Zouhir Louassini, Mahmoud Salem Elsheikh, Irfan Rashid, Reda Hammad, Khaldoun Roueiha, Ali Rashid, Suad Sbaii, Ihab Hashem, Salah Methnani, Antoine Layek, Mustafa El-Ayubi, Hamadi Oueslati, Musallam Khader


Aderiscono a questo appello:

Chiara Paolizzi, Carlo Rolandi, gruppo Phantasmata di Orvieto, Dino Frisullo, Servi Lia, Domenico Giordano, Elisa Macadan, Federico Cangemi

Chi volesse aderire a questo appello può farlo attraverso il seguente e-mail: info@arabroma.com

LE INTERVISTE DI ARAFAT




Intervista con Al-Jazeera





Arafat: "Hanno deciso di tenermi prigioniero, di deportarmi o di uccidermi. No. A loro io dico che sarò un martire, un martire, un martire... E loro saranno in guerra fino al Giorno del Giudizio... e uno dei martiri [che cadono nella battaglia per Gerusalemme] vale per 40 martiri [e quindi, secondo i calcoli, avrà a disposizione 70x40=2800 vergini, n.d.t.]... Allah mi conceda il martirio in Gerusalemme, il luogo da cui il profeta Maometto è asceso al cielo, il luogo dove è nato il nostro Signore Gesù... Forse io sarò un martire, ma certamente uno dei nostri ragazzi o delle nostre ragazze sventolerà la bandiera della Palestina sulle mura di Gerusalemme, sopra i minareti di Gerusalemme e sulle chiese di Gerusalemme. ŒLoro pensano che il giorno sia lontano, ma noi sappiamo che è imminente, e abbiamo ragione"... "Entreranno nella moschea come se entrassero per la prima volta" [citazione dal Corano]... Questo è il cammino che ho scelto... Allah, dammi il martirio..."

"Noi difendiamo non solo la Palestina, ma la nazione araba, e non solo i luoghi santi islamici e cristiani, ma anche tutti gli uomini di libertà e onore nel mondo. Questo è il nostro destino. Questo è un decreto divino..."

"Noi diciamo agli Americani: Dovete agire! Dove state andando? Non vedete che si scuote tutto il Medio Oriente?" Io dico al nostro popolo palestinese: "O montagne, il vento non vi scuoterà". Io dico alla nostra nazione araba: "Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!".


Domanda: "Signor Presidente, Sharon ha detto nella sua conferenza stampa che lei è diventato un nemico, che lei non è un partner per la pace e che Ramallah è diventata un covo di terrorismo. Come risponde a questo?

Arafat: "Non è forse lui [Sharon] un covo di terrorismo? L¹occupazione non è un covo di terrorismo? Gli aerei da guerra F-15 e F-16 non sono un covo di terrorismo? I carri armati che mi mettono sotto la sedia non soo un covo di terrorismo? Quarantasettemila palestinesi martiri e feriti in questa intifada non sono un covo di terrorismo? Distruggere le istituzioni del popolo palestinese non sono un covo di terrorismo? Distruggere le fattorie del popolo palestinese non sono un covo di terrorismo?..."


Domanda: "E' possibile che le forze israeliane cerchino di assassinarla?"

Arafat: "Sono più che benvenuti. Io cerco il martirio. Allah, concedimelo! Sono forse meglio che l¹eroico giovane Fares Odeh? Noi cerchiamo il martirio. Noi siamo tutti ricercatori del martirio. Tutto il popolo palestinese cerca il martirio..."


Domanda: "Signor Presidente, non pensa che questa massiccia invasione delle forze di occupazione sia una risposta all'attentato di Netanya o all'iniziativa del summit arabo?"

Arafat: "No. E¹ una risposta al summit arabo in Beirut... all¹iniziativa del Principe ereditario Abdullah... E' la risposta israeliana a tutti i tentativi di pace, perché loro non vogliono la pace. Non vogliono la pace!!! Dobbiamo ricordare queste cose. Questi elementi estremisti hanno assassinato il mio partner Yitzhak Rabin. Perché l¹hanno assassinato? Perché non vogliono la pace."

"Perché distorcono Camp David? Chiedono perché non abbiamo accettato Camp David. Dovrei concedere Gerusalemme a loro? Possiamo forse accettare una cosa simile? Ditemi voi, possiamo accettare una cosa simile?... Loro sono i saccheggiatori, gli assassini, i veri terroristi in tutto il mondo, in tutto il mondo. Noi siamo il solo popolo al mondo che si trova sotto occupazione. Noi porgiamo a loro la mano... Se questa è la risposta all¹iniziativa araba, che cosa significa questo? Chi sono i terroristi? I palestinesi? Gli arabi? I musulmani? I cristiani? Siamo noi che abbiamo bombardato la statua della Vergine Maria [in Betlemme]? Tutto il mondo è stato sconvolto per il tentativo dei Talebani di distruggere la statua di Budda - e la statua di Maria non è sacra? Non è forse lei l¹unica donna menzionata nel Corano? Non c'è forse un capitolo del Corano che porta il suo nome?"


Domanda: "Sharon dice che adesso c¹è guerra senza confini. Come valuta questa situazione?"

Arafat: "Per Allah, io considero tutte le possibilità. Nessuno trema, nessuno si spaventa, nessuno batte in ritirata. Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!"





Intervista con la TV egiziana






Arafat: "Vi dirò una cosa. Il mondo si è arrabbiato per quello che i Talebani hanno fatto alla statua di Budda. Ma quando loro [gli Israeliani] distruggono la statua della Vergine Maria, che è la sola donna menzionata nel Corano, nessuno al mondo dice una parola... Noi difendiamo questi luoghi sacri. Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!"


Domanda: ".. Che cosa pensa di fare adesso che i carri armati sono qui a due metri...?"

Arafat: "Come a due metri?!! Mi stanno bombardando. Non sente le bombe?"


Domanda: "... Effettivamente, le sentiamo in distanza..."

Arafat: "Attaccano le posizioni all¹interno del gruppo dei leader."


Domanda: "... La domanda era: che cosa pensa di fare in questa situazione. In che modo la leadership palestinese pensa di calmare la situazione?"

Arafat: "Noi tutti cerchiamo il martirio. Non esiteremo e non ci tireremo indietro... Come v¹ho detto: Verso Gerusalemme noi marciamo - martiri a milioni!"


Domanda: "Questa è una specifica risposta all¹operazione Netanya?"

Arafat: "Grande! Tutto questo in risposta all¹operazione Netanya?..."


Domanda: "E¹ evidente che la simpatia e l¹entusiasmo delle strade arabe non è abbastanza. Che cosa chiede adesso ai leader arabi?"

Arafat: "Di agire nella sfera internazionale e globale con tutti i leader nel mondo per arrestare questo terrorismo internazionale e globale condotto da Sharon. Non parlatemi del terrorismo in Kandahar, non parlatemi del terrorismo dei Talebani e non parlatemi del terrorismo da nessun¹altra parte. Il più importante e più pericoloso terrorismo è il terrorismo che sta operando sulla terra santa..."


Domanda: "Signor Presidente, noi seguiamo gli avvenimenti con lei e vediamo che i carri armati israeliani si stanno avvicinando... Noi siamo con lei nei nostri cuori e nelle nostre anime e preghiamo per la sua salvezza e per la salvezza del popolo palestinese."

Arafat: "Ragazzi, non auguratemi la salvezza! Pregate affinché io possa ottenere il martirio! C¹è forse qualcosa di meglio che diventare martiri per la terra santa? Noi tutti cerchiamo il martirio..."





Intervista con la TV Abu Dhabi






Arafat: "Allah, concedimi il martirio in difesa dei sacri luoghi cristiani e musulmani... Noi siamo in guerra, e questo popolo sta difendendo questi santi luoghi..."
"E¹ vero, lui [Sharon] ci occupa... E¹ vero, lui usa tutte le armi proibite dalle leggi internazionali. E¹ vero, usa l¹uranio arricchito, è vero, usa i gas tossici... ma noi restiamo saldi... E loro resteranno in guerra fino al Giorno del Giudizio..."



(MEMRI, Dispatch No.361, 31.03.02)

12.4.02

CLASSIFICAZIONE GENERALE DELLE FORME DI GOVERNO

(dopo la caduta del muro)

di Eduardo Montes Bradley





Feudale - Hai due vacche. Il Signore feudale si prende la maggior parte del latte senza che venga compromesso in alcun modo il diritto di jus primae noctis. Potere transitivo: il Signore feudale munge te e tua figlia munge lui.





Socialista - Hai due vacche. Lo Stato te le confisca per rinchiuderle in una stalla insieme alle vacche di tutti gli altri. Tu vai a lavorare nella stalla collettiva dove devi badare alle vacche di tutti, senza curarti in modo particolare delle tue. Lo Stato in cambio ti permette di prendere il latte che ti serve (da ognuno secondo le sue possibilità e a ognuno secondo le sue necessità).





Socialista alla cubana - Hai due vacche. Lo Stato te le confisca e le rinchiude in una stalla collettiva con le vacche dei tuoi vicini. Un gruppo di bulgari, esperti di polli, bada alle vacche mentre tu sei spedito nei campi a tagliare le canne da zucchero. Lo Stato ti darà tutto lo zucchero e tutto il latte di cui ha bisogno l’Angola.





Comunista - Hai due vacche. Il tuo vicino ti aiuta ad accudirle e poi vi dividete il latte.





Comunista sovietico - Hai due vacche. Il tuo vicino ti aiuta ad accudirle e lo Stato si prende il latte.





Comunista utopico - Vacche di tutto il mondo, unitevi!





Nazionalsocialista - Hai due vacche. Lo Stato te le confisca e le rinchiude in una stalla con le vacche di tutti gli altri – tranne quelle degli ebrei che fanno latte condensato -. Poi ti assumono per badare al bestiame che farà, di questa, una Grande Nazione. A fine anno ti regaleranno un po’ di sidro e una fetta di dolce.





Dittatura militare - Hai due vacche. Lo Stato te le requisisce e tu scompari.





Democrazia - Hai due vacche. I tuoi vicini decidono a chi va dato il latte.





Democrazia paraguayana - Hai due vacche. Un generale ridicolo ti multa perché tieni gli animali in un condominio.





Democrazia cilena - Hai due vacche. Nessuna delle due ha visto niente, sa niente, né è disposta a testimoniare.





Democrazia rappresentativa - Hai due vacche. I tuoi vicini eleggono un tizio che decide a chi va dato il latte.





Democrazia populista - Lo Stato ti promette due vacche se voti per il partito al governo. Dopo le elezioni un deputato che nessuno conosce decide chi si prenderà il latte.





Burocrazia sindacale - Hai due vacche. Inizialmente lo Stato stabilisce cosa si può dar loro da mangiare e poi quando le si deve mungere. Poi dà sussidi a chi non produce, fa uccidere una delle vacche, munge l’altra e butta il latte nel fiume per mantenere il prezzo. Infine convoca tutti i mungitori affinché si mettano d’accordo con i sindacati su quante ore a settimana si può mungere una vacca. Gli accordi non stabiliscono chiaramente quanti giorni toccano a ogni vacca in caso di maternità accertata, e quale sia il prezzo per gallone nel caso in cui si munga nei giorni festivi.





Anarchia - Hai due vacche. I compagni ti danno in cambio due ordigni esplosivi con cui dovrai vendicarti di qualche vegetariano.





Capitalismo utopico - Hai due vacche. Ne vendi una e ti compri un toro.





Capitalismo creolo - Lo Stato ha due vacche e ne vende tre. Fa in modo che una compagnia turca giochi in borsa, usando carte di credito revocabili, a nome di un fratello del governatore che vive a San Francisco. Poco tempo dopo lo Stato esegue il pagamento delle stesse esigendo che gli vengano restituite le quattro vacche, dopo aver calcolato le detrazioni fiscali corrispondenti al sostentamento e alla custodia di cinque vacche. I diritti di mungitura di sei vacche vengono trasferiti a una compagnia panamense con uffici sulle Isole Caimán. Le vacche vengono imbarcate ad Asunción del Paraguay con una ditta di trasporti del cognato di quello che emise le carte di credito, che vende nuovamente le sette vacche allo Stato. Una commissione del congresso, preposta ad indagare sui fatti, scopre che al porto ci sono otto vacche che appartengono al padrone di una ditta di posta privata che si è appena suicidato in una stanza di Entre Ríos.





Matriarcato femminista - Hai due vacche. Le vacche si sposano e adottano un vitello.





Totalitarismo - Hai due vacche. Lo Stato te le confisca e nega che siano mai esistite. La mungitura assolutamente proibita.





Surrealista creolo - Hai due vacche. Lo Stato ti confisca le giraffe e ti ordina di prendere lezioni di pianoforte.




(6)
Diario da Tel Aviv di Manuela Dviri Vitali Norsa (scrittrice israeliana) dal Corriere della Sera


E' tornato mio marito, il mio soldato geriatrico ...




E' tornato mio marito, il mio soldato geriatrico (anni 56). E' abbronzato, magro, ha portato a casa scarponi infangati, biancheria sporca e puzza di militare, che poi sarebbe una puzza di maschio, olio di fucili e sudore. E' tornato a casa per ventiquattro ore ed è uscito di casa questa mattina alle sette mentre ancora dormivo. L'ho visto solo per poche ore. Il resto del tempo l'ha passato al lavoro, cioè in tribunale e in studio, cercando di smaltire il lavoro arretrato.
Naturalmente abbiamo fatto in tempo a bisticciare. L'abbiamo fatto in macchina, tornando da una strana festa di compleanno.
La festa di compleanno era di un soldato morto, Aviv, il figlio di Hanna, l'avvocatessa che lavora in studio. Aviv è morto nove mesi fa, vicino alla spiaggia di Gaza. Al «compleanno» c'erano circa 300 invitati, compresi i suoi compagni d'armi che sono adesso a Jenin, Ramallah e Tulkarem.
All'uscita anche i soldati avevano gli occhi rossi. Io ho pianto tutte le mie lacrime. Il compleanno a un morto di vent'anni, con gli ospiti, il buffet con i dolcini, il film preparato da Hanna per raccontare la storia della vita di suo figlio, l'atmosfera cupa che cercava di sembrare lieta, mi sembrava di essere entrata in un mondo al rovescio, assurdo, raccapricciante, rassegnato. E non riuscivo a togliermi dalle orecchie gli urli soffocati della nonna di Aviv che nascosta in un angolo mi stritolava la mano, e sbattendo la testa sul muro mi ripeteva tra un singulto e l'altro «ma che Paese è questo in cui si fanno i compleanni ai morti, che le nonne vanno tutte le settimane a trovare i nipoti al cimitero? Noooo.. Noooo.. Aviv... Nooo....».
Tornando a casa, tra un silenzio e l'altro, Avraham, il mio marito soldato, mi ha spiegato per l'ennesima volta perché c'è la guerra e perché era giusto farla e perché lui ci è andato. «Che Paese al mondo - mi ha detto - avrebbe accettato che i suoi cittadini venissero uccisi a decine, e in più in un giorno simbolico come la cena di Pasqua? Ogni nazione ha il dovere di proteggere i suoi cittadini. Non c'è altra scelta. E io non posso stare a casa a guardare i ragazzi partire militari per difendere il mio Paese, e stare a casa a guardarli alla televisione. Mi sentirei in gabbia, non sono ancora un vecchio. E tu smettila con il pacifismo. E con i tuoi amati palestinesi. Vedrai che alla pace ci arriveremo dopo, ma fare il pacifisti in questo momento è sbagliato e inutile. Con chi la vuoi fare la pace adesso? Con che interlocutore? Con Arafat che pagava i conti delle bombe dei kamikaze e tirava anche sui prezzi? Ma sei scema? Ma non capisci proprio niente? Non vedi che il mondo è ipocrita, che non gliene importa niente di noi? Che fa quello che gli fa comodo? Quando saremo morti tutti, allora sì che piangeranno lacrime di coccodrillo, vedrai, e che diranno i poveri ebrei che buoni che erano. Sei un'ingenua, se credi che ti puoi fidare di qualcuno».
Io gli ho risposto quello che gli ho risposto - che bisogna avere il coraggio di rischiare e di essere creativi e di inventarsi nuovi modi di dialogare e di pensare al futuro e di non rinchiudersi in un guscio difensivo e che bisogna cercare i moderati. Ma a lui è rimasta l'ultima parola: «Smettila di piangere, che ti è calato il rimmel su tutta la faccia e sembri un mostro. Dai, andiamo fuori a cena, c'è un ristorante nuovo, ti porto a mangiare una bistecca che ti tiri su, sei proprio una gran stupida».


Alzando lo sguardo leggemmo il nome della stazione: Mauthausen





Alzando lo sguardo leggemmo il nome della stazione: Mauthausen:
a nessuno di noi questo nome evocava qualche tipo di ricordo.


Ma l’accoglienza che avevamo ricevuto non ci faceva presagire nulla di buono.


Ci inquadrarono velocemente e fummo sottoposti al solito appello che durò moltissimo, visto che eravamo in cinquecento, poi ci ordinarono di incamminarci.
Attraversammo il paese, non molto grande ma grazioso, adagiato sulla riva sinistra del Danubio.
Data l’ora per strada non c’era quasi nessuno, ma i pochi abitanti che incontravamo rivolgevano lo sguardo altrove.


Oltre l’abitato la strada svoltava sulla destra ed iniziava una salita, che per noi, affamati, stanchi, con i muscoli delle gambe indolenziti dal freddo e dall’immobilità per troppo tempo mantenuta durante il viaggio, sarebbe stata insormontabile, se non fossimo stati costretti a proseguire dalle pesanti sollecitazioni dei nostri carcerieri e dei loro cani.


Percorsi circa tre chilometri, ad una svolta, si presentò un pianoro su cui sorgeva una imponente costruzione che aveva tutto l’aspetto di una fortezza: il muro di cinta, formato da grandi blocchi di pietra sovrapposti, a noi sembrò altissimo, ed era sovrastato da torrette molto simili a garitte. Il nostro umore peggiorava ad ogni passo.


Costeggiammo un gruppo di baracche di legno, che sapemmo in seguito essere gli alloggi, i servizi e gli uffici dei nostri guardiani delle SS, e giungemmo davanti ad un grande portone sovrastato da una imponente aquila di metallo e con ai lati due torrette.


La visione che si presentò al di là di quella soglia andava molto oltre ogni più pessimistica aspettativa: un lungo piazzale, con ai lati molte baracche di legno, era percorso da molte persone vestite con delle divise a strisce.
Ciò che ci fece gelare il sangue nelle vene, ulteriormente se era possibile, fu l’aspetto di quelle persone, che erano molto simili a spettri ambulanti: ridotti con la sola pelle a ricoprire le ossa, avevano uno sguardo allucinato e nel medesimo tempo spento, in occhi resi enormi dagli stenti, dalle sofferenze, e forse anche dalle atrocità che erano stati costretti a vedere e subire.


Non entrammo in quel cortile, ci fecero svoltare sulla destra in un corridoio tra il muro di cinta e un capannone.
Ci dissero di infilare i nostri bagagli e tutto ciò che avevamo con noi, comprese fotografie, portafogli, orologi, in un’apertura della parete del capannone di fronte collegata ad uno scivolo, e di spogliarci di ogni indumento, senza trattenere nulla, altrimenti, scoperti, saremmo stati severamente puniti.
Feci appena in tempo a rendermi conto di essere nudo, affamato, in un paese straniero di cui non conoscevo la lingua, ridotto quasi a morire di freddo e di fame, che le mie paure si concretizzarono davanti ai miei occhi: accanto a noi passava una specie di carriola sorretta e trainata da due prigionieri; sul fondo piano e senza sponde, si vedevano chiaramente i cadaveri scheletriti di tre o quattro persone, caricati e trasportati alla bellemeglio, con le braccia penzoloni e in posizione scomposta; avrebbe dovuto ricoprirli un telo di cerata, ma era talmente sporco e congelato che rimaneva quasi completamente sollevato e mostrava tutto l’orrore che avrebbe dovuto celare.

11.4.02

INTERVISTA DI GABRIELE DI TOTTO A TONI CAPUOZZO




È arrivato in Italia da qualche giorno e per un po’ non prevede di ripartire. Toni Capuozzo è l’inviato speciale del Tg5 che insieme ad altri colleghi, la mattina del 2 aprile ha trovato rifugio nella Basilica della Natività di Betlemme e per trenta ore è rimasto lì con i religiosi e un gruppo di miliziani palestinesi entrati con la forza nel convento. Adesso, a distanza di più di una settimana, ne parla a mente fredda.

“Veramente a mente fredda se ne potrà parlare solo quando tutto sarà finito. Lì sono entrati un gruppo numeroso di uomini armati. Ci sono anche un po’ di civili e per quello che io ho visto, ci sono una decina di combattenti feriti. Ci sono molti religiosi, dei francescani, delle suore, dei monaci armeni e dei monaci ortodossi. E attorno c’è un assedio israeliano. All’interno ci sono alcune delle persone che sono ricercate nelle liste del terrorismo, ci sono i responsabili di almeno tre attentati suicidi, ci sono quelli che hanno ucciso e trascinato nella piazza di Betlemme dei sospetti collaboratori israeliani. Ci sono i duri, gli estremisti”.

Non è chiaro chi davvero sia ostaggio e di chi. I palestinesi hanno cercato rifugio? Asilo politico? Stanno diventando un caso umanitario perché fuori c’è l’esercito israeliano.

“C’è un tentativo di farlo diventare un fatto umanitario. Quello è un complesso di edifici che hanno fortissimo valore simbolico per la cristianità e non solo, per il mondo intero direi. In realtà sono entrati sparando alla porta. E’ un gruppo militare che è giunto alla basilica da punti diversi e questo fa pensare a una strategia. Credo che più di rifugio sia una scelta meditata”.

E i religiosi all’interno sono ostaggio dei palestinesi o dell’esercito fuori?

“C’è da distinguere. Alcuni, i più anziani, sono in balia di questa situazione difficile. Ma i religiosi di Betlemme sono parte di questa vicenda. Molti sono arabi e integrati della società in cui vivono. I cristiani che vivono lì hanno a volte anche giustamente preso parte alla resistenza palestinese, alla rivendicazione di uno stato palestinese. I francescani sono parte di questo, parte di un movimento per la creazione di un’entità nazionale palestinese, ovviamente attraverso mezzi pacifici. Però ne sono parte. Il portavoce stesso dei francescani partecipava in prima fila ai funerali dei militanti ed è un buon amico di Arafat. Non è un nemico per chi sta dentro. Ma i religiosi devono fare i conti che dentro c’è la Jihad islamica, Hamas. La comunità dei francescani non è una parte travolta, è una parte rispettabilmente in gioco”.

I religiosi vi avevano chiesto di rimanere. Tra voi colleghi non ci avete pensato?
“Abbiamo discusso e siamo usciti con disagio perché non è onorevole andarsene dopo aver passato alcune ore in una situazione così difficile. Ma quella scelta è stata giusta. Noi potevamo essere uno scudo di fronte a un’eventuale irruzione israeliana. Ma anche una scusa per un’irruzione nel convento”.
Adesso com’è la situazione lì a Betlemme?
“Per una ponderata consapevolezza dell’impatto che avrebbe sull’opinione pubblica internazionale, l’esercito israeliano ha deciso di non sparare sulla basilica. Che paura possono avere i palestinesi a uscire dalla chiesa deponendo le armi? Davanti all’opinione pubblica mondiale credi che l’esercito israeliano sparerebbe davanti al portone della Natività? Verrebbero fermati, identificati, probabilmente interrogati. Dentro la chiesa ci sono ricercati per attentati contro civili, ci sono persone che propagandano il martirio di se stessi e degli altri. Il problema è che queste persone hanno tutto l’interesse a far precipitare le cose, preferiscono che gli israeliani facciano irruzione nella chiesa. Il loro sogno è far morire tutti quanti in una specie di rogo finale che dimostri la cattiveria di Israele e la loro disponibilità al martirio”.

Quindi come si può risolvere una situazione del genere?

“Credo che di fronte alla tensione dell’opinione pubblica internazionale, alla mediazione del nunzio apostolico, magari si potrebbe risolvere con l’intervento delle Nazioni Unite. Una mediazione che consenta di far uscire tutti, di deporre davvero le armi per il rispetto del luogo sacro, di accettare che chi è imputato di crimini orrendi risponda di questi crimini. E chi semplicemente milita nella resistenza palestinese sia lasciato libero di andare. Lasciare che quel gruppo che è numeroso trascini tutti in una distruzione finale sarebbe doppiamente tragico”.

Secondo te si risolverà presto?

“No, temo che duri a lungo e nello stesso tempo mi auguro che duri a lungo perché il timore è che ci sia una conclusione brusca, inaspettata e tragica. Non puoi pensare di prendere i palestinesi che sono dentro alla chiesa per fame perché dentro ci sono anche religiosi, non puoi pensare di dare l’attacco a questa basilica perché sarebbe uno schiaffo al mondo, alla sensibilità dei cristiani e non solo. E loro lo sanno. Ma cercheranno delle provocazioni. Sarà un braccio di ferro lungo che rischia di essere anche doloroso”.

La missione di Powell a Madrid si è aperta con la notizia di un nuovo attentato kamikaze ad Haifa. Il premier israeliano Sharon giudica un tragico errore l’incontro del segretario di stato americano con Arafat. Non credi che invece sia importante quest’incontro?

“Che Arafat abbia responsabilità gravissime sulla deriva che ha preso la resistenza palestinese è un dato di fatto. Credo però che non ci siano alternative al momento. È l’unico interlocutore possibile. Per gli israeliani non può non essere Sharon e anche lui ha non poche responsabilità per aver trascinato il Medio Oriente in questa situazione. Chi sta vincendo sono loro, non certo i moderati da parte palestinese né i pacifisti da parte israeliana. Le anime ragionevoli dei due schieramenti adesso contano molto poco, sono i falchi da entrambe le parti che Powell deve incontrare”.

La presa di posizione di Sharon di continuare la battaglia per distruggere le infrastrutture dei gruppi terroristici non ti sembra un braccio di ferro con Bush oltre che con Arafat?

“Credo che Sharon continuerà a tirare la corda fin quando sarà possibile per rallentare l’uscita dai territori. Credo che abbia dalla sua parte sia la debolezza di Arafat nel perseguire il terrorismo sia parte dell’opinione pubblica americana. Il terrorismo suicida inevitabilmente richiama alla mente l’11 settembre. Se gli Stati Uniti sono legittimati a colpire l’Afghanistan di Bin Laden perché non deve essere Sharon legittimato a colpire i covi del terrorismo palestinese? Questo è l’elemento di forza di Sharon. E la lentezza con cui Powell arriva in Medio Oriente credo che sia di fatto un modo di dare tempo a Sharon di completare il suo lavoro. Ogni pacifista vero dovrebbe invece augurarsi che il terrorismo venga sconfitto dai palestinesi stessi, col proposito di rivendicare i propri pieni, legittimi, sacrosanti diritti di trasformare questa autonomia, che adesso è in brandelli, in uno stato palestinese”.

L’attentato ad Haifa però…

“Quest’ultimo attentato dimostra la corta tenuta della risposta al terrorismo con la sola forza”.
Quale può essere allora una soluzione?

“L’unica soluzione è rimuovere le cause profonde, rimuovere le ingiustizie che costituiscono il bacino di coltura del terrorismo. Non ci può essere una risposta militare che risolva per sempre il problema. Il terrorismo è il grande nemico della causa palestinese”.





Gabriele Di Totto

8.4.02

Manifesto dei 121



Dichiarazione sul diritto all'insubordinazionenella guerra di Algeria


6 settembre 1960



Il 6 settembre 1960, 121 scrittori, universitari e artisti pubblicano il testo che segue (su Vérité-Liberté, n.4, settembre-ottobre 1960; l'edizione fu sequestrata e il direttore responsabile fu accusato di istigazione di militari all'insubordinazione). L'appello costerà severe sanzioni ad alcuni dei firmatari.




Un movimento, assai importante, si sviluppa in Francia, ed è necessario che l'opinione pub-blica francese e internazionale ne sia meglio informata, nel momento in cui la nuova svolta nella guerra d'Algeria deve portarci a vedere, non a dimenticare, la profondità della crisi inizia-ta sei anni or sono. Sempre più numerosi, Francesi sono perseguitati, incarcerati, condannati, per essersi rifiutati di partecipare a questa guerra, o per aver aiutato combattenti algerini. Travisate dai loro avversari, ma anche edulcorate da coloro che avrebbero il dovere di difen-derle, le loro ragioni rimangono generalmente incomprese. Pertanto, è insufficiente dire che questa resistenza ai pubblici poteri è rispettabile. Protesta di uomini colpiti nell'onore e nella giusta idea che si fanno della verità, essa ha un significato che oltrepassa le circostanze nelle quali si è affermata e che bisogna ricuperare, qualunque sia l'esito degli eventi.

Per gli Algerini, la lotta perseguita, sia con mezzi militari, sia con mezzi diplomatici, non impli-ca equivoci. E' una guerra d'indipendenza nazionale. Per i Francesi, invece, che guerra è? Non è una guerra straniera. Il territorio della Francia non è mai stato minacciato. Inoltre, si fa guerra contro uomini che lo Stato finge di considerare francesi, mentre loro lottano precisa-mente per non esserlo più. Non basterebbe nemmeno affermare che si tratta di una guerra di conquista, guerra imperialista, corredata in soprappiù di razzismo. C'è qualcosa del genere in ogni guerra, e l'equivoco rimane.

In realtà, con una decisione che costituiva un fondamentale abuso, lo Stato ha mobilitato dapprima intere classi di leva di cittadini al solo fine di realizzare ciò che definiva una faccen-da di polizia contro una popolazione oppressa, la quale si è ribellata solo per una preoccupa-zione di elementare dignità, poiché esige di essere finalmente riconosciuta come comunità indipendente.

Non guerra di conquista, né guerra di "difesa nazionale", né guerra civile, la guerra d'Algeria è divenuta poco a poco un'azione propria dell'esercito e di una casta che rifiutano di cedere di fronte ad una rivolta, di cui lo stesso potere civile sembra sul punto di riconoscere il senso, rendendosi conto del crollo generale degli imperi coloniali.
Oggi, è soprattutto la volontà dell'esercito a continuare questo conflitto assurdo e criminale, e questo esercito, con il ruolo politico che gli attribuiscono molti dei suoi alti rappresentanti, a-gendo talora apertamente e violentemente fuori di ogni legalità, tradendo gli scopi che l'insie-me del paese gli affida, compromette e rischia di pervertire la nazione stessa, obbligando cit-tadini alle sue dipendenze a divenire complici di un'azione faziosa e umiliante. E' forse neces-sario rammentare che, quindici anni dopo la distruzione dell'ordine hitleriano, il militarismo francese, a causa delle necessità di questa guerra, è giunto a ripristinare la tortura e a renderla di nuovo istituzionale in Europa?

In queste condizioni, molti Francesi hanno deciso di rimettere in discussione il senso di valori e doveri tradizionali. Cos'è mai il senso civico quando, in certe circostanze, diventa disonore-vole sottomissione? Esistono casi in cui il "rifiuto" è un sacro dovere, in cui il "tradimento" vuol dire coraggioso rispetto del vero? E quando, per la volontà di chi lo utilizza come strumento di dominio razzista o ideologico, l'esercito si pone in rivolta aperta o latente contro le istituzioni democratiche, la rivolta contro l'esercito non acquista un senso nuovo?

Il caso di coscienza è stato posto fin dall'inizio della guerra. Continuando, è normale che il ca-so di coscienza si sia risolto concretamente in atti sempre più numerosi di renitenza alla leva, di diserzione, come pure di protezione e aiuto a combattenti algerini. Liberi movimenti si sono sviluppati ai margini di tutti i partiti ufficiali, senza il loro aiuto e, infine, malgrado la loro disap-provazione. Ancora una volta, fuori dagli ambienti e dalle parole d'ordine prestabiliti, è nata una resistenza, grazie ad una spontanea presa di coscienza, che cerca e inventa forme di a-zione e mezzi di lotta in rapporto con una situazione nuova, alla quale gruppi politici e giornali d'opinione sono d'accordo di non riconoscere il senso e le vere esigenze, sia per inerzia o ti-midezza dottrinale, sia per pregiudizi nazionalistici o morali.

I sottoscritti, considerato che ciascuno deve pronunciarsi su atti che è ormai impossibile pre-sentare come vari fatti dell'avventura individuale, considerato ch'essi stessi al loro posto e se-condo i loro mezzi, hanno il dovere d'intervenire, non per dare consigli a uomini che devono decidere personalmente di fronte a problemi tanto gravi, ma per chiedere a coloro che li giu-dicano di non lasciarsi prendere dall'equivoco delle parole e dei valori, dichiarano:

· Noi rispettiamo e riteniamo giustificato il rifiuto d'impugnare le armi contro il popolo al-gerino.

· Noi rispettiamo e riteniamo giustificata la condotta dei Francesi che reputano loro do-vere aiutare e proteggere gli Algerini oppressi in nome del popolo francese.

· La causa del popolo algerino, contribuendo in modo decisivo alla rovina del sistema coloniale, è la causa di tutti gli uomini liberi.






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Arthur Adamov, Robert Antelme, Georges Auclair, Jean Baby, Hélène Balfet, Marc Barbut, Robert Barrat, Simone de Beauvoir, Jean-Louis Bedouin, Marc Beigbeder, Robert Benayoun, Maurice Blanchot, Roger Blin, Arsène Bonnefous-Murat, Geneviève Bonnefoi, Raymond Borde, Jean-Louis Bory, Jacques-Laurent Bost, Pierre Boulez, Vincent Bounoure, André Bre-ton, Guy Cabanel, Georges Condominas, Alain Cuny, Dr Jean Dalsace, Jean Czarnecki, Adrien Dax, Hubert Damisch, Bernard Dort, Jean Douassot, Simone Dreyfus, Marguerite Du-ras, Yves Ellouet, Dominique Eluard, Charles Estienne, Louis-René des Forêts, Dr Théodore Fraenkel, André Frénaud, Jacques Gernet, Louis Gernet, Edouard Glissant, Anne Guérin, Daniel Guérin, Jacques Howlett, Edouard Jaguer, Pierre Jaouen, Gérard Jarlot, Robert Jau-lin, Alain Joubert, Henri Krea, Robert Lagarde, Monique Lange, Claude Lanzmann, Robert Lapoujade, Henri Lefebvre, Gérard Legrand, Michel Leiris, Paul Lévy, Jérôme Lindon, Eric Losfeld, Robert Louzon, Olivier de Magny, Florence Malraux, André Mandouze, Maud Man-noni, Jean Martin, Renée Marcel-Martinet, Jean-Daniel Martinet, Andrée Marty-Capgras, Dio-nys Mascolo, François Maspero, André Masson, Pierre de Massot, Jean-Jacques Mayoux, Jehan Mayoux, Théodore Monod, Marie Moscovici, Georges Mounin, Maurice Nadeau, Georges Navel, Claude Ollier, Hélène Parmelin, José Pierre, Marcel Péju, André Pieyre de Mandiargues, Edouard Pignon, Bernard Pingaud, Maurice Pons, J.-B. Pontalis, Jean Pouillon, Denise René, Alain Resnais, Jean-François Revel, Paul Revel, Alain Robbe-Grillet, Christiane Rochefort, Jacques-Francis Rolland, Alfred Rosner, Gilbert Rouget, Claude Roy, Marc Saint-Saëns, Nathalie Sarraute, Jean-Paul Sartre, Renée Saurel, Claude Sautet, Jean Schuster, Robert Scipion, Louis Seguin, Geneviève Serreau, Simone Signoret, Jean-Claude Silber-mann, Claude Simon, René de Solier, D. de la Souchère, Jean Thiercelin, Dr René Tzanck, Vercors, Jean-Pierre Vernant, Pierre Vidal-Naquet, J.-P. Vielfaure, Claude Viseux, Ylipe, Re-né Zazzo.

I DUE NEMICI


DI AUGUSTA DE PIERO


Come ogni mattina, ormai da due mesi, appena mi sveglio mi affretto ad aprire il sito internet www.seruv.org.il.



Mi porta la voce dei militari e riservisti israeliani che non si negano alla difesa dello stato ma si rifiutano di servire nei territori: la loro non è una scelta precostituita di nonviolenza in assoluto, rifiutano quella specifica violenza che li vuole oppressori di un popolo con cui convivono da quando è nato il loro stato.



Un articolo pubblicato su Ma’ariv il 18 febbraio scorso li ha definiti “voce della coscienza, che vede tutti gli esseri umani come uguali, con lo stesso diritto alla salute, alla libertà e alla dignità e, soprattutto, lo stesso diritto alla vita”.



Mi permetto di aggiungere che sono la voce che ci fa sperare nella presenza –ancora –in Israele di una coscienza democratica, che testimoni una realtà oltre la dizione stereotipata che proclama quella forma della democrazia che, in guerra, non può farsi sostanza.



Vorrei poter chiamare per nome quegli obiettori –le cui firme sono perfettamente leggibili nel sito- perché l’impedimento alla pronuncia –pubblica e serena- del nome dell’altro, chiunque sia, è probabilmente una delle devastazioni che questa guerra terribile, iniziata diciotto mesi fa con la provocatoria passeggiata di un generale –che forse aveva tanto bisogno di non sentirsi solo nel ricordo di Sabra e Chatila, da farsi accompagnare da più di mille soldati-, ma che ha radici ben più lontane.



Molti ricercano una causa di questa violenza e, certamente, nello svolgersi degli avvenimenti tragici, di cui ci sentiamo spettatori impotenti, ne trovano quante vogliono, dall’una e dall’altra parte.



La violenza che si svolge nella storia di un conflitto, armato e guerreggiato, trasforma continuamente i suoi effetti in cause, che a loro volta promuovono la continuità dell’orrore e lo dilatano in un tempo che, nel suo svolgersi, sembra renderlo irreversibile.



E’ naturale sentire il bisogno di dire il nostro dolore e la nostra vicinanza a chi soffre (e nella sofferenza esprime una condizione di debolezza), ma urlare un’emozione non sempre è utile.



La violenza per affermarsi ha bisogno del consenso e, forse, quando ci opponiamo alla crescita di quel consenso non siamo così impotenti come se ci trovassimo di fronte ai carri armati.



Uno degli obiettori israeliani (Asaf Oron) si è ricordato di un’immagine che nel 1989 commosse il mondo e il 5 febbraio ha scritto: “Noi siamo il giovane cinese di fronte al carro armato. E voi? Se non è possibile vedervi da nessuna parte probabilmente siete dentro il carro armato ad aiutare l’autista”.



Ma c’è anche un’altra possibilità: che chi sta “fuori del carro armato” non sia visto perché non lo si vuole vedere.



Troppe iniziative di pace che guardino al futuro, che abbiano a cuore la necessaria convivenza di due popoli –destinati certamente a vivere in due stati, di cui uno non può essere una beffarda riduzione a un insieme di bantustan- vengono occultate.



Consideriamone almeno una. Il mensile Confronti da quattro anni promuove un’iniziativa chiamata “Semi di pace”, per cui convoca in Italia un piccolo gruppo di israeliani e palestinesi, interessati alle tematiche della convivenza e dell’educazione alla pace, che non solo propongono la loro esperienza ma possono parlarsi, confrontarsi .. cosa che in una terra insanguinata e violentata (quei militari impegnati nella distruzione degli alberi!) non è possibile.



Nel loro dialogare trovano interlocutori attenti ma che non fanno opinione. Quest’anno due di loro, entrambi giovanissimi (Elon Portugaly, ebreo, attivista di Peace Now e Nardin Ashih, palestinese cittadina di Israele), hanno presentato la loro esperienza anche in alcune scuole e Confronti –sul numero di marzo- ha dato voce ai ragazzi che li hanno incontrati.



Nardin, che un anno fa ha perso Asel, il fratello diciassettenne, pacifista, ucciso a un posto di blocco israeliano, con un colpo alle spalle, ha detto agli studenti: “Se mio fratello non fosse morto non sarei con voi” ed Elon le ha fatto eco chiedendo ai giovani di non schierarsi, per l’una o per l’altra delle parti in conflitto, ma di far posto nel loro cuore a due nazioni.



Sono parole difficili che irriteranno molti, eppure due giovani “nemici” hanno avuto l’intelligenza e il coraggio di pronunciarle insieme e sono stati ascoltati con partecipazione commossa da loro coetanei..



Ma come possono l’Europa, l’Italia, le nostre città sostenere quegli israeliani e palestinesi, che non si sentono destinati a un massacro infinito e vogliono vivere in sicurezza?



Credo sia opportuno considerare che la violenza -finché non è cosa da creare quella paura che paralizza e spegne ovunque ogni umanità- ha bisogno del consenso e sa crearlo.



L’Europa ne conosce, in occidente e in oriente, i meccanismi e da questa conoscenza dovrebbe trarre le modalità per opporvisi. Ma non è così.



Proprio nelle città europee bruciano le sinagoghe: risposta folle alle violenze consumate in Medio Oriente? O follia che non ci è estranea, che ha radici profonde nella nostra storia, già ben coltivate e protette?



L’antisemitismo europeo –problema nostro, non palestinese- si è consolidato in passato giovandosi delle radici forti e lunghe dell’antigiudaismo, costruito anche dalle chiese cristiane.



Oggi, con volgare pretestuosità politica, qualcuno chiama in causa quelle chiese per farne uno strumento di surrettizia identità culturale, le vorrebbe un muro ostile ad altri che giungono nel nostro paese per vivere e sono considerati, comunque e a priori, pericolosi invasori. Questa immagine non sembra essere rifiutata con sufficiente fermezza da chi vi è rappresentato con discutibile onore e dovrebbe sentirsene umiliato.



Le radici lontane dell’odio (che una, pur solenne e sincera, richiesta di perdono non basta evidentemente a distruggere) si uniscono – in Europa- alle radici nuove e forse contribuiscono ad alimentare il fuoco che oggi brucia le sinagoghe, domani chissà.



Forse stiamo cercando l’occasione per una nuova notte dei cristalli.



Offrendo pur se inconsapevoli spazi all’odio non aiuteremo nessuno e distruggeremo noi stessi.



E’ già accaduto.


Augusta De Piero

Santoro in prima fila applaude il leader: do voce in tv alle ragioni di questa gente



RIMINI - «Michele chi?». Era la battuta con cui Enzo Siciliano, il presidente della Rai dei professori, cercò anni fa di ridimensionare Michele Santoro. «Michele chi? Ah, quello di Rifondazione comunista...» potrebbe rispondere da domani Antonio Baldassarre, presidente della Rai attuale, per perseguire lo stesso «obiettivo» nell’anno primo della nuova era del centrodestra. Il giornalista- anchorman di Sciuscià ieri era seduto in prima fila insieme al fido Sandro Ruotolo ad ascoltare il segretario del Prc Fausto Bertinotti che concludeva il congresso del suo partito.

Per Santoro tutti gli onori dell’ospite di riguardo: lo stesso posto riservato ai leader politici nella giornata d’apertura, offuscato Leoluca Orlando, l’ex sindaco di Palermo e fondatore dell’ex alleata Rete, seduto lì a fianco e impegnato a fine discorso a cantare l’ Internazionale . La stessa prima fila che, proprio giovedì scorso, aveva ospitato Baldassarre per l’inaugurazione delle assise. Ma lui, qualche ora prima, aveva assistito anche all’avvio del congresso di Alleanza nazionale, par condicio. Santoro no, a Bologna non c’è stato. Come ospite non l’hanno invitato, per servizio ha scelto di non andare. A Rimini invece è stato invitato dal partito, c’era e non ha rinunciato né al bacio affettuoso della signora Lella Bertinotti né alla prima fila.

Come mai da queste parti, Santoro?

«Sono qui da giornalista, come lei. Con in più la coscienza che in questo padiglione c’è una gran parte del mio pubblico».

Veramente sta seduto in prima fila, nell’area riservata agli ospiti...

«Sono stato invitato e mi hanno offerto di sedermi qui in prima fila, sarebbe stata una scortesia rifiutare questo posto. Sono un osservatore e dove mi invitano vado. Qui ci sono persone che mi rispettano e che io rispetto. Ferme restando le distanze e le diversità, sono persone che hanno le loro buone ragioni da difendere e in televisione nelle trasmissioni degli altri spesso non possono farlo. Nelle mie trasmissioni possono farlo sempre. Sarei andato anche al congresso di Alleanza nazionale ma lì non mi hanno invitato, evidentemente Fini mi rispetta meno».

Durante la relazione si è alzato in piedi ad applaudire Bertinotti...

«Certo, l’ho fatto quando ha pronunciato la frase "Noi siamo ebrei". Mi è sembrato un momento di grande tensione morale e ho applaudito alzandomi in piedi, come hanno fatto tutti. L’avrei fatto anche per Berlusconi sa...».

Davvero?

«Sì, se dal palco di un congresso del centrodestra avesse detto "Vendo Mediaset" l’avrei applaudito in piedi. Ma Berlusconi non l’ha detto e, anche lui, non mi inviterebbe certo alle assise di Forza Italia: mi accusa di aver assunto in televisione atteggiamenti criminosi».

Sa che qualcuno, proprio nello schieramento guidato da Berlusconi, potrebbe considerarla una provocazione questa sua presenza al congresso del Prc alla vigilia delle settimana delle nomine in Rai?

«Ma quale provocazione? No, ho già detto che non sono preoccupato dalle decisioni che verranno prese. Aspetto di vederle».

Prevedendo le cosiddette «epurazioni» da parte del Cda Rai?

«Il problema del Cda è una cosa minore. C’è un qualcosa di molto più grave delle decisioni dei consiglieri, c’è un problema di non democraticità del sistema informativo italiano. E’ una carenza di democrazia che viene sottovalutata dai media, anche dal vostro giornale. Io ritengo che si tratti di una vera emergenza nel Paese».

Parole forti, evocano lo spettro del regime. Almeno mediatico...

«Io dico semplicemente che non ci sono le condizioni per le forze politiche di confrontarsi alla pari nel Paese. A cominciare dal Cda Rai».



Enrico Caiano

il discorso del sindaco di pedemonte




Cittadini, di Palomonti e di Contursi Termi e di...Oliveti Cetri, qui siamo tutti presente innanzi a tutt’a questo locale io vingrazio gli sposi e mio cognati che effettivamenti ci ha portati in questo locale che ha dato l’onore affettivamente al più ampie respiro che noi possiamo tutti testimoniare che veramente questo localo nunn’è ullllocalo come tutt gli altri raccontano meèllocale veramento severamente giusto che, affettivamente ci ha trattato, come verament come figlio dell’ingenito figlio...Vabbuon’? E allora cari cittadini, a noi a questo punto abbiamo ringraziare inanzitutto a tutt’il popolo che affettivamenti nciascoltato e nciascolta quali siano le più parole ampie respivo.....Vabben’? Cittatino, inanzitutto vi dico questo che noi affettivamento rentiamo prima al ll-localo che nciaospitato e quello che cià portato...in questo punto...e allora a tutti,cari cittatini di Palomonte e di Contursi Termi e di Oliveti Cedro noi ringrazziamo prima iddio e poi agli uomini della volontà nostro che affettivamente hanne contribbuito qualo siano la più ampio respivo....di questo popolo...cari fratello, teng dirvi in coro inoltro che noi...siamo qui per fare una polemica affettivamente agli altri locali...Vabben’? Che noi siamo state trattate come fratelli di questo pundo...verament’ gggiusto e dovere che non si seneritava che effettivament’ noi come facevano la polenica negli altri...degli altri fatti...Vabben’? Io so tutto, cari cittatini e ho scoltate bene la voce dei popoli comunque e in tutte le coso abbiamo costatato con le nostre veramente coscienzie dall’anima e dal popolo... Vabbuò? E allora a questa dobbiamo ammirare prima innanzitutt’a il localo...che a noi ci ha dato quelli chi noi c’abbiamo verament’ saziato da me il primo...me rivè...mi rento veramento conto che sio questo localo...Vabben’? E spera ca tutti voi cari cittatini e como ca...e come anco lo sposo le mie nipote la mia sorella e il mio cognato che appettivamento restaranno loro tranguill’ e ffelicità nella loro coscienza...Cari amici veramenti è questo che ia diche e dichiaro inanzitutto al popolo che veramente è una cosa buona e giusta e dover’ di ringraziare a coloro che gi è venut’ e ngiaospitat’ in questo locale...eh...sissignore...Cari amici vingrazia al popolo e io sono IL ZIO DELLO SPOSO e ringrazia lo sposo e il popolo di Contursi Terme di Palomonte e affettivamenti di Oliveti Cetro che noi siam’affettivemente fiere di rientrar nella nostra famiglia com a tutti EGUALE EGUAGLIANZA DEL POPOLO!

6.4.02

(4)
Diario da Tel Aviv di Manuela Dviri (scrittrice israeliana) dal Corriere della Sera



Quell’ufficiale non mi ruberà i miei ideali







«Andate andate soldatini che il buon nonno Sharon vi porta a combattere bambini, a uccidere, a morire, e a tornare a casa in pezzettini...», scandiva oggi a mezzogiorno, sotto un sole cocente, un gruppo di ragazzi imbrattati di sangue finto davanti al ministero della Difesa. Dalle automobili che passavano arrivava di tutto, dai sorrisi di incoraggiamento alle minacce («Speriamo che venga un palestinese e vi faccia fuori tutti»). Gli israeliani, si sa, son di sangue caldo.
Domani ci sarà un'altra dimostrazione, che partirà dalla piazza a nome Rabin, e domenica un'altra ancora. Nei cimiteri militari hanno sepolto cinque soldati. E a Tel Aviv la vita sta tornando, lentamente, a una specie di cauta normalità. Tre, quattro giorni senza attentati e un po' di sole e già tutti al ristorante, al mare, per la strada.
Io invece sono di umore nero. Non voglio tornare a nessun tipo di falsa normalità. Sono rabbiosa. Se fosse per me nell'elicottero per portare via Arafat, infilerei anche Sharon e Mofaz, il capo di Stato maggiore.
E poi ci metterei volentieri anche Effi Eitam, da oggi il nuovo capo del partito religioso «Mafdal» (che una volta era moderato, ed è diventato più falco dei falchi). Conosco bene Effi. Era ufficiale di mio figlio Joni, ha mangiato a casa nostra, ha persino parlato al cimitero all'anniversario della sua morte.
Sapevo che era di destra, ma le sue ultime dichiarazioni mi hanno lasciato attonita. Mi sono offesa, quasi mi volesse portare via i miei ideali, il mio mondo, il «mio» Israele, il mio ebraismo, la ragione della morte del mio ragazzino, la mia sofferenza. Tutto. L'ho chiamato a casa. Non c'era.
Sua moglie mi ha risposto al telefono e subito mi ha detto senza tanti preamboli: «Questo è un giorno di lutto per te, immagino, certo non sei soddisfatta dell'elezione di mio marito. Mi dispiace per te, ma questo è un Paese democratico, ricordatelo, e in un Paese democratico devi accettare le decisioni della maggioranza. Se per te sono inaccettabili, o immorali, puoi sempre andartene. Torna in Italia». E per una volta tanto, sono rimasta senza parole. Poi però mi sono ripresa e le ho risposto: «Israele è anche mio e non me lo porti via. Perché non te ne vai tu, invece?».
*scrittrice israeliana
(3)

Diario da Tel Aviv di Manuela Dviri (scrittrice israeliana) dal Corriere della Sera

«Oggi litigherò di politica con mio marito riservista»

Due intere giornate senza attentati. Due giorni senza bombe umane. Due giorni senza notiziari speciali a metà giornata. Sono riuscita persino a godermi i funerali della Regina Madre. Che lusso. Al bar sotto casa non c’è più il vigilante che fa la guardia. «Più tranquillo?», chiedo al barista. «Ma signora, zitta, stia zitta, per carità - risponde e tocca ferro -. Non dica niente. Porta male. Anzi, guardi, per scaramanzia diciamo pure che va malissimo lo stesso. E del resto, va veramente malissimo. Guardi qui il giornale di oggi: sono morti altri cinque dei feriti degli attentati della settimana scorsa. E stia sicura che domani i parenti non si metteranno mica a fare le bombe umane e a vendicarsi con i palestinesi. E a noi, dopo che i nazisti ci hanno ucciso sei milioni di persone, provi a contare fino a sei milioni, ci metterà tre giorni, a noi ci chiamano nazisti. Insomma, avremo anche noi le nostre colpe, però c'è un limite a tutto. Io i coloni non li sopporto, i Territori ai palestinesi glieli darei indietro domani mattina, ma come si fa a fidarsi di loro adesso». Mia sorella Eva, a Torino, è preoccupatissima per me e per Laura, le sue sorelle grandi. Si sente in colpa di continuare a fare una vita normale, di andare in montagna, di vivere e godere. Un suo alunno le ha detto: «Signora professoressa, le sue sorelle stanno morendo in Israele e lei va in montagna?». Poveretta, si è sentita un verme. Soffre a vedere la tv, e non riesce a smettere di guardarla. Le ho raccontato che ieri alla dimostrazione di israeliani e palestinesi c'erano soldati che sparavano bombe lacrimogene. E una mia amica che era lì, dalla parte dei dimostranti, piangeva e cercava tra i soldati suo figlio, che sapeva essere in quella zona. Che fosse lui quello che sparava? E quando vedo i nostri ragazzi, i nostri soldati di vent’anni, non vedo la belva umana che vedono i palestinesi, vedo mio figlio, vedo mio marito, vedo il mio vicino di casa. Forse, a modo suo, ha ragione il mio soldato-vecchietto, mio marito, a essersi proposto volontario sei mesi fa. Meglio lui che i giovani.
Oggi è in vacanza per 24 ore ma ancora non l'ho visto. La sua segretaria mi ha detto che non può rispondere al telefono perché ha lavoro arretrato di una settimana. Di sicuro, appena arriverà, ci metteremo come al solito a discutere di politica, finché saliranno i toni e lì smetteremo.
E questa notte la gatta Tula tornerà a dormire sotto il portico del cinema qui vicino.