26.2.04

La riguerra di George
DI Stefano Benni, Il Manifesto

Popolo americano e popoli sudditi, ho una grande notizia per voi. Abbiamo vinto la guerra in Afghanistan e in Iraq con poche perdite. Abbiamo portato la pace in quei paesi e da allora ci muoiono decine di marines e civili ogni giorno. Questa è la prova che la guerra è meglio che la pace. Perciò ho una buona notizia: una nuova grande guerra sta per iniziare. Contro un nemico ancora più subdolo e pericoloso di Osama e di Saddam.

Questo nemico è il CLIMA.

Questa sigla significa in realtà Complotto Leninista Internazionale per Massacrare l'America. Ma il Pentagono li ha scoperti, e niente li salverà dalla nostra ira. Essi vogliono attaccare le nostre coste con iceberg e tornadi, invaderci con bufere di pioggia e neve, inaridire i nostri fiumi e destabilizzare il quadro internazionale: ma non cederemo alla loro basse pressioni e alle loro funebri isobare.

Non ci lasceremo intimidire!

In Africa il CLIMA ha un piano per desertificare il continente, di modo che i Bongo Bongo chiedano acqua al posto delle nostre armi, e magari si ribellino attaccando i nostri bananeti e pretendano di abbeverarsi al nostro glorioso Mississipi...

Ma ciò non accadrà: abbiamo già spedito sul posto un milione di distributori di Coca-Cola, ognuno guardato a vista da un marines anti-scasso. Così il problema della sete è risolto.

Inoltre abbiamo mandato latte in polvere tossico e medicinali da esperimento. I morti, generalmente, non bevono.

In quanto all'inquinamento e al buco dell'ozono, qualcuno ha osato incolpare le nostre aziende petrolifere, le nostre auto, i nostri utili disboscamenti. Accuse da comunisti obsoleti, pagati dalle lobby dei camini e delle biciclette.

Non ho firmato il protocollo di Kyoto perché dopo Pearl Harbour non mi fido dei giapponesi, e poi non so cosa vuol dire protocollo. Ma so benissimo cosa vogliono dire Effetto Serra e Buco dell'Ozono: sono subdole armi di sterminio di massa in possesso del CLIMA, specialmente del suo braccio armato chiamato Anidride Carbonica, nome in codice Co2, un gruppo terrorista che negli ultimi anni ha visto moltiplicare i suoi adepti nell'atmosfera.

Abbiamo già un piano per chiudere gli aeroporti americani a ogni volo che possa trasportare anidride carbonica. Ogni molecola in transito verso gli Usa dovrà fornire le impronte digitali. Sappiamo che tra gli iscritti alla Co2, ogni atomo di carbonio usa accoppiarsi in modo orgiastico e amorale con due atomi di ossigeno. Da ora in poi ogni reazione chimica di questo tipo verrà considerata associazione a delinquere. Non ci lasceremo certo intimidire da un biossido bisessuale.

Inoltre da oggi ogni iceberg che si staccherà dalla banchisa polare verrà bombardato. Anzi, bombarderemo la banchisa preventivamente.

Per evitare gli incendi nell'Amazzonia, la disboscheremo tutta. Questo l'ho già detto anni fa e lo ripeto.

Il governatore della California Schwarzenegger ha ordine di arrestare ogni onda anomala superiore ai quindici metri.

Ogni temperatura sopra i quaranta gradi verrà considerata propaganda antiamericana. Ogni campo da golf sarà dotato di irrigatori supplementari.

Non tollereremo parimenti che CLIMA attacchi le nostre città con piovaschi e grandinate. Tutte le nuvole di forma sospetta verranno bombardate.

In quanto alla desertificazione, abbiamo pronti dieci milioni di oasi gonfiabili.

Il progresso americano basato sul petrolio, sul golf e sul surf non teme nessuno.

Ma sappiamo che questo CLIMA ha un capo subdolo. Un signore che dopo avere creato il mondo non sa più gestirlo, un pessimo manager andato in crisi per qualche gas di scarico e qualche molecola sballata. Ebbene se questo signore, sostenuto da meteorologi terroristi e cirrocumuli bolscevichi, vuole dichiaraci guerra, troverà pane per i suoi denti.

Le chiese integraliste americane hanno un giro di introiti e proprietà che le ha fatte inserire tra le prime multinazionali del mondo. Se uniamo i soldi delle chiese e dei petrolieri possiamo non solo andare su Marte, ma molto più su, e bombardare molto molto in alto.

Non dite che sono un pazzo megalomane, so quello che dico.

Il CLIMA non ci spezzerà. Ed è inutile che Kerry mi attacchi. Lui è un veterano di guerra, io un imboscato, ma l'esercito è con me.

Marines, ognuno di voi da domani stia all'erta: ogni nuvola, ogni iceberg, ogni soffio di vento, può nascondere il complotto. Non respirate ossigeno, potrebbe essere una trappola del nemico! Saddam è nelle nostri mani, Osama sta per caderci e il CLIMA sta per conoscere la nostra vendetta.

God blast America.

Dio spazzi via l'America.

E noi spazzeremo via lui.

25.2.04

berlusconi voltagabbana: era interista

Notizia ASCA del 25/02/2004, ore 11.21.

La fede calcistica di Silvio Berlusconi non e' sempre stata rossonera: all'inizio l'attuale presidente del Milan, nonche' presidente di Forza Italia e del Consiglio, era infatti tifoso dell'Inter. La rivelazione e' di ''Tuttosport'' che e' andato a scovare la testimonianza di Giovanni Ticozzi che e' stato uno dei giocatori della squadra di calcio Edilnord quando l'allenatore era Silvio Berlusconi. Per la verita' il Ticozzi, che ha confermato ''stima infinita'' per il Cavaliere, ha pero' incrinato l'immagine di
un Berlusconi in tuta a dare ordini da allenatore a bordo campo durante la settimana e sulla panchina alla domenica.
''Guardi -ha dichiarato Giovanni Ticozzi a Tuttosport- che hanno raccontato un sacco di balle, su Berlusconi allenatore. Ora glielo spiego io, che sono stato un suo giocatore. Niente libero, innanzitutto. Lo ha schierato una sola volta, abbiamo perso e da allora e' stato abolito. E poi a lui non bastavano nemmeno le due punte, allora: si giocava con tre attaccanti e con suo fratello Paolo aggiunto''. Come era il fratello? chiede l'intervistatore. ''Diciamo -racconta Ticozzi- che se noi fossimo stati il Milan, lui sarebbe stato un onesto giocatore di serie B. Pero' qualche gol lo segnava''. ''Berlusconi -prosegue nei ricordi- non ha mai diretto nemmeno un allenamento: ci si trovava la domenica a Brugherio, lui dava le maglie. Ricordo che erano amaranto. Eravamo i piu' forti, una specie di Real Madrid. Qualche giocatore era arrivato dal Milan di Carraro, grande amico di
Berlusconi, ma anche dall'Inter, squadra per la quale il presidente, allora, faceva il tifo. Si', davvero, era interista''.
E ancora sull'attivita' di allenatore Ticozzi ha aggiunto: ''Non parlava tanto, ne' di schemi ne' di moduli. Ci mandava
all'attacco e noi vincevamo. Soldi? No, solo rimborso spese, specie per me che dovevo prendere metropolitana ed autobus.
Ma a volte passava a prendermi in macchina, ero un po' il suo pupillo. L'anno era il 1965, se non ricordo male. La
squadra era l'Edilnord, categoria juniores B. Cominciammo la stagione con Fossa in panchina: era un grande lo chiamavano
il 'mago Herrera dei giovani'. Duro' solo 4 giornate poi Berlusconi prese la panchina. Vincemmo quasi sempre ma alla
fine non ci riusci' di raggiungere l'Ausonia''.

24.2.04

Le esternazioni del Cavaliere e l'effetto boomerang
di MICHELE SERRA - Repubblica

L'ALTRA sera, mentre la telecamera passava in rassegna i volti costernati del conduttore, degli ospiti e del pubblico della Domenica sportiva, subissati dalla interminabile e incredibile telefonata autocongratulatoria del multipresidente Silvio Berlusconi, per un attimo si è avuta la sensazione (ottima) di un colmo raggiunto. Le facce e gli sguardi esprimevano (non tutte, ma in larga prevalenza) un concetto molto semplice, molto umano, molto popolare: che due palle! Se l'indignazione politica, molto praticata a sinistra, è un atteggiamento nobile ma elitario, e richiede il supporto di una cognizione istituzionale non sempre reperibile nei mercati rionali, il "che due palle" ha invece l'invincibile volgarità, e vitalità, dei sentimenti di maggioranza.

Se a recalcitrare sotto i bastoni e le carote del premier non sono più solo gli intellettuali antipatici, ma i simpatici esperti di moviola, e il pubblico casuale e apolitico di uno studio televisivo milanese (che ha salutato l'intervento riparatorio di Lucia Annunziata con uno scrosciante applauso di liberazione), allora significa che, appunto, forse il colmo è davvero raggiunto.

Mentre Berlusconi diceva io qui, io là, io su, io giù, schierava formazioni, indicava tattiche, vantava vittorie, mulinava il libretto degli assegni (un vero signore), evocava valorose gesta giovanili, ventilava nuovi trionfi, il televisore effondeva la sensazione di un delirio finalmente percepibile anche dal famoso "ventre" del Paese al quale, dicono, Berlusconi intende rivolgersi nel tentativo di rovesciare, antipoliticamente, una partita politica ormai quasi perduta.

Siano davvero i famosi e spettrali "focus" reclutati tra la "gente comune" a orientare le parole del premier, o sia solamente il suo abnorme ego, la sortita domenicale odorava tremendamente di collasso tecnico-tattico. Non tutti, davanti al televisore, erano tenuti a sapere che parte degli ospiti non osava contraddire Berlusconi perché è alle sue dirette dipendenze (anche a queste assurdità conduce il forsennato conflitto di interessi: la chiacchiera calcistica porta la mordacchia tanto quanto quella politica).

Non tutti erano tenuti a conoscere l'atmosfera di cupo controllo che regna in Rai, e certo non facilita la spontaneità e la saldezza di conduttori e programmisti. Non tutti, facendo due più due più due, potevano calcolare sul momento da quale pazzesco cumulo di poteri (istituzionale, politico, mediatico, economico, calcistico) risuonava quella voce minacciosamente cordiale. Tutti, però, potevano benissimo percepire l'ingombro esagerato di quella presenza sussiegosa, di quella orgogliosa petulanza (interrompeva tutti, correggeva tutti), soprattutto di quella incredibile raffica di "io" che costituisce il traliccio attorno alla quale il premier appende ogni sua bandiera.

C'è uno zoccolo duro di fedelissimi che avrà sicuramente apprezzato la dottrina calcistica del presidente del Milan, e altrettanto sicuramente non avrà colto la malacreanza di un cazziatone rivolto in pubblico al suo dipendente Ancelotti (uno dei tanti, spiace dirlo, che tiene le spalle curve quando parla il principale). Ma attorno a quello zoccolo incoercibile si avverte l'erosione da sfinimento che l'assalto mediatico del premier rischia di provocare, o sta già provocando, proprio in quella "gente comune" che della propaganda berlusconiana è il target più appetito, ma anche il più volubile.

Sbucare da ogni cantone, da ogni video vantandosi di essere Berlusconi alla lunga suscita, anche nei passanti più distratti, un senso di indifferenza prima, di saturazione poi, infine di esasperazione. E tra gli ingredienti più importanti dell'umor popolare c'è quella variante primaria del buon senso che è il senso del limite. Anche il più potente dei Grandi Fratelli ci mette un attimo a diventare solo un anziano zio invadente. E tra un po', quando ci ripeterà per la miliardesima volta che lui ha vinto la Champion's League per via delle due punte, nei tinelli italiani saranno in molti a cambiare canale per via delle due palle.
MOVIMENTO PER LA LIBERAZIONE DELLA DROGA DALLO SPORT
di Aldo Vincent (http://cassate.blog.excite.it)

Diciamocelo francamente: la vicenda Pantani ci ha scosso, e ora che anche Cannavo' e' rientrato nel suo loculo, possiamo parlarne a bocce ferme. La droga nello sport e' un problema. Troppo poca e troppo cara, direbbe Maradona, ma proprio in questi giorni sono usciti dati allarmanti con nuove mafie che incrementano il business con fatturati da capogiro, mentre Carraro e Pescante, poveracci, non si sono accorti ancora di nulla.

Ma un rimedio c'e' e lo vado dicendo da tempo: liberiamo la droga dallo sport e facciamo in modo che pochi atleti che si dopano non intacchino la reputazione di milioni di drogati per bene che sono in giro persino in Parlamento.

FONDIAMO UN MOVIMENTO PER LA LIBERAZIONE DELLA DROGA DALLO SPORT!!

Tanto e' risaputo, per incuria o incompetenza i controllori non sono in grado di controllare: troppi prodotti, troppe novita', troppe scappatoie. E allora lasciamo che gli atleti possano doparsi!!

Potremmo creare cosi' nuovi posti di lavoro per la ricerca scientifica senza questa fuga di cervelli che manda i nostri giovani a ricercare stimolanti all'estero!! E potremmo organizzare Olimpiadi sponsorizzate dalle case farmaceutiche con risultati finalmente che rispecchiano il progresso della scienza e della tecnica. Ma ci pensi? I cento metri in sette secondi, il salto a tre metri, il giro d'Italia in una settimana!!

E tante tante medaglie e applausi e Bill Gates che finalmente apre un Centro Studi in Italia per il Windows fai-da-te con il Piccolo Chimico incorporato!!

E poi, quando gli atleti, finiscono la loro carriera, invece che la pensione, se raggiungono i cinquant'anni, tutti dal Presidente della Repubblica che li nomina Cavaliere!! Non e' fantastico?

Conto sul tuo aiuto per aderire numerosi al nuovo movimento: LIBERIAMO LA DROGA DALLO SPORT!!

22.2.04

SANTIFICAZIONE DI UN CICLISTA
di Paolo Ghezzi sull'Adige

SAN MARCO. Tra le svariate materie prime che scarseggiano in Italia c?è il senso della misura. Un?eclatante conferma la si è avuta dopo la morte prematura del Pirata con la bandana. Se si fosse spento in una casa di riposo di Cesenatico nel 2054 - magari pianto da nipoti e pronipoti - i nostri futuribili colleghi giornalisti avrebbero scritto cinquanta-sessanta righe ricordando la storica doppietta Giro-Tour della fine del secolo precedente, nel lontanissimo 1998. E finita lì. Invece, convinti (erroneamente) anche noi italiani del Duemila, come gli antichi Greci, che "muor giovane chi al cielo è caro", e infastiditi da chi sottilizza sui banali e infamanti dettagli dell?epo e della coca, abbiamo seduta stante trasformato il povero Pantani in: messia degli arrampicatori, apostolo della pedivella, protettore degli scalatori, patrono dei pirati, nostrosignore delle bandane, martire dei giudici sportivi, crocifisso dei perfidi piemme, angelo-di-chi-è-senza-peccato-scagli-la-prima-pietra, serafino dei depressi, cherubino dei solitari, stella dei nostalgici, astro solare dei malinconici, redentore degli innocenti, santo fragile.
Ecco, fragile sì, nella vita, tanto quanto era forte nella salita. "Amico fragile", dunque, per dirla con il titolo autobiografico di De André. Ma perché "santo", come un incompreso puro di cuore? Perché, soprattutto, come hanno fatto decine di migliaia di fans, chiedergli perdono, supplicarlo di perdonarci?
SENSI DI COLPA. Sentirsi in colpa per Pantani? Chiedergli perdono? Dovremmo semmai avere sensi di colpa per i bambini africani o iracheni che - difendendo coi denti i nostri standard di ricchi abitanti dell'emisfero nord, area occidentale - lasciamo nella fame; per i vecchi che dimentichiamo nelle case di riposo; per i figli che trascuriamo; per gli amori che calpestiamo; per i vicini che ignoriamo; per i colleghi di lavoro che pugnaliamo alle spalle; per gli amici che tradiamo; e via colpevolizzando, ammesso e non concesso che il senso di colpa serva per provare a cambiare rotta esistenziale, e non semplicemente per sentirsi - con un certo autocompiacimento - così scassati da suscitarci un'esagerata indulgenza per quei deboli di spirito che siamo, e quindi annegare il rimorso nella televisione, nello shopping, negli alcolici, nella ginnastica genitale e in tutte le altre droghe (naturali o sintetiche, virtuali o simboliche) che il mondo moderno gentilmente ci offre per aiutarci a dimenticare le ingiustizie del pianeta, e ad affogare eventuali soprassalti di coscienza e di rivoluzione.
PSICOFARMACI. Ma sentirsi in colpa per Pantani? Chiedergli perdono, come a un agnello immolato, perché "l'abbiamo lasciato solo"? Stiamo scherzando? Se vogliono, se devono, si sentano in colpa i parenti, gli amici, i colleghi, i manager e magari certi cronisti sportivi che l'hanno sparato nell'alto dei cieli per poi precipitarlo nella polvere: è affar loro, rispondano alla loro coscienza. Ma il Panta-fan, la devota di San Marco, il fedele del Pirata - queste decine di migliaia di italiani che si scoprono orfani di un "eroe" - non si sentano, por favor, colpevoli per quella morte prematura e romantica, al residence Le Rose, la sera della festa degli innamorati, che l'ex campione si è cercato. Piangano caldissime lacrime, ma per favore, non gli chiedano perdono. Riservino piuttosto i rimorsi per ciò di cui sono direttamente, personalmente responsabili. Vittorio Feltri - che di depressione è esperto - ha scritto che "di Pantani è pieno il mondo", intendendo che il male di vivere non è un privilegio dei Geni dell'arte o dello sport. E ha suggerito una ricetta infallibile: un bravo dottore, gli psicofarmaci giusti, un po' di pazienza con se stessi. Come vedete, si torna anche qui alla chimica, alla vera scienza amica (e nemica) della contemporaneità. Pur non avendo le certezze di Feltri, non mi scandalizzerei se un panta-fan prendesse un ansiolin per dormirci sopra. Vorrei sperare invece che nessuno intraprendesse una cura di prozac per fronteggiare un infondato e inutile senso di colpa per la fine solitaria dell'ex Osannato. Ma, come càpita per l'inflazione, c'è la colpa reale e quella percepita. E una delle fragilità del pensiero debole contemporaneo è proprio il percepirsi colpevoli della mala sorte dei miti che emotivamente ci ferisce (la bandana triste dello scalatore pelato, appunto) e autogiustificarsi disinvoltamente se nella vita di tutti i giorni siamo fedifraghi, bugiardi, traditori, evasori fiscali (vero, Esse Bì?), analfabeti emotivi, ipocriti sentimentali.
L'ALBERO DI ALEX. Oggi, 22 febbraio, anniversari. Sessantuno anni fa, a Monaco, tagliavano le teste della Weisse Rose, degli studenti antinazisti Sophie Scholl, Hans Scholl, Christoph Probst. Tre anni dopo, a Vipiteno, nasceva Alexander Langer, che oggi festeggerebbe dunque il 58° compleanno, se il 3 luglio 1995 non si fosse appeso a un albero a Fiesole, sopra Firenze. Le circostanze di una morte non dovrebbero oscurare le passioni e le battaglie di una vita. Vale per il ciclista che lascia il ricordo delle sue arrampicate. Vale per il musicista che ci consegna, nel tempo, le sue canzoni. Vale per un politico anomalo come Langer, che va ricordato per la generosità dell'impegno, per la pregnanza delle parole. Adriano Sofri, tre anni fa, ne scrisse così: "Nel suo primo giornale di scolaro bolzanino nel 1961, il quindicenne Langer aveva esposto un programma ingenuamente squillante: "Vorremmo esistere per tutti, essere di aiuto a tutti ed entrare in contatto con tutti... Venite a noi, e vi aiuteremo con tutte le nostre forze. Venite a noi con fiducia...". Nell'ultimo biglietto, trentaquattro anni dopo, rimise tra virgolette l'appello evangelico: " 'Venite a me, voi che siete stanchi ed oberati'. Anche nell'accettare quest'invito mi manca la forza. Così me ne vado più disperato che mai. Non siate tristi, continuate in ciò che era giusto"". Cioè credere che la politica sia un modo (seppure imperfetto) di costruire la giustizia quaggiù.
MARCO E ADRIANO. Ripenso a Langer, attraverso la citazione di Sofri, e approdo a un altro Marco, il più famoso nell'attualità italiana prima che irrompesse il dramma di Pantani: Boato. Erano tutti e tre in "Lotta Continua", e oggi - morto Alex - Marco cerca di tirar fuori Adriano dal carcere di Pisa. Lo crede innocente del delitto Calabresi. Per questo, per lui, ha escogitato una legge ad hoc per una grazia ad personam. Ecco, se posso disonestamente attribuire un pensiero ai defunti, e a costo di attirarmi gli strali della potente lobby degli exlottacontinuisti, mi piace pensare che ad Alex che voleva giustizia PER TUTTI, questa giustizia ope legis per uno solo non sarebbe piaciuta. Neanche se quell'uno fosse stato il suo amico Adriano.

MENO SILVIO PER TUTTI
di Alessandro Robecchi per il manifesto

Come i piloti dei jet, o i giocatori di basket, dovremmo dotarci di eccellenti tempi di reazione. Silvio è partito come un tappo di champagne nella galassia della sua campagna elettorale e adesso ci rimbalzerà nelle orecchie per mesi come una pallina da flipper. L'uscita sui politici ladri segue di poche ore l'ennesima barzelletta sui campi di sterminio, che a sua volta segue l'ultimo piagnisteo vittimista, che a sua volta segue l'ultimo inno ottimista e così via. Rischiamo di non stargli dietro, di non tenere il ritmo. Chi di noi ogni tanto non vorrebbe una pausa? Calma! Non ho ancora finito di indignarmi per quella prima e già devo restare a bocca aperta per la cazzata dopo, è spossante, ti stressa: Silvio sarà pure immortale, ma per gli altri è una specie di malattia sociale. Insieme ai dati dello smog le centraline delle città dovrebbero dare anche il tasso di Silvio nell'aria, possiamo sempre uscire con una mascherina di Bondi.
Sarà esattamente questo: inquinamento. Peggiorato dal fatto che questa volta Silvio balla da solo, sa che le europee sono un referendum sul cavalier Patacca e quindi non ha problemi a trattare ruvidamente anche i coinquilini della maggioranza, pur di vincere lui.
Fin qui è tutto chiaro, un po' di fumogeni per le elezioni. Giovanni Sartori, firma illustre del Corriere, liberale indignato dai tempi che corrono, fa notare come in questo parapiglia del "Silvio-contro-tutti" la menzogna sia praticamente la norma, avallata e confermata col timbro dei tg. Ha ragione da vendere, naturalmente e non mancano le prove, ma c'è forse il rischio che questo continuo bombardamento mediatico sulle gesta e le dichiarazioni del premier faccia addirittura di peggio. Che lasci intorno, nell'immaginario del Paese, soltanto macerie.
Mollati gli ormeggi dagli alleati che lo tenevano un minimo coi piedi per terra, Silvio parte per il cyberspazio della sua battaglia solitaria. Volano piatti e la mobilia buona del paese, quella che resta, viene sfregiata continuamente. Della Costituzione si parla ormai come fosse un contratto con gli italiani firmato in tivù, che i subdoli comunisti imposero ai democristiani ricattati e impietriti. Tutto quello che contiene la parola "sociale" viene spernacchiato e deriso, o addirittura affidato al ministro Maroni. Un ricco che paga le tasse è considerato uno snob che fa volontariato mentre, se seguisse la morale, potrebbe pure non pagarle. Eccetera eccetera. Ogni volta che Silvio si fa spazio per le sue scazzottate contro il mondo butta giù uno scaffale di prezioso vasellame collezionato in anni di lotte, di battaglie intellettuali, politiche, anche di faticosi compromessi.
Soprattutto per questo il rischio di non stargli dietro, di non reggere il ritmo pare piuttosto grave. Ma il problema si complica quando - come spesso gli accade - Silvio fa testacoda. Tra i suoi yesmen ce ne sono alcuni che hanno costruito in fretta e furia una carriera da garantisti, perché il garantismo serviva parecchio. E ora eccoli costretti a dar ragione al capo che dice "ladro" a tutti. Esperti di comunicazione come il professor Amadori ci spiegano che è una precisa strategia. Raccogliere il peggio del qualunquismo da fila-alla-posta e ridistribuirlo a piene mani (finalmente si ridistribuisce qualcosa!) con l'uso dei media di proprietà o in comodato. Dunque, conviene prepararci, prima di tutto sui tempi di reazione. Consiglio indignazioni rapide, da smaltire nel giro di due o tre ore, in modo da riposare un po' ed essere pronti per la bordata seguente. Poi organizzarsi un sistema di turni in famiglia. Tipo: mi spiace, io oggi non mi indigno, però guarda tu i tg e incazzati tu, ti do il cambio alle cinque. O ancora praticare una sana autoriduzione: un Silvio a targhe alterne, un giorno sì e un giorno no. Ora visiterà un cantiere alla settimana, tagliando nastri su paludi dove non è arrivata nemmeno una carriola, parteciperà a convegni, andrà alla radio con cadenza regolare, sguinzaglierà i suoi chierichetti in ogni posto ove sia previsto un contraddittorio, a cui lui si sottrae. Sopravviveremo? Ogni specie si adatta, ovvio, però bisogna difendersi meglio. Comincerei con una terapia a scalare: lentamente, senza traumi, ma ogni giorno un po' meno Silvio per tutti.

21.2.04

Ritorno ai bei tempi: «Manette, manette!»

I fedelissimi applaudono Berlusconi, ma in Forza Italia c’è anche chi impallidisce e chiede: sono forse io, Signore?
di Gian Antonio Stella - Corriere della Sera, 20 febbraio 2004

Manette! Manette! Dopo anni di messianiche battaglie garantiste dovute alle grane giudiziarie sue e di amici, Silvio Berlusconi ha riscoperto in questi giorni i bei tempi in cui metteva le sue tivù «a disposizione di Di Pietro», plaudiva a Gianfranco Fini scatenato contro il «governissimo dei ladroni, il ladronissimo Dc-Psi-Pds» e chiedeva agli aspiranti candidati di Forza Italia di sottoscrivere una impegnativa dichiarazione.
Il testo era il seguente: «Dichiaro:
1) di non avere carichi pendenti
2) di non aver ricevuto avvisi di garanzia
3) di non essere stato e di non essere sottoposto a misure di prevenzione e di non essere a conoscenza dell'esistenza a mio carico di procedimenti in corso...».
Provvisoriamente accantonati i reucci del cavillo che a lungo l’hanno assistito nelle aule giudiziarie, ha dunque deciso coi «Cavalieri Azzurri» di Milano e ieri ad Atene di sparare tre colpi.
Primo: «Fermate i vecchi politici! L'imperativo categorico di Forza Italia è sempre stato la moralità».
Secondo: basta con quelli «che non hanno mai messo piede in una vera azienda, nel mondo del lavoro, persone che hanno soltanto chiacchierato nella loro vita, che non hanno combinato nient’altro che prendere i soldi dei cittadini».
Terzo: «Ci sono tanti signori che hanno la casa al mare, la casa in città, la casa ai monti, la barca... Guardando a quel che guadagnano questi signori e quello che a volte devono anche dare ai loro partiti, mi chiedo: ma come hanno fatto a farsi tutte queste proprietà? Sono soldi rubati. Soldi rubati ai cittadini».

FOLLINI - Mentre salivano gli applausi dei fedelissimi e le polemiche anche intestine aperte da Marco Follini, tuttavia, tra le sue file si avvertivano vistosi sbandamenti accompagnati dalla domanda che cadde all’ultima cena: «Sono forse io, Signore?»
Al primo colpo si è accasciato Gianstefano Frigerio, vecchia talpa democristiana milanese, condannato a diversi anni di carcere in vari processi di Tangentopoli e nonostante ciò non solo eletto tra gli azzurri in Puglia col nome d’arte di Carlo Frigerio (lifting anagrafico), non solo salvato dalla galera dopo la conferma in via definitiva delle pene ma promosso due mesi fa a coordinatore dei dipartimenti. Al mancamento seguiva una catena di pesantissime emicranie. Prima Alfredo Vito, l’ex diccì tornato alla Camera come berlusconiano nonostante Paolo Cirino Pomicino gli rinfacci 22 condanne per corruzione. Poi Gaspare Giudice, per il quale i giudici di Palermo hanno chiesto inutilmente l’arresto considerandolo «a disposizione» del presunto boss di Caccamo Giuseppe Panzeca. E via via altri deputati e senatori condannati, inquisiti o miracolati dalla prescrizione: «Sono forse io, Signore?».

I «FANIGUTTÙN» - Al secondo colpo, nei dintorni sono impalliditi ancor più numerosi. Chi saranno mai questi politici che non hanno «mai messo piede in una vera azienda» e quindi nell'ottica berlusconiana sono «faniguttùn», fannulloni che «hanno solo chiacchierato nella loro vita» senza «combinare nient’altro che prendere i soldi dei cittadini»? Il vicepremier Gianfranco Fini, che in gioventù passò del tempo al Secolo d’Italia per darsi poi alla politica a tempo pieno 27 anni fa o Umberto Bossi, di cui si ricordano tre feste di laurea senza laurea e 10 mesi di lavoro all’Aci prima che entrasse al Senato 17 anni fa o il presidente della Camera Pier Ferdinando Casini che masticava politica con le merendine ed è parlamentare da 21 anni? O il ministro azzurro Enrico La Loggia, chiamato a svecchiare la vecchia politica nella scia di un fratello del bisnonno ministro borbonico, di un nonno senatore del Regno e di un padre deputato diccì e presidente della Regione Siciliana? Per non dire di Beppe Pisanu che fa il parlamentare da 32 anni e Claudio Scajola che ebbe in dote dalla Balena Bianca di papà sindaco la sua prima presidenza di un’Asl quando aveva 28 anni e tanti tanti altri azzurri che solo quello hanno sempre fatto: politica. «Sono forse io, Signore?».


I REDUCI DEL PSI - Quanto al terzo colpo, il vice-coordinatore Fabrizio Cicchitto e la sotto-segretaria Margherita Boniver e il cappellano di corte Gianni Baget Bozzo e l’amato consigliori Gianni De Michelis e insomma tutti i reduci del Psi si sono sentiti fischiare le orecchie. La velenosa battuta berlusconiana sulle ville e le barche suona infatti fastidiosamente simile all’atto di accusa che Enzo Mattina lanciò a un’assemblea socialista del 1987: «Caro Bettino, dobbiamo affrontare la questione morale prima di tutto nel nostro partito. Diamo un’occhiata alle denunce dei redditi di molti nostri compagni. Con quei redditi dichiarati, al massimo si mantiene una buona casa di livello medio-basso. Invece cosa vediamo? Case lussuose. Yacht da centinaia di milioni. Ville al mare, in montagna, in collina. Cosa dobbiamo concludere? Che abbiamo sposato tutti mogli ricche? È possibile che tutte le ragazze ricche sposino dirigenti nostri?». Craxi gli rispose andandosene a fare una pennica. Tema: come dire agli elettori, dopo anni di battaglie contro le inchieste e i Robespierre del sospetto, che oggi sì, oggi basta una casa o una barca perché siano frutto di «soldi rubati ai cittadini»?
E poi, il Cavaliere ce l’aveva con la barca del «faniguttùn» D’Alema o con la villa principesca dietro piazza del Popolo del «faniguttùn» azzurro Angelo Sanza, villa avuta in «comodato d'uso» e dotata di campi da tennis, parco, ascensore, sala fitness, vasca in mosaico pompeiano accanto al letto e garage con tetto trasparente sotto la piscina con grande soddisfazione di Angiolino, figlio d’un impiegato Inam? O forse ce l’aveva con tanti altri del suo giro visto che lui stesso ebbe a dire: «Erano zucche e li ho trasformati in principi»? Ah, saperlo! Saperlo! «Sono forse io, Signore?». E il Signore, quello vero, rispose: «Forse no, ma di’ al tuo capo che chi è senza peccato...».

19.2.04

APPUNTAMENTO CON AL TACCHINO

Parla il direttore artistico del festival di Sanremo, grande grande grande
di Guia Soncini (Il Foglio)

Bisogna immaginarselo, Tony Renis, con una maglietta rossa e blu con una scritta "Tony" impressa su una manica, le lettere si stanno staccando, la maglietta deve averla comprata in un negozio di quelli da poco sulla Melrose o giù di lì, a occhio a non più di quattordici dollari e novantanove, non ha il cappellino con cui si fa in genere fotografare ma dei terribili stivaletti grigi e una catenina con un pendaglio, c'è una palma d'oro che non è una di quelle di Cannes ma una di quelle di Sanremo, "è un regalo che il direttore artistico fa alle quarantacinque persone del suo entourage, quelle che gli sono state più vicine", e ci sarà da divertirsi, al festival, a vedere chi sono i cattivi segnati sulla lavagna, chi sono i benpiùdiquarantacinque al cui collo non c'è il pendaglio. Gemello del ciondolo di Tony Renis è quello che sta al collo del padrone di casa, probabilmente il secondo a essere forgiato. Renis riceve chez Carmelo Messina, "ero l'assistente di Saccà, poi è arrivato questo nuovo... buoni rapporti ma...". Ma c'è Sanremo da organizzare, ed è arrivato lui: i figli di Messina arrivano, e lo baciano, "Ciao zio". Bisogna immaginarselo, Tony Renis, mentre ti toglie dall'imbarazzo dell'unico argomento che non puoi non affrontare e che non sai come affrontare senza indisporre subito l'intervistato, mentre presenta Messina: "E' il mio consigliori. Visto che dicono". Già, dicono. Eppure Messina non ha nulla dell'apparente mitezza di Tom Hagen, consigliori di casa Corleone. Bisogna immaginarselo, Tony Renis, quando indica il sodale e dice "Carmelo è un vero amico: leale", e si capisce subito che per lui "leale" è il complimento massimo.

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Bisogna immaginarselo, Tony Renis. Umile e sbruffone, ingenuo e scafato. "Sono sorpreso. Impressionato, ecco. Tutto questo interesse, questa bagarre sconvolgente. Proporzionata a una gravissima crisi di governo, ma non...". Ma non a quello che e pur sempre solo un festival di canzonette. E neppure di canzonette, al di là della denominazione: mai visto uno spettatore cui interessino le canzoni, di Sanremo, e non le vallette; e anche quest'anno, è chiaro che la parte più interessante saranno i vestiti della Ventura: ce la farà ad andare oltre i vertici di orrore dell' "Isola dei famosi"? "Anche Simona sa di essere lì per le canzoni". "Lui ha riportato la canzone al centro", spiega Messina, che interviene quando teme che Renis l'irruento faccia gaffe. Tipo: scusi, Renis, ma alcuni di questi che cantano a Sanremo (e che per la maggior parte noi che stiamo qui non avevamo mai sentito nominare) lei che sta a Los Angeles li conosceva? "Neanche mezzo". Come, neanche mezzo: mai sentita neppure "Supercafone"? "No..." (sguardo di disperazione di Messina) "Ma sì. certo che sì". Bisogna immaginarselo, Renis, mentre garantisce che il suo sarà "un festival risorto" e si dice "orgoglioso" di dare a uno come Pacifico "la possibilità di spiccare finalmente il volo". Già, ma con le major che non mandano i cantanti come la mettiamo? "Ah lei vuol fare subito come nella canzone di Pacifico, infilare la lama nella carne".

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Bisogna immaginarselo, mentre conferma tutto ciò da cui ti hanno messo in guardia: non prendere altri impegni, mettiti comoda e fingi di avere tutto il tempo del mondo a disposizione. Bisogna immaginarsi non un direttore artistico, e certo non un organizzatore ("Non posso pensare a tutto io", è la sua risposta a questioni marginali come quali e quanti calciatori dovranno fare da valletti a Simona Ventura nella serata in cui è previsto ci siano dei calciatori ma di una questione importante come l'identità dei valletti, e in particolare di quel valletto che va sotto il nome di George Clooney, si parlerà più tardi, e a lungo). Bisogna immaginarsi un entertainer. Che se gli chiedi di Mogol di cosa diavolo possa insegnare ai cantanti uno che ama raccontare di sé di essere talmente stonato che quando, per convincere qualche interprete a eseguire una sua canzone, gliela canticchiava, quello immancabilmente pensava fosse una porcheria comincia a risponderti da molto lontano. Mentre Messina cerca di far passare la linea "Mogol dice così per vezzo", Renis parte dalla nazionale cantanti; passa per l'inno del Milan e quello della Ternana, entrambi scritti da lui assieme a Mogol; arringa in difesa di coloro che, pur stonati, hanno però un fortissima sensibilità musicale, "anche alcuni critici"; devia sull'orecchio assoluto. Quando arriva al fatto che i primi a definire Mogol poeta furono i russi, hai completamente dimenticato la domanda. Ed è meglio così, perché a quel punto, non si sa bene perché e attraverso quali scorciatoie e deviazioni, Renis sta facendo la sua seconda uscita con cadenza sicula ("Non bisogna mai parlare") e subito dopo si sta producendo nella prima di molte imitazioni, ripetendo la frase attribuita a Frank Sinatra "Non farti mai vedere ma devi sempre far parlare di te". Ed è allora che capisci che si diverte. Che non c'è niente che lo diverta quanto alimentare i pettegolezzi sul suo conto. "I don't care what they say about me, as long as it's not true" (io non mi curo di quello che si dice su di me, purché non sia vero), diceva Katharine Hepburn. Si vede che a Hollyvood si usa così.

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Quindi è stato lei. "A fare cosa?". A mettere in giro tutte le voci che girano. L'ha fatto perché si parlasse di lei. "Quali voci?". Bisogna immaginarselo, con l'aria di chi davvero non sa di cosa tu stia parlando.

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Bisogna immaginarsi la fatica con cui il discorso viene ricondotto nei binari, stavo dicendo delle major, e come a questo punto il poliziotto buono Renis lasci il posto al poliziotto cattivo Messina, e la tesi del complotto viene esposta. "Lui non vuole dirlo, ma avevano un disegno ben preciso. Loro non volevano che Sanremo si facesse; e se non si faceva quest'anno non si sarebbe fatto mai più. Pensavano che non facesse vendere abbastanza dischi, che fosse meglio spostarlo di città, il progetto c'era già, e il passo successivo sarebbe stato farlo con un altro netvork televisivo". Beh, "un altro". In Italia non è che ce ne siano diecimila: sta dicendo che il direttore artistico messo lì dal Cav. è l'uomo che sta per salvare la Rai ed evitarle di perdere il più prezioso gioiello della corona regalandolo a Mediaset? Sta dicendo che chiedere di togliere Renis da Sanremo significa chiedere la vittoria ai punti di Mediaset? "Le sinistre si stanno dimostrando i veri alleati di Berlusconi". Dice Messina che le scuse opposte a questa gestione sono state le più varie, e le più infondate. Dice che prima hanno detto che oramai era tardi, non si potevano più trovare le canzoni: "Lui si è messo al lavoro, e sono arrivate setteottocento canzoni. E allora? Allora erano tutte scuse" Renis: "Erano settecentoottanta, ma non diciamolo sennò fanno polemica"). Dice che poi hanno obiettato che l'anno scorso c'era stato un accordo per un rimborso spese, per le case discografiche Sanremo era troppo oneroso e si era deciso che ci sarebbe stato un ulteriore contributo economico in parte a carico del Comune di Sanremo in parte a carico della Rai (tradotto per noi dal pensiero debole: non solo io metto a disposizione dei tuoi cantanti una vetrina promozionale gratuita da una dozzina di milioni di spettatori, dimodoché tu gratuitamente possa far sentire il loro disco e la gente prenda in considerazione l'idea di comprarselo, ma voglio sollevarti dal disturbo di doverci rimettere i soldi dell'albergo, per te e per il cantante in questione); l'accordo per il rimborso spese non era stato rispettato dal Comune: "I cinquecentomila euro del Comune non li avrebbero visti mai, lui ha convinto la Rai a farsene carico, e non solo: li ha convinti anche a ripetere il contributo". (Renis: "Ho trasformato un'una tantum in un'una semper"). Renis dice che "chissà cosa gli hanno raccontato, i loro dirigenti italiani, alle major del disco". Già. Chissà come si fa, a convincere delle multinazionali a credere al lupo cattivo. A spingerli a privarli di cotanta (gratuita) vetrina.

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Bisogna immaginarsi Tony Renis all'hotel Cala di Volpe. "Con mia moglie Elettra, e un amico che sarà a Sanremo: Lionel Richie". Bisogna immaginarselo che prende il sole, e il telefono che squilla. "Era il mio amico Gianmarco Mazzi, che conosco per via della nazionale italiana cantanti e che però non sentivo da un po', perché con una scusa o con l'altra non mi facevano mai giocare, dicevano che non mi allenavo, e allora mi hanno fatto ambasciatore della nazionale italiana cantanti nel mondo". Che è un po' peggio che venire messo in porta, ed è uno smacco incommensurabile per uno che ti spiega che lui voleva fare il calciatore, che fare il cantante è stato un ripiego, colpa di suo padre, che gli diceva: "Tu sei un artista, non puoi fare il calciatore", ma lui sarebbe stato un grande, e te lo spiega alzandosi e continuando a parlare, mentre in mezzo al salotto palleggia senza palla. Bisogna immaginarselo.

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Bisogna immaginarsi la riunione dei vertici Rai che cercano disperatamente un direttore artistico, e Mazzi suggerisce Renis, e Cattaneo dice: "Ma Renis è un uomo no", perché lui è uno che se ne sta in disparte, dice, da un po' di anni, e Cattaneo dice a Mazzi di provare a chiamarlo e chiederglielo, e come credete che glielo chieda, Mazzi? Bisogna immaginarsi il divertimento di Renis, nel riferire: "Ti faccio un'offerta che non puoi rifiutare".

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Bisogna immaginarsi la "grassa risata" e il "neanche morto" con cui Renis racconta di avere accolto l'offerta, e quel Mazzi che "era un mastino, non demordeva, lui ha fatto telefonare da tutti, da Mogol, da Claudia Mori, anche Adriano credeva fosse una buona idea". (Bisogna fra parentesi immaginarsi la diplomazia con la quale Renis elude le domande sulla possibilità di vedere i suoi amici Mina e Celentano a Sanremo, prova a dire di non averglielo ancora chiesto, si obietta che non è che il giorno prima del festival uno può pensare di chiamare Mina e dirle: "Scusa tanto, mi era passato di mente: saresti mica disposta a un ritorno sulle scene, diciamo fra un paio di giorni?", e allora lui dice che "è vero che qualche volta the dreams come true, ma credo che questo sogno resterà tale", e pazienza). Bisogna immaginarsi il cedimento finale di Renis ("Devono avermi imbriagato"), che però dice che ha avuto poco tempo, e pare metta le mani avanti, e "ora c'è la competition, è iniziata l'anno scorso, quest'anno c'è 'Zelig', 'Il Grande fratello', 'La Corrida', non si possono fare paragoni coi numeri degli anni in cui la concorrenza sospendeva i programmi e si metteva a guardare il festival". Bisogna immaginarsi i "chimel'hafattofare" che attraversano la mente di uno che dice di rendersi conto solo ora della fatica dei predecessori. "è una cosa immane", e anche "è mio modesto parere che Pippo Baudo sia insuperabile". E si può solo immaginare il tono con cui dice: "Mi avrebbe fatto piacere che mi avesse dato almeno un colpo di telefono".

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Bisogna immaginarsi un ragazzo di Porta Ticinese che fa di necessità virtù, e dell'assenza delle major una forza. "Io so che Baudo ha due belle orecchie. Non credo fosse colpa sua. Lui sceglieva fra quello che le major gli proponevano. Era colpa del loro dispotismo: il festival è una vetrina, se poi loro in vetrina piazzano oggetti che non godono del gusto del pubblico non si lamentino se restano in vetrina". Ma, lodi della critica a parte ("Castaldo è leale. Ha anche avuto dei problemi col suo direttore, che vuole attaccarmi politicamente, ma lui non può scrivere il contrario di quel che pensa, e ha dovuto riconoscere che le canzoni sono belle. Su ventidue, le radio cui le ho fatte sentire mi hanno detto che ce ne sono almeno diciotto trasmettibili. Gli altri anni otto, sei... due... una. Castaldo ha scritto bene perché è leale"), l'assenza delle major non è stata un problema da poco. E, come si tentava d'indagare alcune ore e molti cambi di discorso fa, è inspiegabile. Stiamo parlando di multinazionali, gente per cui "business is business", pure se per portare a casa il business è necessario fare accordi col Male Supremo. "Già. Hanno un padrone, le major. E devono fare fatturato. E non rinunciano facilmente a un passaggio così. Chissà cos'hanno raccontato ai loro padroni. A meno che per loro il business non sia più business".

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Bisogna immaginarsi l'educata comprensione, fra il rassegnato e il compassionevole, con cui Renis racconta di Eros Ramazzotti: "Un grande artista, cui avevamo riservato l'ultima serata: sarebbe stato un momento magico in occasione del suo ventennale, mi aveva dato la sua completa adesione, lui personalmente mi aveva detto 'Tony, sarò al tuo festival', e invece una settimana dopo la casa discografica ha fatto di tutto per non farlo venire. Le pressioni devono essere state forti, perché per un artista comunque il festival di Sanremo ha un fascino. Poi certo, io non mi sono mai lasciato e non mi lascerei mai condizionare da nessun presidente ci nessuna casa discografica, ma si vede che ci sono artisti che non hanno la forza o la voglia di lottare, di discutere o d'imporsi. A me non sarebbe potuto capitare, ma io sono fatto a modo mio.

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Bisogna immaginarsi un uomo per cui gli amici sono tutto. Mina, che gli fece fare il suo primo Sanremo. "Ero innamoratissimo di Mina, e non gliel'ho detto se non molti anni dopo. Lei mi chiamava, e io correvo che sembravo Speedy Gonzales. L'avevo accompagnata a fare una serata all'Enalc hotel di Castel Fusano, e alle due di notte arrivò Ezio Radaelli, che allora era il patron di Sanremo e voleva convincerla a partecipare. Lei non ne aveva nessuna voglia, disse di no, continuammo a mangiare e a bere finché, alle cinque di mattina, Mina Mazzini disse: 'Ezio, partecipo. Ma solo se inviti anche il mio amico Tronis'. Lei mi chiamava così, anagrammando il nome e il cognome. Era come una sorella, per me. Anche se avrei preferito qualcosa in più. Comunque portai a Sanremo 'Pozzanghere"'. Da sorteggio, fu il primo a esibirsi, "e il primo ad andare a casa. Fu un dolore talmente grande. Atroce. Pensai: farò il travet in banca. Avevo già fatto la mia brava gavetta, sa. Avevo scritto una canzone per l'epoca scandalosissima, che diceva 'Ay Carmela, dammi la mela, e con la mela fammi godere'. Ero stato un bambino prodigio. E avevo già scoperto quello che reputo il più grande artista italiano: Adriano Celentano". Gli amici, già. Mogol, che da figlio di Mariano Rapetti delle edizioni Ricordi gli fece portare "Quando quando quando" al Sanremo successivo. "L'avevo portata in giro, ma mi dicevano tutti che era tardi, mancavano pochi giorni alla chiusura delle selezioni sanremesi. Mi dicevano di tornare dopo il festival, ma io volevo andare al festival. La feci sentire a Giulio, e lui disse 'Forte, andiamo dal mio papà'. Lui era una persona seria, mi disse 'Io te la mando ma non ti prometto niente'. Al primo ascolto alla commissione piacque talmente che la misero da parte: non c'era bisogno di risentirla, erano sicuri sarebbe stata una finalista. La misero da parte talmente bene che se ne scordarono: finì fra le prime otto escluse. Solo che quell'anno il festival dovevano presentarlo Tognazzi e Vianello, e Tognazzi aveva portato una canzone alle selezioni. L'ottava esclusa. Tognazzi disse che non avrebbe presentato se la sua canzone non concorreva, e così ripescarono le prime otto. Trentadue canzoni in gara, invece delle solite ventiquattro". Non tutto il conflitto d'interessi viene per nuocere.

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Bisogna immaginarselo, il berlusconiano che dice di non aver mai parlato del festival con Berlusconi, e che non vuol dire ma lascia capire che certo, l'unica operazione vittoriosa del governo rischia d'essere Sanremo, e se gli chiedi se come premio voglia un seggio al Senato dice: "L'ha detto lei"; bisogna immaginarselo, il direttore artistico che dice che il festival non sarà come lo vuole lui, "l'optimum sarebbe un festival di tre giorni, e chiudere alle undici e mezza", ma ci sono esigenze aziendali, e amen; bisogna immaginarselo, il diplomatico che se gli prospetti la rivolta dei giornalisti esclusi dal dopofestival ti dice che "era oneroso anche per loro, fisicamente faticoso, fare le quattro di notte tutte le sere"; bisogna immaginarselo mentre magnifica quella che secondo lui sarà la vera sorpresa del festival, un sassofonista catanese quattordicenne che improvvisa jazz. E il valletto George Clooney? "Vuole una barca di soldi, ancora non ci siamo messi d'accordo". Urge autotassazione delle spettatrici.

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Bisogna immaginarselo mentre dice che se "non ci fosse stato Sanremo, sarei lì che cerco di riprendermi l'Oscar che mi hanno scippato tre anni fa", e racconta che quando Jennifer Lopez lesse un nome che non era il suo pensò si fosse sbagliata, e il regista che inquadrò in diretta la sua faccia incredula e delusa è ora creative consultant per Sanremo, e Gregory Peck lo chiamò per dirgli che la sua canzone era comunque la più bella. Fa una straordinaria imitazione, di Gregory Peck, poi riprende il tono normale e ti racconta che comunque aveva vinto il Globe, e aveva detto "I knew it", e tutti temevano stesse svelando un magheggio ma era solo che giorni prima aveva mangiato in un ristorante cinese con la moglie e con un amico che è stato l'accordatore di Rubinstein e fa l'imitatore di Elvis Presley a Las Vegas; avevano pranzato al cinese dopo aver comprato un pianoforte bianco nella Valley, e il biglietto nel suo fortune cookie diceva: "Vincerai un premio importante", e quindi lui lo sapeva.

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Bisogna immaginarsi Renis che pronostica la propria vittoria in quest'impresa "against the odds, come dicono da quelle parti", e si concede un solo minuto d'amarezza, in cui parla di "orgoglio", di "dignità" e dice: "La mia fortuna è che non somatizzo, perché è così che hanno ucciso Enzo Tortora". Bisogna immaginarsi Renis che cambia tono prima che la gente si stufi e cambi canale senso dello spettacolo, anche in salotto. "Chiambretti aveva le idee chiare": è convinto, Renis, che "comunque vada sarà un successo" sia un buon motto, per il festival. Immaginatevi la faccia che fa quando gli si chiede se questa è la storia di "Appuntamento in riviera". Prima pensa gli si stia chiedendo di raccontare gli esordi di carriera, poi capisce. Il film (1962, regia di Mario Mattòli) in cui Tony Renis fa un Tony Renis che va a Sanremo e trionfa contro tutto e tutti, specie contro i cattivi manager musicali. Lì, non faceva il direttore artistico ma il cantante. E il perfido impresario gli attribuiva una relazione con Mina per alzare le vendite. Mettendo a rischio il suo matrimonio. Figurarsi. Lui, che quando squilla il telefono con un Tchaikovskji per suoneria, ed è Elettra, prende un tono puccipucci che neanche i fidanzatini di Peynet.

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Bisogna infine immaginarsi la cronista incantata che ascolta il raccontatore di fiabe e dimentica che in quel momento sta andando in onda "Elisa di Rivombrosa", bisogna immaginare che alla fine Renis abbassi la voce e si immedesimi nella parte dell'uomo ferito. "Il Golden Globe, l'Oscar scippato, il premio alla carriera a Sanremo: leggi i giornali italiani e sembra che io non abbia fatto niente...". Stai per crederci, per esprimergli solidarietà, poi l'entertainer che è in lui prende (ancora una volta) il sopravvento: "Sembra sia solo amico di Joe Adonis e di Al Capone, Al Fagiano, Al Tacchino". Bisogna immaginare il sorriso innocentemente soddisfatto di cui Renis gratifica la persona che gli passa il telefono e lo invita ad ascoltare, facendogli scoprire che la musica d'attesa del radiotaxi e' "I hate you then I love you", ovvero "Grande grande grande" cantata da Céline Dion. Musica di Al Tacchino.
Il vero e il falso quando non c’è concorrenza
UNA TELEVISIONE SENZA SMENTITE
di GIOVANNI SARTORI



dal Corriere - 19 febbraio 2004


Nelle dittature il dittatore mente quanto vuole senza tema di smentite. Intanto manca il modo per smentirlo: il dittatore comanda su tutti i media, e ne dispone a suo piacimento. Ma ammettiamo che qualcuno trovi il modo di contraddirlo e di denunciarne le menzogne. È sicuro che quel solitario eroe sarebbe subito silenziato e probabilmente spedito in qualche lager, prigione o confino. E in democrazia? In democrazia non dovrebbe essere così. La democrazia postula una pluralità di voci libere, e cioè effettivamente indipendenti, che finiscono per controllarsi l’una con l’altra. Se il canale A, per esempio, ci comunica che la terra è piatta, il canale B deve essere libero di ribattere che questa è una sciocchezza. Beninteso, non è che se il canale A dice il falso, il canale B, nel rispondergli, dica necessariamente il vero. Possono mentire entrambi. E dunque stiamo attenti: una voce che ne contraddice un’altra non stabilisce ancora quale sia la verità.
La verità è un parolone, lo so. Ma io lo scrivo con la minuscola, senza troppo pretendere, e con riferimento a verità «modeste» e accertabili. Per esempio, nel corso della presidenza italiana dell’Unione europea Berlusconi ha parlato, a New York, alle Nazioni Unite. In quell’occasione in Italia abbiamo visto sulle nostre televisioni una sala gremita che applaudiva calorosamente. Era un falso, un videomontaggio, che trasferiva su Berlusconi l’applauso a Kofi Annan, il segretario generale dell’Onu. Quel falso era clamoroso, stupido (era innecessario), e molto rischioso, visto che in qualsiasi Paese di televisione libera sarebbe stato vistosamente denunciato dalla concorrenza. Da noi sette reti su sette (anche La 7 , che davvero avrebbe avuto interesse a fare lo scoop) non hanno fiatato, hanno avallato. Eppure quell’inganno sarebbe stato facilissimo da provare.
Prendiamo un caso più complesso, il tema del conflitto di interessi. A fine giugno dell’anno scorso Berlusconi dichiarò a Europe 1, in Francia, che quel conflitto era «una menzogna», dato che «le tre reti pubbliche sono molto libere». Ma si è appena visto sopra come lo sono, e cioè che non lo sono. D’altra parte, è già tutta scritta una proposta di legge, la legge Frattini, che «disciplina» (così dichiara) il conflitto di interessi. Occorre una legge per regolamentare una menzogna? Ovviamente no, ovviamente il problema esiste alla grande. E sono anni che discutiamo se la Frattini risolva o no il problema. Ma questa discussione non è mai stata resa visibile e comprensibile in televisione. Lo stesso vale, altro esempio, per il lodo Maccanico-Schifani sull'immunità. Per Schifani un’immunità simile a quella da lui proposta esiste in tutto l’Occidente. Vero o falso? Sarebbe facilissimo dimostrare che questa asserzione è falsa. Ma chi si azzarda? La difesa degli spaventati o asserviti di Saxa Rubra è che questi temi non interessano, o comunque che sono troppo complicati per la televisione. Se così fosse sarebbe inutile avere un servizio pubblico che ignora i temi di interesse generale che condizionano i nostri destini. E il fatto è che negli Stati Uniti esiste una televisione - la Pbs - che per l’appunto dibatte in modo intelligibile e imparziale problemi che per il popolo bue degli italiani sarebbero troppo complicati. E allora?
Allora la triste morale di questa storia è che in Italia anche la tv «di tutti» è imbavagliata; il che consente a Berlusconi e alla sua squadra di mentire senza «spazio di controprova», senza par condicio per le smentite. Si capisce, a mentire si provano tutti. Ma dove la tv è autenticamente libera le bugie hanno le gambe corte, mentre da noi hanno gambe lunghissime. La verità, sulla nostra tv, non è accertabile.


17.2.04

LA DEPRESSIONE NON ESISTE

Pantani era giovane, triste, eroico, debole, caro agli dei, non un malato
(da Il Foglio di oggi)

Mettendo sempre di mezzo la depressione, riducendo tutto a giudizio clinico, pensando e lasciando pensare che la materia abbia un'anima in proprio e indipendente dall'uso che ne facciamo noi, che le cose producano un'attività spontanea e facciano male di per sé, anche la chimica, anche le droghe, anche il doping o l'alcol o qualunque altra sostanza, finiamo per espropriarci della modesta e timorata gioia di vivere (con un tanto di intensità e di significato) che ci hanno donato il mito, la religione, la letteratura, la musica, e perfino il buonsenso. Un tempo c'erano i casi umani, ora solo casi clinici. In questa degenerazione positivista della casistica Marco Pantani non è più un uomo che muore a trentaquattro anni, un uomo solo e triste, anzi inguaribilmente disperato dopo anni di fatica e di agonismo, è un paziente o un mancato paziente, un depresso, uno che aveva bisogno di un dottore, non di un amore profondo, non di amici forti e rocciosi, non di se stesso. Il pirata diventa un'appendice dell'alchimia in pillole, un ematocrito agonizzante, una variante in provetta del pensiero unico psicologico, uno che ha sbagliato medicina. Quando morì Marilyn Monroe, all'inizio degli anni Sessanta, la medicalizzazione dell'esistenza non aveva erudito ancora i sentimenti e l'intelligenza pubblica, ci si consentiva di pensare che in quella morte contavano sopra ogni altra cosa la tormentosa energia che si disperde nelle grandi bellezze, l'amore e la delusione, l'insieme di penosi ingombri che intasano la vita della città., il lavoro, il successo e lo specchio di Narciso.
La depressione esiste in geologia e in meteorologia, gli uomini e le donne sono avvallamenti e meteore più complicati, la loro struttura è differenziata fino all'eccesso più estremo e misterioso, non è riducibile a un impasto insensato di genetica, ormoni e chimica. Uno pedala e risparmia, si sistema e coltiva il suo giardino, aspetta la morte in casa sua e accetta senza altra pena che quella quotidiana la strana dimensione dello stare al mondo, di abitarci senza febbre. Un altro no. Scambia la notte con il giorno, si fa contagiare dalla malinconia, non sa farsi domande e non può rispondersi, e balla e si dimena e cade out of the cradle endlessly rocking, fuori della culla che dondola in eterno. Che cosa c'è di male a riconoscere che un giovane uomo si è lasciato vincere dalla tristezza, che era forte della sua debolezza, che era caro agli dei e che quella era la sua salute, la sua salvezza, poiché non era un malato?

Una norma che ignora il paese reale

di MIRIAM MAFAI

L'approvazione della legge sulla fecondazione medicalmente assistita non riuscirà, come credono quanti l'hanno voluta e votata, a chiudere il dibattito sul problema, che ha visto incerte e divise quasi tutte le forze politiche, e che ha spinto molti parlamentari (dell'una e dell'altra parte) a fare ricorso alla "libertà di coscienza" rifiutando dunque le decisioni ufficiali del partito di appartenenza. Il tema non è chiuso per almeno vari motivi ed ordini di considerazioni.
Da una parte esiste la possibilità del ricorso al referendum (o su tutta la legge o su alcuni dei suoi articoli) cui stanno concretamente pensando non solo i radicali ma anche molte organizzazioni femminili e gruppi e centri che da anni si occupano del problema. Dall'altra esiste la possibilità del ricorso alla Corte, sostenuta da un folto e assai qualificato gruppo di giuriste, che contesta la legittimità di alcuni articoli della legge che si pongono in contrasto o con alcune norme già iscritte nella nostra Costituzione o alcune precedenti sentenze della Consulta.
C'è un passaggio nel documento della Associazione Donne Giuriste che mi è sembrato particolarmente puntuale, proprio perché o anche perché non si carica di argomentazioni giuridiche ma fa tesoro della nostra comune esperienza: "Sappiamo" è scritto in questo documento "che la definizione di regole attorno alla procreazione non può prescindere dalla condivisione: l'esperienza degli anni in cui l'aborto era reato dimostra che se la regola posta dallo Stato non corrisponde alla speciale competenza femminile, quella regola sarà disattesa".
E infatti il problema non può considerarsi chiuso, sia pure dopo l'approvazione della norma perché è difficile, per non dire impossibile, mettere fuori legge una pratica che ormai da molti anni fa parte della nostra cultura, del nostro costume e della nostra realtà. La prima bambina nata, come sappiamo, in provetta, in Inghilterra, è ormai una donna adulta. Il primo bambino nato in Italia in provetta è ormai, a sua volta, adulto e in grado di procreare. Si calcola che oggi in Italia circa due bambini su cento siano nati e nascono grazie ad una delle numerose, e diverse, tecniche di riproduzione assistita che non rispondono - come qualcuno in vena di polemica accusa - al desiderio egoistico di avere un bambino "su misura" (maschio, biondo, alto e, magari, dotato per la musica o per la matematica) ma più semplicemente e drammaticamente al desiderio e al bisogno di avere un bambino nato dal proprio grembo.
Nessuno riuscirà a convincermi, e a convincere la maggioranza delle donne, che questa sia una colpa, a meno che non venga assunta come regola assoluta la norma di bioetica del cardinal Tettamanzi secondo il quale la "colpa" della coppia "che si affida alla fecondazione assistita sarebbe quella di non affidarsi responsabilmente a Dio, ma a se stessa, al potere che l'attuale tecnologia le offre".
In questo modo, per continuare con le parole del Pontefice, gli sposi sono in colpa perché "si attribuiscono un potere che appartiene solo a Dio; il potere di decidere in ultima istanza la venuta all'esistenza di una persona umana" .
Ma è proprio questo il punto più delicato: ciò che il Pontefice e la Chiesa considerano una colpa, un peccato può, deve automaticamente diventare legge dello Stato? Detto in altri termini: ciò che la legge considera "peccato" o "colpa" deve essere considerato "reato" da una legge dello Stato? La identificazione del peccato e del reato cancella il principio di laicità dalla nostra legislazione, ci fa fare un brusco passo indietro. (Si pensi, solo per fare un esempio, al divorzio condannato dalla Chiesa e consentito in Italia dal 1970, o alla interruzione volontaria della gravidanza considerata peccato grave dalla Chiesa e consentita - almeno finora - dalla legge 194).
Ora, dopo il divieto di quella fecondazione assistita eterologa, pur praticata ormai da anni anche in Italia, è facile immaginare che molte coppie (le più abbienti, naturalmente) aggireranno la severità della legge facendo ricorso ai centri specializzati di Barcellona, di Madrid o di Parigi o di Atene. Saremmo così di fronte a un tragico, paradossale ricorso storico. Venticinque anni fa le donne che in Italia non potevano abortire andavano ad abortire a Londra, oggi un analogo viaggio dovrà essere affrontato non per liberarsi di una gravidanza indesiderata ma, al contrario, per ottenerla. Con l'aggravante, per coloro che vi faranno ricorso, che ottenere una gravidanza è assai più lungo, complicato e costoso che interromperla.
(Repubblica, 11 febbraio 2004)

16.2.04

INCAZZATI

di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Facciamo un gioco di società, anzi il gioco della società. So già che mi dimenticherò qualcuno e mi scuso in anticipo, ma ci provo lo stesso. Vado dunque ad elencare tutti gli italiani incazzati come cobra che ringraziano di cuore il buongoverno (e la buonopposizione) di questo paese. Sono incazzati i tranvieri, i tassisti, i lavoratori dei trasporti pubblici in generale. Sono incazzati alla grandissima quelli dell'Alitalia, ma anche i ferrovieri, mi risulta, non sono del tutto sereni. I controllori di volo sono incazzatelli assai. Sono incazzati persino i pompieri, che di solito stanno buoni-buoni tanto che i bimbi da piccoli sognano di fare il pompiere (se volete fargli cambiare idea, fategli vedere una busta paga pompiera).
A scuola sono leggermente furibondi insegnanti, mamme, papà, bambini, quei bambini che - come facevano i nazisti - usiamo noialtri di sinistra per fare propaganda alle nostre idee. Non so i bidelli, croce e delizia della nostra gioventù fumogena nei cessi del liceo, ma consiglio di incazzarsi anche a loro. Gli studenti son già incazzati, diciamo così, di default, ma lo saranno sempre più e rischieranno la galera per una canna. Sono incazzati nella sanità i primari, i portantini, gli infermieri, i paramedici. Anche i pazienti cominciano ad essere un po' meno pazienti. Gli anestesisti sono parecchio incazzati, i medici generici pure. Nonostante abbiano persino letto dei libri (lazzaroni! Invece di guardare la tivù!), e siano persino un po' colti, sono incazzati i docenti universitari, i ricercatori di cui ci si ricorda solo quando vanno a ricercare all'estero, e tutti i lavoratori dell'università. Sono incazzati i magistrati - molto incazzati - perché se il mestiere di uno è applicare la legge non è bello sentirsi dire ogni due minuti che è eversivo, un po' stronzo, "antropologicamente diverso" e financo "comunista". Per motivi forse più terra-terra ma non meno importanti sono incazzati tutti quelli che lavorano nella giustizia, che non hanno le matite e le fotocopiatrici, somigliando in questo a tutti gli altri incazzati del paese, dalla scuola in giù. Sono incazzati gli operai delle acciaierie di Terni e pure quelli delle acciaierie di Genova: sono dei signori molto distinti grandi come armadi e abituati alla fonderia, per cui sarà un po' più difficile menarli coi manganelli tonfa come i boy-scout o i pacifisti di Genova. Sono incazzati tutti quelli che solo qualche mese fa erano incazzati di essere co.co.co e adesso si devono ri-incazzare, dopo aver studiato ben bene quale tipo di lavoratori precari sono diventati (forse serve un master in precariato). Sono incazzati i famosi ceti medi perché devono tirare la cinghia: questa è l'incazzatura più popolare e trendy, la grande stampa non parla d'altro con tabelle, interviste volanti, grafici, pareri e lamentele. Dei ceti men che medi, colpo di scena, non si parla mai, ma non dovrebbe sfuggirvi la semplice equazione che se un ceto medio non arriva alla fine del mese, un ceto basso non arriva nemmeno alla metà. Deduco che saranno incazzati anche loro. Sono in ogni caso incazzati i pensionati, questo va da sé. Sono incazzati i giornalisti e quelli che lavorano nei media, perché vedono restringersi gli spazi di libertà. Sono incazzati tutti tranne quelli che sono disposti a giurare, dire e scrivere (mentendo) che tutti quelli elencati qui sopra non sono per nulla incazzati. Ce ne sono migliaia di altri, aggiungete a piacere. Ma esercitate, anche un po' di teoria degli insiemi. Un tranviere, per dire, può essere incazzato in quanto tranviere, in quanto padre di bambino in età scolare, in quanto (ex) cetomedio, sommando in sé cinque o sei o pure dieci solenni incazzature contemporanee (immaginate se poi ha un altro figlio ex co.co.co e magari, toh, la moglie maestra). Potete immaginare come tutti questi italiani qui, bi o tri o quatri-incazzati, si incazzano vedendo un pupazzo miliardario che va in tivù a dire che tutti sono più ricchi e più felici. Lascio naturalmente ai lettori e ai fini analisti politici del manifesto ogni riflessione, analisi o previsione di come e dove questa incazzatura nazionale possa portare, nella speranza, naturalmente, che volteggiando per l'aere ricada alla fine sulla capoccia liftata - o su quella delicatamente riformista - di chi li ha fatti così tanto incazzare.

14.2.04

APPELLO

Per la difesa ed il rilancio della legge regionale n°6 del 1994: Istituzione dell'organismo "Agenzia per la riconversione dell'industria bellica"

La guerra è tornata ad essere lo strumento con cui si costruisce un nuovo ordine mondiale, mezzo con il quale leaders politici più o meno legittimati pretendono di affrontare conflitti che invece possono e devono essere composti attraverso il confronto pacifico, la diplomazia e la cooperazione internazionale.

Alla vigilia della guerra contro l'Iraq milioni di donne e uomini in tutto il mondo hanno manifestato per fermare quella guerra, considerata ingiusta, illegittima e illegale - come del resto sono ormai tutte le guerre.
Ma la volontà dei popoli non è stata rispettata, l'Iraq è stato comunque attaccato e occupato. Le pratiche e le prospettive di guerra ne escono rafforzate nella loro dimensione di lunga durata: la guerra diventa "preventiva e permanente".

Più che mai, la pace va dunque conquistata con un impegno politico e civile costante, quotidiano e capillare - cercando di contrastare le spinte che portano alla guerra stessa e le politiche che la preparano. Ognuno di noi può fare qualcosa per la pace, ogni istituzione democratica deve essere coinvolta e responsabilizzata attraverso l'adozione di misure e di atti concreti...

Rispondendo proprio a questa profonda esigenza politica e morale già dieci anni fa la regione Lombardia si è dotata di una "Agenzia per la riconversione dell'industria bellica", istituita con la L.R. n. 6, dell'11 marzo 1994. Composta da rappresentanti della Giunta e del Consiglio regionale, dei sindacati, degli industriali armieri e delle associazioni eco-pacifiste, l'Agenzia aveva il compito di incentivare progetti di riconversione produttiva delle aziende armiere lombarde, di svolgere funzioni di osservatorio sul comparto, di promuovere iniziative di ricerca, di formazione e informazione sui temi della pace.

Dall'insediamento dell'ultima Giunta regionale, l'Agenzia per la riconversione dell'industria bellica non è più stata convocata. I nuovi commissari non sono stati nominati. La legge istitutiva non è stata rfinanziata. Circolano anzi insistentemente voci che ne preconizzano la definitiva soppressione, rivelando una volontà politica tesa a lubrificare in ogni modo le opportunità di business offerte dal mercato bellico.

Questo non deve succedere. Tanto più in un momento come questo, tanto più nella regione italiana con i maggiori siti produttivi di armi leggere, di sistemi d'arma e aeronautici: la sola provincia di Brescia, nel 2001 ha esportato armi per 197 milioni di euro. Non vogliamo che la Lombardia primeggi nella produzione di strumenti di guerra e devastazione.
Secondo gli studi dell'Onu, nel decennio 1990-2000 le sole, cosiddette, armi "leggere" hanno provocato nel mondo più di 5 milioni di morti - la metà dei quali bambini - e 2,5 milioni di disabili gravi. La nostra regione ha risorse materiali, tecniche e umane sufficienti a garantire altrimenti la propria economia. Il cammino verso la riconversione della produzione, dell'economia e della cultura legata alle armi può e deve essere ripreso con decisione.

Chiamiamo perciò le persone, le associazioni e i movimenti che vogliono la pace, le forze politiche e i consiglieri regionali della Lombardia a un forte impegno perché l'Agenzia per la riconversione dell'industria bellica della Regione Lombardia non chiuda, ma sia rilanciata al più presto e perché riceva un congruo finanziamento che le permetta di operare efficacemente per la pace e per il disarmo.

Per questo invitiamo le forze politiche, sociali e culturali della Regione ad un confronto.

Promotori:

Don Raffaello Ciccone, Responsabile del "Servizio per la Vita Sociale e il Lavoro" Diocesi di Milano
Don Virginio Colmegna, Direttore della Caritas Ambrosiana
Don Alberto Vitali, Responsabile di Pax Christi Nord Italia
Don Ruggero Zani, Pastorale del Lavoro Brescia
Padre Giovanni Fenzi, Superiore dei Missionari Comboniani della comunità di Venegono Superiore.
Padre Marcello Storgato, Direttore mensile "Missionari Saveriani", Brescia
Giorgio Beretta, Missione Oggi
Vittoria Boni, Presidente Regionale ACLI Lombardia
Andrea Poggio, Presidente Regionale Lega Ambiente
Guido Mina, Coordinatore circoscrizione soci Banca Etica Milano
Teresa Sarti, Presidente di Emergency
Gino Strada, Medico - Emergency
Franca Faita, già lavoratrice Valsella, Cavaliere della Repubblica
Mario Agostinelli, Forum Mondiale per le Alternative
Mariagrazia Meriggi, Docente Università di Bergamo
Riccardo Bellofiore, Docente Università di Bergamo
Flavio Mongelli, Presidente ARCI Milano
Francesco Vignarca, Rete Lilliput Como
Vittorio Agnoletto, Forum Sociale
Carlo Gubitosa, PeaceLink
Celeste Grossi, Donne in Nero Como
Carlo Carelli, Convenzione per la Pace di Lodi
Silvia Palombi, Edizioni Charta
Giuseppe Liverani, Edizioni Charta
Walter Peruzzi, Direttore Guerre & Pace
Piero Maestri, Rete Regionale Disarmo
Enrico Guazzoni, Rappresentante per le associazioni nell'Agenzia per la riconversione
Marco Tamborini, Rappresentante per le associazioni nell'Agenzia per la riconversione
Pier Franco Arrigoni, Fiom-Cgil Regionale
Dino Greco, Camera del Lavoro Brescia
Graziano Fracassi, Camera del Lavoro Brescia
Vincenzo Vasciaveo, Cisl Milano
Luciano Muhlbauer, Sin-Cobas Regionale
Piergiorgio Tiboni, Cub Nazionale

Prime Adesioni:

Angelo Baracca, Scienziati/e contro la guerra, Università di Firenze
Antonino Drago, Scienziati/e contro la guerra, Università di Napoli
Padre Alex Zanotelli, già direttore di Nigrizia, Missionari Comboniani
Padre Mosè, Responsabile Pace Missionari Comboniani
Maurizio Saggioro, Obiettore di coscienza alla produzione militare, Varese
Elio Pagani, Obiettore di coscienza alla produzione militare, Varese
Massimo Aliprandini, Cub Scuola
Giovanni Bertinotti, Coordinatore Prov.le Cub-Flmu Varese, delegato RSU Aermacchi
Rossana De Simone, Ex lavoratrice Flmu - Aermacchi, Varese
Antonio Lareno, Cgil Milano

Ricordo che per ottenere e comunicare nuove adesioni è possibile utilizzare i seguenti indirizzi:

subito: e-mail: associazione@coordinamentopace.it
Fax: 02.58101220

Tra pochi giorni (ne daremo esplicita conferma) si potrà usare: e-mail: appello.riconversione@disarmolombardia.org

Sarà inoltre disponibile un'adesione on-line su alcuni siti internet. Contiamo anche sulla raccolta militante di adesioni.

12.2.04

I RISULTATI DELLE PRIMARIE
da Gianfranco Mascia

Gino Strada, Massimo Cacciari e Giulietto Chiesa sono i candidati della società civile per le elezioni europee più "gettonati" durante l'iniziativa Proviamo le Primarie promossa dal sito www.igirotondi.it che si è conclusa oggi alle ore 12.

L'iniziativa, che nella prima fase aveva "scremato" i 72 nomi più amati, ha permesso a migliaia di cittadini di potersi esprimere tramite mail e sms. Sono più di 14.000 le preferenze arrivate in 10 giorni per quello che si profila il più importante tentativo di "scelta dal basso" dei candidati ad una tornata elettorale.

Queste preferenze hanno permesso di stilare due classifiche differenti: una con la somma di tutte le preferenze arrivate (che ha visto in sequenza arrivare ai primi 5 posti Gino Strada, Massimo Cacciari, Giulietto Chiesa, Francesco Saverio Borrelli e Marco Travaglio); l'altra tenendo in considerazione solo la prima delle 5 preferenze che ciascun visitatore poteva proporre, indicatore importante della "prima persona che veniva in mente" (che ha visto arrivare ai primi 5 posti Massimo Cacciari, Gino Strada, Francesco Saverio Borrelli, Giulietto Chiesa e Ilda Boccassini).

Da notare che le candidature "più interne" ai girotondi sono arrivate in buone posizione (Nanni Moretti, Pancho Pardi, Flores d'Arcais, Paul Ginsborg e Gianfranco Mascia ai primi 40 posti) ma non ai "vertici": segno che l'iniziativa è riuscita ha penetrare in una fascia di cittadini che copre una buona fetta del centrosinistra, uscendo dall'ambito ristretto dei movimenti.

Evidenziamo quindi le buone prestazioni di personalità della cultura (Beppe Grillo, Umberto Eco, Dario Fo, Giovanni Sartori, Lidia Ravera su tutti) del giornalismo (Giulietto Chiesa, Marco Travaglio, Furio Colombo, Michele Santoro, Michele Serra, Curzio Maltese, Eugenio Scalari e Giorgio Bocca su tutti) dello spettacolo (Sabina Guzzanti, Marco Paolini, Roberto Benigni e Daniele Luttazzi su tutti) e della magistratura (Francesco Saverio Borrelli, Ilda Boccassini, Giancarlo Caselli e Gerardo D'Ambrosio su tutti).

Positivi anche i commenti dei cittadini che si sono voluti cimentare in questo tentativo di Primarie Online. Segno chiaro che anche in Italia siamo preparati ad un meccanismo che possa prevedere la partecipazione dei cittadini sin dai primi momenti delle scelte politiche.

Una esperienza sicuramente da ripetere, magari lavorando tutti insieme perché alle elezioni regionali dell'anno prossimo si possa arrivare con un percorso di democrazia partecipata più lineare e trasparente.

Questi risultati li presenteremo ai vertici di tutti i partiti del centrosinistra. Speriamo che ne sappiano fare buon uso.

Ringraziamo il Dott. Alessandro Amadori per aver supervisionato le operazioni di voto e di aver accettato di fungere da garante.



Per informazioni: 347 0384944



Classifica generale

1 Strada Gino , 865 preferenze
2 Cacciari Massimo , 704 preferenze
3 Chiesa Giulietto , 671 preferenze
4 Borrelli Francesco Saverio , 618 preferenze
5 Travaglio marco , 584 preferenze
6 Boccassini Ilda , 573 preferenze
7 Moretti Nanni , 545 preferenze
8 Biagi Enzo , 525 preferenze
9 Grillo Beppe , 511 preferenze
10 Eco Umberto , 495 preferenze
11 Pardi Pancho , 494 preferenze
12 Fo Dario , 492 preferenze
13 Colombo Furio , 480 preferenze
14 Zanotelli Alex , 438 preferenze
15 Santoro Michele , 430 preferenze
16 Flores D'Arcais Paolo , 362 preferenze
17 Hack Margherita , 360 preferenze
18 Sartori Giovanni , 334 preferenze
19 Maltese Curzio , 324 preferenze
20 Sofri Adriano , 319 preferenze
21 Scalfari Eugenio , 309 preferenze
22 Borsellino Rita , 303 preferenze
23 Veronesi Umberto , 298 preferenze
24 Guzzanti Sabina , 290 preferenze
25 Agnoletto Vittorio , 276 preferenze
26 Paolini Marco , 251 preferenze
27 Serra Michele , 248 preferenze
28 Ciotti Luigi , 242 preferenze
29 Rodotà Stefano , 228 preferenze
30 Bocca Giorgio , 225 preferenze
31 Monti Mario , 224 preferenze
32 Ginsborg Paul , 216 preferenze
33 Ravera Lidia , 216 preferenze
34 Caselli Giancarlo , 208 preferenze
35 Augias Corrado , 205 preferenze
36 Deaglio Enrico , 199 preferenze
37 D'Ambrosio Gerardo , 195 preferenze
38 Sylos Labini Paolo , 186 preferenze
39 Fava Claudio , 179 preferenze
40 Mascia Gianfranco , 177 preferenze
41 Benigni Roberto , 171 preferenze
42 Lerner Gad , 167 preferenze
43 Rame Franca , 151 preferenze
44 Capanna Mario , 149 preferenze
45 Luttazzi Daniele , 141 preferenze
46 Finocchiaro Angela , 140 preferenze
47 Cordero Franco , 139 preferenze
48 Fo Jacopo , 124 preferenze
49 Vattimo Gianni , 123 preferenze
50 Tranfaglia Nicola , 109 preferenze
51 Tabucchi Antonio , 108 preferenze
52 Ovadia Moni , 103 preferenze
53 Mannoia Fiorella , 98 preferenze
54 Rossi Guido , 97 preferenze
55 Bonsanti Sandra , 85 preferenze
56 Zaccaria Roberto , 84 preferenze
57 Sabelli Fioretti Claudio , 83 preferenze
58 Fini Massimo , 82 preferenze
59 Veltri Elio , 79 preferenze
60 Ariosto Stefania , 77 preferenze
61 De Mauro Tullio , 69 preferenze
62 Astrologo Marina , 67 preferenze
63 Rivera Gianni , 67 preferenze
64 Guzzanti Corrado , 67 preferenze
65 Colombo Daria , 50 preferenze
66 Bonucci Silvia , 43 preferenze
67 Bresso Mercedes , 41 preferenze
68 Pigliacampo Renato , 24 preferenze
69 Quattromini Giuliana , 21 preferenze
70 Di Pasqua Guglielmo , 20 preferenze
71 Cammardella Antonella , 5 preferenze
72 Morrica Maurizio , 1 preferenze





Classifica "prima persona che viene in mente"

1. Cacciari Massimo, 227 preferenze

2. Strada Gino, 181 preferenze

3. Borrelli Francesco Saverio, 171 preferenze

4. Chiesa Giulietto, 156 preferenze

5. Boccassini Ilda, 137 preferenze

6. Biagi Enzo, 135 preferenze

7. Fo Dario, 121 preferenze

8. Moretti Nanni, 120 preferenze

9. Travaglio marco, 117 preferenze

10. Colombo Furio, 114 preferenze

11. Zanotelli Alex, 110 preferenze

12. Pardi Pancho, 98 preferenze

13. Eco Umberto, 97 preferenze

14. Grillo Beppe, 96 preferenze

15. Sofri Adriano, 85 preferenze

16. Agnoletto Vittorio, 80 preferenze

17. Santoro Michele, 74 preferenze

18. Scalfari Eugenio, 66 preferenze

19. Flores D'Arcais Paolo, 66 preferenze

20. Sartori Giovanni, 52 preferenze

21. Augias Corrado, 51 preferenze

22. Monti Mario, 51 preferenze

23. Bocca Giorgio, 49 preferenze

24. Maltese Curzio, 48 preferenze

25. Hack Margherita, 44 preferenze

26. Borsellino Rita, 43 preferenze

27. Benigni Roberto, 43 preferenze

28. Capanna Mario, 39 preferenze

29. Ravera Lidia, 38 preferenze

30. Ginsborg Paul, 38 preferenze

31. Guzzanti Sabina, 37 preferenze

32. Sylos Labini Paolo, 36 preferenze

33. Caselli Giancarlo, 36 preferenze

34. Rodotà Stefano, 35 preferenze

35. Mascia Gianfranco, 35 preferenze

36. Ciotti Luigi, 32 preferenze

37. Veronesi Umberto, 31 preferenze

38. Serra Michele, 29 preferenze

39. Sabelli Fioretti Claudio, 29 preferenze

40. Cordero Franco, 29 preferenze

41. Paolini Marco, 28 preferenze

42. Fo Jacopo, 25 preferenze

43. Vattimo Gianni, 23 preferenze

44. Fava Claudio, 21 preferenze

45. Pigliacampo Renato, 21 preferenze

46. Deaglio Enrico, 21 preferenze

47. Ariosto Stefania, 20 preferenze

48. Rame Franca, 19 preferenze

49. Tranfaglia Nicola, 19 preferenze

50. Luttazzi Daniele, 18 preferenze

51. D'Ambrosio Gerardo, 18 preferenze

52. Finocchiaro Angela, 18 preferenze

53. Lerner Gad, 17 preferenze

54. Veltri Elio, 16 preferenze

55. Di Pasqua Guglielmo, 16 preferenze

56. Rossi Guido, 16 preferenze

57. Mannoia Fiorella, 15 preferenze

58. Bresso Mercedes, 13 preferenze

59. Fini Massimo, 13 preferenze

60. Ovadia Moni, 12 preferenze

61. Tabucchi Antonio, 11 preferenze

62. Bonsanti Sandra, 9 preferenze

63. De Mauro Tullio, 9 preferenze

64. Rivera Gianni, 9 preferenze

65. Colombo Daria, 7 preferenze

66. Zaccaria Roberto, 7 preferenze

67. Astrologo Marina, 7 preferenze

68. Bonucci Silvia, 5 preferenze

69. Quattromini Giuliana, 4 preferenze

70. Guzzanti Corrado, 3 preferenze

71. Cammardella Antonella, 2 preferenze

72. Paolini Marco, 1 preferenze

Responsabilità Civile

da Barbara Melotti (http://parolepensieri.blogspot.com/)

Ricordate la vecchia campagna per la responsabilità civile dei magistrati? Non mi interessa qui entrare nella discussione tuttora in corso se la volontà popolare espressa col referendum sia stato o no tradita, se a pagare dovessero essere direttamente i magistrati, come volevano i promotori, o lo stato come una legge successiva ha sancito.
Rimane il fatto che oggi in Italia vige almeno il principio che se ricevi un danno grave e ingiusto a causa del sistema giustizia, un responsabile contro il quale appellarsi c'è, e non mi sembra poco, almeno se confrontato con l'assoluta "irresponsabilità" di chi ci rappresenta in Parlamento, che, si dice però, ci siamo scelti e possiamo cambiare ... sì, ma intanto quelli legiferano, a al giudizio si sottoporranno poi, per di più un giudizio plebiscitario, che non si addice ad alcuna esigenza di giustizia.

In concreto:
- se io oggi fossi costretta a non avere figli miei, o a metterli al mondo malati perchè una legge mi proibisce, se non sterile, ma portartrice di malattie, di accedere alla procreazione assistita;
- o dovessi sottopormi a reiterate, non si sa quanto fisicamente innocue e comunque psicologicamente difficili, terapie ormonali a causa del divieto di conservare gli ovuli fecondati;
- o fossi costretta a mettere al mondo tre gemelli, qualsiasi siano la mia età e le mie condizioni psicologiche ed economiche, perchè la legge mi impone di impiantare tutti gli ovuli fecondati;
- o diventassi madre di uno o più bambini disabili a causa del divieto per legge di compiere qualsiasi indagine sugli ovuli fecondati prima dell'impianto;
- o viceversa decidessi di ricorrere successivamente ad aborto terapeutico, legale sì, ma mica neutro nè fisicamente nè psicologicamente;

tutte eventualità più che probabili con questo aborto di legge approvata ieri, credo che, come cittadina, avrei diritto di avere qualcuno con cui prendermela in tribunale, ne più ne meno che se mi avessero messo ingiustamente in galera per qualche mese o qualche anno.

Questa non è una brutta legge, è una legge nazista esattamente come se vietasse l'uso degli anestetici in chirurgia, per di più scritta con l'aggravante dei futili motivi, solo perchè vi è mancato il coraggio di vietare, mettendo così in condizione persone a volte in situazioni emozionali disperate e tragiche, di credere al vostro bluff e provarci ... sulla propria pelle, e perchè siete convinti di poter conculcare i diritti di una minoranza, le persone con problemi di fertilità, per ottenere i voti di una presunta vasta platea di "cattolici", quelli che voi immaginate esistano, quelli che l'Italia dovrebbe già avervi a più riprese dimostrato che non esistono ... futili motivi, appunto.

10.2.04

RIFONDAZIONE SOCIALISTA
da Pier Luigi Baglio, Genova

Caro Sabelli.Mi faccio interprete di una iniziativa di ricomposizione della diaspora socialista in una lista da costutire che raggruppi anche i radicali, e laici, fuori dai due schieramenti. Chiedo troppo di pubblicarla nel tuo sito?

Claudio Signorile lancia ai SOCIALISTI un manifesto i cui passi salienti e importanti sono: << ? gli anni di governo del centro ? sinistra prima e del centro ? destra poi, hanno dimostrato essere non un vizio di parte ma una debolezza nella cultura politica di tutta una classe dirigente. ? l’intreccio di precarietà crescente e crisi di governabilità, apre la strada alla ricerca di nuove soluzioni, e fornisce l’occasione perché nuovi soggetti politici possano proporsi come potenziali protagonisti, negli armi della grande crisi che si preannuncia. ? ? ? >>. Perchè non allargare il discorso dai socialisti divisi del Nuovo PSI di De Michelis e Bobo Craxi, e Socialismo e Libertà di Formica e Signorile, ai Radicali Repubblicani e liberali che invece di costituire altri cespugli si mettano insieme, per cogliere l'occasione enunciata da Signorile, abbandonando le divisioni, ogni stupida rivalità personale innescando un nuovo rapporto di lealtà, basato sull'accordo e sulla leale trattativa nella repriproca identificazione delle proprie esigenze e spazi personali?
Senza questo quanto scrive Signorile: << ? presentare alle prossime elezioni europee, che si svolgono con il sistema proporzionale, un solo simbolo ed una sola lista di unità socialista, con riferimento al Partito Socialista Europeo ? >> non servirà a niente. Magari solo per racimolare quattro voti da vendere al maggior offerente.
I cinque anni dei tre governi dell'Ulivo, e i tre anni di Berlusconi, hanno dimostrato chiaramente l'inefficienza delle coalizioni eterogenee, spurie e contrastanti; alleate solamente in funzione del potere. Sicchè nel paese dilaga profonda frustrazione, malcontento e delusione, destinate all'accentuazione del già forte astensionismo. Ebbene se socialisti liberi e 'terzi', radicali e laici, passassero dalla diaspora all'unità, potrebbero frapporsi alla tendenza, intercettando la diserzione alle urne.
Questo dovrebbe scaturire dall'incontro prossimo dei liberi socialisti a Roma il 21 febbraio (invitando anche le altre forze apolidi sulla scena politica).


9.2.04

INTEGRALISTI

di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Questione di tette e di spirito santo. E furori religiosi e unti dal signore. Come sapete tutti, un clamoroso attentato all'integrità delle coscienze negli Stati uniti è stato compiuto settimana scorsa, al probabile scopo di annichilire la nazione. Alla signorina Janet Jackson è scappato un seno dal vestito, mentre 100 milioni di americani osservavano imbesuiti la scena, probabilmente ebbri di snaks e burro d'arachidi. Il paese più potente del mondo è uscito sconvolto dall'esperienza, c'è chi ha fatto causa per danni morali e per riparare (in us dollars) al turbamento emotivo. Nessuno ha ricordato che questa idiosincrasia per il seno femminile è un vecchio punto debole dell'impero. Il ministro della giustizia Ashroft, poco dopo la nomina, fece rivestire con un telo la statua della giustizia davanti al ministero, a Washington. La poverina, in bronzo, se ne stava da circa un secolo a seno nudo, con una bilancia in mano. Ora è rivestita come si deve e non turba più nessuno, semplicemente dimenticata, un po' (a proposito di giustizia americana) come i pollai di Guantanamo.
L'impressione netta - se ci mettete anche le preghiere alla Casa Bianca, il fondamentalismo cristiano, i ferventi cattolici che stendono a fucilate i medici abortisti - è che una delle vecchie anime americane, la più puritana, sia arrivata ai vertici del potere.
Anche qui da noi, da qualche tempo, si registra una certa qual tendenza all'integralismo. Un prete cattolico, addirittura, attribuisce allo spirito santo la comparsa di Silvio; un quotidiano della destra allega, con sovrapprezzo di pochi centesimi, un crocifisso. La svolta mistica è nell'aria, annunciata da alcuni inequivocabili segnali: nei discorsi di Silvio ricompaiono a sorpresa le zie suore, per esempio. Per non dire dei comunisti (strong, light, doppio malto, con comunismo, senza comunismo, con l'air-bag) che non sono ancora stati sconfitti e che quindi giustificano la crociata. Forse c'è qualche analogia con i piani alti del potere Usa. Ma c'è anche una gigantesca differenza: mentre là lo spirito puritano e bacchettone fa parte dei caratteri nazionali, qui è un'invenzione recente, l'ultimo trucchetto per gonzi. Se il seno di Janet Jackson fosse balzato fuori qui, a contundere l'audience, nessuno avrebbe fatto tanto casino e le telefonate di protesta alla stazione televisiva avrebbero avuto un altro tenore ("Ehi! Un seno solo? Indietro i soldi!").
Il fatto è che da queste parti (per fortuna) si prendono abbastanza cinicamente i precetti integralisti. La gente è portata a sorridere se lo spirito santo scende su quello che ha inventato le minigonne di Drive-in. Come minimo pensa a uno scambio di persona. In più, ante-Silvio, i testimonial dell'estremismo religioso non hanno avuto gran fortuna, da queste parti. Il pensiero va alla severa presidente della Camera dei deputati, vandeana dichiarata, contraria alle coppie di fatto, al divorzio, all'aborto, ai rapporti prematrimoniali. Fece scalpore quando, nel discorso di insediamento, ringraziò dio anziché il parlamento, e fece togliere alcuni nudi dalla pinacoteca della presidenza della Camera. Ora me la ritrovo in tivù che affetta chiappe alla gente, lima nasi, trasforma normali seni in meloni prosperosi, realizza insomma con la chirurgia ciò che il signore ha così imperfettamente creato. Qui è tutta la Vandea che dovrebbe citarla per danni e - come per il seno di Janet - per turbamento emotivo. Insomma: il paese è abbastanza sgamato per resistere ai fans dei roghi e delle crociate, eppure la tendenza non si placa, e anzi conquista ampio spazio in tutti i media l'intervista di un medico che ci descrive Silvio come "potenzialmente immortale". Se non dovesse bastare il misticismo, è il messaggio, c'è sempre l'esoterico.



Mancomat per i meno abbienti

Michele Serra sull'Espresso


I poveri definiti persone in via di sviluppo, carte di debito al posto di quelle di credito. Ecco le contromosse del governo all'incalzare delle nuove povertà

Di fronte all'incalzare delle nuove povertà, gli esperti del governo stanno studiando una serie di contromosse, ispirate al pensiero liberista e alla creatività imprenditoriale.

1. La parola 'povero', nella sua brutalità naturalistico-ottocentesca, descrive una condizione inaccettabile in un paese moderno e civile. I poveri dovranno dunque definirsi 'persone in via di sviluppo', anche se hanno superato gli ottant'anni e agonizzano in un ospizio. Dovranno abbandonare ogni atteggiamento disfattista e soprattutto sorridere: il sorriso, dice un comunicato congiunto del Tesoro e della Sanità, non costa niente e valorizza le otturazioni dentali. È vivamente consigliato, per non auto-emarginarsi dal consesso sociale, sostare almeno qualche minuto al giorno davanti a uno sportello Bancomat congratulandosi con quelli che prelevano contanti.

2. Ogni italiano in via di sviluppo, anche se non lo sa o fa lo gnorri, è un'impresa. Sarà dunque dotato per legge di partita Iva, una scrivania pieghevole in formica e una cravatta regimental, pagabili in comode rate, e dovrà presentare ogni anno il rendiconto delle sue attività imprenditoriali. Qualora (tipico il caso delle massaie settantacinquenni e dei minatori del Sulcis) non si svolgano attività imprenditoriali e si indossino le cravatte regimental solo per far ridere i bambini facendo l'imitazione di Jas Gawronski, sono previste sanzioni da 500 a mille euro.

3. I cittadini in via di sviluppo avranno accesso agevolato al credito. Ogni banca dovrà disporre, sotto lo sportello Bancomat, di un orifizio più basso per i meno abbienti, il Mancomat. Inginocchiandosi e introducendo la Carta Carponi (la nuova simpatica card virtuale: nell'apposita fessura si infila la lingua), invece delle tradizionali e costose banconote lo sportello fornirà un pianetino della fortuna con il peso del cliente (precedente) e una massima di Luigi Einaudi.

4. Se le carte di credito non sono alla portata delle persone in via di sviluppo, ecco le nuovissime carte di debito: registrano i costi pubblici di mantenimento del disoccupato o del cassintegrato che invece di darsi da fare ronfa fino alle 11 e poi bighellona per casa borbottando frasi insensate.
In tempo reale, il miserabile potrà controllare sulla sua carta di debito quanto deve alla generosità del suo Paese, e comunicare ogni fine mese alla più vicina caserma della Guardia di Finanza come e quando intende saldare quanto dovuto.

5. Sono previste diverse centinaia di migliaia di nuovi posti di lavoro, che saranno contrassegnati da cartelli con la scritta 'posto di lavoro' dislocati davanti alle aziende, ai negozi, alle imprese pubbliche, oppure in parchi e giardini. I cittadini che ne invididuino uno di loro gradimento, potranno sostare nei pressi, portandosi una sedia da casa, e aspettare un colpo di culo, tipo il ribaltamento di un furgone postale con perdita di valuta sul marciapiede, o il passaggio di un imprenditore che proprio in quel momento stia ricevendo al telefonino la notizia della morte di un dipendente e voglia immediatamente rimpiazzarlo con il primo che trova. Con la Finanziaria del 2005 si prevede che i cartelli possano essere sostituiti con altri di foggia più esclusiva.

6. Accantonato il lodo Carlucci, che prevedeva la messa fuori legge della povertà per evidenti ragioni di buon gusto, è allo studio una legge-quadro Adornato, più possibilista, i cui scopi sono descritti nel suo ultimo saggio politico 'Oltre la povertà'. Per sommi capi, Adornato propone di superare la tradizionale dicotomia povertà-ricchezza, troppo legata al vecchio conflitto di classe. Per il come e il quando, non ne ha la minima idea, però accetta consigli.