31.1.07

BOCCA, IL RAZZISMO DEL BOLLITO

Mario Giordano per “Il Giornale”


Baluba, fora dai ball. Tornatevene a casa vostra. Mi avete rovinato il bollito. Finalmente un editoriale come si deve di Giorgio Bocca: dimenticati per un attimo le montagne partigiane e l'antiberlusconismo ad alta gradazione, il giornalista cuvée centra l'argomento da par suo: non se ne può più di tutti questi extracomunitari. Hanno rovinato il nostro Paese.
Questa volta bisogna dirlo. Perché si può anche sopportare il fatto che rubino o che spaccino o che mandino le donne a battere sui viali. Si può accettare che reclutino kamikaze in viale Jenner, si può chiudere un occhio se ci accoltellano all'angolo della strada o se stuprano le nostre ragazze. Ma c'è una cosa che proprio non si può tollerare: non sanno cuocere la carne. Ci hanno guastato il bollito.
Non stiamo scherzando, è un problema serio. Merita un editoriale sull'Espresso, merita l'attenzione di Giorgio Bocca. Perché l'integrazione va bene, l'accoglienza, il dialogo, il reciproco rispetto, il multiculturalismo, la convivenza e la tolleranza sono virtù indiscutibili. Che, però, sia chiaro, si fermano a un passo dal cotechino con salsa verde.
Due metri prima dello zampino con la peverada. Perché, diciamocelo, questi immigrati non imparano la lingua, ma soprattutto non imparano la testina, la lonza e la rollata. Ma ci pensate? Se parli loro di coda pensano alla questura e non alla vaccinara; se dici guanciale ti portano un cuscino. E soprattutto non rispettano le regole della mostarda e dei funghi trifolati. Infrangono la legge. Dello Stato? Sì, ma soprattutto della lepre al civet.
Sia chiaro: questo non è razzismo. Al massimo, razzismo del bollito. Con contorno di patata lessa. Molto lessa, per la verità. Ma in quanto pubblicata su settimanale debenedettiano, assai radical e assai chic, riteniamo che il sentimento gastro-xenofobo sia sdoganato nei salotti buoni del Paese. Per cui citiamo, con deferenza da gourmand: pagina sette, firma in rosso, fotina sobria.
Titolo: «Il bollito sempre cotto al punto sbagliato». Più che un titolo, un grido di dolore. Ora io dico: com'è possibile fargli un torto così? Il bollito, capite? Proprio il bollito cotto male? A lui che, si sa, non è mai stato di Bocca buona. Di questo passo dove finiremo? Passi l'11 settembre, passino Bin Laden e la testa tagliata a Nick Berg: ma la vera tragedia è che non si trova una cuoca che sa fare la bagna caouda.
Ma sì, persino nelle Langhe sono arrivati cous cous e kebab, che mal si sposano col dolcetto e pure col barbaresco. E così il grande inviato ha ben ragione di lamentarsi: abbiamo abbandonato le nostre tradizioni. Il crocifisso? Il presepe? Le radici cristiane? Macché: «Il modo di cuocere, condire, friggere, mettere in savor».
Si capisce: non sappiamo più mettere in savor. Soprattutto non lo sanno fare a casa Bocca: «Avrò cambiato in questi anni sei o sette immigrate ai fornelli, ma un bollito cotto da bollito, piemontese o emiliano, non l'ho più mangiato, sempre stopposo, sempre cotto al punto sbagliato». AAA, cercasi disperatamente donna di servizio per illustre giornalista. Si richiede: conoscenza dell'arrosto, pratica di scaloppine, buone referenze sullo stufato di bue. E, possibilmente, razza ariana.
Diciamolo una volta per tutte: basta con questi neghèr in cucina. Com'è che diceva Calderoli? Ecco, bravi: basta con i bingo bongo ai fornelli. Giorgio Bocca, che già fu razzista antisemita in gioventù e poi sostenitore del leghismo barbaro delle origini, ha trovato finalmente una nuova collocazione politica: la xenofobia enogastronomica, il lepenismo dei fornelli, il pogrom quattro stelle michelin.
Gli immigrati vanno cacciati coi forconi, anzi no, con le forchette in pugno. Basta con queste cuoche che infarciscono le carni piemontesi di agli e radici schiacciate, basta con gli odori d'Oriente, con il meticciato culinario, la mescolanza di condimenti. Ci vuole la purezza del sangue. E, ammesso che ci sia qualche differenza, del vino. Barbera rossa la trionferà.
L'articolo è ricco di spunti, oltre che di spuntini. Bocca si lamenta anche per il fatto che non ci sono più i camerieri di una volta, le persone di servizio di una volta, le tate di una volta. «Signor padrone», si sa, non suona bene quando viene pronunciato con accento ecuadoregno o filippino, anziché con la «o» larga delle madamin d'na vota. E poi questi immigrati pensano sempre ai fatti loro, pensate un po': vorrebbero persino guadagnare due soldi lavorando, al contrario del grande inviato che, come è noto, scrive i suoi articoli gratis.
Articoli, sia chiaro, che si bevono tutti d'un fiato come certi bicchieri di barbera. Anche l'effetto è simile: alla fine, in realtà, l'impressione è che la fotina in alto sia l'unica cosa sobria della pagina. «Ecco perché non amiamo questa umanità forestiera», riassume il distico. La foto mostra una cuoca ai fornelli, pentolone e condimenti.
Sintesi finale: non amiamo questa umanità forestiera perché non sa cuocere stinco e muscoletto. E noi non possiamo, per una volta, che essere d'accordo con il maestro antica riserva: ci vuole la purezza della carne. Il neo-razzismo al rosmarino. La selezione dell'abbacchio che si scioglie in Bocca. Perché, chiaramente, l'umanità si divide in due: quelli che non fanno i bolliti. E quelli che lo sono.

28.1.07

POLITICA E CRIMINE

di Furio Colombo - L'Unità

Cittadini attenzione. Il giorno 24 gennaio, il coordinatore nazionale di Forza Italia Sandro Bondi ha lanciato al Paese il seguente messaggio: «Prodi e gli altri non devono scherzare col fuoco. Esiste un limite oltre il quale un equilibrio democratico si può rompere. E al punto di rottura siamo quasi arrivati. Allora sono guai per tutti. Perché con Forza Italia al 32 per cento, come dicono tutti i sondaggi anche quelli commissionati dal centrosinistra sarebbe pericoloso tirare troppo la corda. Potrebbe provocare reazioni nel Paese, sommovimenti. Tutto ciò può determinare reazioni molto gravi della gente». (La Stampa, 24 gennaio 2007)
Siamo di fronte a un ultimatum: o rinunciate a governare o ci saranno rivolte nel Paese. Considerato il ruolo politico dell’autore di queste parole, è naturale immaginarsi una reazione giornalistica immediata, una serie di quelle tormentose interviste che seguono di solito una frase pronunciata dentro l’Unione sui Pacs, sul testamento biologico, sulla pretesa dei gay di non essere esclusi dalle unioni legittime. Invece (e forse persino Bondi si sarà meravigliato) silenzio.
Per capire ciò che sto dicendo immaginate per un momento che una frase così arrischiata («ci saranno rivolte») fosse stata pronunciata da un Diliberto o da un Giordano. Si sarebbero scatenati giornali e istituzioni. Si sarebbe parlato francamente del ritorno del pericolo comunista. Bondi invece brandisce i sondaggi contro le elezioni, e «vede» - certo da un punto di vista privilegiato, dato l’enorme potere economico a cui è vicino - sommovimenti e rivolte di tipo libanese.
Eppure alle parole di Bondi è seguito un cauto silenzio dei media, e un composto aplomb delle istituzioni che, a quanto pare, non si sono sentite turbate dall’annuncio (certamente autorizzato dal leader-padrone di Forza Italia) di sommosse descritte come inevitabili («se questi non se ne vanno...») e implicitamente approvate («esiste un limite»).

«Questo decreto sulle nuove regole che vogliono imporre alle mie televisioni è un piano criminale verso il capo della opposizione e verso le sue proprietà private. Sono sicuro tuttavia che il governo non troverà complici per la realizzazione di questo progetto criminale. Vincendo le prossime elezioni amministrative dimostreremo i brogli elettorali che ci sono stati».
C’è anche un riferimento interessante per chi scrive nella dichiarazione di guerra qui trascritta: «Ho visto Ballarò. Dobbiamo fare anche noi a Mediaset un programma simile. Dobbiamo rispondere agli attacchi». (La Repubblica, 25 gennaio). Naturalmente avete riconosciuto la voce. È Silvio Berlusconi, il quale considera un attacco personale imporre regole di mercato alle sue televisioni. È una protesta comprensibile, se si tiene conto che lui è l’unico grande proprietario di televisioni private in Italia. Ed è l’unico politico al mondo che ha governato sostenuto da un partito formato dalle sue televisioni. Ma lui, senza pudore, annuncia che se si toccano gli interessi delle televisioni private di Silvio Berlusconi si attacca in modo grave e inaudito il capo della opposizione Silvio Berlusconi. Chiunque direbbe: risolviamo il problema con una buona legge sul conflitto di interessi. Berlusconi invece definisce «criminale» ogni intervento sulle sue proprietà. Lo costringerebbe a uscire dalla doppia illegalità: servire se stesso servendosi del Paese.
Come vedete sono tre frasi esemplari, illogiche, prepotenti, minacciose. C’è l’orgogliosa identificazione del proprietario con il politico. Chi tocca l’uno tocca l’altro.
Questo spiega in che senso una testata è «omicida», (come i suoi dipendenti hanno detto de l’Unità, quando denunciava il conflitto di interessi di Berlusconi). Tra politica, proprietà e protezione di se stesso lui non vede alcuna differenza. Attacca e morde con una dichiarazione di guerra alle istituzioni a costo di autodenunciarsi come titolare del conflitto di interessi che ha passato anni a negare e altri anni a «risolvere» con la risibile legge Frattini che non prevede, per il pericoloso fenomeno alcuna sanzione.
Nel citato programma Rai Ballarò tutto lo schieramento berlusconiano negava che «lui» prendesse parte agli affari dell’azienda durante i Consigli dei ministri. «Ogni volta “lui” usciva. Ha affermato testualmente la ex ministro Prestigiacomo: «Do la mia parola d’onore che mai si è occupato dei suoi interessi».
Simpatico, canagliesco e brutale, nella classica tradizione post romantica, il suo capo, benché così fedelmente assistito (fino all’impegno del proprio onore) la smentisce. Infatti dice: «Ho visto Ballarò e bisogna fare anche noi una trasmissione così a Mediaset. Dobbiamo rispondere a questi attacchi». In questo modo smentisce anche il suo rappresentante Confalonieri (che un po’ compare come vice ministro, un po’ come presidente Mediaset) che si era affannato a ripetere: «Le nostre tv al servizio di “lui” in politica? Mai, garantisco, mai!».
Ma lo spavaldo padrone non bada all’onore dei suoi e preannuncia una nuova battaglia di televisioni nella sua guerra infinita che tormenta l’Italia ormai da dieci anni. Durante questi dieci anni di doppio governo (affari e politica) Berlusconi ha raddoppiato la sua ricchezza. Eppure, forse per prudenza, nessuno accetta di considerarlo un pericolo. Anzi ti dicono, anche da sinistra, «non esageriamo, è un politico come gli altri». C’è una piccolissima differenza: Berlusconi è la quattordicesima ricchezza più grande del mondo, e due o tre capricci a quanto pare, se li può togliere quando crede. Però non si capisce perché, spargere intorno a lui il sussurro che più lo agevola: ma quale emergenza? Ma quale pericolo per la democrazia? E continuano a nascere proposte di cose da fare insieme. Prima o dopo le rivolte di popolo annunciate da Bondi?
* * *
«Si riapre la catena di processi della Sme», titolano alcuni giornali più coraggiosi. Si riferiscono alla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato incostituzionale la «legge Pecorella». Con essa il presidente della commissione Giustizia della scorsa legislatura (e avvocato personale di Berlusconi in tutte le legislature), aveva confezionato la liberazione di Berlusconi dai giudici di Milano. Il pm non poteva più proporre appello contro un imputato assolto. Ora che questa normale competenza è stata restituita alla pubblica accusa, alcuni processi contro Berlusconi (a parte i nuovi) potranno continuare in secondo grado.
Qual è la risposta dell’ex Primo ministro noto nel mondo per aver aperto il semestre europeo italiano dando del «kapò» all’eurodeputato tedesco Schultz che aveva osato accennare alla cacciata di persone libere dalla Rai e al conflitto di interessi? Eccola, da statista: «Questa sentenza dimostra che tutte le istituzioni sono in mano alla sinistra».
Come vedete il senso del ridicolo è scomparso da tempo. Quel che disorienta è che sia scomparso dal giornalismo.
Non un accenno, da nessuna parte, alla portata eversiva del commento a questa sentenza, specialmente se collegata alle parole di Sandro Bondi, che annunciano una imminente rivolta di popolo. Eppure tutto ciò in fondo è poco se confrontato a quello che è accaduto e sta accadendo con la vicenda Mitrokhin. Provate a immaginare la mobilitazione che si sarebbe scatenata se - per puro e sfortunato caso - fosse stato presente, nello stesso albergo e nella stessa stanza, uno sbadato passante in qualche modo legato all’Unione, mentre stavano avvelenando al polonio l’ex spia sovietica Litvinenko. È certo che ogni giorno, in ogni talk show, con ricostruzioni e modellini, quell’atroce delitto sarebbe sugli schermi pubblici e privati di tutte le reti italiane.
Invece mentre assassinavano Litvinenko era presente chissà come, chissà come mai, il prof. Scaramella. Che non è professore ma, di professione, spia personale della Commissione Mitrokhin, cioè spia retribuita dalla Repubblica italiana. Missione: svelare che Romano Prodi era stato «uomo del Kgb», ovvero preparare, in caso di perdita delle elezioni, una buona ragione per la rivolta di piazza di Bondi e la rivincita di Berlusconi sulle leggi criminali contro le sue aziende e le sentenze criminali contro la sua persona. Scaramella,a nome e per conto della commissione Mitrokhin e del Senato della Repubblica italiana, il suo lavoro l’ha fatto, benché sia finito in prigione per calunnia e vi resti tuttora. Litvinenko è morto di una morte spaventosa avvelenato chissà da chi. Ma, guarda caso, ha lasciato una testimonianza. Prima di morire ha detto: «Prodi era un nostro uomo», le esatte parole commissionate a Scaramella dalla Commissione Mitrokhin (come risulta dalle intercettazioni pubblicate). Dopo morto non ha niente da dire.
Il caso sconvolgerebbe qualunque Paese, anche fuori dalle tradizioni democratiche dell’Occidente. Infatti una commissione parlamentare con poteri giudiziari ha lavorato per anni e con abbondanti fondi dello Stato, assumendo consulenti che poi sono risultati «da galera», allo scopo dichiarato di eliminare il capo dell’opposizione. Se è «legge criminale» la mite legge Gentiloni perché tocca di striscio gli interessi privati di un uomo ricchissimo, che adesso è anche capo dell’opposizione, come definire la commissione Mitrokhin e i suoi scopi da colpo di Stato? Ma tutto questo ci dà modo di verificare la vasta conseguenza del quasi completo controllo mediatico nelle mani non di una sola coalizione o di un solo partito ma di una sola persona.
* * *
L’uso berlusconiano dei media pubblici e privati è così ferreo da cambiare la percezione degli eventi persino agli occhi degli esperti. E questo spiega la passione con cui Berlusconi si batte perché non glielo si limiti neppure marginalmente. E spiega perché non vuole sentire parlare di una vera legge sul conflitto di interessi nel senso del diritto occidentale. Infatti lo priverebbe della sua presunta magia carismatica.
La persistenza negli anni di quel conflitto spiega anche qualcosa che altrimenti sarebbe davvero inspiegabile. Pensate che una rispettabile e rispettata docente associata di scienze politiche all’Università di Bologna, Donatella Campus, pubblica con le pregiate Edizioni del Mulino un testo scientifico intitolato «L’antipolitica al governo».
I tre personaggi esemplari proposti dalla prof. Campus sono De Gaulle, il generale che ha guidato la Resistenza francese e la rinascita di quel Paese, ha tenuto testa ai militari e fatto finire la guerra d’Algeria; Ronald Reagan, il personaggio che ha colto al volo l’occasione della Glasnost, ha aiutato il leader sovietico Gorbaciov a uscire senza danno dalle macerie del suo impero e ha - proprio lui, che parlava sempre di «impero del male» - portato Russia e America fuori dalla guerra fredda in modo dignitoso e indolore. E il terzo chi è? È Berlusconi, l’uomo che ha spaccato l’Italia e continua a spaccarla.
Nel libro della Campus Berlusconi è descritto come desidera essere Berlusconi, un audace liberal che si scrolla di dosso la politica tradizionale e inaugura un rapporto libero e inedito con la opinione pubblica. La Campus non nota che Berlusconi «entra in campo» con una cassetta, non in persona (dunque senza domande e senza dover rendere conto). E che da quel momento tiene costantemente i giornalisti a distanza e sotto intimidazione. A volte, fatalmente, e dopo gli esempi Biagi e Santoro, la categoria diventa ossequiosa. E incline alla celebrazione. Fenomeno irrilevante? È mai accaduto a De Gaulle o a Reagan?
La Campus non nota le leggi ad personam, non nota le leggi vergogna, non nota l’uso degli avvocati difensori come deputati e senatori a capo di commissioni chiave per gli interessi personali del leader. Non nota la politica come finzione (Pratica di Mare), come repressione (Genova), come intimidazione ostentata e padronale (la messa in stato di accusa da parte dei suoi media, di chi gli tiene testa). Non nota l’illegalità di controllare e dirigere la Tv di Stato, mentre presiede controlla e dirige quella privata.
Il libro della Campus è il perfetto monumento al conflitto di interessi. Ci dice che quel conflitto di interessi, quando è abbastanza forte, colpisce soprattutto i media. Esso, infatti, cambia e riorganizza la percezione degli eventi anche gli agli occhi degli esperti. La controprova è nel libro di Marc Lazar uscito negli stessi giorni. Anche lui è un politologo ma, dalla Francia, lavora al riparo dal totale controllo mediatico che Berlusconi mantiene sull’Italia. Sentite che cosa scrive Lazar: «L’Italia è un grande malato e la terapia del dottor Berlusconi non gli ha permesso di ristabilirsi. L’economia ristagna e le prospettive sono fosche. Al di là dei proclami boriosi si perpetua una vecchia tradizione politica di immobilismo. Silvio Berlusconi non ha avviato alcuna liberalizzazione né innestato alcuna modernizzazione. Tuttavia ha verosimilmente significato un cambiamento completo dell’universo delle rappresentazioni mentali».
Berlusconi è certamente l’antipolitica. Ma in un senso distruttivo e vendicativo contro quella parte non piccola del suo Paese che non coincide con la sua proprietà. Solo il suo mondo inventato e strettamente sorvegliato dai media può avere indotto qualcuno, per quanto esperto, a scambiarlo per Reagan o De Gaulle.

PER IL GIORNO DELLA MEMORIA

contributo di Emanuele Fiano sul Riformista

Vivo personalmente il giorno della Memoria come un giorno difficile.
Essere figli di un sopravvissuto ad Auschwitz, non permette di dimenticare, non avrei bisogno di date io; per noi, in famiglia, la memoria è religione laica quotidiana. La mia memoria della shoah è intima, non condivisibile; la memoria pubblica è invece, ovviamente, un’altra cosa, necessaria e fondamentale. I suoi caratteri vanno condivisi, la battaglia contro i suoi nemici pure.
Anche se io volessi, anche se torcessi il viso dal ricordo, una parte di me, pur guardando avanti, come l’ angelo di Klee descritto da Walter Benjamin rimarrebbe per sempre voltata all’indietro, ricercando i volti che non ho conosciuto.
Per questo contemporaneamente vivo il Giorno della Memoria, come un fondamentale momento del nuovo calendario civile della mia patria, ma anche come luogo rischioso dove la cerimonia o la retorica possono farmi sentire estraneo. Estraneo a me che di quel 27 Gennaio 1945 sono in via indiretta figlio.
Per questo vivo male la polemica che un gruppo di autorevoli storici italiani ha scatenato contro l’ipotesi di decreto legge del Ministro Mastella, reo secondo la comunità scientifica, di avere pensato alla punibilità del reato di negazione della Shoah. L’ho percepita inizialmente come un pericoloso via libera all’oblio.
Le cose non sono poi andate così, certamente anche per merito della sollevazione degli storici, che, mi si permetta la critica professionale, pur senza aver letto materialmente il testo, ha colto di quel provvedimento il rischio illiberale.
Il problema sollevato è reale, ma anche reale è il pericolo: il negazionismo, l’antisemitismo, l’antisionismo, il pregiudizio e la discriminazione razziale, etnica, religiosa o sessuale esistono, e proliferano soprattutto nel non-luogo culturale per eccellenza, e cioè Internet, dove senza filtro, e senza storici che possano li per li contraddirne gli assunti, si diffondono insulti, menzogne, incitazione alla discriminazione e apologia di crimini contro l’umanità. In aggiunta, sempre più, la nostra cultura accoglie al proprio interno, ed è bene che così sia, altre culture extra europee, molto poco al corrente dei caratteri storici del progetto sterminazionista del secolo scorso.
Lo scandalo sul rischio di punire il reato d’opinione è comprensibile, ma io mi chiedo, dopo che il decreto ha eliminato questa parte, non è che l’opinione diventata oggi maggioritaria, e cioè che le idee, per orribili che esse siano, non possono essere punite, ipotechi già il dibattito che svolgeremo in parlamento sulla conversione in legge del decreto, e questo ci porterà ad annullare de facto tutto il provvedimento? Quale ragionamento potrebbe infatti adesso sostenere la punibilità dell’apologia di nazismo o di fascismo o di razzismo, non siamo forse anche qui nel campo delle idee e delle opinioni, pur aberranti; quale sostenibilità avrebbe ora il reato di diffusione di idee discriminatorie, come per esempio i protocolli dei Savi di Sion ?
Con le nuove modifiche alla legge basterebbe infatti semplicemente "diffondere", pur senza fare "propaganda", idee antisemite o sulla superiorità e l'odio razziale per essere perseguiti. Dubito che i firmatari di quell’appello potranno difendere anche solo questa versione, perché la loro contraddizione, con un prinicipio liberale che non conosce limiti nel campo della espressione di idee, sarebbe profonda.
Il comportamento e le idee del leader Ahmadinejad, sollevano da mesi lo sdegno e la reazione dell’intera comunità internazionale, sia per i suoi proclami contro l’esistenza di Israele sia per il sostegno incisivo che ha dato alla propaganda negazionista. Certo, il problema più reale in quel caso è la sua arma atomica, ma sperando che non si arrivi a tanto, quel tipo di affermazioni proferite in Italia dovrebbero essere considerate lecite? O bisognerebbe vedere scoppiare la bomba per percepire come reale l’esistenza di un reato.
Convengo anch’io, che punire un’idea confligga clamorosamente con l’idea di libertà svolta al suo massimo grado e che combattere il messaggio che ci è tramandato dalle aberrazioni della concezione etica dello stato nazionale novecentesco non possa che essere fatto osservando il massimo di liberalità.
Ma percepisco anche il rischio che una posizione troppo illuministica ed elitaria sui rischi delle forme di diffusione della propaganda razzista e discriminatoria, si risolva in un mancato approfondimento dei nuovi pericoli culturali.
Per questo lancio un appello affinché quanto prima in Parlamento ci si possa confrontare con una rappresentanza della comunità degli storici che hanno manifestato il loro pensiero in questi giorni, per giungere insieme a valutare un testo di legge che non punendo la semplice opinione non abbandoni neanche il rischio della discriminazione alla pura punibilità del fatto compiuto.
Lo dobbiamo fare per costruire per costruire una memoria pubblica comune per questo paese, sempre comunque dilaniato, non più rivolta solo all’indietro ma in avanti, per costruire su basi solide un pezzo dei nuovi diritti di cittadinanza che combatta la discriminazione e difenda le idee.

17.1.07

BALLATA PER FABER

di Matteo Tassinari

Il suo ultimo disco s’intitolava “Anime Salve” e lui le conosceva perché anche lui lo era. Anzi, lo è. Avevo un viso bellissimo Fabrizio, quello di una persona capace di vivere intensamente il dolore altrui. Sono passati 8 anni da quando lo piansi perché mia madre mi disse che al tg parlavano della morte di De Andrè. La vita mi aveva fatto il dono di intervistarlo tre volte (Forlì, Riccione e Rimini) e la beffa di essere stato invitato a casa sua e non esserci andato. Con Enrica, infatti, c'invitò a passare una decina di giorni a Tempio Pausania in Sardegna dove viveva con Dori Ghezzi. A noi non ci sembrava vero e ovviamente accettammo. Poi, per le solite ragioni di cui non si conosce la ragione, non ci andammo. Oggi il rammarico è davvero tanto. Parlammo liberamente quella notte e l’intervista si trasformò in un bellissimo scambio di parole, fluido, in quel post concerto notturno nel back-stage del Palazzetto dello sport di Rimini. Poi passarono alcuni mesi e nel silenzio Fabrizio era in ospedale. Quel giorno, era un lunedì, per un attimo, per un periodo imprecisato il tempo e la memoria si sono arrestati su quella voce e su come colpiva e scolpiva con le parole l’anima di chi le ascoltava.
Nato ricco, da una famiglia molto conosciuta a Genova (suo padre era amministratore dell’Eridania) quindi di estrazione medio-borghese per passare la vita intera a denunciarne le ipocrisie di quel vivere a lui troppo stretto e poco incline alla misericordia umana. Un magnifico borghese, sipotrebbe definire, che tradì le sue origini sociali per cantare in chiave trobadorica medievale di prostitute, disertori di guerra, amici fragili, barboni, indiani uccisi da “un generale di 20 anni con occhi turchini e giacca uguale e figlio del temporale”. Un artista che ha sempre avuto la percezione netta che il mondo era ingiusto e ottuso e per questo ci commuoveva metteva in parole e musica “La buona novella” o “La cattiva strada” o “La guerra di Piero”, quando in quella quartina dove il soldato sceglie di morire piuttosto di uccidere: “E se gli sparo in fronte o nel cuore\soltanto il tempo avrà per morire\ma il tempo a me resterà per vedere\vedere gli occhi di un uomo che muore\. Non mancano certo gli esempi per dimostrare perché Fabrizio De Andrè è il più poeta dei cantautori. Ma non solo quelli italiani, anche quelli americani come Bob Dylan o Leonard Coehn (canadese) o Georges Brassens (francese). Dov’è arrivato lui, gli altri non ce la faranno mai, almeno io la penso così. Nessun altro autore ha saputo cantare così civilmente l’odio per l’inciviltà del nostro tempo, il cinismo e l’indifferenza che hanno invaso questo mondo. Detestava le maggioranze (come non capirlo) e le loro capacità di fagocitare i sentimenti per poi anestetizzarli. Amava la notte (come non capirlo) e in lei ci si perdeva lavorando, scrivendo, bevendo, fumando, lavorando, incidendo, per poi svegliarsi alle quattro del pomeriggio. Quelle poche volte che ho avuto occasione d’incontrarlo mi ha sempre colpito come con le sue parole mi spiazzava, mi metteva in condizione di non riuscire a replicare ad ogni sua affermazione. La verità umana è cangiante. E questa sua lucida cognizione della ferocia dei vincitori, piuttosto che ispirargli rabbia e impotenza accendeva la sua potenza narrativa e dilatava la sua dolcezza. Trovò la forza di cantare l’esperienza del sequestro vissuta con sua moglie Dori, percependo la debolezza finale dei suoi aguzzini e, per questo motivo, perdonandoli. L’ascolto di quelle ballate, di quei versi, di quella voce così profonda e tersa, è la grande compagnia che ci ha lasciato. Per ora. E su questo terra.

Fonzie all'attacco di Nanni Moretti
"Happy Days non era qualunquista"

di Michele Serra - Repubblica

E tu, stai con Fonzie o con Nanni Moretti? Prima che qualche malintenzionato si impossessi di un quesito così nevralgico per le sorti della sinistra italiana, facciamolo nostro. Dichiarando subito (nello spirito di Caserta) che noi stiamo con entrambi. Fortemente con entrambi. La cronaca. In Italia per lavoro, l'indimenticabile Fonzarelli (al secolo Henry Winkler, oggi uno splendido sessantenne) è stato intervistato dal settimanale Chi. Che gli ha sottoposto una frase caustica di Nanni Moretti sui dirigenti della sinistra italiana.

Che ti puoi aspettare da chi è cresciuto guardando Happy Days? Fonzie ha risposto da par suo, anzi meglio. In tipica azione di contropiede, ha collocato Happy Days e i suoi fan nel bel mezzo del Movimento: "Alle convention di Happy Days si manifestava contro la segregazione degli afroamericani e a favore dei portatori di handicap. Ho sempre appoggiato Bill Clinton e ora sostengo Hillary. Sono un uomo di pace, amo il mio paese ma non la politica di George Bush".

Se non è egemonia culturale della sinistra questa... Non solo nei cineforum, ma perfino nelle fasce più pop dei palinsesti si praticava, già in pieni anni Settanta e Ottanta, il più sfrenato politically correct. Di Robin Williams, quando giovanissimo faceva Mork di Ork ("Io sono Mork, sull'uovo vengo da Ork") già si sapeva che, in quanto alieno e dunque immigratissimo, era portatore di istanze democratiche. Ma di Fonzie, che ci pareva soprattutto un divertentissimo cazzaro, veniamo a sapere solamente in extremis che era ed è impegnato politicamente. Pazienza: quello che conta è chiarire una volta per tutte che la cultura di massa è un mare magnum che contiene, al suo interno, veramente di tutto, dall'eccellente artigianato di parecchi serial americani a piccoli capolavori come i Simpson. E un'infinità di porcherie, naturalmente. Uno tsunami di robaccia.

E dunque formarsi davanti a un televisore, a patto che consenta di guardare almeno ogni tanto fuori dalla finestra, leggere qualche libro e qualche giornale, non è in sé una garanzia di perdizione. Se alcuni dirigenti della sinistra danno la netta impressione di avere qualche neurone scarburato la colpa probabilmente non è di Fonzie, quanto piuttosto dell'accumulo nocivo, decennio dopo decennio, di riunioni non sempre utili, in stanze non sempre aperte ai refoli della primavera e alle voci della strada. Ne ha ammazzati di più la stesura di una mozione, e peggio ancora degli emendamenti a una mozione, piuttosto che l'intera serie di Nonno Libero.

Certo la questione del rapporto tra cultura alta e bassa si è complicata, negli ultimi anni. O per cinismo o per stupidità (spesso è impossibile distinguere i due moventi...), è diventato molto di moda lodare in blocco la melma e la fuffa televisiva, i tormentoni e i ritornelli, e di conseguenza schifare e deridere tutto quanto puzza di kultura. Ed è considerato molto spiritoso, per dire, dichiarare che l'incredibile Hulk ha meglio operato, per l'emancipazione dell'umanità, di Kant o di Benedetti Michelangeli. Di qui, per dignità, la nostra intatta difesa dei cineforum, e addirittura (lo dico! lo dico!) la rivendicazione della grandezza assoluta della "Corazzata Potemkin": no, non era una boiata pazzesca. Era un capolavoro, compagno Fantozzi.

In conclusione, stare sia con Fonzie sia con Moretti non significa dare il classico colpo al cerchio e alla botte. Significa, credo, saper distinguere, o comunque provare cocciutamente a farlo. Lo stesso Nanni Moretti, per altro, ha dato molteplici prove di conoscere e amare diversi aspetti della cultura di massa, comprese alcune delle canzonette sgangherate (alcune belle, alcune sgangherate) che accompagnano i suoi film. Perché poche cose commuovono (lo diceva anche Proust) come le cattive canzoni. E il cast di "Ecce bombo" quasi al completo, se l'Italia fosse l'America, sarebbe stato l'eccellente protagonista di una serie di telefilm indimenticabile, compreso il famoso e invisibile amico etiope.

Tenendo ben presenti le differenze di calibro, le diverse (come dire?) temperature intellettuali di Happy Days e di Ecce Bombo, decidiamo dunque di annetterceli entrambi. Perché non è vero che bisogna amare sia il "basso" che l'"alto". Bisogna, potendo, amare il meglio dell'alto e il meglio del basso.

15.1.07

Manca l'acqua beviamo Negroni

Satira Preventiva di Michele Serra (L'Espresso)

Come affrontare gli sconvolgimenti del clima e la desertificazione del pianeta? L'amministrazione Bush, accusata di scarsa sensibilità ambientale, in realtà ha preparato da diverso tempo un piano molto accurato. Prevede misure molto severe di risparmio idrico, la più drastica delle quali è la riduzione dei campi da golf da 18 buche a 17. Ma soprattutto, il governo americano intende rovesciare la mentalità negativa in materia di catastrofi, e vedere nella desertificazione un'occasione irripetibile di sviluppo economico.

Turismo La creazione di vaste zone desertiche anche in paesi temperati, come la Spagna, la Francia e l'Italia, permetterà la nascita di una fiorente attività carovaniera. Per spostarsi in cammello da Roma a Parigi, per esempio, ci vorranno almeno 50 giorni, con aumento smisurato delle spese di pernottamento nelle oasi. La biada e le carote potranno raggiungere i 50 dollari al barile. Ma gli esperti americani assicurano che anche altri settori potranno avere uno sviluppo insperato: la grande disponibilità di sabbia a basso prezzo, per esempio, fa prevedere un boom nella produzione di clessidre. Bene anche i documentari sui serpenti a sonagli, che potranno essere prodotti anche a Rieti o a Tolosa. A ruba, in tutte le Borse, i titoli delle aziende di pompe funebri.

Abbigliamento e accessori È in questo settore che gli americani prevedono un vero e proprio boom, tale da rilanciare decisamente l'economia globale. "È vero", si legge nel rapporto, "che la popolazione mondiale sarà dimezzata in cinquant'anni da sete, fame, pestilenze, guerre per l'acqua, scorbuto e attacchi di predoni. E che, dunque, il mercato sarà ridotto del 50 per cento. Ma questa diminuzione dei clienti sarà compensata da una diffusione oggi quasi impensabile di capi di vestiario finora solo di nicchia. Chi potrà fare a meno del fazzoletto con le quattro cocche da tenere sul capo sotto il sole cocente, o delle speciali ginocchiere Nike per avanzare carponi sulla sabbia rovente?". Quanto all'altra metà della popolazione mondiale, che dovrà sopravvivere in zone alluvionate o definitivamente sommerse, prevedibile il boom delle piroghe, delle maschere con boccaglio, dei batiscafi (finora riservati a una ristretta élite di studiosi, saranno necessari per rincasare) e dei costumi da tritone e da sirena per uscire la sera.

Venezia Innamorati di Venezia, i turisti americani non vedono l'ora di visitarla nella nuova veste subacquea. Nelle simulazioni al computer, piazza San Marco appare splendida come sempre, con la sola differenza dei branzini al posto dei piccioni. Prezzi proibitivi nei bar: da Florian una bombola da sub shakerata, aromatizzata al Martini e con una fettina di limone, costerà fino a 300 euro. Divertenti le olive zavorrate. Suggestive le gondole sommergibili, con il gondoliere che indossa il caratteristico scafandro a righe bianche e blu. Deludenti le gite in vaporetto sopra una distesa di acqua stagnante, chiusa a nord dalle Alpi e a ovest dalla flotta americana ormeggiata a Milano.

Hollywood L'industria del cinema avrebbe preferito una nuova glaciazione, considerata più spettacolare per via dei mammuth e soprattutto dei pinguini che sono molto più di moda dei cammelli, e meno sindacalizzati. Ma anche la prospettiva di un'estinzione dell'umanità per disidratazione è considerata uno scenario molto stimolante dall'industria dell'entertainment. Tra i progetti già avviati: 'Babbo Natale nel Sahara', spiritosa commedia con Santa Claus che costringe i beduini a indire libere elezioni votando le sue renne presidente della Repubblica. 'Sfida a Bukur', primo western ambientato nello Yemen, con gli indiani, i cow-boy, la diligenza e tutto quanto identico, "tanto chi se ne frega", spiega ridendo il produttore. E infine 'Drink!', geniale apologo nel quale si invita l'umanità a risparmiare le riserve idriche bevendo solo Negroni.

13.1.07

Lo spettacolo del male

di Michele Serra - Repubblica

Una madre scarmigliata leva il coltellaccio sul suo bambino: sta per ucciderlo e darlo in pasto, sotto forma di spezzatino, agli avventori della sua trattoria. Un padre disperato non sa come sfamare i suoi figlioletti: per levarsi di dosso l'impotenza e l'umiliazione li strangola entrambi. Sono due delle storie (vere) messe in scena da Paolo Poli nel suo ultimo, ferocissimo eppure comicissimo spettacolo teatrale, ispirato alle cronache italiane di questo secolo così come le hanno raccontate sei grandi giornaliste e scrittrici.

Il noir appare qui trasfigurato dallo sguardo favoloso e beffardo di uno dei teatranti più caustici (ed eleganti) mai visti in scena. Eppure, allo spettatore appena uscito dalle raffiche di orrore delle cronache, il teatro di Poli offre, tra cento altre cose, l'occasione per una riflessione non fugace su uno dei sentimenti più diffusi di questi giorni, specie attorno al macello spaventoso di Erba.

Il sentimento è quello di una inedita e raccapricciante qualità del male a noi contemporaneo, sbocco inevitabile di una società sempre più destrutturata e per definizione "senza valori". Ebbene, i fatti innominabili (infanticidio, cannibalismo...) narrati da Poli risalgono al principio di questo secolo, ravvivando la memoria, parecchio sbiadita, di quando l'efferatezza e la sopraffazione avevano per motori specialmente l'ignoranza e la fame, e la brutalità di rapporti sociali parecchio ferini, ancorché sorretti da "valori" ancora molto solidi, per esempio quelli della civiltà contadina, per esempio quelli della sottomissione sociale alle classi "superiori" o alla Chiesa.

Quanto ai conflitti tra vicini, basterebbe la ricca casistica delle violenze rurali per sapere quanto spesso il coltello, il randello e il fucile hanno preteso di risolvere convivenze ostili. Oppure riaprire pagine di tenebrosissimo degrado sociale, come la compravendita degli orfanelli, come la larga diffusione dell'incesto nelle famiglie patriarcali dell'Italia contadina, eccetera eccetera...

Chi, poi, ami attardarsi nella riflessione molto contrita e molto pentita sul Novecento fonte di ogni efferatezza politica, sempre nel teatro di Poli (ma ovviamente in infiniti altri luoghi) potrà trovare qualche illuminante notizia sulla scelleratezza, il sadismo e la pazzia ideologica degli evi antecedenti: sette cristiane purificatrici prevedevano, per tutelarsi dalle insidie del sesso, l'auto-evirazione, e pazienza, ma spesso provvedevano a evirare (per salvarli!) anche passanti non esattamente volontari...

Il sospetto, dunque, è che l'angosciosa percezione di un salto di qualità del male e della violenza sia dovuta soprattutto a una assai più diffusa conoscenza di crimini sempre avvenuti, ma solo oggi diventati materia prima quotidiana di un sistema mediatico cresciuto in maniera esponenziale. Ogni frammento di orrore viene ingigantito, ogni urlo di dolore amplificato, su ogni singola variazione attorno all'orrendo tema della violenza dell'uomo sull'uomo vengono allestiti fluviali dibattiti. L'esile scia di sangue che i cantastorie trascinavano per piazze e villaggi è diventata il mare di sangue che esonda dal video: ma è sempre lo stesso sangue, probabilmente anche la stessa dose pro-capite, solo con un rendimento "narrativo" moltiplicato per mille, per un milione, per un miliardo di volte.

La vera novità è dunque che sappiamo. Che vediamo. Che sentiamo. E su questo dovrebbe svilupparsi la vera discussione. Perché se è vero, anzi è quasi ovvio, che una coscienza diffusa del male, una rappresentazione non censurata e non moralistica dei delitti, fanno parte dei diritti di una società matura, e che sono in genere le dittature a oscurare le cronaca nera; è anche vero che ciò che chiamiamo "informazione" è anche, e al tempo stesso, un gigantesco spettacolo e un mercato mondiale immenso (veicolo fondamentale della pubblicità).

L'attrazione per le storie fosche e crudeli, fin dai primordi della cultura orale e scritta, è una delle componenti forti della psicologia popolare. Ma siamo sicuri che l'impatto enorme e oramai incontrollato del delitto nell'informazione di massa, il proliferare di veri e propri format televisivi attorno ai fatti di sangue, il pullulare di "esperti" e criminologhi e opinionisti che paiono interessati a ingigantire i fatti anche per ingigantire il loro potere professionale e i loro cachet; siamo sicuri, dicevo, che tutto questo obbedisca solo al dovere di cronaca, al bisogno di conoscenza e di trasparenza, insomma ai diritti dell'opinione pubblica?

Oppure l'opinione pubblica, se interpellata, preferirebbe qualche zoomata in meno sulle macchie di sangue, e qualche notizia in più sui retroscena delle guerre, sui crimini "puliti" dell'economia e della politica?

Forse, ecco: la "notizia" che la bestialità, tra gli uomini, è sempre esistita, e in forme ugualmente abominevoli, potrebbe aiutare tutti, giornalisti e opinione pubblica, venditori e acquirenti della merce informazione, a calmierare leggermente il mercato del nero. Molti delitti sono remake di orrori già accaduti. Non è obbligatorio, ogni volta, presentarli come il delitto del secolo: ogni secolo, purtroppo, ne sciorina tanti quanti basterebbero a disgustare perfino il più efferato e morboso dei pubblici paganti.

11.1.07

IL BUCO DELL'ORZORO


Il buco dell'orzoro - Anche l'occhio va dalla sua parte - Anche l'ottico vuole la sua parte - Spezziamo un'arancia in favore della libertà - Scambiamoci i connotati - Ha bruciato tutte le mappe del successo - Non mettere il dito nella piastra - Non dare alito ai pettegolezzi - Eh, qui gatta ci-cogna - Ho avuto un lampo di luce - Mettiamo i bastoncini sulle 'i' - Non bisogna piangere sul latte macchiato - Non fare occhi da mercante - Tagliamo la testa al topo - Non è tutto oro quello che illumina - Dulcis in findus - De gustibus non est sputante - Affrontare le cose a spadatrak - Non posso vivere con la spada di Adamo sulla testa - Non sapevo dove andare, brulicavo nel buio - Uniamo l'utero al dilettevole - Ti licenzio sul tronco - Finchè la vacca va... - Non voglio fare da capro respiratorio - Non posso fare tutto, non ho il dono dell'obliquità - Chi più lo ha più lo metta - Il buco dell'orzoro - Le api impallinano i fiori - I cristalli di Skaroski - I giardini prensili - Le notti di pediluvio - Divieto di balenazione - Arrivano certe zampate di caldo - E all'improvviso un'onda anonima - Attenzione ai branchi di nebbia - La camicia con i vulevan - Piume di stronzo - I pantaloni a zampa di fosso - Hai preso i depilant nell'agenzia di viaggio? - Qui si batte la fiaccola - Il lavoro mobilita l'uomo - Mi sono dato la zuppa sui piedi - Ha vinto per il rotto della muffa/rotolo della cuffia - Occhio pinocchio dente perdente - Non farmi uscire dai gamberi....ma stendiamo un velo peloso - E' raro come l'araba felice - Capisce le cose a scopo ritardato - Sono scremato dalla fatica -
Non bisogna foschilizzarsi così - Sono un po' duro di comprensorio/sospensorio - E' diventata la pietra biliare - Sono il fax-totum - Mi sono uscite le orbite fuori dagli occhi

TRASPORTI

'Ministerico' dei trasporti - Gli autobus possono camminare lungo le corsie previdenziali/presidenziali - In metropolitana ci sono i tappeti rullanti - Ho sbattuto la macchina sul paraguail - La mia macchina ha la marmitta paralitica - Banchine spargitraffico - Non riusciro' a partire, c'e' lo sciopero dei voli incontinentali - Mi hanno multato per guida in stato di brezza - La mia auto ha il salvasterzo - La domenica certi treno vengono oppressi - In autostrada sono vietate le immersioni ad u - I catarro rinfrangenti - L'ambulanza correva a sirene spietate - Meno male che l'auto aveva l'iceberg incorporato - (in autobus) Scende o perseguita? - Odio il traffico, per questo prendo i mezzi pubici - Che bell'auto nuova fiammegiante

DICA 33

Sono piena di smanigliature sulle coscie - Ho un dolore in mezzo allo sterco - Ho un accesso al dente - Ho la prospera ingrossata - Quando ho la pressione bassa cado in calesse - Non posso mangiare dolci, ho l'abete alto - Sono giorni che non vado al bagno, ho una occasione intestinale - Da quando fa la dieta è diventata una sifilide - Purtroppo è nel mio carattere:sodomizzo tutto - L'adidas è la peste del secolo - Ho la spalla lustrata - Dovrò fare le cure termiche - Le vene vorticose - Devo avere le piastrelle basse - Ho lo zagarolo nell'occhio - La vena giubilare - Mi hanno prescritto i gargarozzi contro il mal di gola - E' spizzotremito - I raggi ultraviolenti - Le pupille gustative

MATERNITA'

Scusi dov'e' il reparto ginecologia donne? - I bambini devono mangiare i biscotti al plasma - Quella signora ha avuto due gemelli monozotici - Chiamate l'ostrica, mia moglie sta per partorire -

LENTI

Da vicino vedo bene, da lontano sono lesbica - E' miopia o presbiterio? - Mi mancano 4 dottrine - Non sono fotoigienica

IN FARMACIA

Aspirina: fluorescente, pubescente, evanescente, fosforescente - Il sapone clinicamente intestato - Ho una dafne in bocca - La tintura di odio - Il bicarbonato di soia - Gli isterismi della cellulite - I sandali del dottor Kilder

CULINARIA

Dolce con l'uva passera - La frittura di crampi - La birra doppio smalto - Le scorie di parmigiano reggiano - Il pisto alla genovese - Una granata di limone con panna - La pasta con le gondole voraci - A Londra mi ingozzerò di after shave - Mi metta la spesa nella busta di cefalon - Un caffè con una zolla di zucchero - Caciocavallo ammufficato - Pesche sciroccate - Il forno a microbombe - Funghi traforati/intrufolati - Zucchero al vento - Me lo avvolge nella carta spagnola - Non mangiare la cioccolata, ti vengono le eruttazioni cutanee - Ci facciamo due braciole sul beautycase? - Carta all'uminio - La pasticerria mignot - Latte pazzamente scremato/parzialmente stremato/screpolato, e a lunga conversazione

VARIE

Che fisico...fai bidi bolding? - Posso affliggere questi manifesti? - Riposiamoci e diamoci una rifucilata - Tomba ha vinto lo slavo gigante - Al TG parlavano degli ambientalisti islamici - Adoro leggere, ma solo nei rigagnoli di tempo - Ho comprato un puzzolo da '200 pezzi - Il patè d'animo - Di fronte a queste cose rimango putrefatto - Sei il non super ultra' - Stringi, non ti divulgare - Illudere la sorveglianza - Siamo agli antilopi - La forza di gravidanza - Le discriminature razziali - Quando passa lascia uno sciame di profumo - La rovina della Russia è stata la Pera storica - Per le elezioni bisogna procedere allo sballottamneto - Lo sciopero è stato rievocato - Sintonizziamo gli orologi - Quando muoio mi faccio cromare - Ho un dubbio a croce - Sono rimasto stereofatto -
C'e' peluria di operai - La polizia ha usato i gas saporiferi - Non ha il senso il senso dell'umus - Ha studiato da solo e' un auto di latta - L'album degli avvocati - Si spende bene nei boyscout - Una mandria di pesci - Le mando un fax simile - Ha lasciato le impronte digitate sulla porta - Ha la pedina penale sporca

7.1.07

FELICE ANNO VECCHIO

Domenica 7 gennaio 2007.
Dall'Eur percorro la via Cristoforo Colombo in direzione centro storico,
Roma. Sono le 12,45 quando sento un boato che proviene dalle mie spalle.
Intravedo un bolide a due ruote che sta arrivando a velocità folle. Sfreccia
sulla destra, naturalmente, e cerco di leggerne la targa. E appena rialzata
in modo che questo killer possa agire impunemente. Killer cioè assassino,
ribadisco, perchè non può essere chiamato altrimenti l'essere con casco che
sta andando a zig zag a 200 all'ora in direzione forse di Piazza Navona,
forse è una nuova versione di befana supersonica. L'essere con casco, a meno
che non sia un clone, appartiene alla nostra stessa specie Homo sapiens che,
negli ultimi anni ha aggiunto un secondo sapiens al nome scientifico di
classificazione biologica tanto per non sentirsi da meno di un gorilla o di
uno scimpanzé. Di questi bolidi killer imprendibili e impunibili ce ne sono
molti a Roma e, credo, molti dovunque in Italia. Tra l'altro, ma attenzione
non è un particolare ininfluente, immettono in atmosfera una alta quantità
di gas tossici, cancerogeni e inquinanti e una forte quantità di anidride
carbonica, la CO2 che ci regala l'ormai assodato effetto serra. Faccio
questa correlazione perchè mentre il killer se ne va follemente in giro
Radio Rai sta appunto parlando che ormai è sicuro che siamo già nell'occhio
di un ciclone di mutamenti atmosferici di cui a malapena riusciamo a
immaginare le catastrofi a venire. E già. Ripenso a quanti anni sono passati
dalla firma di un protocollo, Kyoto, che non è ancora operativo nel senso
che nessuno Paese al mondo si sogna di ridurre veramente la quantità di
emissioni nocive al clima così come solennemente firmato e ratificato.
Mi viene voglia di piangere e ridere quando sento che la gara di coppa del
mondo di sci, sulle Alpi, tra pioggia e sole è diventata una specie di gara
acquatico/equilibristica (scusate l'ingorgo di parole) con scivoloni e
affondamenti nella molliccia finta neve sparata dai cannoni. Neve che non
regge al caldo ma si spappa nonostante contenga additivi chimici
antidisgelo.
Mi vengono altre voglie quando ascolto con furore che, il governo irakeno -
stando al giornale inglese Indipendent - è pronto a varare una legge che
permetterà alle grandi multinazionali di sfruttare gli enormi giacimenti di
quel paese, nazionalizzati da anni e che arricchirono Saddam ma ora, con la
democrazia (!?!?) avrebbero potuto arricchire il popolo iracheno e farlo
star meglio dopo tanti anni di tragedie che ancora lo colpiscono. La legge,
aggiunge il giornale inglese, è stata scritta da esperti statunitensi.
Inorridisco e mi vengono in mente le voci, i cori di tutti gli esperti, i
politilogi, i politici e gli economisti che negavano con urla e lazzi che la
guerra che si stava per scatenare in Iraq avesse qualcosa a che fare con il
petrolio. Ricordo l'ineffabile allora ministro degli esteri con la sua
faccina pulita che esaltava la guerra lampo di Bush."Abbiamo sgominato un
dittatore senza colpo ferire, o quasi. Alla faccia di quegli pseudo
terroristi dei pacifisti" furono i cori entusiasti di chi poi mandò un pugno
di soldati italiani a rischiare ogni giorno la morte ( e non solo
rischiarla) in quel dannato paese di sabbia, sole, nebbia e vento. Oggi,
inizio 2007, si muore come mosche in Iraq, si va come pazzi in motocicletta,
si va come pazzi in giro a spendere euro e spandere CO2 in aria, si va come
pazzi dietro ai più pazzi del mondo che governano il Pianeta Terra. Tutti
felici, tutti contenti. In Italia un po meno ma, si dice, vedrete: la
ripresa ci sarà.

3.1.07

PARENTI SERPENTI

Daniele Luttazzi sul suo sito


Sul Corriere Magazine oggi in edicola, Sabelli Fioretti intervista Davide Parenti, l'inventore delle Iene. Riporto il passo che mi riguarda:

Hai detto:"Daniele Luttazzi è diventato un eroe, però in realtà se tornasse indietro non lo rifarebbe più" ( 1 )
PARENTI: Luttazzi è un'intelligenza formidabile. Però ha una serie di difettucci, per esempio se tu gli copi una battuta, il giorno dopo fa l'inferno. ( 2 )
Chiunque lo farebbe.
PARENTI: Tutti rubiamo tutto. Noi due abbiamo fatto insieme Barracuda rubando a Letterman. ( 3 )

Glossa 1:

Le Iene non fanno satira, ma giornalismo con sfottò: e lo sfottò è reazionario. Da quando lo dico, Parenti non perde occasione per sfruculiare, anche in modo pesante. Per cui Sabelli Fioretti lo provoca ricordandogli una sua uscita infelice all'epoca dell'esordio di Matrix.

Ricordo bene quell'episodio. Per l'occasione, Io Donna, settimanale del Corriere della Sera, intervistò Mentana e Parenti, co-autore del programma. A un certo punto, i due sostengono che a Satyricon intervistai Travaglio senza rendermi conto del danno economico che me ne sarebbe derivato e che se me ne fossi reso conto non lo avrei fatto dato che ci tengo ai miei soldi! Prego?

Replicai con una lettera micidiale delle mie:
“E’ tipico dei mascalzoni farsi beffe di una vittima sostenendo che in fondo il sopruso le è convenuto; ed è patognomonico della morale corrente che in questi cinque anni in tanti abbiano usato questo argomento per mettersi in luce presso il Grande Prepotente di cui essi sono a libro paga; ma le calunnie dette contro di me da Davide Parenti ed Enrico Mentana a Guia Soncini ( “Torno dopo il tg”, io Donna, 20 agosto 2005 ) raggiungono, credo, un nuovo zenit di carognaggine. Secondo costoro, che non mi conoscono affatto, la mia intervista a Marco Travaglio nel 2001 a Satyricon fu un accidente nel quale incappai per caso, “anche se poi Luttazzi ha capito che tanto valeva cavalcarli e fare l’eroe civile”. Parenti:- E’ così attaccato ai soldi che se avesse capito che ci rimetteva anche solo centomila lire…- ( A differenza, par di capire, di Parenti e Mentana, che se da anni macinano miliardi sulle reti di Berlusconi evidentemente è perché non sono né tirchi, né sprovveduti, né opportunisti come il sottoscritto.) Ai due conviene ignorare che c’è anche chi certe cose le fa, pur consapevole dei danni che dovrà subire, solo perché la sua coscienza glielo impone. E’ bello averne una. “

Parenti risponde che intendeva dire altro; la Soncini ( ex-pupilla di Ferrara al Foglio ) si chiama fuori, allarmata dall’aggettivo patognomonico; Mentana dopo un mese mi incontra per caso in giro per Roma, mi chiama e mi tende la mano, imbarazzato. Mi dice che lui non c’entra nulla: ha fatto tutto Parenti, ma è stato frainteso dalla sintesi della Soncini. Poi mi chiede se può telefonare a Parenti per passarmelo. Ok. Parenti si scusa: “ Daniele, che piacere mi fa questa telefonata, tu non sai, ero in Francia quando è uscito l’articolo, mi ha telefonato Andrea Pezzi incazzato per questa cosa, io quella notte non ho dormito…”. Mi conferma: voleva solo dire che sa quanto sono indipendente. E allora perché non lo ha detto? Comunque gli dico che stia tranquillo, per me è tutto chiarito. Mentana mi saluta così: “Daniele, se vuoi venire a ‘Matrix’, quando vuoi, davvero.” Ringrazio, ma faccio presente che non posso andare a casa di chi mi ha fatto cacciare dalla Rai; e che, dopo tutto quello che ho detto di Berlusconi, non sarei credibile. Mentana: “Allora ne fai una questione di coerenza.” “Già.” “E io la rispetto”. Vorrei anche vedere.

Glossa 2:

"Il giorno dopo fa l'inferno". Gli mando ogni volta un sms dove lo ringrazio del fatto che i suoi autori usano in tv le mie battute, visto che io ormai non posso più farlo ( per colpa del suo padrone ).

Questi saccheggiano, ma il "difettuccio" è il mio che me ne accorgo!

E questo, bontà sua, è solo uno di "una serie di difettucci". Meno male che c'è Parenti a ricordarmi che non sono perfetto. Potrei montarmi la testa e credere di essere Parenti.

Glossa 3:

Precisiamo: Barracuda era la versione italiana del Letterman, su questo non ci piove; ma le cose che facevo io erano le mie ( monologhi, battute, sketches come la sindone di Martina Colombari ), mentre le gags con gli ospiti, cui contribuiva Parenti, erano spesso prese dal Letterman. Unicuique suum.

Lo stile di Parenti è illustrato alla perfezione dalla trovata del test sulla droga ai parlamentari ignari. Sabelli Fioretti gli chiede:
Perchè l'avete pubblicizzato prima?
PARENTI: Si potrebbe anche pensare che fosse una grande paraculata perchè era la prima puntata e avevamo bisogno di una notizia forte che ci desse attenzione. E in effetti è stato così.

" In effetti. " Paraculata al cubo:
primo perchè hanno fatto credere che il test evidenziasse la contraddizione di quei parlamentari che si dicono contro la droga e poi ne fanno uso. Essendo il test anonimo, era inservibile a questo fine;
secondo perchè hanno strumentalizzato ai fini dell'audience un tema serio e vero;
terzo perchè hanno fatto il test ai parlamentari, senza farlo anche a se stessi. Se siete per la liberalizzazione, ragazzi, dov'è il problema?