7.2.09

LA SCALETTA DEL MIO INTERVENTO A CASA POUND

da Valerio Morucci

· Carcere oggi è un’idea di contenimento ma anche di recupero devianza sociale

· Ieri con le stesse mura era un’altra idea. Le mura sono il contenitore dell’idea carcere
· Una domanda da porsi può essere quanto le mura influenzino comunque l’idea. Penitenziario=penitenza, pena=sofferenza: non è scritto da nessuna parte. E’ nelle mura?
· Concordo con chi nel passato ha sostenuto che le nostre idee, scelte e azioni, sono sì libere ma entro un quadro di fondo storico, culturale, politico
· Sarebbe perciò necessario riandare con giudizio critico a idee, scelte e azioni maturate in una diversa cornice storica. Soprattutto se hanno procurato tragedie
· Sono qui come uno che ha ferocemente discriminato e ora è discriminato: non uomo ma ex-terrorista, non il presente ma il passato
· Ma, soprattutto, sono qui come vostro nemico
· Vostre soluzioni di fondo per liberazione (o con Jefferson: per garantire la ricerca della Felicità) opposte alle mie idee
· Idee: non faccio più politica, scrivo libri
· Rappresento solo me stesso e la mia storia; che ha il suo peso in quello che dirò
· Decisione facile, scelta meno. Ostracismi e condanne di tradimento
· Non ne ho tenuto conto - Ho la mia strada
· Però discorso difficile: molte sensibilità, molti piani di coinvolgimento. Troppe tragedie, troppi morti. Non c’è solo il passato ma anche il presente. Necessaria attenzione. No parole fuori luogo
· Sto combattendo battaglia per libertà di parola e contro ogni tipo di discriminazione
· Mai avuta abitudine non dire ciò che penso perchè ritenuto contro la mia parte. Mai ciecamente in una parte. Mai abdicato a libertà di pensiero, e di critica. La libertà non è mai contro la propria parte, se è davvero per la libertà. Critica a omicidio Rossa scritta su mio ultimo volantino BR.
· Io che ho ostracizzato vengo a dire che nessuno deve essere ostracizzato
· Nessuno può essere escluso dal consesso sociale. Anche se è recluso non è escluso.
· L’esclusione porta a discriminare fino al punto di cancellare l’altrui identità.
· Fino al punto di rendere nulla la dignità umana del nemico
· Fino al punto di poterlo uccidere per la sua semplice appartenenza al gruppo nemico
· Poterlo uccidere senza alcuna remora perché lo si è escluso dal genere umano riconosciuto
· Una sottospecie, uno scarto. Insetti preferibilmente. Bacarozzi è il termine
· Negli anni ’70 io ho aderito a questo schiacciamento nel nulla del nemico
· Ed è l’adesione a questo modello di annullamento del nemico che ha portato alle decine di uccisioni degli anni ’70
· E sono qui per dolermi di avervi aderito. Per compiere questo gesto che non è per me pratico ma intellettuale. Una sfida
· Non sono qui per fare storia, ma semmai per cercare di dire cosa secondo me c’era sotto
· Si dice che tra ‘rossi’ e ‘neri’ ci sia stata una guerra. Io credo di no. Non ha seguito le regole della guerra. Non si è ucciso il nemico che si aveva di fronte, ma anche nemici presi a caso nella strada
· Non era una logica di guerra. Più di ‘pulizia etnica’ verso un gruppo visto dalla lente di un razzismo ideologico
· Questo è ciò che avvenuto dalla mia parte. Quanto gli stessi schemi abbiano guidato le azioni dall’altra parte non sta a me indagarlo
· Io sono qui a riconosce la dignità di uomini ai miei nemici
· Per dire che se vi si può affrontare come nemici, non si può più avere come obbiettivo il vostro annullamento come esseri umani
· Qualsiasi avversario deve sempre godere del riconoscimento di dignità umana
· Non riconoscerla è razzismo, è logica di annientamento, di pulizia etnica o politica. Campi di sterminio e foibe
· Annientare, o discriminare, l’identità dell’altro non può essere considerato un ‘percorso identitario’: è razzismo
· La violenza che ne scaturisce è una violenza non umana, che non può mai essere considerata ‘giusta’
· Non riconoscerla ha portato alle più grandi tragedie dell’umanità. La disumanità parte da qui. Non da quel che si fa all’altro ma, prima, da ciò che gli si toglie
· Credo che i nostri percorsi su questa terra siano complessi e che, bene o male, seguano una strada. Io sono stato contrario all’uccisione di Moro perché era un prigioniero. Cioè, per me, un nemico inerme. In quella condizione prevaleva sul suo essere nemico il suo essere uomo, la sua dignità di uomo. Alla sua attività di politico la sua premura di uomo per la famiglia. Non si può uccidere un prigioniero. E’ un atto disumano anche per chi ha già scelto di uccidere i propri nemici
· E queste sono le parole messe sopra a un rigurgito della coscienza. A un malessere fisico per quello che stava avvenendo. Poi la ragione ha seguito la coscienza. E al termine di una lunga e perduta battaglia per cercare di riportare indietro la macchina di morte delle BR, ho condannato l’omicidio di Guido Rossa. Perché era disumano e aberrante uccidere un operaio. Non solo uccidere il nemico, ma uccidere dalla propria parte. Doppiamente aberrante
· Questo, nel suo senso di fondo, è quello che avrei voluto dire agli studenti della Sapienza. E infatti l’incontro era su “Cultura violenza memoria”
· Il Rettore Frati non si è curato di sapere cosa avrei detto. E, in effetti, non avrebbe dovuto curarsene affatto. Perché c’è libertà di insegnamento e non poteva censurare le scelte di un professore. Perché io non sarei dovuto andare all’Università ‘malgrado’ fossi stato un assassino ma, al contrario, proprio per quello.
· Perché le Università sono luoghi di vaglio di esperienze, informazioni, testimonianze al fine di formare i saperi, le conoscenze. Dati né negativi né positivi, né rossi né neri né bianchi. Lo scarto è nel vaglio, nel confronto. Le Università o sono luoghi di sfida delle convenzioni, del già acquisito o non sono niente. Sono morte
· Le Università sono luogo sacro. Come lo erano le chiese che davano ricetto agli assassini
· E infatti leggendo i Vangeli risalta che il punto di vista di Cristo è sempre quello dei carnefici, dei peccatori
· A questo punto spero che si capisca perché sono qui. Perché cerco di dare voce e argomenti alla battaglia di libertà di parola, di espressione, di critica. Per tentare di fermare la deriva di discriminazioni e razzismo