CRONACA DI UNA SERATA DEL 2005
di Claudio Sabelli Fioretti per il Magazine
Diciamolo: c'è anche un piccolo attimo di tensione. È quando ho la pessima idea di poggiare il mio zainetto nero contro il muro del villino di Maria Angiolillo e mi allontano. Sono proprio un deficiente. Esce il maggiordomo asiatico preoccupato e dice educatamente: «Lo zainetto. Può spostarlo?». Il maggiordomo asiatico è saggio. Fra qualche minuto arriverà il ministro degli Interni, mica bruscolini. Il maggiordomo asiatico è piccolo ma ben piazzato. Mi ricorda quel tipetto che in Goldfinger lanciava la sua bombetta, arma terribile, capace di tranciare la testa a chiunque.
Per tutta la serata, dalle nove a mezzanotte il maggiordomo asiatico sarà il mio unico punto di contatto con Maria Angiolillo, vedova del mitico Angiolillo, proprietario del Tempo di Roma, quando il Tempo era un giornale famoso, autorevole, luogo di grandi firme e grandi giornalisti. Comincia così la mia prima esperienza di giornalista embedded, incastonato nel più importante rito della mondanità politico-economicoecclesiastico- giornalistica romana, bivaccando davanti al portone che una volta al mese 35 vipponi oltrepassano per presentarsi al desco del salotto più famoso d'Italia, apparentemente per mangiare e conversare amabilmente, in realtà per recitare la parte di coloro che decidono le sorti di questo nostro angosciato Paese.
Sommo officiante del rito è Umberto Pizzi, fotografo di Zagarolo, il quale insieme al fratello Mario, aspetta davanti al portone i vipponi e li blocca sui megapixel della sua Nikon. Sono quattro anni che Pizzi partecipa a questa sceneggiata. Qualcuno a volte protesta ma i più lo considerano parte del programma. Romiti, Fini, Prestigiacomo, Rossella, Calabrese, Tatò, Raule, Gasparri, D'Urso, Scajola, Andreotti, Bongiorno, Del Noce, Pera, Buonamici: la Roma che conta, una volta al mese, si attovaglia, come direbbe Dagospia, attorno ai tre tavoli da dodici dell'anfitriona Angiolillo. Ma prima e dopo la cena, come fosse un antibiotico, si beccano il Pizzi.
Ed io sono con lui, stasera, tra la sorpresa degli illustri invitati. Mentre li aspettiamo (arriveranno, alla spicciolata, scendendo una ventina di gradini, a partire dalle nove), Umberto mi spiega qualche particolare del rito. Le donne arrivano quasi sempre per prime, spesso single, elegantissime. Gianni Letta, Francesco Caltagirone e Sandra Carraro ci sono praticamente sempre. Abbonati.
Gianni Letta è solito arrivare per ultimo. Solo a lui è consentito il ritardo, gli altri vengono sgridati. I cuochi arrivano da fuori. Davanti al portone staziona un maresciallo in pensione a garantire l'ordine pubblico. Gli invitati vengono preceduti quasi sempre dal fioraio che porta tre composizioni floreali per il centro tavola. Ma come fai, dannato Pizzi, a sapere sempre la data della cena?
«Questi sono segreti professionali», spiega il Robert Capa della Ciociaria. «Maria ci patisce. Non è mai riuscita a scoprire la spia. A volte è l'argomento principale della conversazione». Una volta, durante una cena a metà fra un'autocoscienza e una simpatica serata nei sotterranei della Stasi, misero in mezzo il povero Mario D'Urso, convinti che la talpa fosse lui. E lui se la prese con Pizzi. «Ma io non cederò mai. L'ho detto anche a Maria: te lo dirò quando andrò in pensione chi è la spia».
L'occhio vigile di Umberto si agita. La Nikon freme. Arrivano. Non sono nemmeno le nove. È Ademaro Lanzara, vicepresidente della Bnl. Deve parlare con Maria e si ritaglia una decina di minuti. Ma prima spiega a Pizzi: «Stasera poca gente e poche donne». Alle 21 in punto arriva l'«antipatico» Maurizio Belpietro, direttore del Giornale. Si meraviglia di vedermi. A tutti darò la stessa spiegazione alla quale gentilmente faranno finta di credere: «Sto scrivendo un libro su Pizzi». Arriva Consolo, l'avvocato di An. Mi guarda perplesso e poi si ricorda che l'ho intervistato qualche anno fa. Poi Sandra Carraro, Francesco Caltagirone, Antonio Polito.
Un momento di imbarazzo. Tre turisti di Germania, dio stramaledica i tedeschi, gonfi di birra, si piazzano davanti al portone di villa Angiolillo, si aprono la patta, tirano fuori l'apposito arnese e - scusate, è solo per completezza dell'informazione - pisciano. Ettolitri. Esce il maggiordomo asiatico, protesta inutilmente e poi in perfetto slang di Tor Pignattara, si esibisce in un sonoro vaffanculo.
Gli arrivi si susseguono. Sempre più potenti. Vagas (sottosegretario di Tremonti), Beretta (Confindustria), Bruno Vespa e signora che passano oltre come Magnaschi, direttore dell'Ansa. Ferruccio de Bortoli, in grande spolvero di fisico e di abito. Si ferma e ci chiede: «Siete una nuova coppia?». Alle nove e venti cominciano a calare giovanotti neri con occhiali neri, vestiti neri e tubini che escono dagli orecchi. Guardie del corpo. Cinque. Preannunciano l'arrivo di Pisanu con signora. Buonasera ministro. Silenzio. Pizzi mi aggiorna: è di poche parole. Quando la moglie rimane indietro la chiama: «Aiò». Un vero pastore.
Ecco De Bustis, Deutsche Bank. Siamo quasi al completo. Con un certo ritardo arriva Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera. Ultimo, come al solito, Gianni Letta. Gentilissimo, come al solito, rallenta per favorire il fotografo. Fine del primo tempo. Gossip: sembra che Magnaschi stia dicendo a Maria Angiolillo: «Ma che fai, lasci fuori della porta Sabelli Fioretti?». E lei, splendida, ineffabile: «Ma chi la conosce questa Isabella Fioretti!». E dà inizio alla cena. I magnifici diciotto si siedono attorno ad un tavolo ovale e fanno fuori paté di foie gras, faraona con farro castagne e patate, ricotta con miele, spumone di nocciola.
A destra di Maria si siede Pisanu, a sinistra Letta. Si parla di Lapo, naturalmente. Consolo lo accusa e Beretta lo difende. Pisanu anticipa che la riforma elettorale passerà alla grande. Tutti si dichiarano contrari alle quote rosa. Vegas si esibisce in tagli alla finanziaria. Sandra Carraro cerca di scoprire se qualcuno ha visto la trasmissione di Claudio Martelli e rimane delusa quando si accorge che è la sola ad essersela sorbita tutta. La serata è moscia. Finita la cena si sale in salotto. Massimo Franco monopolizza Pisanu in un salottino. In un altro salotto si forma un crocchio comandato da Vespa e Letta che hanno fatto i «padroncini» per tutta la sera.
Sotto casa, seduto su un muretto, embedded a stomaco vuoto, sogno insieme a Pizzi una pizza. Mi dice: «Da un po' di tempo il salotto si sta insinistrando». Chissà perché. «Prima veniva invitato solo Bersani. Adesso arrivano Fassino, Enrico Letta, Rutelli, Veltroni, Polito, perfino Bertinotti». È stata invitata anche la signora Ciampi, ma da sola e a pranzo. Non si vedono più Dell'Utri, Bossi, Castelli, Jannuzzi. Non devono essersi divertiti troppo.
Comincia l'esodo dei supervip. Alle 23,30 esce Caltagirone e mi viene incontro. «Mi han detto che qua sotto c'era il famoso Sabelli!». Sono una persona a modo e ringrazio. Esce Pierluigi Magnaschi. Mi abbraccia e mi bacia. L'impietoso e bugiardo obbiettivo di Pizzi ci consegnerà alla storia delle coppie di fatto come sull'orlo di un appassionato french kiss. «Te ne vai con grandi notizie?», chiedo da gran furbetto. Lui è all'altezza: «L'Ansa le notizie non le trova, le porta». Escono alla spicciolata e si fermano a parlare.
Mi spiega l'arguto paparazzo: «Quando entrano sono scortesi e distratti. Quando escono sono gentili e disponibili. Soprattutto se il cibo è stato cattivo e il vino buono». Arriva Consolo. Chiedo: «Chi c'è ancora dentro?» «È rimasto solo Pisanu che pontifica». Esce Bruno Vespa. «È più importante Porta a Porta o il salotto della Sora Maria?» Brunello non ha dubbi: «La mia è la Terza Camera. Questa è la Prima Camera».
Via, tutti a letto presto stasera. Per qualcuno sarà una brutta nottata. Scriverà Dagospia che gli stomaci di Beretta, Belpietro, Polito e De Bustis protesteranno a lungo intasati dal paté. Io me ne vado a farmi una pizza col paparazzo di Zagarolo. Il mio stomaco embedded ringrazia.
14.10.09
18.5.09
l'unita' ha dimenticato padellaro
di Paola Setti per "Il Giornale"
Antonio Padellaro, come mai non ha mandato il suo ultimo libro all'«Unità»?
«Ah, se n'è accorta anche lei? Desolante che non ne abbiano parlato, una cosa davvero antipatica».
Insomma, lei è stato direttore per tanti anni...
«Nel 2001 con Furio Colombo lo rimisi in piedi quel giornale, altrimenti sarebbe fallito, e adesso non trovano una riga per recensire il libro dell'ex direttore che fra l'altro parla della sinistra?».
Ieri hanno trovato una pagina intera per recensire «Il mondo nuovo» di Massimo D'Alema.
«Guardi, l'Unità non versa in buone acque e io non voglio aggiungere la mia pietruzza di polemica, però è imbarazzante. Voglio dire, in "Io gioco pulito" ci sono anche gli interventi di autorevoli firme del giornale, da Marco Travaglio a Furio Colombo...».
È un chiaro boicottaggio.
«Non so cosa pensare. Ho mantenuto un rapporto di affetto con i colleghi...».
La recensione l'hanno proposta?
«Sì, ma il pezzo non è uscito. Devo pensare che sia stato un ordine della direzione».
Cioè di Concita De Gregorio, che Walter Veltroni volle al suo posto...
«Quell'intervista in cui Veltroni, da segretario di partito, annunciò il cambio, resta un caso senza precedenti. Lo avesse fatto Silvio Berlusconi noi lo avremmo denunciato e criticato».
Il suo caso è sintomatico della litigiosità interna al Pd?
«Ma io faccio il giornalista, mica il politico. Non appartengo ad alcuna corrente».
Da direttore dell'«Unità» criticò spesso la linea del Pd, però.
«Poi però me ne sono andato con un atteggiamento di grande correttezza. Se avessi polemizzato lo capirei, ma sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione su Concita».
Cercata ovunque, non c'è.
«Mi sono dimesso senza sollevare polveroni, che devo fare di più? Ne parlassero male, del libro, ma censurarlo...».
L'«Unità» di Concita le piace?
«Le mie opinioni le tengo per me. E non faccio tragedie, lamento solo una questione che è sotto gli occhi di tutti».
L'hanno recensita tutti, quotidiani e tv.
«Ne sto persino parlando con il Giornale, che certo non la pensa come me».
Il titolo «Io gioco pulito» significa che il Pd gioca sporco?
«È la politica in generale che gioca sporco, gli elettori sono sempre più propensi all'astensione».
Alle ultime politiche erano gli elettori del centrosinistra a mancare all'appello.
«È chiaro che il centrosinistra ha un problema in più rispetto al suo elettorato, calza bene la definizione di "ex voto" data da Ilvo Diamanti».
C'è anche lei fra gli esuli?
«Ho votato Veltroni con entusiasmo...».
E a giugno cosa voterà?
«Vorrei che da qui alle urne mi dessero un motivo per votare Pd, anche perché vivrei l'astensione come una sconfitta personale. La verità è che non li vedo, i motivi. E per ora sono solo arrabbiato».
Arrabbiato con Veltroni che si è dimesso? O con Franceschini?
«Il problema non è se Franceschini sta facendo bene o male... E Veltroni alle elezioni del 2008 fece uno sforzo straordinario, quel 33 per cento era il massimo risultato che si potesse raggiungere...».
Poi però il partito non lo ha seguito.
«La fusione a freddo non ha funzionato. E l'opposizione non è stata coerente e tambureggiante come gli elettori si aspettavano, ma ondivaga fra dialogo e durezza...».
I voti del Pd andranno all'Idv?
«Antonio Di Pietro dà la sensazione di fare un'opposizione più robusta».
Lui e Franceschini si beccano in continuazione.
«Spettacolo desolante, in questo momento bisognerebbe contrastare il governo con contenuti e proposte».
Invece dall'immigrazione al referendum il centrosinistra si divide su tutto.
«Le polemiche interne sono il male atavico della sinistra, manca compattezza in un momento in cui bisognerebbe fare quadrato».
Come se ne esce?
«Bisogna fare al più presto ciò che non è stato fatto dopo le dimissioni di Veltroni».
Il congresso.
«Va fatto subito dopo le elezioni. Serve un chiarimento su linea e leadership».
E le alleanze?
«La vecchia Unione è stata un fallimento perché univa forze che non avevano alcuna voglia di stare assieme, e il governo Prodi ha sprecato una grande occasione. Il problema è che da solo il Pd non ce la fa, senza alleanze non tornerà mai più al governo».
Quindi avanti con l'Idv?
«Il Pd deve scegliere fra Sinistra e Udc».
È più facile che ex Ds ed ex Margherita divorzino...
«Sarebbe un disastro, la condanna all'emarginazione. Serve una sintesi, e soprattutto un leader».
Antonio Padellaro, come mai non ha mandato il suo ultimo libro all'«Unità»?
«Ah, se n'è accorta anche lei? Desolante che non ne abbiano parlato, una cosa davvero antipatica».
Insomma, lei è stato direttore per tanti anni...
«Nel 2001 con Furio Colombo lo rimisi in piedi quel giornale, altrimenti sarebbe fallito, e adesso non trovano una riga per recensire il libro dell'ex direttore che fra l'altro parla della sinistra?».
Ieri hanno trovato una pagina intera per recensire «Il mondo nuovo» di Massimo D'Alema.
«Guardi, l'Unità non versa in buone acque e io non voglio aggiungere la mia pietruzza di polemica, però è imbarazzante. Voglio dire, in "Io gioco pulito" ci sono anche gli interventi di autorevoli firme del giornale, da Marco Travaglio a Furio Colombo...».
È un chiaro boicottaggio.
«Non so cosa pensare. Ho mantenuto un rapporto di affetto con i colleghi...».
La recensione l'hanno proposta?
«Sì, ma il pezzo non è uscito. Devo pensare che sia stato un ordine della direzione».
Cioè di Concita De Gregorio, che Walter Veltroni volle al suo posto...
«Quell'intervista in cui Veltroni, da segretario di partito, annunciò il cambio, resta un caso senza precedenti. Lo avesse fatto Silvio Berlusconi noi lo avremmo denunciato e criticato».
Il suo caso è sintomatico della litigiosità interna al Pd?
«Ma io faccio il giornalista, mica il politico. Non appartengo ad alcuna corrente».
Da direttore dell'«Unità» criticò spesso la linea del Pd, però.
«Poi però me ne sono andato con un atteggiamento di grande correttezza. Se avessi polemizzato lo capirei, ma sfido chiunque a trovare una mia dichiarazione su Concita».
Cercata ovunque, non c'è.
«Mi sono dimesso senza sollevare polveroni, che devo fare di più? Ne parlassero male, del libro, ma censurarlo...».
L'«Unità» di Concita le piace?
«Le mie opinioni le tengo per me. E non faccio tragedie, lamento solo una questione che è sotto gli occhi di tutti».
L'hanno recensita tutti, quotidiani e tv.
«Ne sto persino parlando con il Giornale, che certo non la pensa come me».
Il titolo «Io gioco pulito» significa che il Pd gioca sporco?
«È la politica in generale che gioca sporco, gli elettori sono sempre più propensi all'astensione».
Alle ultime politiche erano gli elettori del centrosinistra a mancare all'appello.
«È chiaro che il centrosinistra ha un problema in più rispetto al suo elettorato, calza bene la definizione di "ex voto" data da Ilvo Diamanti».
C'è anche lei fra gli esuli?
«Ho votato Veltroni con entusiasmo...».
E a giugno cosa voterà?
«Vorrei che da qui alle urne mi dessero un motivo per votare Pd, anche perché vivrei l'astensione come una sconfitta personale. La verità è che non li vedo, i motivi. E per ora sono solo arrabbiato».
Arrabbiato con Veltroni che si è dimesso? O con Franceschini?
«Il problema non è se Franceschini sta facendo bene o male... E Veltroni alle elezioni del 2008 fece uno sforzo straordinario, quel 33 per cento era il massimo risultato che si potesse raggiungere...».
Poi però il partito non lo ha seguito.
«La fusione a freddo non ha funzionato. E l'opposizione non è stata coerente e tambureggiante come gli elettori si aspettavano, ma ondivaga fra dialogo e durezza...».
I voti del Pd andranno all'Idv?
«Antonio Di Pietro dà la sensazione di fare un'opposizione più robusta».
Lui e Franceschini si beccano in continuazione.
«Spettacolo desolante, in questo momento bisognerebbe contrastare il governo con contenuti e proposte».
Invece dall'immigrazione al referendum il centrosinistra si divide su tutto.
«Le polemiche interne sono il male atavico della sinistra, manca compattezza in un momento in cui bisognerebbe fare quadrato».
Come se ne esce?
«Bisogna fare al più presto ciò che non è stato fatto dopo le dimissioni di Veltroni».
Il congresso.
«Va fatto subito dopo le elezioni. Serve un chiarimento su linea e leadership».
E le alleanze?
«La vecchia Unione è stata un fallimento perché univa forze che non avevano alcuna voglia di stare assieme, e il governo Prodi ha sprecato una grande occasione. Il problema è che da solo il Pd non ce la fa, senza alleanze non tornerà mai più al governo».
Quindi avanti con l'Idv?
«Il Pd deve scegliere fra Sinistra e Udc».
È più facile che ex Ds ed ex Margherita divorzino...
«Sarebbe un disastro, la condanna all'emarginazione. Serve una sintesi, e soprattutto un leader».
16.4.09
Berlusconi riesce sempre a cavarsela
Pubblicato sabato 28 marzo 2009 in Olanda
[de Volkskrant]
Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie
Da corrispondente in Italia mi sento spesso come Keanu Reeves nel film The Matrix, o Jim Carrey nel Truman Show. È una sensazione spaventosa: vivere e lavorare in una democrazia dell’Europa Occidentale che fu tra i fondatori dell’Unione Europea e fa parte di prominenti forum internazionali come il G8, e ciò nonostante sentirsi come i personaggi che lottano in angosciosi film su illusione e realtà.
Ma l’Italia di Silvio Berlusconi ne dà tutto il motivo. Quindici anni dopo l’ingresso di Berlusconi nella politica italiana, il paese si allontana sempre piú dai valori democratici essenziali.
Neo (Reeves) e Truman Burbank (Carrey) in The Matrix e The Truman Show si rendono conto che il loro intero ambiente vive secondo la sceneggiatura di un regista onnipotente. Però non vedono la loro sorpresa e preoccupazione al riguardo riflessa in alcun modo nella reazione delle persone che li circondano; tutti si comportano esattamente come se non succedesse niente di strano, o semplicemente non se ne rendono conto. Chi cerca di seguire e di capire la politica e la società in Italia inevitabilmente avrà la stessa esperienza.
Corrotto
Il raffronto si è imposto all’attenzione molto chiaramente il mese scorso. Nel pomeriggio di martedì 17 febbraio è apparsa sui siti dei principali giornali italiani una notizia dal titolo: ‘David Mills è stato corrotto’: condannato a 4 anni e sei mesi.
Riguardava una notizia esplosiva: il tribunale di Milano aveva riconosciuto l’avvocato britannico David Mills colpevole di corruzione per aver accettato 600 mila dollari da Silvio Berlusconi negli anni novanta, in cambio di rendere falsa testimonianza in due processi per corruzione istituiti contro l’imprenditore-politico. La sentenza contro Mills era altamente incriminante anche per il premier italiano dell’Italia, perchè se c’è un corrotto ci deve essere anche un corruttore.
Cose strane
Ma in Italia sono successe un paio di cose strane con questa notizia. Per iniziare diversi giornali hanno scritto la sentenza tra virgolette, come se si trattasse non di un fatto giuridico ma semplicemente di un’opinione personale da poter contestare con facilità. Ciò infatti è immediatamente successo.
Nel sito web del Corriere della Sera, un giornale di riguardo in Italia, vari lettori hanno messo in dubbio la sentenza del tribunale milanese. “Perchè questa sentenza arriva giusto 24 ore dopo le elezioni in Sardegna?” si chiede uno di loro. Il partito di Berlusconi, Popolo delle della Libertà (PdL), aveva vinto quelle elezioni regionali con una schiacciante maggioranza; l’isola italiana è tornata dopo lungo tempo in mano della destra, cosa che ha provocato una grande euforia negli ambienti del PdL.
I giudici hanno deliberatamente cercato di rovinare la festa con la loro sentenza, riteneva il lettore sopracitato.
Un altro ha fatto un ulteriore passo in avanti. Quella “ennesima sentenza fatta per rovinare la festa”, avverte i giudici, “servirà solo a rafforzare il nostro premier e la sua coalizione, quindi soprattutto continuate così e sparirete automaticamente, ciao ciao”.
Di per se queste reazioni si potevano archiviare come rigurgiti emotivi di accaniti sostenitori di Berlusconi. Ma stranamente i media italiani gli hanno dato del tutto ragione. Mentre la notizia veniva esaminata a fondo su emittenti straniere come la CNN e la BBC, l’interessante notizia é stata data di striscio dai telegiornali italiani.
Su RaiUno e RaiDue l’argomento è stato incastrato a stento in un minuto verso la fine dell’edizione serale. Su due delle tre reti commerciali di Berlusconi la sentenza è stata completamente ignorata.
Sentenza
E sul canale che ha sì riferito la sentenza, il cronista ha ancora definito l’accertato episodio di corruzione un “supposto pagamento” fatto dalla ditta Fininvest di Berlusconi, e ha chiuso il suo mini servizio con una lunga citazione di un parlamentare del partito di Berlusconi, il quale diceva che il presidente del tribunale di Milano “è chiaramente antagonista della persona di Silvio Berlusconi dal punto di vista politico”.
Come può succedere tutto ciò? Come si può negare e deformare così facilmente e massivamente la realtà? Da anni la stampa internazionale addita il gigantesco conflitto di interessi del premier.
Tutti conoscono Silvio Berlusconi come il grande uomo dietro più di settanta aziende, raggruppate in mega holdings come la Mondadori (la principale casa editrice di giornali, libri e riviste in Italia), Mediaset (la più grande holding televisiva del paese), Mediolanum (servizi finanziari) e la squadra di calcio AC Milan.
Groviglio di interessi
Berlusconi controlla buona parte dei media italiani e viene perciò chiamato da molti giornali stranieri ‘imprenditore-politico’ o ‘premier-magnate dei media’. Ciononostante questi termini dicono troppo poco sul modo in cui questo groviglio d’interessi influisce sulla società italiana.
In generale Berlusconi viene considerato l’uomo dalla parlantina facile e dal sorriso scolpito, il marpione rifatto con il brevetto sulle battute imbarazzanti (come quella su Barack Obama, che definì “giovane, bello e anche abbronzato”‘ un paio d’ore dopo l’elezione di quest’ultimo a presidente degli Stati Uniti). Come premier dell’Italia è perciò agli occhi di molti un buffone da non prendere troppo seriamente. Ma queste qualità da birbantello nascondono alla vista il suo illimitato potere e influenza che intaccano persino il DNA dell’Italia - e purtroppo non in senso positivo.
Le sue emittenti commerciali, il suo settimanale d’opinione “Panorama”, il quotidiano “Il Giornale” (del fratello Paolo) e una lunga lista di giornali di famiglia, si schierano quotidianamente con il loro padrone senza vergogna. Questo servilismo raggiunge forme così elevate che il giornalista televisivo nonchè capo-redattore dell’emittente Rete4 può emozionarsi in diretta leggendo la notizia della vittoria elettorale di Berlusconi.
Per la maggioranza degli italiani la televisione è la principale fonte di informazione, ed è quasi completamente sotto il controllo di fedelissimi di Berlusconi.
Modi sgarbati
Allo stesso tempo i membri dell’opposizione vengono buttati a terra in modo insolitamente sgarbato. Il più combattivo oppositore di Berlusconi, Antonio Di Pietro, da tempo viene chiamato ‘il boia’, o ‘il trebbiatore’ nel corso delle varie rubriche di attualità, che continuano a far vedere le sue foto meno lusinghiere, che immortalano il corpulento Di Pietro sul trattore, in pantaloncini corti.
Questo bizzarro approccio ‘giornalistico’ non scaturisce da una specie di naturale lealta’ dei dipendenti, ma da precisi ordini di servizio. Il giornalista italo-americano Alexander Stille cita nella sua biografia di Berlusconi “Il sacco di Roma” (tradotta in olandese come “Silvio Berlusconi/De inname van Rome), un ex vice-caporedattore de “Il Giornale”, che spaziava su come Berlusconi dava ordini alla redazione negli anni novanta: “Dobbiamo cantare in armonia sui temi importanti per noi (…) Voi, caporedattori, dovete capire che dobbiamo iniziare un’offensiva mirata con tutti i nostri mezzi contro chiunque ci spari addosso. Se quelli che ci attaccano ingiustamente vengono puniti usando tutti i diversi media del nostro gruppo, l’aggressione finisce”.
RAI
Nel ruolo di premier, Silvio Berlusconi esige più o meno la stessa apatia dagli impiegati statali, soprattutto all’interno dell’emittente statale RAI. Durante il conflitto in Irak, che aveva l’appoggio del precedente governo Berlusconi, i giornalisti della RAI non potevano definire gli oppositori della guerra “dimostranti per la pace” o “pacifisti”, ma dovevano chiamarli “insubordinati”.
‘Sei un dipendente dello stato!’ gridò Berlusconi contro il critico giornalista televisivo Michele Santoro un paio d’anni fa durante una trasmissione televisiva, riportandolo all’ordine. Santoro voleva togliere la parola a Berlusconi, che era in linea telefonicamente, perchè questi rifiutava di rispondere alle domande del giornalista, e voleva solo criticare il modo di lavorare di Santoro.
Criminoso
Durante una conferenza stampa in Bulgaria Berlusconi accusò Santoro e due altri giornalisti di aver fatto un ‘uso criminoso della televisione pubblica’. I tre avevano osato fare una trasmissione critica sul premier. In quello che da allora è diventato famoso come ‘l’editto bulgaro’, il premier esigeva che la direzione dell’emittente ‘non permettesse più che accadessero certe cose’. Qualche mese dopo i tre erano spariti dallo schermo.
L’Italia come paese democratico sta molto peggio di quanto molti credano. Ciò dimostrano le misure per la limitazione della libertà che questo governo sta prendendo o preparando (come la prigione per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni telefoniche degli indiziati; pressione politica su medici e insegnanti per denunciare gli immigranti illegali alla polizia; limitazione dell’indipendenaza del potere giudiziario).
Ma lo stato preoccupante delle cose si rivela soprattutto nel modo apatico in cui stampa e pubblico ultimamente reagiscono a questo genere di piani. L’Italia si abbandona sempre di più alla realtà altamente colorata con cui viene abbindolata dall’apparato di potere di Berlusconi.
Duramente
Certo, giornali e riviste di opinione come La Repubblica, l’Unità e l’Espresso continuano ad andare duramente contro il premier quando è necessario. Ma sono predicatori nel deserto: i due principali giornali italiani hanno insieme una tiratura di solo 1,3 milioni, su una popolazione di quasi 60 milioni.
La televisione è per la stragrande maggioranza degli italiani la fonte di informazione principale, e ora è quasi tutta sotto monitoraggio di gente fidata di Berlusconi.
Inoltre, anche i giornali al di fuori dell’impero di Berlusconi sentono il suo braccio forte. Come il giornale torinese La Stampa, proprietà della Fiat. ‘Vista la situazione in cui versa la Fiat, La Stampa non si trova nella posizione di esprimere critiche nei confronti di Berlusconi, e ciò è altrettanto valido per numerosi altri giornali’, cosí il caporedattore Giulio Anselmi a Stille nel Sacco di Roma. ‘Oltre ai giornali che possiede, c’é tutto un cerchio concentrico di giornali che dipendono direttamente o indirettamente da lui’.
Il guastafeste
Il leader dell’opposizione Antonio Di Pietro racconta nel suo libro Il guastafeste [in italiano con traduzione nel testo, ndt], come sia stato apostrofato “assassino’ da due ragazzi, mentre passeggiava in Piazza Duomo a Milano.
Un tempo Di Pietro era l’eroe del paese per milioni di italiani, nella sua funzione di pubblico ministero dell’ampia operazione anti-corruzione Mani Pulite, che spazzò via un’intera generazione di politici e imprenditori imbroglioni all’inizio degli anni novanta. ‘Questo incidente’, dice Di Pietro a proposito dell’accaduto a Piazza Duomo a Milano, ‘dimostra che quei ragazzi a casa sono bombardati con falsa informazione dalla televisione’.
Dopo un decennio e mezzo, questo moderno indottrinamento sta dando così tanti frutti che Berlusconi osa negare persino le più incontestabili verità.
Proteste
Per esempio, l’anno scorso durante la massale protesta studentesca contro i tagli pianificati nell’istruzione. Gli studenti avevano occupato facoltà di diverse università, con grande irritazione di Berlusconi. ‘Oggi darò al Ministro degli Interni istruzioni dettagliate su come intervenire usando le unità mobili’, disse il premier nel corso di una conferenza stampa.
Quando l’opposizione gridò allo scandalo, Berlusconi il giorno dopo disse bellamente di non aver mai minacciato con le unità mobili. Ancora una volta era stato erroneamente citato dai giornalisti. Però tutti avevano potuto vedere e sentire che il premier l’aveva veramente detto; i suoi commenti erano stati trasmessi da radio e tv.
Nonostante quella prova schiacciante Berlusconi si ostinò sulla sua posizione. E con successo. Giacchè cosa dissero la sera i telegiornali? ‘Il premier dice di essere stato citato erroneamente’.
Democrazia
In una democrazia sana i giornalisti in servizio avrebbero come minimo fatto velocemente rivedere le immagini della conferenza stampa in questione, così da permettere ai telespettatori di concludere da sè se il premier fosse rimbecillito o no. Ma no. ‘Eventualmente, potrete rivedere la nostra trasmissione di ieri su internet’, ha sussurrato il redattore politico di RaiUno alla fine del servizio.
Considerando la situazione alla Matrix in cui versa l’Italia, il suo commento suonava quasi come un eroico atto di resistenza.
Eric Arends è il corrispondente del Volkskrant a Roma
[de Volkskrant]
Sorprendente come i cittadini e i media accettino in massa le sue bugie
Da corrispondente in Italia mi sento spesso come Keanu Reeves nel film The Matrix, o Jim Carrey nel Truman Show. È una sensazione spaventosa: vivere e lavorare in una democrazia dell’Europa Occidentale che fu tra i fondatori dell’Unione Europea e fa parte di prominenti forum internazionali come il G8, e ciò nonostante sentirsi come i personaggi che lottano in angosciosi film su illusione e realtà.
Ma l’Italia di Silvio Berlusconi ne dà tutto il motivo. Quindici anni dopo l’ingresso di Berlusconi nella politica italiana, il paese si allontana sempre piú dai valori democratici essenziali.
Neo (Reeves) e Truman Burbank (Carrey) in The Matrix e The Truman Show si rendono conto che il loro intero ambiente vive secondo la sceneggiatura di un regista onnipotente. Però non vedono la loro sorpresa e preoccupazione al riguardo riflessa in alcun modo nella reazione delle persone che li circondano; tutti si comportano esattamente come se non succedesse niente di strano, o semplicemente non se ne rendono conto. Chi cerca di seguire e di capire la politica e la società in Italia inevitabilmente avrà la stessa esperienza.
Corrotto
Il raffronto si è imposto all’attenzione molto chiaramente il mese scorso. Nel pomeriggio di martedì 17 febbraio è apparsa sui siti dei principali giornali italiani una notizia dal titolo: ‘David Mills è stato corrotto’: condannato a 4 anni e sei mesi.
Riguardava una notizia esplosiva: il tribunale di Milano aveva riconosciuto l’avvocato britannico David Mills colpevole di corruzione per aver accettato 600 mila dollari da Silvio Berlusconi negli anni novanta, in cambio di rendere falsa testimonianza in due processi per corruzione istituiti contro l’imprenditore-politico. La sentenza contro Mills era altamente incriminante anche per il premier italiano dell’Italia, perchè se c’è un corrotto ci deve essere anche un corruttore.
Cose strane
Ma in Italia sono successe un paio di cose strane con questa notizia. Per iniziare diversi giornali hanno scritto la sentenza tra virgolette, come se si trattasse non di un fatto giuridico ma semplicemente di un’opinione personale da poter contestare con facilità. Ciò infatti è immediatamente successo.
Nel sito web del Corriere della Sera, un giornale di riguardo in Italia, vari lettori hanno messo in dubbio la sentenza del tribunale milanese. “Perchè questa sentenza arriva giusto 24 ore dopo le elezioni in Sardegna?” si chiede uno di loro. Il partito di Berlusconi, Popolo delle della Libertà (PdL), aveva vinto quelle elezioni regionali con una schiacciante maggioranza; l’isola italiana è tornata dopo lungo tempo in mano della destra, cosa che ha provocato una grande euforia negli ambienti del PdL.
I giudici hanno deliberatamente cercato di rovinare la festa con la loro sentenza, riteneva il lettore sopracitato.
Un altro ha fatto un ulteriore passo in avanti. Quella “ennesima sentenza fatta per rovinare la festa”, avverte i giudici, “servirà solo a rafforzare il nostro premier e la sua coalizione, quindi soprattutto continuate così e sparirete automaticamente, ciao ciao”.
Di per se queste reazioni si potevano archiviare come rigurgiti emotivi di accaniti sostenitori di Berlusconi. Ma stranamente i media italiani gli hanno dato del tutto ragione. Mentre la notizia veniva esaminata a fondo su emittenti straniere come la CNN e la BBC, l’interessante notizia é stata data di striscio dai telegiornali italiani.
Su RaiUno e RaiDue l’argomento è stato incastrato a stento in un minuto verso la fine dell’edizione serale. Su due delle tre reti commerciali di Berlusconi la sentenza è stata completamente ignorata.
Sentenza
E sul canale che ha sì riferito la sentenza, il cronista ha ancora definito l’accertato episodio di corruzione un “supposto pagamento” fatto dalla ditta Fininvest di Berlusconi, e ha chiuso il suo mini servizio con una lunga citazione di un parlamentare del partito di Berlusconi, il quale diceva che il presidente del tribunale di Milano “è chiaramente antagonista della persona di Silvio Berlusconi dal punto di vista politico”.
Come può succedere tutto ciò? Come si può negare e deformare così facilmente e massivamente la realtà? Da anni la stampa internazionale addita il gigantesco conflitto di interessi del premier.
Tutti conoscono Silvio Berlusconi come il grande uomo dietro più di settanta aziende, raggruppate in mega holdings come la Mondadori (la principale casa editrice di giornali, libri e riviste in Italia), Mediaset (la più grande holding televisiva del paese), Mediolanum (servizi finanziari) e la squadra di calcio AC Milan.
Groviglio di interessi
Berlusconi controlla buona parte dei media italiani e viene perciò chiamato da molti giornali stranieri ‘imprenditore-politico’ o ‘premier-magnate dei media’. Ciononostante questi termini dicono troppo poco sul modo in cui questo groviglio d’interessi influisce sulla società italiana.
In generale Berlusconi viene considerato l’uomo dalla parlantina facile e dal sorriso scolpito, il marpione rifatto con il brevetto sulle battute imbarazzanti (come quella su Barack Obama, che definì “giovane, bello e anche abbronzato”‘ un paio d’ore dopo l’elezione di quest’ultimo a presidente degli Stati Uniti). Come premier dell’Italia è perciò agli occhi di molti un buffone da non prendere troppo seriamente. Ma queste qualità da birbantello nascondono alla vista il suo illimitato potere e influenza che intaccano persino il DNA dell’Italia - e purtroppo non in senso positivo.
Le sue emittenti commerciali, il suo settimanale d’opinione “Panorama”, il quotidiano “Il Giornale” (del fratello Paolo) e una lunga lista di giornali di famiglia, si schierano quotidianamente con il loro padrone senza vergogna. Questo servilismo raggiunge forme così elevate che il giornalista televisivo nonchè capo-redattore dell’emittente Rete4 può emozionarsi in diretta leggendo la notizia della vittoria elettorale di Berlusconi.
Per la maggioranza degli italiani la televisione è la principale fonte di informazione, ed è quasi completamente sotto il controllo di fedelissimi di Berlusconi.
Modi sgarbati
Allo stesso tempo i membri dell’opposizione vengono buttati a terra in modo insolitamente sgarbato. Il più combattivo oppositore di Berlusconi, Antonio Di Pietro, da tempo viene chiamato ‘il boia’, o ‘il trebbiatore’ nel corso delle varie rubriche di attualità, che continuano a far vedere le sue foto meno lusinghiere, che immortalano il corpulento Di Pietro sul trattore, in pantaloncini corti.
Questo bizzarro approccio ‘giornalistico’ non scaturisce da una specie di naturale lealta’ dei dipendenti, ma da precisi ordini di servizio. Il giornalista italo-americano Alexander Stille cita nella sua biografia di Berlusconi “Il sacco di Roma” (tradotta in olandese come “Silvio Berlusconi/De inname van Rome), un ex vice-caporedattore de “Il Giornale”, che spaziava su come Berlusconi dava ordini alla redazione negli anni novanta: “Dobbiamo cantare in armonia sui temi importanti per noi (…) Voi, caporedattori, dovete capire che dobbiamo iniziare un’offensiva mirata con tutti i nostri mezzi contro chiunque ci spari addosso. Se quelli che ci attaccano ingiustamente vengono puniti usando tutti i diversi media del nostro gruppo, l’aggressione finisce”.
RAI
Nel ruolo di premier, Silvio Berlusconi esige più o meno la stessa apatia dagli impiegati statali, soprattutto all’interno dell’emittente statale RAI. Durante il conflitto in Irak, che aveva l’appoggio del precedente governo Berlusconi, i giornalisti della RAI non potevano definire gli oppositori della guerra “dimostranti per la pace” o “pacifisti”, ma dovevano chiamarli “insubordinati”.
‘Sei un dipendente dello stato!’ gridò Berlusconi contro il critico giornalista televisivo Michele Santoro un paio d’anni fa durante una trasmissione televisiva, riportandolo all’ordine. Santoro voleva togliere la parola a Berlusconi, che era in linea telefonicamente, perchè questi rifiutava di rispondere alle domande del giornalista, e voleva solo criticare il modo di lavorare di Santoro.
Criminoso
Durante una conferenza stampa in Bulgaria Berlusconi accusò Santoro e due altri giornalisti di aver fatto un ‘uso criminoso della televisione pubblica’. I tre avevano osato fare una trasmissione critica sul premier. In quello che da allora è diventato famoso come ‘l’editto bulgaro’, il premier esigeva che la direzione dell’emittente ‘non permettesse più che accadessero certe cose’. Qualche mese dopo i tre erano spariti dallo schermo.
L’Italia come paese democratico sta molto peggio di quanto molti credano. Ciò dimostrano le misure per la limitazione della libertà che questo governo sta prendendo o preparando (come la prigione per i giornalisti che pubblicano le intercettazioni telefoniche degli indiziati; pressione politica su medici e insegnanti per denunciare gli immigranti illegali alla polizia; limitazione dell’indipendenaza del potere giudiziario).
Ma lo stato preoccupante delle cose si rivela soprattutto nel modo apatico in cui stampa e pubblico ultimamente reagiscono a questo genere di piani. L’Italia si abbandona sempre di più alla realtà altamente colorata con cui viene abbindolata dall’apparato di potere di Berlusconi.
Duramente
Certo, giornali e riviste di opinione come La Repubblica, l’Unità e l’Espresso continuano ad andare duramente contro il premier quando è necessario. Ma sono predicatori nel deserto: i due principali giornali italiani hanno insieme una tiratura di solo 1,3 milioni, su una popolazione di quasi 60 milioni.
La televisione è per la stragrande maggioranza degli italiani la fonte di informazione principale, e ora è quasi tutta sotto monitoraggio di gente fidata di Berlusconi.
Inoltre, anche i giornali al di fuori dell’impero di Berlusconi sentono il suo braccio forte. Come il giornale torinese La Stampa, proprietà della Fiat. ‘Vista la situazione in cui versa la Fiat, La Stampa non si trova nella posizione di esprimere critiche nei confronti di Berlusconi, e ciò è altrettanto valido per numerosi altri giornali’, cosí il caporedattore Giulio Anselmi a Stille nel Sacco di Roma. ‘Oltre ai giornali che possiede, c’é tutto un cerchio concentrico di giornali che dipendono direttamente o indirettamente da lui’.
Il guastafeste
Il leader dell’opposizione Antonio Di Pietro racconta nel suo libro Il guastafeste [in italiano con traduzione nel testo, ndt], come sia stato apostrofato “assassino’ da due ragazzi, mentre passeggiava in Piazza Duomo a Milano.
Un tempo Di Pietro era l’eroe del paese per milioni di italiani, nella sua funzione di pubblico ministero dell’ampia operazione anti-corruzione Mani Pulite, che spazzò via un’intera generazione di politici e imprenditori imbroglioni all’inizio degli anni novanta. ‘Questo incidente’, dice Di Pietro a proposito dell’accaduto a Piazza Duomo a Milano, ‘dimostra che quei ragazzi a casa sono bombardati con falsa informazione dalla televisione’.
Dopo un decennio e mezzo, questo moderno indottrinamento sta dando così tanti frutti che Berlusconi osa negare persino le più incontestabili verità.
Proteste
Per esempio, l’anno scorso durante la massale protesta studentesca contro i tagli pianificati nell’istruzione. Gli studenti avevano occupato facoltà di diverse università, con grande irritazione di Berlusconi. ‘Oggi darò al Ministro degli Interni istruzioni dettagliate su come intervenire usando le unità mobili’, disse il premier nel corso di una conferenza stampa.
Quando l’opposizione gridò allo scandalo, Berlusconi il giorno dopo disse bellamente di non aver mai minacciato con le unità mobili. Ancora una volta era stato erroneamente citato dai giornalisti. Però tutti avevano potuto vedere e sentire che il premier l’aveva veramente detto; i suoi commenti erano stati trasmessi da radio e tv.
Nonostante quella prova schiacciante Berlusconi si ostinò sulla sua posizione. E con successo. Giacchè cosa dissero la sera i telegiornali? ‘Il premier dice di essere stato citato erroneamente’.
Democrazia
In una democrazia sana i giornalisti in servizio avrebbero come minimo fatto velocemente rivedere le immagini della conferenza stampa in questione, così da permettere ai telespettatori di concludere da sè se il premier fosse rimbecillito o no. Ma no. ‘Eventualmente, potrete rivedere la nostra trasmissione di ieri su internet’, ha sussurrato il redattore politico di RaiUno alla fine del servizio.
Considerando la situazione alla Matrix in cui versa l’Italia, il suo commento suonava quasi come un eroico atto di resistenza.
Eric Arends è il corrispondente del Volkskrant a Roma
12.3.09
INTERVISTA A CSF DI GIOVANNI AUDIFFREDI PER VANITY FAIR
Ornella Vanoni o Iva Zanicchi?
«Butto Ornella, tengo Iva. Sono stato sul punto di portarla nell'Ulivo di Romano Prodi. Avevamo quasi firmato un accordo per candidarla in Calabria, creando una lista per lei. Ma alla fine non ha avuto cuore. Sarebbe stata un'icona per la sinistra, perché lei è di sinistra».
Nessuno lo sa, però. Nemmeno lei.
«Segue Berlusconi perché è il suo datore di lavoro».
Alla fine di questa intervista c'è il suo divertimento preferito, il gioco della torre. Ha accettato di farlo in versione «post 8 marzo»: si gettano (o si salvano) solo donne. Prima però abbiamo chiesto a Claudio Sabelli Fioretti - giornalista, scrittore, autore di radio e Tv, vanitoso Padreterno degli intervistatori, permaloso di professione - di parlarci del suo Dimmi, dammi, fammi, un'inchiesta sui comportamenti femminili aggiornata al 2009 (era già stata in parte pubblicata da Frontiera nel 2000).
Chiamatela, se volete, una piccola vendetta che ci siamo presi per smentire l'idea di Sabelli Fioretti che un'intervista su un libro non è un'intervista al suo autore. Idea di cui è cosi convinto che ha pubblicamente litigato, intervistandola per La Stampa, con l'amica Daria Bignardi, firma di Vanity Fair, autrice del romanzo Non vi lascerò orfani.
Ma c'era proprio bisogno di far arrabbiare Daria Bignardi?
«Ho sbagliato: mai intervistare gli amici. Le interviste che preferisco sono quelle a persone che non stimo».
Daria Bignardi
Bugiardo. Hai intervistato di più proprio quelli che ti piacciono: 4 volte Marco Travaglio, 3 volte Valeria Marini, Antonio Di Pietro e Vittorio Sgarbi.
«Lo ammetto, ho sfruttato Travaglio: ho venduto 12 mila copie con un libro-intervista rivolto al suo pubblico. Una paraculata».
Invece attacchi quelli che non sopporti: i commenti cattivi della tua rubrica Mosca al naso li hai dedicati 4 volte a Silvio Berlusconi, 3 a Paola Binetti, 3 a Umberto Bossi e 3 a Costantino Vitagliano.
«Mi arrendo: sono reo di aver pensato tre volte per più di un quarto d'ora a Costantino Vitagliano».
Sei stato crudele con la Bignardi perché è una donna?
«Rispondo indignato. Potrei affermare che il 45 per cento di me è donna».
Per questo porti gli stessi golfini ipercolorati di Alfonso Signorini?
«Se avessi detto gli stessi di Paolo Crepet, ti avrei dato due schiaffi. Volevo dire che spesso mi sento come credo siano le donne. Ho l'impressione di essere molto sensibile, abbattibile. Nello stesso tempo, come molti uomini, sono un piagnone. Le donne hanno più coraggio».
Per esempio?
«Il parto. Sarei terrorizzato. La mia soglia del dolore è bassissima. Non ho mal di testa o di denti, ho solo un po' di cistite ogni tanto. E chiamo direttamente il ministero della Salute».
Maria de Filippi
Hai archiviato due matrimoni e sei alla quinta compagna.
«Diciamo che ho una vita sentimentale sfaccettata e non monotona».
Uno dei motti del tuo libro è: quando un uomo non parla, non pensa.
«Ecco. Finalmente parliamo del mio libro. Il mio libro è pieno di cazzate».
È pieno di cose strane. Hai scritto, per esempio, che non ne puoi più del pollo al curry, eppure hai appena finito di mangiare pollo al curry alla mensa Rai. Hai scritto che una donna non può non sapere che cos'è il pindul pandul. Che cosa sarebbe, secondo te?
«È il pene, in lingua friulana. Me l'ha detto la madre di mio figlio».
Ti ha fregato. Il pindul pandul è un gioco, una specie di baseball.
«Vabbè, la similitudine c'è».
Hai anche scritto che dietro ogni fallimento di coppia c'è un bambino con un'educazione alla scuola steineriana. Indovina dove ha studiato Barbara, la primogenita di Veronica Lario e Silvio Berlusconi.
«Volevo dire che i bambini lasciati liberi di esprimersi senza freni non mi piacciono. Mi fa pensare che come genitore non hai voglia di fare nulla».
Come sei stato educato tu?
«Ero un mammone. E, avendo una sorella più grande di tre anni, quando combinavamo dei guai lei prendeva le botte per tutti e due. Non mi sono mai ribellato a questa ingiustizia».
Sempre dal tuo libro. Le frasi che secondo te le donne non dovrebbero mai pronunciare: «Tutto qui?», «Mi fai il solletico», «Con te ho sempre finto». Se lo fanno, per te sono, nell'ordine: criminali, sventate da frustare e carogne. Perché ti scaldi tanto?
«I libri possono essere autobiografici. E, come dice il poeta, c'è sempre qualcosa di me nel libro. Ma la mia è un'inchiesta seria. Parlano sociologi, andrologi, psicologi. Però confesso che: "Mi fai il solletico" me l'hanno detto».
Come ti sei sentito?
«L'attività sessuale è così faticosa e ridicola... Il sesso può essere volgare, maleducato, violento, ma il contorno deve rimanere educato. Se saltano le regole, siamo finiti. Le parolacce si dicono durante, non prima».
Lucia Annunziata
Dici le parolacce tra le lenzuola?
«Sì, è successo».
Sei pudico?
«Sì. Sono uno che dice: spegni la luce».
E se ti chiamano miciotto?
«Che orrore. Lo diceva mia madre a mio padre. Detesto i vezzeggiativi».
Sei un taccagno.
«Non sei il primo che lo dice, ma non è vero».
Sei venale?
«No. Resto stupito quando mi danno molto per fare poco. Sono stato autore a Sanremo nel 2005, mi hanno strapagato. Poi certe trasmissioni radio, dove metto l'anima, rendono una miseria».
Abbiamo pranzato insieme e hai parlato di soldi 14 volte.
«Sono pieno di debiti. E non scherzo».
Ti lamenti?
«Sarebbe disonesto. La povertà è una cosa seria e merita rispetto».
Paghi gli alimenti alle tue ex?
«No. Ho sempre sposato donne corrette e oneste».
Mi hai detto che tuo figlio Giovanni ha 26 anni. Poi mi hai detto 36. Invece è del 1976. Una volta sei andato a prenderlo a scuola e hai sbagliato scuola. Che padre sei stato?
«Mi sono separato da lui quando aveva 8 anni. Ha pagato le bizze dei genitori al costo di weekend orrendi in treno tra Milano e Genova. Ho perso la parte migliore della paternità. Adesso siamo reduci da una vacanza insieme in Giappone. È stato bello».
Ti senti in colpa?
«Non ho il senso di colpa. È qualcosa di femminile che non ho. Soffro».
Paola Perego
In questo momento soffri?
«Se non lo scrivi è meglio».
Perché le donne tendono a mollarti?
«Mi accusano di essere egoista, egocentrico, menefreghista».
E tu replichi che loro hanno la sindrome di Santippe, la sindrome della lamentazione.
«Ce l'hanno tutte. Sono tutte rompiscatole. Ma gli uomini sono peggio: sono degli stronzi».
Da chi ti senti amato?
«Da mia moglie, da mio figlio, da mia madre e da un gruppo di amici».
Come riconosci un amico?
«Nel momento del bisogno sento di potermi rivolgere a lui. È tuo amico quello che tu credi lo sia».
Quindi ami di più quelli da cui ti senti amato.
«Esatto».
Ci sei mai andato dallo psicologo?
«Al massimo mi sono fatto dare il nome di uno psicologo».
Che tipo di uomo di casa sei?
«Faccio e sbaglio. Quando la mia compagna rifà le mie cose, mi sento svilito».
Rifai il letto?
«No. È una perdita di tempo. Però attacco quadri, aggiusto rubinetti, il bricolage è tutto sulle mie spalle. Mi piace anche stirare le camicie, ma non lo faccio perché è uno spreco di tempo. Faccio il bucato, anche a mano. Lavo i piatti, anche a mano. Passo l'aspirapolvere. Faccio la spesa e cucino bene».
Che cosa ti rimproverano, allora?
«Combino un sacco di pasticci. E ci rimango male perché sono enormemente permaloso. Ti avverto che non faccio il gioco della torre. Piuttosto ti picchio».
Non puoi rifiutarti. Sabina Guzzanti o Serena Dandini?
«Butto la Dandini perché la Guzzanti può tornare quella di prima. Mi piaceva tanto prima della svolta guru».
Simona Ventura o Maria De Filippi?
«Mi eccita anche la De Filippi. Ma tengo la Ventura, è un'amica».
Rosy Bindi o Livia Turco?
«Della Turco ricordo un'intervista fatta a Genova. Mi annoiai e buttai il lavoro. Oggi butto lei».
Lucia Annunziata o Milena Gabanelli?
«La Gabanelli è una specie protetta. Butto Annunziata. E dirò di più: Berlusconi aveva ragione quando si è alzato e l'ha piantata nello studio di In 1/2 h. Un giornalista non fa scappare l'intervistato».
Valeria Marini o Alba Parietti?
«Valeria Marini è un totem. Marilyn Monroe è la Valeria Marini americana».
Daniela Santanchè o Michela Brambilla?
«Butto Brambilla perché è arrivata in ritardo all'intervista».
Stefania Prestigiacomo o Mara Carfagna?
«Salvo la Carfagna perché devo ancora intervistarla».
Giorgia Meloni o Alessandra Mussolini?
«Tengo la Meloni: più moderna».
Mina o Patty Pravo?
«Adoro Mina. Ma non si vuol fare intervistare. La butto».
Serena Grandi o Edwige Fenech?
«Viva la sesta della Grandi».
Silvia Toffanin o Paola Perego?
«La Toffanin non ha ancora fatto i danni della Perego. Le risse domenicali fintamente sedate mi fanno orrore».
Marta Marzotto o Marina Ripa di Meana?
«Consentimelo: le butto entrambe, più e più volte».
Emma Bonino o Margherita Hack?
«Come si fa a candidarsi, essendo donna come la Bonino, per la presidenza della Repubblica con lo slogan "Un uomo alla presidenza"? Mai prendere l'uomo come simbolo».
(Giovanni Audifreddi per "Vanity Fair")
«Butto Ornella, tengo Iva. Sono stato sul punto di portarla nell'Ulivo di Romano Prodi. Avevamo quasi firmato un accordo per candidarla in Calabria, creando una lista per lei. Ma alla fine non ha avuto cuore. Sarebbe stata un'icona per la sinistra, perché lei è di sinistra».
Nessuno lo sa, però. Nemmeno lei.
«Segue Berlusconi perché è il suo datore di lavoro».
Alla fine di questa intervista c'è il suo divertimento preferito, il gioco della torre. Ha accettato di farlo in versione «post 8 marzo»: si gettano (o si salvano) solo donne. Prima però abbiamo chiesto a Claudio Sabelli Fioretti - giornalista, scrittore, autore di radio e Tv, vanitoso Padreterno degli intervistatori, permaloso di professione - di parlarci del suo Dimmi, dammi, fammi, un'inchiesta sui comportamenti femminili aggiornata al 2009 (era già stata in parte pubblicata da Frontiera nel 2000).
Chiamatela, se volete, una piccola vendetta che ci siamo presi per smentire l'idea di Sabelli Fioretti che un'intervista su un libro non è un'intervista al suo autore. Idea di cui è cosi convinto che ha pubblicamente litigato, intervistandola per La Stampa, con l'amica Daria Bignardi, firma di Vanity Fair, autrice del romanzo Non vi lascerò orfani.
Ma c'era proprio bisogno di far arrabbiare Daria Bignardi?
«Ho sbagliato: mai intervistare gli amici. Le interviste che preferisco sono quelle a persone che non stimo».
Daria Bignardi
Bugiardo. Hai intervistato di più proprio quelli che ti piacciono: 4 volte Marco Travaglio, 3 volte Valeria Marini, Antonio Di Pietro e Vittorio Sgarbi.
«Lo ammetto, ho sfruttato Travaglio: ho venduto 12 mila copie con un libro-intervista rivolto al suo pubblico. Una paraculata».
Invece attacchi quelli che non sopporti: i commenti cattivi della tua rubrica Mosca al naso li hai dedicati 4 volte a Silvio Berlusconi, 3 a Paola Binetti, 3 a Umberto Bossi e 3 a Costantino Vitagliano.
«Mi arrendo: sono reo di aver pensato tre volte per più di un quarto d'ora a Costantino Vitagliano».
Sei stato crudele con la Bignardi perché è una donna?
«Rispondo indignato. Potrei affermare che il 45 per cento di me è donna».
Per questo porti gli stessi golfini ipercolorati di Alfonso Signorini?
«Se avessi detto gli stessi di Paolo Crepet, ti avrei dato due schiaffi. Volevo dire che spesso mi sento come credo siano le donne. Ho l'impressione di essere molto sensibile, abbattibile. Nello stesso tempo, come molti uomini, sono un piagnone. Le donne hanno più coraggio».
Per esempio?
«Il parto. Sarei terrorizzato. La mia soglia del dolore è bassissima. Non ho mal di testa o di denti, ho solo un po' di cistite ogni tanto. E chiamo direttamente il ministero della Salute».
Maria de Filippi
Hai archiviato due matrimoni e sei alla quinta compagna.
«Diciamo che ho una vita sentimentale sfaccettata e non monotona».
Uno dei motti del tuo libro è: quando un uomo non parla, non pensa.
«Ecco. Finalmente parliamo del mio libro. Il mio libro è pieno di cazzate».
È pieno di cose strane. Hai scritto, per esempio, che non ne puoi più del pollo al curry, eppure hai appena finito di mangiare pollo al curry alla mensa Rai. Hai scritto che una donna non può non sapere che cos'è il pindul pandul. Che cosa sarebbe, secondo te?
«È il pene, in lingua friulana. Me l'ha detto la madre di mio figlio».
Ti ha fregato. Il pindul pandul è un gioco, una specie di baseball.
«Vabbè, la similitudine c'è».
Hai anche scritto che dietro ogni fallimento di coppia c'è un bambino con un'educazione alla scuola steineriana. Indovina dove ha studiato Barbara, la primogenita di Veronica Lario e Silvio Berlusconi.
«Volevo dire che i bambini lasciati liberi di esprimersi senza freni non mi piacciono. Mi fa pensare che come genitore non hai voglia di fare nulla».
Come sei stato educato tu?
«Ero un mammone. E, avendo una sorella più grande di tre anni, quando combinavamo dei guai lei prendeva le botte per tutti e due. Non mi sono mai ribellato a questa ingiustizia».
Sempre dal tuo libro. Le frasi che secondo te le donne non dovrebbero mai pronunciare: «Tutto qui?», «Mi fai il solletico», «Con te ho sempre finto». Se lo fanno, per te sono, nell'ordine: criminali, sventate da frustare e carogne. Perché ti scaldi tanto?
«I libri possono essere autobiografici. E, come dice il poeta, c'è sempre qualcosa di me nel libro. Ma la mia è un'inchiesta seria. Parlano sociologi, andrologi, psicologi. Però confesso che: "Mi fai il solletico" me l'hanno detto».
Come ti sei sentito?
«L'attività sessuale è così faticosa e ridicola... Il sesso può essere volgare, maleducato, violento, ma il contorno deve rimanere educato. Se saltano le regole, siamo finiti. Le parolacce si dicono durante, non prima».
Lucia Annunziata
Dici le parolacce tra le lenzuola?
«Sì, è successo».
Sei pudico?
«Sì. Sono uno che dice: spegni la luce».
E se ti chiamano miciotto?
«Che orrore. Lo diceva mia madre a mio padre. Detesto i vezzeggiativi».
Sei un taccagno.
«Non sei il primo che lo dice, ma non è vero».
Sei venale?
«No. Resto stupito quando mi danno molto per fare poco. Sono stato autore a Sanremo nel 2005, mi hanno strapagato. Poi certe trasmissioni radio, dove metto l'anima, rendono una miseria».
Abbiamo pranzato insieme e hai parlato di soldi 14 volte.
«Sono pieno di debiti. E non scherzo».
Ti lamenti?
«Sarebbe disonesto. La povertà è una cosa seria e merita rispetto».
Paghi gli alimenti alle tue ex?
«No. Ho sempre sposato donne corrette e oneste».
Mi hai detto che tuo figlio Giovanni ha 26 anni. Poi mi hai detto 36. Invece è del 1976. Una volta sei andato a prenderlo a scuola e hai sbagliato scuola. Che padre sei stato?
«Mi sono separato da lui quando aveva 8 anni. Ha pagato le bizze dei genitori al costo di weekend orrendi in treno tra Milano e Genova. Ho perso la parte migliore della paternità. Adesso siamo reduci da una vacanza insieme in Giappone. È stato bello».
Ti senti in colpa?
«Non ho il senso di colpa. È qualcosa di femminile che non ho. Soffro».
Paola Perego
In questo momento soffri?
«Se non lo scrivi è meglio».
Perché le donne tendono a mollarti?
«Mi accusano di essere egoista, egocentrico, menefreghista».
E tu replichi che loro hanno la sindrome di Santippe, la sindrome della lamentazione.
«Ce l'hanno tutte. Sono tutte rompiscatole. Ma gli uomini sono peggio: sono degli stronzi».
Da chi ti senti amato?
«Da mia moglie, da mio figlio, da mia madre e da un gruppo di amici».
Come riconosci un amico?
«Nel momento del bisogno sento di potermi rivolgere a lui. È tuo amico quello che tu credi lo sia».
Quindi ami di più quelli da cui ti senti amato.
«Esatto».
Ci sei mai andato dallo psicologo?
«Al massimo mi sono fatto dare il nome di uno psicologo».
Che tipo di uomo di casa sei?
«Faccio e sbaglio. Quando la mia compagna rifà le mie cose, mi sento svilito».
Rifai il letto?
«No. È una perdita di tempo. Però attacco quadri, aggiusto rubinetti, il bricolage è tutto sulle mie spalle. Mi piace anche stirare le camicie, ma non lo faccio perché è uno spreco di tempo. Faccio il bucato, anche a mano. Lavo i piatti, anche a mano. Passo l'aspirapolvere. Faccio la spesa e cucino bene».
Che cosa ti rimproverano, allora?
«Combino un sacco di pasticci. E ci rimango male perché sono enormemente permaloso. Ti avverto che non faccio il gioco della torre. Piuttosto ti picchio».
Non puoi rifiutarti. Sabina Guzzanti o Serena Dandini?
«Butto la Dandini perché la Guzzanti può tornare quella di prima. Mi piaceva tanto prima della svolta guru».
Simona Ventura o Maria De Filippi?
«Mi eccita anche la De Filippi. Ma tengo la Ventura, è un'amica».
Rosy Bindi o Livia Turco?
«Della Turco ricordo un'intervista fatta a Genova. Mi annoiai e buttai il lavoro. Oggi butto lei».
Lucia Annunziata o Milena Gabanelli?
«La Gabanelli è una specie protetta. Butto Annunziata. E dirò di più: Berlusconi aveva ragione quando si è alzato e l'ha piantata nello studio di In 1/2 h. Un giornalista non fa scappare l'intervistato».
Valeria Marini o Alba Parietti?
«Valeria Marini è un totem. Marilyn Monroe è la Valeria Marini americana».
Daniela Santanchè o Michela Brambilla?
«Butto Brambilla perché è arrivata in ritardo all'intervista».
Stefania Prestigiacomo o Mara Carfagna?
«Salvo la Carfagna perché devo ancora intervistarla».
Giorgia Meloni o Alessandra Mussolini?
«Tengo la Meloni: più moderna».
Mina o Patty Pravo?
«Adoro Mina. Ma non si vuol fare intervistare. La butto».
Serena Grandi o Edwige Fenech?
«Viva la sesta della Grandi».
Silvia Toffanin o Paola Perego?
«La Toffanin non ha ancora fatto i danni della Perego. Le risse domenicali fintamente sedate mi fanno orrore».
Marta Marzotto o Marina Ripa di Meana?
«Consentimelo: le butto entrambe, più e più volte».
Emma Bonino o Margherita Hack?
«Come si fa a candidarsi, essendo donna come la Bonino, per la presidenza della Repubblica con lo slogan "Un uomo alla presidenza"? Mai prendere l'uomo come simbolo».
(Giovanni Audifreddi per "Vanity Fair")
7.2.09
LA SCALETTA DEL MIO INTERVENTO A CASA POUND
da Valerio Morucci
· Carcere oggi è un’idea di contenimento ma anche di recupero devianza sociale
· Ieri con le stesse mura era un’altra idea. Le mura sono il contenitore dell’idea carcere
· Una domanda da porsi può essere quanto le mura influenzino comunque l’idea. Penitenziario=penitenza, pena=sofferenza: non è scritto da nessuna parte. E’ nelle mura?
· Concordo con chi nel passato ha sostenuto che le nostre idee, scelte e azioni, sono sì libere ma entro un quadro di fondo storico, culturale, politico
· Sarebbe perciò necessario riandare con giudizio critico a idee, scelte e azioni maturate in una diversa cornice storica. Soprattutto se hanno procurato tragedie
· Sono qui come uno che ha ferocemente discriminato e ora è discriminato: non uomo ma ex-terrorista, non il presente ma il passato
· Ma, soprattutto, sono qui come vostro nemico
· Vostre soluzioni di fondo per liberazione (o con Jefferson: per garantire la ricerca della Felicità) opposte alle mie idee
· Idee: non faccio più politica, scrivo libri
· Rappresento solo me stesso e la mia storia; che ha il suo peso in quello che dirò
· Decisione facile, scelta meno. Ostracismi e condanne di tradimento
· Non ne ho tenuto conto - Ho la mia strada
· Però discorso difficile: molte sensibilità, molti piani di coinvolgimento. Troppe tragedie, troppi morti. Non c’è solo il passato ma anche il presente. Necessaria attenzione. No parole fuori luogo
· Sto combattendo battaglia per libertà di parola e contro ogni tipo di discriminazione
· Mai avuta abitudine non dire ciò che penso perchè ritenuto contro la mia parte. Mai ciecamente in una parte. Mai abdicato a libertà di pensiero, e di critica. La libertà non è mai contro la propria parte, se è davvero per la libertà. Critica a omicidio Rossa scritta su mio ultimo volantino BR.
· Io che ho ostracizzato vengo a dire che nessuno deve essere ostracizzato
· Nessuno può essere escluso dal consesso sociale. Anche se è recluso non è escluso.
· L’esclusione porta a discriminare fino al punto di cancellare l’altrui identità.
· Fino al punto di rendere nulla la dignità umana del nemico
· Fino al punto di poterlo uccidere per la sua semplice appartenenza al gruppo nemico
· Poterlo uccidere senza alcuna remora perché lo si è escluso dal genere umano riconosciuto
· Una sottospecie, uno scarto. Insetti preferibilmente. Bacarozzi è il termine
· Negli anni ’70 io ho aderito a questo schiacciamento nel nulla del nemico
· Ed è l’adesione a questo modello di annullamento del nemico che ha portato alle decine di uccisioni degli anni ’70
· E sono qui per dolermi di avervi aderito. Per compiere questo gesto che non è per me pratico ma intellettuale. Una sfida
· Non sono qui per fare storia, ma semmai per cercare di dire cosa secondo me c’era sotto
· Si dice che tra ‘rossi’ e ‘neri’ ci sia stata una guerra. Io credo di no. Non ha seguito le regole della guerra. Non si è ucciso il nemico che si aveva di fronte, ma anche nemici presi a caso nella strada
· Non era una logica di guerra. Più di ‘pulizia etnica’ verso un gruppo visto dalla lente di un razzismo ideologico
· Questo è ciò che avvenuto dalla mia parte. Quanto gli stessi schemi abbiano guidato le azioni dall’altra parte non sta a me indagarlo
· Io sono qui a riconosce la dignità di uomini ai miei nemici
· Per dire che se vi si può affrontare come nemici, non si può più avere come obbiettivo il vostro annullamento come esseri umani
· Qualsiasi avversario deve sempre godere del riconoscimento di dignità umana
· Non riconoscerla è razzismo, è logica di annientamento, di pulizia etnica o politica. Campi di sterminio e foibe
· Annientare, o discriminare, l’identità dell’altro non può essere considerato un ‘percorso identitario’: è razzismo
· La violenza che ne scaturisce è una violenza non umana, che non può mai essere considerata ‘giusta’
· Non riconoscerla ha portato alle più grandi tragedie dell’umanità. La disumanità parte da qui. Non da quel che si fa all’altro ma, prima, da ciò che gli si toglie
· Credo che i nostri percorsi su questa terra siano complessi e che, bene o male, seguano una strada. Io sono stato contrario all’uccisione di Moro perché era un prigioniero. Cioè, per me, un nemico inerme. In quella condizione prevaleva sul suo essere nemico il suo essere uomo, la sua dignità di uomo. Alla sua attività di politico la sua premura di uomo per la famiglia. Non si può uccidere un prigioniero. E’ un atto disumano anche per chi ha già scelto di uccidere i propri nemici
· E queste sono le parole messe sopra a un rigurgito della coscienza. A un malessere fisico per quello che stava avvenendo. Poi la ragione ha seguito la coscienza. E al termine di una lunga e perduta battaglia per cercare di riportare indietro la macchina di morte delle BR, ho condannato l’omicidio di Guido Rossa. Perché era disumano e aberrante uccidere un operaio. Non solo uccidere il nemico, ma uccidere dalla propria parte. Doppiamente aberrante
· Questo, nel suo senso di fondo, è quello che avrei voluto dire agli studenti della Sapienza. E infatti l’incontro era su “Cultura violenza memoria”
· Il Rettore Frati non si è curato di sapere cosa avrei detto. E, in effetti, non avrebbe dovuto curarsene affatto. Perché c’è libertà di insegnamento e non poteva censurare le scelte di un professore. Perché io non sarei dovuto andare all’Università ‘malgrado’ fossi stato un assassino ma, al contrario, proprio per quello.
· Perché le Università sono luoghi di vaglio di esperienze, informazioni, testimonianze al fine di formare i saperi, le conoscenze. Dati né negativi né positivi, né rossi né neri né bianchi. Lo scarto è nel vaglio, nel confronto. Le Università o sono luoghi di sfida delle convenzioni, del già acquisito o non sono niente. Sono morte
· Le Università sono luogo sacro. Come lo erano le chiese che davano ricetto agli assassini
· E infatti leggendo i Vangeli risalta che il punto di vista di Cristo è sempre quello dei carnefici, dei peccatori
· A questo punto spero che si capisca perché sono qui. Perché cerco di dare voce e argomenti alla battaglia di libertà di parola, di espressione, di critica. Per tentare di fermare la deriva di discriminazioni e razzismo
· Carcere oggi è un’idea di contenimento ma anche di recupero devianza sociale
· Ieri con le stesse mura era un’altra idea. Le mura sono il contenitore dell’idea carcere
· Una domanda da porsi può essere quanto le mura influenzino comunque l’idea. Penitenziario=penitenza, pena=sofferenza: non è scritto da nessuna parte. E’ nelle mura?
· Concordo con chi nel passato ha sostenuto che le nostre idee, scelte e azioni, sono sì libere ma entro un quadro di fondo storico, culturale, politico
· Sarebbe perciò necessario riandare con giudizio critico a idee, scelte e azioni maturate in una diversa cornice storica. Soprattutto se hanno procurato tragedie
· Sono qui come uno che ha ferocemente discriminato e ora è discriminato: non uomo ma ex-terrorista, non il presente ma il passato
· Ma, soprattutto, sono qui come vostro nemico
· Vostre soluzioni di fondo per liberazione (o con Jefferson: per garantire la ricerca della Felicità) opposte alle mie idee
· Idee: non faccio più politica, scrivo libri
· Rappresento solo me stesso e la mia storia; che ha il suo peso in quello che dirò
· Decisione facile, scelta meno. Ostracismi e condanne di tradimento
· Non ne ho tenuto conto - Ho la mia strada
· Però discorso difficile: molte sensibilità, molti piani di coinvolgimento. Troppe tragedie, troppi morti. Non c’è solo il passato ma anche il presente. Necessaria attenzione. No parole fuori luogo
· Sto combattendo battaglia per libertà di parola e contro ogni tipo di discriminazione
· Mai avuta abitudine non dire ciò che penso perchè ritenuto contro la mia parte. Mai ciecamente in una parte. Mai abdicato a libertà di pensiero, e di critica. La libertà non è mai contro la propria parte, se è davvero per la libertà. Critica a omicidio Rossa scritta su mio ultimo volantino BR.
· Io che ho ostracizzato vengo a dire che nessuno deve essere ostracizzato
· Nessuno può essere escluso dal consesso sociale. Anche se è recluso non è escluso.
· L’esclusione porta a discriminare fino al punto di cancellare l’altrui identità.
· Fino al punto di rendere nulla la dignità umana del nemico
· Fino al punto di poterlo uccidere per la sua semplice appartenenza al gruppo nemico
· Poterlo uccidere senza alcuna remora perché lo si è escluso dal genere umano riconosciuto
· Una sottospecie, uno scarto. Insetti preferibilmente. Bacarozzi è il termine
· Negli anni ’70 io ho aderito a questo schiacciamento nel nulla del nemico
· Ed è l’adesione a questo modello di annullamento del nemico che ha portato alle decine di uccisioni degli anni ’70
· E sono qui per dolermi di avervi aderito. Per compiere questo gesto che non è per me pratico ma intellettuale. Una sfida
· Non sono qui per fare storia, ma semmai per cercare di dire cosa secondo me c’era sotto
· Si dice che tra ‘rossi’ e ‘neri’ ci sia stata una guerra. Io credo di no. Non ha seguito le regole della guerra. Non si è ucciso il nemico che si aveva di fronte, ma anche nemici presi a caso nella strada
· Non era una logica di guerra. Più di ‘pulizia etnica’ verso un gruppo visto dalla lente di un razzismo ideologico
· Questo è ciò che avvenuto dalla mia parte. Quanto gli stessi schemi abbiano guidato le azioni dall’altra parte non sta a me indagarlo
· Io sono qui a riconosce la dignità di uomini ai miei nemici
· Per dire che se vi si può affrontare come nemici, non si può più avere come obbiettivo il vostro annullamento come esseri umani
· Qualsiasi avversario deve sempre godere del riconoscimento di dignità umana
· Non riconoscerla è razzismo, è logica di annientamento, di pulizia etnica o politica. Campi di sterminio e foibe
· Annientare, o discriminare, l’identità dell’altro non può essere considerato un ‘percorso identitario’: è razzismo
· La violenza che ne scaturisce è una violenza non umana, che non può mai essere considerata ‘giusta’
· Non riconoscerla ha portato alle più grandi tragedie dell’umanità. La disumanità parte da qui. Non da quel che si fa all’altro ma, prima, da ciò che gli si toglie
· Credo che i nostri percorsi su questa terra siano complessi e che, bene o male, seguano una strada. Io sono stato contrario all’uccisione di Moro perché era un prigioniero. Cioè, per me, un nemico inerme. In quella condizione prevaleva sul suo essere nemico il suo essere uomo, la sua dignità di uomo. Alla sua attività di politico la sua premura di uomo per la famiglia. Non si può uccidere un prigioniero. E’ un atto disumano anche per chi ha già scelto di uccidere i propri nemici
· E queste sono le parole messe sopra a un rigurgito della coscienza. A un malessere fisico per quello che stava avvenendo. Poi la ragione ha seguito la coscienza. E al termine di una lunga e perduta battaglia per cercare di riportare indietro la macchina di morte delle BR, ho condannato l’omicidio di Guido Rossa. Perché era disumano e aberrante uccidere un operaio. Non solo uccidere il nemico, ma uccidere dalla propria parte. Doppiamente aberrante
· Questo, nel suo senso di fondo, è quello che avrei voluto dire agli studenti della Sapienza. E infatti l’incontro era su “Cultura violenza memoria”
· Il Rettore Frati non si è curato di sapere cosa avrei detto. E, in effetti, non avrebbe dovuto curarsene affatto. Perché c’è libertà di insegnamento e non poteva censurare le scelte di un professore. Perché io non sarei dovuto andare all’Università ‘malgrado’ fossi stato un assassino ma, al contrario, proprio per quello.
· Perché le Università sono luoghi di vaglio di esperienze, informazioni, testimonianze al fine di formare i saperi, le conoscenze. Dati né negativi né positivi, né rossi né neri né bianchi. Lo scarto è nel vaglio, nel confronto. Le Università o sono luoghi di sfida delle convenzioni, del già acquisito o non sono niente. Sono morte
· Le Università sono luogo sacro. Come lo erano le chiese che davano ricetto agli assassini
· E infatti leggendo i Vangeli risalta che il punto di vista di Cristo è sempre quello dei carnefici, dei peccatori
· A questo punto spero che si capisca perché sono qui. Perché cerco di dare voce e argomenti alla battaglia di libertà di parola, di espressione, di critica. Per tentare di fermare la deriva di discriminazioni e razzismo
17.9.08
La casa rossa dei due cieli / kaksi taivasta
da Fabrizio Carbone
Sono le 18,45 e sto scrivendo il mio ultimo racconto, Susi storia di una lupa, al computer. Ascolto un cd di Elisa che ci ha regalato Alessandro Troisi, un suo fan accanito e ora anche un amico caro. Scrivo e mi lascio guidare da una canzone molto bella, Dancing, la numero 10 del cd. Chi conosce la casa rossa dei due cieli sa che il computer e' poggiato sul tavolo attaccato alla finestra che guarda il giardino davanti, accanto alla cucina. La finestra e' quella dove, con mio grande dolore, si schianto' una femmina giovane di astore a caccia di cince e peppole, la primavera scorsa. Scrivo e mi lascio trasportare dalla musica, mi annullo, ho una sorte di straniamento che mi commuove. I pensieri volano alla morte del papa' di Patrizia, rimbalzano in questo piccolo paradiso dove sono capitato un quarto di secolo fa, che non ho piu' lasciato, che e' diventato il posto piu' importante della mia vita attuale. Sono solo da 5 giorni, da quando sono partiti gli ultimi amici di quest'anno, Stefano, Davide, Graziano. Amici che sono per me i fratelli, i tanti fratelli come me legati indossolubilmente alla Natura. Patrizia e' con la mamma, con Tommaso e i nostri tre nipoti. Vivo come fossi una sorte di profugo fuggito da un incubo: le notizie che non posso fare a meno di leggere on line e che giungono dall'Italia mi fanno inorridire tra il tragico e il gossip sempre piu' prepotente e preponderante. Scrivo un racconto che non ha alcun nesso con il mondo di oggi, quello reale, un racconto che vorrebbe essere la mia storia/sogno e insieme la storia di un'utopia che mi porto dietro e non mi lascia.
Cosi' a un certo momento mi volto neppure di scatto, giro il mio corpo su me stesso e guardo verso la finestra che e' esattamente alle mie spalle. Da giorni vi tengo la telecamera montata sul treppiede. Sono esattamente sette giorni che le alci si fanno vedere al mattino presto o la sera tardi a pochi metri dalla finestra, una femmina adulta e un giovane, piu' lontano, al fondo della radura che fa parte della nostra terra,un grande maschio con uno splendido palco. Lui non sono riuscito ancora a filmarlo perche' mi sorprende sempre: lo vedo per caso mentre si allontana o mentre sto caricando le batterie e non faccio in tempo a filmarlo. Ora pero' mi sono voltato e l'alce e' li con le sue grandi orecchie girate verso la musica di Elisa. Dancing anche per lei! E' la solita femmina che mangia le alte piante rosseggianti di epilobium, le ultime dell'autunno che sta per finire. Le mangia con piacere anche perche' sono alte abbastanza per il suo collo corto e tozzo. L'alce, ancora una volta, immobile. Dalla finestra saranno sei, sette metri. Questa volta e' veramente vicina, penso tra me mentre comincio a riprendere. La luce e' bassa, devo aiutarmi con il guadagno, cosi' si dice in termini tecnici. Ma l'immagine e' bella perche' la musica l'accompagna: dancing is so sweet..
Somo immobile, siamo immobili, lei ed io mentre la luce si spegne piano. Poi e' l'alce a muoversi prima lentamente, scivolando tra l'erba alta e i piccoli abeti che sono in verita' molto cresciuti in questi 5 anni da quando abbiamo casa qui ai due cieli. Poi un breve galoppo, due metri ed e' scomparsa. E' nulla. Non e' mai esistita se non nel mio cuore, penso. Poi resto a guardare la poca luce che resta. Fa due gradi sopra zero e il cielo ha il colore dell'ovatta vecchia, grigia di neve che non cade ancora, ancora per questa notte che sta arrivando buia, senza stelle, senza revontulet, senza la coda delle volpi come i lapponi chiamano l'aurora boreale.
Sono le 18,45 e sto scrivendo il mio ultimo racconto, Susi storia di una lupa, al computer. Ascolto un cd di Elisa che ci ha regalato Alessandro Troisi, un suo fan accanito e ora anche un amico caro. Scrivo e mi lascio guidare da una canzone molto bella, Dancing, la numero 10 del cd. Chi conosce la casa rossa dei due cieli sa che il computer e' poggiato sul tavolo attaccato alla finestra che guarda il giardino davanti, accanto alla cucina. La finestra e' quella dove, con mio grande dolore, si schianto' una femmina giovane di astore a caccia di cince e peppole, la primavera scorsa. Scrivo e mi lascio trasportare dalla musica, mi annullo, ho una sorte di straniamento che mi commuove. I pensieri volano alla morte del papa' di Patrizia, rimbalzano in questo piccolo paradiso dove sono capitato un quarto di secolo fa, che non ho piu' lasciato, che e' diventato il posto piu' importante della mia vita attuale. Sono solo da 5 giorni, da quando sono partiti gli ultimi amici di quest'anno, Stefano, Davide, Graziano. Amici che sono per me i fratelli, i tanti fratelli come me legati indossolubilmente alla Natura. Patrizia e' con la mamma, con Tommaso e i nostri tre nipoti. Vivo come fossi una sorte di profugo fuggito da un incubo: le notizie che non posso fare a meno di leggere on line e che giungono dall'Italia mi fanno inorridire tra il tragico e il gossip sempre piu' prepotente e preponderante. Scrivo un racconto che non ha alcun nesso con il mondo di oggi, quello reale, un racconto che vorrebbe essere la mia storia/sogno e insieme la storia di un'utopia che mi porto dietro e non mi lascia.
Cosi' a un certo momento mi volto neppure di scatto, giro il mio corpo su me stesso e guardo verso la finestra che e' esattamente alle mie spalle. Da giorni vi tengo la telecamera montata sul treppiede. Sono esattamente sette giorni che le alci si fanno vedere al mattino presto o la sera tardi a pochi metri dalla finestra, una femmina adulta e un giovane, piu' lontano, al fondo della radura che fa parte della nostra terra,un grande maschio con uno splendido palco. Lui non sono riuscito ancora a filmarlo perche' mi sorprende sempre: lo vedo per caso mentre si allontana o mentre sto caricando le batterie e non faccio in tempo a filmarlo. Ora pero' mi sono voltato e l'alce e' li con le sue grandi orecchie girate verso la musica di Elisa. Dancing anche per lei! E' la solita femmina che mangia le alte piante rosseggianti di epilobium, le ultime dell'autunno che sta per finire. Le mangia con piacere anche perche' sono alte abbastanza per il suo collo corto e tozzo. L'alce, ancora una volta, immobile. Dalla finestra saranno sei, sette metri. Questa volta e' veramente vicina, penso tra me mentre comincio a riprendere. La luce e' bassa, devo aiutarmi con il guadagno, cosi' si dice in termini tecnici. Ma l'immagine e' bella perche' la musica l'accompagna: dancing is so sweet..
Somo immobile, siamo immobili, lei ed io mentre la luce si spegne piano. Poi e' l'alce a muoversi prima lentamente, scivolando tra l'erba alta e i piccoli abeti che sono in verita' molto cresciuti in questi 5 anni da quando abbiamo casa qui ai due cieli. Poi un breve galoppo, due metri ed e' scomparsa. E' nulla. Non e' mai esistita se non nel mio cuore, penso. Poi resto a guardare la poca luce che resta. Fa due gradi sopra zero e il cielo ha il colore dell'ovatta vecchia, grigia di neve che non cade ancora, ancora per questa notte che sta arrivando buia, senza stelle, senza revontulet, senza la coda delle volpi come i lapponi chiamano l'aurora boreale.
5.9.08
Caro diario ecco i miei amori spagnoli
di WOODY ALLEN (grazie a Paola Bensi)
Woody Allen ha diretto Vicky Cristina Barcelona, che è uscito nelle sale americane la scorsa settimana e sarà distribuito nel resto del mondo tra l'autunno e l'inverno. Il grande regista newyorchese ha scritto questo diario per il New York Times.
2 gennaio
Ricevuta offerta per scrivere e dirigere un film a Barcellona. Devo stare attento. La Spagna è assolata e io mi copro di lentiggini. Anche a livello di soldi non è un granché, ma il mio agente è riuscito a strappare un decimo dell'1 per cento di tutti i guadagni realizzati dal film dopo che gli incassi avranno superato il tetto di 400 milioni in dollari in più rispetto alle spese.
Nessuna idea per Barcellona, a meno di non riuscire a riciclare la storia di due ebrei di Hackensack, New Jersey, che decidono di metter su un servizio di imbalsamazione per corrispondenza.
5 marzo
Incontrato con Javier Bardém e Penélope Cruz. Lei è incantevole e più sessuale di quello che avevo immaginato. Durante il colloquio mi sono incendiati i pantaloni. Bardém è uno di quei geni latenti che aspettano solo di essere plasmati da me.
2 aprile
Offerto ruolo a Scarlett Johansson. Ha detto che prima d'accettare il suo agente deve approvare il copione, poi lo deve approvare la madre, a cui è molto legata. Dopo di che lo deve approvare la madre dell'agente. A trattativa in corso ha cambiato agenti; poi ha cambiato madri. Ha un grande talento, ma a volte è un po' irrequieta.
1 giugno
Arrivato a Barcellona. Sistemazione di prima categoria. Hanno promesso all'albergo mezza stella l'anno prossimo se nel frattempo avranno installato l'acqua corrente.
5 giugno
Le riprese sono cominciate con qualche difficoltà. Rebecca Hall, nonostante la giovane età e nonostante sia al suo primo ruolo importante, è un po' più caratteriale di quel che pensavo e mi ha cacciato dal set. Ho spiegato che il regista dev'essere presente per girare il film, ma per quanto ci abbia provato non sono riuscito a convincerla e mi sono dovuto travestire da fattorino del catering per reintrodurmi di soppiatto sul set.
15 giugno
Il lavoro finalmente ingrana. Girata una torrida scena d'amore oggi tra Scarlett e Javier. Fosse stato solo qualche anno fa, la parte di Javier l'avrei fatta io. Quando l'ho detto a Scarlett, lei ha detto: "Ah", con un'intonazione enigmatica. Scarlett è arrivata in ritardo sul set. L'ho rimproverata aspramente, spiegandole che non tollero la svogliatezza nei miei attori. Lei mi ha ascoltato rispettosamente, anche se mentre parlavo mi è sembrato di notare che alzasse il volume del suo iPod.
20 giugno
Barcellona è una città meravigliosa. Quando giriamo le scene c'è sempre una folla di curiosi. Per fortuna capiscono che non ho tempo per firmare autografi e quindi importunano solo gli attori. Più tardi ho distribuito foto in formato A4 di me che stringo la mano a Spiro Agnew, offrendomi di firmarle, ma ormai la folla si era dispersa.
26 giugno
Riprese alla Sagrada Familia, il capolavoro di Gaudí. Pensavo che ho molto in comune col grande architetto spagnolo. Tutti e due sfidiamo le convenzioni, lui con le sue architetture sconvolgenti, io indossando un bavaglino con su disegnata un'aragosta sotto la doccia.
30 giugno
I giornalieri sembrano buoni; l'idea di Javier di aggiungere la scena imponente di un'invasione di marziani, con mille comparse in costume e complicati dischi volanti, non mi è sembrata un granché, ma ho deciso di girarla comunque per farlo contento, poi la taglierò in sala di montaggio.
3 luglio
Scarlett oggi è venuta da me con una di quelle domande che fanno sempre gli attori, "Qual è la mia motivazione?". Le ho risposto: "Il tuo salario". Lei ha detto sì, va bene, ma ho bisogno di molta più motivazione per continuare. Circa il triplo. Altrimenti parto, ha minacciato. Io ho deciso di vedere il suo bluff e sono partito prima io. Poi è partita lei. A quel punto eravamo un bel po' lontani e dovevamo strillare per sentirci. Poi lei ha minacciato di abbandonare la barca. L'ho abbandonata anch'io e ben presto ci siamo ritrovati in un vicolo cieco. Nel vicolo cieco ho incontrato degli amici e siamo andati tutti quanti a bere: naturalmente alla fine è toccato pagare a me.
15 luglio
Ho dovuto di nuovo aiutare Javier con le scene di sesso. Il copione prevedeva che afferrasse Penélope Cruz, le strappasse i vestiti di dosso e la violentasse in camera da letto. Gli avranno pure dato l'Oscar, ma per le scene di passione gli serve qualcuno che gli faccia vedere come si fa. Ho afferrato Penélope e con un rapido movimento le ho strappato i vestiti di dosso. Destino ha voluto che non avesse ancora indossato il costume di scena, perciò quello che ho fatto a brandelli era il suo costoso abito da sera. Imperterrito, l'ho scagliata per terra di fronte al caminetto e mi sono lanciato su di lei. Quella sfacciata è rotolata via un secondo prima del mio atterraggio, causandomi la spaccatura di certi denti indispensabili sulle mattonelle del pavimento. Con un dentista bravo, entro agosto dovrei poter ricominciare a mangiare cibi solidi.
30 luglio
I giornalieri sembrano davvero fantastici. Probabilmente è ancora presto per cominciare a pianificare la campagna per l'Oscar. Ma buttare giù qualche appunto per il discorso di ringraziamento mi risparmierà un po' di tempo più avanti.
3 agosto
Immagino che sia uno degli inconvenienti del mestiere. Un regista è in parte insegnante, in parte strizzacervelli, in parte figura paterna, in parte maestro spirituale. C'è da stupirsi che col passare delle settimane Scarlett e Penélope si siano prese entrambe una cotta per me? Fragilità del cuore femminile. Vedo il povero Javier che mi guarda con invidia mentre le attrici mi divorano con gli occhi, ma ho spiegato al ragazzo che lo sfrenato desiderio femminile per un'icona del cinema, specialmente se dotata di quel mio sogghigno di fredda padronanza di sé, è qualcosa che bisogna aspettarsi. Quando la mattina arrivo sul set lavato e profumato, tra Scarlett e Penélope si scatena una contesa virtuale per il possesso del mio corpo. Non amo mescolare il lavoro con il piacere, ma per riuscire a portare a termine il film forse sarò costretto a saziare la bramosia di entrambe, a turno. Potrei concedere a Penélope il mercoledì e il venerdì, assecondando le voglie di Scarlett il martedì e il giovedì. Così rimarrebbe libero il lunedì per Rebecca, che ho fermato appena in tempo prima che si tatuasse il mio nome sulla coscia. Finite le riprese mi andrò a bere un bicchiere con le donne del cast e stabilirò alcune regole di base. Forse il vecchio sistema delle tessere annonarie potrebbe funzionare.
10 agosto
Oggi ho diretto Javier in una scena emotiva. Ho dovuto leggergli la sua parte per fargli vedere come recitarla. È sufficiente che mi imiti. Se prova a recitare di testa sua, tempo un minuto e si smarrisce. Poi si mette a piangere e si chiede come potrà continuare a vivere quando io non sarò più il suo regista. Io gli spiego educatamente ma con fermezza che deve cercare di fare del suo meglio senza di me e cercare di ricordarsi i miei suggerimenti. È servito a tirarlo su di morale: l'ho capito perché quando ho lasciato la sua roulotte ho sentito che l\ui e i suoi amici ridevano a crepapelle.
20 agosto
Ho fatto l'amore simultaneamente con Scarlett e con Penélope per cercare di farle star buone. Questo ménage a' trois mi ha dato una grande idea per il punto culminante del film. Rebecca continuava a battere alla porta e alla fine l'ho lasciata entrare, ma questi letti spagnoli sono troppo piccoli per quattro e quando è salita su anche lei io continuavo a cascare per terra. Oggi fine della produzione. Festa d'addio come al solito un po' triste. Ho fatto un ballo lento con Scarlett. Le ho fratturato un alluce. Non è stata colpa mia. Gliel'ho pestato quando mi ha piegato all'indietro per il casqué.
25 agosto
Penélope e Javier non vedono l'ora di lavorare nuovamente con me. Mi hanno detto, "Se hai un'altra sceneggiatura, prova a scovarci". Brindisi d'addio con Rebecca. Momento sentimentale. Tutti quelli del cast e della troupe hanno fatto una colletta e mi hanno regalato una penna biro. Ho deciso di intitolare il film Vicky Cristina Barcelona. I capi della produzione hanno visto tutto il girato. A quanto sembra gli piace da impazzire, fotogramma per fotogramma: per la prima, stanno pensando a un lebbrosario. Eh, potere vuol dire solitudine.
Copyright 2008
Woody Allen - All Rights Reserved
Traduzione di Fabio Galimberti
Traduzione di Fabio Galimberti
Woody Allen ha diretto Vicky Cristina Barcelona, che è uscito nelle sale americane la scorsa settimana e sarà distribuito nel resto del mondo tra l'autunno e l'inverno. Il grande regista newyorchese ha scritto questo diario per il New York Times.
2 gennaio
Ricevuta offerta per scrivere e dirigere un film a Barcellona. Devo stare attento. La Spagna è assolata e io mi copro di lentiggini. Anche a livello di soldi non è un granché, ma il mio agente è riuscito a strappare un decimo dell'1 per cento di tutti i guadagni realizzati dal film dopo che gli incassi avranno superato il tetto di 400 milioni in dollari in più rispetto alle spese.
Nessuna idea per Barcellona, a meno di non riuscire a riciclare la storia di due ebrei di Hackensack, New Jersey, che decidono di metter su un servizio di imbalsamazione per corrispondenza.
5 marzo
Incontrato con Javier Bardém e Penélope Cruz. Lei è incantevole e più sessuale di quello che avevo immaginato. Durante il colloquio mi sono incendiati i pantaloni. Bardém è uno di quei geni latenti che aspettano solo di essere plasmati da me.
2 aprile
Offerto ruolo a Scarlett Johansson. Ha detto che prima d'accettare il suo agente deve approvare il copione, poi lo deve approvare la madre, a cui è molto legata. Dopo di che lo deve approvare la madre dell'agente. A trattativa in corso ha cambiato agenti; poi ha cambiato madri. Ha un grande talento, ma a volte è un po' irrequieta.
1 giugno
Arrivato a Barcellona. Sistemazione di prima categoria. Hanno promesso all'albergo mezza stella l'anno prossimo se nel frattempo avranno installato l'acqua corrente.
5 giugno
Le riprese sono cominciate con qualche difficoltà. Rebecca Hall, nonostante la giovane età e nonostante sia al suo primo ruolo importante, è un po' più caratteriale di quel che pensavo e mi ha cacciato dal set. Ho spiegato che il regista dev'essere presente per girare il film, ma per quanto ci abbia provato non sono riuscito a convincerla e mi sono dovuto travestire da fattorino del catering per reintrodurmi di soppiatto sul set.
15 giugno
Il lavoro finalmente ingrana. Girata una torrida scena d'amore oggi tra Scarlett e Javier. Fosse stato solo qualche anno fa, la parte di Javier l'avrei fatta io. Quando l'ho detto a Scarlett, lei ha detto: "Ah", con un'intonazione enigmatica. Scarlett è arrivata in ritardo sul set. L'ho rimproverata aspramente, spiegandole che non tollero la svogliatezza nei miei attori. Lei mi ha ascoltato rispettosamente, anche se mentre parlavo mi è sembrato di notare che alzasse il volume del suo iPod.
20 giugno
Barcellona è una città meravigliosa. Quando giriamo le scene c'è sempre una folla di curiosi. Per fortuna capiscono che non ho tempo per firmare autografi e quindi importunano solo gli attori. Più tardi ho distribuito foto in formato A4 di me che stringo la mano a Spiro Agnew, offrendomi di firmarle, ma ormai la folla si era dispersa.
26 giugno
Riprese alla Sagrada Familia, il capolavoro di Gaudí. Pensavo che ho molto in comune col grande architetto spagnolo. Tutti e due sfidiamo le convenzioni, lui con le sue architetture sconvolgenti, io indossando un bavaglino con su disegnata un'aragosta sotto la doccia.
30 giugno
I giornalieri sembrano buoni; l'idea di Javier di aggiungere la scena imponente di un'invasione di marziani, con mille comparse in costume e complicati dischi volanti, non mi è sembrata un granché, ma ho deciso di girarla comunque per farlo contento, poi la taglierò in sala di montaggio.
3 luglio
Scarlett oggi è venuta da me con una di quelle domande che fanno sempre gli attori, "Qual è la mia motivazione?". Le ho risposto: "Il tuo salario". Lei ha detto sì, va bene, ma ho bisogno di molta più motivazione per continuare. Circa il triplo. Altrimenti parto, ha minacciato. Io ho deciso di vedere il suo bluff e sono partito prima io. Poi è partita lei. A quel punto eravamo un bel po' lontani e dovevamo strillare per sentirci. Poi lei ha minacciato di abbandonare la barca. L'ho abbandonata anch'io e ben presto ci siamo ritrovati in un vicolo cieco. Nel vicolo cieco ho incontrato degli amici e siamo andati tutti quanti a bere: naturalmente alla fine è toccato pagare a me.
15 luglio
Ho dovuto di nuovo aiutare Javier con le scene di sesso. Il copione prevedeva che afferrasse Penélope Cruz, le strappasse i vestiti di dosso e la violentasse in camera da letto. Gli avranno pure dato l'Oscar, ma per le scene di passione gli serve qualcuno che gli faccia vedere come si fa. Ho afferrato Penélope e con un rapido movimento le ho strappato i vestiti di dosso. Destino ha voluto che non avesse ancora indossato il costume di scena, perciò quello che ho fatto a brandelli era il suo costoso abito da sera. Imperterrito, l'ho scagliata per terra di fronte al caminetto e mi sono lanciato su di lei. Quella sfacciata è rotolata via un secondo prima del mio atterraggio, causandomi la spaccatura di certi denti indispensabili sulle mattonelle del pavimento. Con un dentista bravo, entro agosto dovrei poter ricominciare a mangiare cibi solidi.
30 luglio
I giornalieri sembrano davvero fantastici. Probabilmente è ancora presto per cominciare a pianificare la campagna per l'Oscar. Ma buttare giù qualche appunto per il discorso di ringraziamento mi risparmierà un po' di tempo più avanti.
3 agosto
Immagino che sia uno degli inconvenienti del mestiere. Un regista è in parte insegnante, in parte strizzacervelli, in parte figura paterna, in parte maestro spirituale. C'è da stupirsi che col passare delle settimane Scarlett e Penélope si siano prese entrambe una cotta per me? Fragilità del cuore femminile. Vedo il povero Javier che mi guarda con invidia mentre le attrici mi divorano con gli occhi, ma ho spiegato al ragazzo che lo sfrenato desiderio femminile per un'icona del cinema, specialmente se dotata di quel mio sogghigno di fredda padronanza di sé, è qualcosa che bisogna aspettarsi. Quando la mattina arrivo sul set lavato e profumato, tra Scarlett e Penélope si scatena una contesa virtuale per il possesso del mio corpo. Non amo mescolare il lavoro con il piacere, ma per riuscire a portare a termine il film forse sarò costretto a saziare la bramosia di entrambe, a turno. Potrei concedere a Penélope il mercoledì e il venerdì, assecondando le voglie di Scarlett il martedì e il giovedì. Così rimarrebbe libero il lunedì per Rebecca, che ho fermato appena in tempo prima che si tatuasse il mio nome sulla coscia. Finite le riprese mi andrò a bere un bicchiere con le donne del cast e stabilirò alcune regole di base. Forse il vecchio sistema delle tessere annonarie potrebbe funzionare.
10 agosto
Oggi ho diretto Javier in una scena emotiva. Ho dovuto leggergli la sua parte per fargli vedere come recitarla. È sufficiente che mi imiti. Se prova a recitare di testa sua, tempo un minuto e si smarrisce. Poi si mette a piangere e si chiede come potrà continuare a vivere quando io non sarò più il suo regista. Io gli spiego educatamente ma con fermezza che deve cercare di fare del suo meglio senza di me e cercare di ricordarsi i miei suggerimenti. È servito a tirarlo su di morale: l'ho capito perché quando ho lasciato la sua roulotte ho sentito che l\ui e i suoi amici ridevano a crepapelle.
20 agosto
Ho fatto l'amore simultaneamente con Scarlett e con Penélope per cercare di farle star buone. Questo ménage a' trois mi ha dato una grande idea per il punto culminante del film. Rebecca continuava a battere alla porta e alla fine l'ho lasciata entrare, ma questi letti spagnoli sono troppo piccoli per quattro e quando è salita su anche lei io continuavo a cascare per terra. Oggi fine della produzione. Festa d'addio come al solito un po' triste. Ho fatto un ballo lento con Scarlett. Le ho fratturato un alluce. Non è stata colpa mia. Gliel'ho pestato quando mi ha piegato all'indietro per il casqué.
25 agosto
Penélope e Javier non vedono l'ora di lavorare nuovamente con me. Mi hanno detto, "Se hai un'altra sceneggiatura, prova a scovarci". Brindisi d'addio con Rebecca. Momento sentimentale. Tutti quelli del cast e della troupe hanno fatto una colletta e mi hanno regalato una penna biro. Ho deciso di intitolare il film Vicky Cristina Barcelona. I capi della produzione hanno visto tutto il girato. A quanto sembra gli piace da impazzire, fotogramma per fotogramma: per la prima, stanno pensando a un lebbrosario. Eh, potere vuol dire solitudine.
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Traduzione di Fabio Galimberti
Traduzione di Fabio Galimberti