Manifesto dei 121
Dichiarazione sul diritto all'insubordinazionenella guerra di Algeria
6 settembre 1960
Il 6 settembre 1960, 121 scrittori, universitari e artisti pubblicano il testo che segue (su Vérité-Liberté, n.4, settembre-ottobre 1960; l'edizione fu sequestrata e il direttore responsabile fu accusato di istigazione di militari all'insubordinazione). L'appello costerà severe sanzioni ad alcuni dei firmatari.
Un movimento, assai importante, si sviluppa in Francia, ed è necessario che l'opinione pub-blica francese e internazionale ne sia meglio informata, nel momento in cui la nuova svolta nella guerra d'Algeria deve portarci a vedere, non a dimenticare, la profondità della crisi inizia-ta sei anni or sono. Sempre più numerosi, Francesi sono perseguitati, incarcerati, condannati, per essersi rifiutati di partecipare a questa guerra, o per aver aiutato combattenti algerini. Travisate dai loro avversari, ma anche edulcorate da coloro che avrebbero il dovere di difen-derle, le loro ragioni rimangono generalmente incomprese. Pertanto, è insufficiente dire che questa resistenza ai pubblici poteri è rispettabile. Protesta di uomini colpiti nell'onore e nella giusta idea che si fanno della verità, essa ha un significato che oltrepassa le circostanze nelle quali si è affermata e che bisogna ricuperare, qualunque sia l'esito degli eventi.
Per gli Algerini, la lotta perseguita, sia con mezzi militari, sia con mezzi diplomatici, non impli-ca equivoci. E' una guerra d'indipendenza nazionale. Per i Francesi, invece, che guerra è? Non è una guerra straniera. Il territorio della Francia non è mai stato minacciato. Inoltre, si fa guerra contro uomini che lo Stato finge di considerare francesi, mentre loro lottano precisa-mente per non esserlo più. Non basterebbe nemmeno affermare che si tratta di una guerra di conquista, guerra imperialista, corredata in soprappiù di razzismo. C'è qualcosa del genere in ogni guerra, e l'equivoco rimane.
In realtà, con una decisione che costituiva un fondamentale abuso, lo Stato ha mobilitato dapprima intere classi di leva di cittadini al solo fine di realizzare ciò che definiva una faccen-da di polizia contro una popolazione oppressa, la quale si è ribellata solo per una preoccupa-zione di elementare dignità, poiché esige di essere finalmente riconosciuta come comunità indipendente.
Non guerra di conquista, né guerra di "difesa nazionale", né guerra civile, la guerra d'Algeria è divenuta poco a poco un'azione propria dell'esercito e di una casta che rifiutano di cedere di fronte ad una rivolta, di cui lo stesso potere civile sembra sul punto di riconoscere il senso, rendendosi conto del crollo generale degli imperi coloniali.
Oggi, è soprattutto la volontà dell'esercito a continuare questo conflitto assurdo e criminale, e questo esercito, con il ruolo politico che gli attribuiscono molti dei suoi alti rappresentanti, a-gendo talora apertamente e violentemente fuori di ogni legalità, tradendo gli scopi che l'insie-me del paese gli affida, compromette e rischia di pervertire la nazione stessa, obbligando cit-tadini alle sue dipendenze a divenire complici di un'azione faziosa e umiliante. E' forse neces-sario rammentare che, quindici anni dopo la distruzione dell'ordine hitleriano, il militarismo francese, a causa delle necessità di questa guerra, è giunto a ripristinare la tortura e a renderla di nuovo istituzionale in Europa?
In queste condizioni, molti Francesi hanno deciso di rimettere in discussione il senso di valori e doveri tradizionali. Cos'è mai il senso civico quando, in certe circostanze, diventa disonore-vole sottomissione? Esistono casi in cui il "rifiuto" è un sacro dovere, in cui il "tradimento" vuol dire coraggioso rispetto del vero? E quando, per la volontà di chi lo utilizza come strumento di dominio razzista o ideologico, l'esercito si pone in rivolta aperta o latente contro le istituzioni democratiche, la rivolta contro l'esercito non acquista un senso nuovo?
Il caso di coscienza è stato posto fin dall'inizio della guerra. Continuando, è normale che il ca-so di coscienza si sia risolto concretamente in atti sempre più numerosi di renitenza alla leva, di diserzione, come pure di protezione e aiuto a combattenti algerini. Liberi movimenti si sono sviluppati ai margini di tutti i partiti ufficiali, senza il loro aiuto e, infine, malgrado la loro disap-provazione. Ancora una volta, fuori dagli ambienti e dalle parole d'ordine prestabiliti, è nata una resistenza, grazie ad una spontanea presa di coscienza, che cerca e inventa forme di a-zione e mezzi di lotta in rapporto con una situazione nuova, alla quale gruppi politici e giornali d'opinione sono d'accordo di non riconoscere il senso e le vere esigenze, sia per inerzia o ti-midezza dottrinale, sia per pregiudizi nazionalistici o morali.
I sottoscritti, considerato che ciascuno deve pronunciarsi su atti che è ormai impossibile pre-sentare come vari fatti dell'avventura individuale, considerato ch'essi stessi al loro posto e se-condo i loro mezzi, hanno il dovere d'intervenire, non per dare consigli a uomini che devono decidere personalmente di fronte a problemi tanto gravi, ma per chiedere a coloro che li giu-dicano di non lasciarsi prendere dall'equivoco delle parole e dei valori, dichiarano:
· Noi rispettiamo e riteniamo giustificato il rifiuto d'impugnare le armi contro il popolo al-gerino.
· Noi rispettiamo e riteniamo giustificata la condotta dei Francesi che reputano loro do-vere aiutare e proteggere gli Algerini oppressi in nome del popolo francese.
· La causa del popolo algerino, contribuendo in modo decisivo alla rovina del sistema coloniale, è la causa di tutti gli uomini liberi.
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