Tafazzismo all'americana
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI
Suona un po' bizzarro che un serio istituto come il Pew Research Center abbia speso tempo e denaro per certificare con tanto di percentuali che l'America sta sulle palle a tutti. Forse bastava fare qualche telefonata, o chiacchierare in treno, o in fila per un conto corrente alla posta, per scoprire che l'impero non è più simpatico, e anzi incute un mix di diffidenza e paura. Persino certi simil-colti signorotti italiani come Fedele Confalonieri, intervistato da Panorama, dicono oggi che la guerra all'Iraq, a cui erano favorevoli, oggi sembra un errore (ops! Errore: 100.000 morti, e senza nemmeno il decoder!). Persino certi senatori repubblicani americani dicono oggi che Bush ha perso la sua guerra. Restano, a difendere gli americani, certi alfieri della politica bushista, certi feticisti adoratori di Condoleezza e gente già a libro paga degli Usa.
Si ringrazia il direttore del Foglio per aver pubblicato il discorso di Condoleezza Rice all'Università americana del Cairo. Un po' di stupidaggini, molta retorica e qualche bugia in forma di boomerang. Tra tutte, questa (il Foglio ci fa pure il titolo, tafazzismo puro): gli Usa vorrebbero anche in Egitto «la libertà di dormire senza essere svegliati dalla polizia segreta». Bel discorsetto davvero.
Peccato che qualche mese prima una dozzina di agenti della Cia avesse rapito in Italia un sospetto di terrorismo, indagato dalla magistratura italiana e pedinato dalla Digos, per portarlo proprio in Egitto, nelle camere della tortura che gli Stati uniti utilizzano in quel paese. Dunque avvertiamo i burbanzosi ragazzi del Foglio che la bella frase di Condoleezza andrebbe rivista e corretta: vogliamo in Egitto «la libertà di dormire senza essere svegliati dalla polizia segreta», a meno che a essere malmenati e torturati non ce li accompagniamo noi. Allora, amici, è tutto ok.
Per la verità non è solo l'Egitto a torturare la gente. Si fa a Guantanamo («abusi» ammessi anche dagli Usa) e si è fatto - almeno nel caso di Abu Omar - anche nella base americana di Aviano, cioè in territorio italiano. Del resto, Abu Omar, era intercettato e pedinato dagli 007 italiani i quali però si sono distratti un attimo (ops!) e una dozzina di 007 americani gliel'hanno sequestrato sotto il naso. Una bella prova di professionalità, non c'è che dire, a meno che non emerga presto (in Parlamento? Nella commissione sui Servizi?) che si è trattato di vera e propria complicità in sequestro di persona. Insomma: questi americani, qui, fanno quello che vogliono, come si conviene all'impero quando agisce in una lontana colonia. Di questo passo dove andremo a finire? Metteranno le bombe in Piazza Fontana? Uccideranno qualche sciatore in funivia per far divertire i loro Top Gun? Ammazzeranno il funzionario che riporta a casa l'ostaggio sano e salvo? Ma cosa vado a pensare!
Intanto, come spesso accade da queste parti (e sempre più spesso in America) il dramma diventa farsa. I grandi giornali pubblicano nomi e cognomi di agenti della Cia, addirittura i loro numeri di telefono. Numeri particolarmente attivi durante il sequestro di persona, con chiamate che rimbalzano da Milano ad Aviano, da Aviano al Cairo. Conti stratosferici di alberghi a quattro e cinque stelle. Persino vacanze in luoghi di charme italiano, al mare o ai monti. Più che spie, questi signori della Cia, sembrano turisti un po' scemi, dal dollaro facile. Per essere sequestratori di persona in un paese sovrano - dove sequestrare le persone, torturarle e poi portarle a torturare all'estero è piuttosto illegale - si muovono senza alcuna cautela, praticamente alla luce del sole. Il capo dell'operazione si chiama Robert Seldon Lady, ha una villa nell'astigiano, e la sua biografia presenta una geografia inquietante: si è fatto le ossa in America Latina. Scommetto che con una piccola ricerca di mercato in Honduras, Salvador o Nicaragua, il Pew Research Center avrebbe una netta conferma ai suoi dati sulla simpatia degli americani.
Da questa cordiale e affabile grande potenza, di cui siamo «i migliori alleati» abbiamo importato quasi tutto. Ci mancava un prodottino collaudato come gli squadroni della morte, e ora abbiamo anche quelli, come Repubblica Italiana abbiamo dunque colmato una grave lacuna: per diventare una vera repubblica delle banane, ora, ci manca solo la rumba.
29.6.05
SERVIZIO DEL DIARIO SULL'AMBASCIATORE VATTANI
da Gianni Barbacetto per “Il Diario”
Al ministro degli Esteri Gianfranco Fini arriva una comunicazione riservata proveniente dalla procura della Repubblica di Roma. È l’aprile 2005. La lettera è firmata da due sostituti procuratori, Angelantonio Racanelli e Giuseppe De Falco, ed è un atto dovuto: i due magistrati stanno indagando da tempo su un alto funzionario del ministero e hanno ormai deciso di chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio dell’indagato; quando questo avviene per un funzionario della pubblica amministrazione, il codice penale impone che sia avvertito il capo dell’amministrazione di appartenenza, perché prenda i provvedimenti del caso. Ma il capo del ministero degli Esteri è Umberto Vattani. E l’indagato è lo stesso Umberto Vattani. Dunque i due magistrati si rivolgono direttamente al ministro. Gli spiegano, come vuole la legge, che il segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore che è a capo dell’intera diplomazia italiana dovrà, a loro giudizio, rispondere dei reati di peculato e molestie.
Nomina omeopatica. Da quel giorno di aprile sono passati quasi tre mesi. Che cosa è successo di Vattani, il più potente e trasversale degli ambasciatori italiani? Mentre il giudice per le indagini preliminari sta decidendo se mandarlo sotto processo oppure no, il ministro Fini e il governo Berlusconi hanno preso il «provvedimento del caso»: hanno spostato Umberto Vattani dai vertici della Farnesina ai vertici dell’Ice, l’istituto per il commercio estero. «Una nomina omeopatica», commenta ironico un personaggio che conosce bene il neopresidente dell’Ice.
Un passaggio avvenuto non senza il via libera del Parlamento. Il governo ha chiesto infatti alla Commissione attività produttive della Camera di ratificare la nomina e i deputati l’hanno fatto a stragrande maggioranza: 21 voti a favore, nove astenuti, solo tre contrari. Anche i Ds non hanno voluto mettersi di traverso e hanno scelto una innocua astensione. Soltanto Matilde Provera, di Rifondazione comunista, ha messo i piedi nel piatto e ha ricordato le «inchieste giudiziarie che coinvolgerebbero» Vattani. Sergio Gambini, dei Democratici di sinistra, ci ha invece tenuto a precisare che «non è il curriculum di Vattani a essere messo in discussione, ma il metodo seguito»; e a spiegare che l’astensione non discende da «un’avversità nei confronti del candidato Vattani, ma rispecchia una presa di posizione di ordine politico, avente a oggetto esigenze di conoscenza e coinvolgimento».
Dunque, massima separazione tra decisioni politiche e carichi giudiziari, e nessuna attenzione alle valutazioni d’opportunità: perché i deputati, di destra e di sinistra, che hanno permesso la nomina di Vattani alla presidenza dell’Ice conoscevano bene le vicende in cui l’ex numero uno della Farnesina è coinvolto. Sono due, infatti, le indagini che lo vedono protagonista. La prima è quella per peculato e molestie di cui i magistrati romani hanno avvertito il ministro. La seconda è una complessa storia di corruzione e di affari all’estero in cui Vattani è tuttora indagato.
Tutto comincia a Potenza, quando il pubblico ministero Henry John Woodcock imbastisce una grande indagine che, soprattutto attraverso le conversazioni telefoniche intercettate di uomini della politica, degli affari, dell’informazione e dello spettacolo, registra in presa diretta un grande film sullo stato dell’Italia all’inizio del terzo millennio, dipinge il più grande affresco finora disponibile sul potere e gli affari della Seconda Repubblica.
Un grande romanzo in cui si intrecciano piccole e grandi corruzioni, una girandola di favoritismi, un rosario di episodi di malcostume. Ma un romanzo destinato a restare sconosciuto ai più: la tv l’ignora, i giornali lo snobbano, la politica lo oscura. Anche perché ce n’è per tutti, per la destra e per la sinistra. Così Woodcock viene presto archiviato come un magistrato dal nome curioso (su cui il Riformista fa dell’ironia) e dalle indagini da dimenticare.
In realtà molti dei suoi fascicoli sono passati, per competenza territoriale, alla procura di Roma, che è alle prese con un centinaio di indagati (le richieste di arresto erano una sessantina). Tra questi c’è anche Umberto Vattani, uomo potentissimo e dagli ottimi rapporti con la stampa. Tanto che una decina di giornalisti di diverse testate ha cercato di scrivere le sue avventure, ma finora senza riuscirci.
Risparmiare sul telefono. Oggi dunque Vattani è in attesa di sapere se andrà sotto processo per peculato e molestie a causa di una curiosa vicenda di telefonate a luce rosse. Proprio lui che il 10 maggio 2005 dettava all’Ansa: «Grazie alle innovazioni tecnologiche che abbiamo introdotto, da qui al 2006 spenderemo 6 milioni di euro in meno per le spese telefoniche». E il 10 giugno dichiarava al Corriere: «L’informatizzazione intensiva ha svolto un ruolo importante, e ora puntiamo sul nuovo sistema di trasmissione della voce attraverso internet: cliccando sul nome di una città possiamo entrare in immediata comunicazione vocale con la nostra rappresentanza diplomatica praticamente a costo zero».
Chissà se i risparmi telefonici del ministero degli Esteri riusciranno a pareggiare i conti delle bollette lasciate da Vattani. L’ambasciatore, infatti, secondo l’inchiesta giudiziaria di Potenza passata a Roma, nel 2003, quando era ambasciatore italiano presso l’Unione europea a Bruxelles, ha fatto con i telefoni del ministero «ben 264 telefonate per 52 ore e 26 minuti», con un costo di circa 25 mila euro. E qui scatta l’accusa di peculato. Le telefonate erano di «contenuto porno-erotico-sentimentale» e bersagliavano la sua collaboratrice dell’ufficio di Bruxelles con avances pesantissime a tutte le ore del giorno e della notte. E qui scatta l’imputazione di molestie. I magistrati accusano infatti Vattani di «molestia e disturbo consistiti nel telefonare più volte e a qualunque ora, anche di sera tardi e nei giorni festivi», con le aggravanti di avere abusato della «relazione di ufficio» e di avere telefonato a spese dello Stato «per motivi libidinosi e quindi biasimevoli».
Vattani si difende dalle accuse di peculato dicendo che è normale utilizzare i telefoni d’ufficio anche per telefonate private. E sostiene di aver comunque rimborsato il ministero: ha portato infatti in procura la documentazione dell’avvenuto pagamento di 11.650 euro per telefonate del 2003. Nel tentativo di discolparsi però ha aggravato la sua posizione: perché da un lato ha ammesso altre telefonate, che gli investigatori non avevano individuato, per 12 mila euro; dall’altro ha messo nei guai un suo collega, il capo contabile della sede diplomatica di Bruxelles, Bernardo Salaparuta, che è stato incriminato per falso e favoreggiamento nei confronti di Vattani. I tempi dei pagamenti, comunque, non tornano: secondo la procura sono stati fatti troppo tardi, quando già le indagini erano partite, solo per cercare di azzerare le accuse.
La collaboratrice di Bruxelles oggetto delle pressanti attenzioni di Vattani è stata sentita dai magistrati e ha dichiarato di non gradire affatto le telefonate dell’ambasciatore, ma di essere stata costretta ad accettare e infine a cedere: l’ambasciatore era potente. Era, nel 2003, il rappresentante dell’Italia a Bruxelles, da poco aveva lasciato la poltrona di segretario generale, quella più alta della Farnesina, che aveva occupato dal 1997 al 2001. E dove poi sarebbe tornato a sedersi nel gennaio 2004, chiamato dal governo Berlusconi. Fino a oggi.
Nato a Skopje, in Macedonia, entra in diplomazia nel 1962. Di scuola democristiana, Vattani è nei primi anni Ottanta capo della segreteria particolare di Arnaldo Forlani. Poi diventa consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio, mentre si succedono i governi Goria, De Mita, Andreotti. Per qualche anno è ambasciatore a Bonn, finché Lamberto Dini, in tempi di centrosinistra, lo proietta ai vertici della Farnesina, segretario generale del ministero degli Esteri.
Ma quando, nel 2001, Berlusconi vince le elezioni, Vattani si ricicla e il suo nome circola addirittura come possibile ministro degli Esteri. Sarà battuto da Renato Ruggiero, con cui aveva vecchie ruggini e che lo spedisce invece a Bruxelles: ottimo posto, ma pur sempre lontano dai palazzi romani. Torna nella capitale nel 2004, dopo un intricato lavorio sotterraneo con i berlusconiani ma anche con gli uomini di An. Trasversale per vocazione, potentissimo, ambiziosissimo, intoccabile, Vattani è grande amico di un uomo abituato a frequentare e orientare gli ambienti massonici: Giancarlo Elia Valori.
A chi il gas tunisino? A E-noi! Le telefonate hard rimaste indelebilmente registrate sui nastri dei finanzieri del Gico di Roma non sono certo entrate nell’inchiesta giudiziaria per motivi morali. Non è la curiosità per i gusti sessuali dell’ambasciatore alla base dell’indagine di Woodcock. Il magistrato di Potenza non era interessato alle vicende private dell’ambasciatore, ma ai suoi affari pubblici. E in particolare alla storia di una società che voleva importare gas dalla Tunisia. Ecco come questa storia esce dalle intercettazioni telefoniche.
Una cordata di imprenditori comincia a darsi da fare per commercializzare gas tunisino in Italia. Del gruppo fanno parte Gianni Pilo, l’ex sondaggista di Silvio Berlusconi che lasciati i sondaggi e il Parlamento vuole darsi agli affari energetici con la società E-noi; Pierluigi Polverari, un ex parlamentare socialista con villa a Hammamet e una salda amicizia con Bobo Craxi; un avvocato di nome Roberto Marraffa, molto presente nelle vicende della sezione fallimentare del tribunale romano, grande amico di un paio di faccendieri al centro dell’inchiesta di Potenza sulla corruzione. Pilo e soci si mettono in contatto con i santi giusti per far decollare il business. A Tunisi si muove Polverari. A Roma si dà da fare Vattani. Secondo l’accusa, compito dell’ambasciatore era quello di far andare in porto i progetti di Pilo e di E-noi, ottenendo in cambio una percentuale degli affari realizzati con l’importazione del gas tunisino in Italia.
Carlo Lancella, imprenditore romano che entra nel business, in una telefonata dice all’avvocato Marraffa: «Se questa ipotesi, attraverso le sue pressioni si realizza, l’amico Pilo dà 10. Di questo 10, 5 va a Vattani, giusto? 2,5 va a te. 2,5 al mio ufficio. D’accordo?». Marraffa non è d’accordo. La quota riservata a Vattani gli sembra troppo alta (forse Lancella millanta, per poi incassare lui la quota di Vattani?). Gianni Pilo spiega a Marraffa le dimensioni dell’affare: «Sono 120 miliardi, ma a noi non ci fa impressione questo. Noi in questo momento forniamo la città di Cesena, 70 mila abitanti».
Poi il 20 febbraio 2003 c’è l’incontro decisivo: Umberto Vattani arriva alle 18.45 all’Harry’s bar di via Veneto seguito alla spicciolata da Gianni Pilo, da Carlo Lancella accompagnato dal suo amico Tommaso Olivieri e da Roberto Marraffa. Secondo Woodcock, «nel corso di tale incontro, come si desume chiaramente dalle conversazioni riportate, i menzionati personaggi definiscono evidentemente nel dettaglio i termini economici del loro accordo assicurando a coloro che interverranno, e quindi in particolare all’ambasciatore Vattani, un consistente ritorno economico come corrispettivo della sua preziosa attività». Del «ritorno economico», però, non sono state trovate prove.
Vattani, sempre secondo l’accusa, ha spinto per far rimuovere l’ambasciatore italiano in Tunisia, Armando Sanguini, colpevole di essere una persona onesta non disposta a collaborare con i progetti di Pilo-Polverari-Marraffa e che per questo ha pagato con il trasferimento: stava per essere promosso a una direzione generale a Roma e invece, anche dopo alcune interrogazioni parlamentari di Forza Italia contro di lui, si è ritrovato in una sede scomoda, Riad. La sera stessa dell’incontro all’Harry’s bar, infatti, alle 23.15 Vattani chiama Polverari in Tunisia e gli dice: «Pronto, Pierluigi, il nostro amico Sanguini se ne va a Riad, ce lo togliamo dalle palle». Polverari è raggiante: «Benissimo, grazie, mi hai fatto un regalissimo!».
La procura di Potenza ha passato a quella di Roma una serie di intercettazioni e pedinamenti da cui risulta provato che Vattani incontra all’Harry’s bar i soci del terzetto; che organizza una trasferta a Tunisi con loro; che si vanta e festeggia con Polverari la cacciata dell’ambasciatore Sanguini. Inoltre, al telefono, i suoi amici parlano chiaramente di una percentuale per lui sull’affare del gas. Saranno ora i magistrati romani Racanelli e De Falco a decidere se gli elementi raccolti sono sufficienti per chiedere al giudice un rinvio a giudizio per corruzione.
Gianni Pilo va in Iraq. Ci sono anche altri affari che vedono attivo l’instancabile Vattani. Secondo l’accusa, l’ambasciatore avrebbe usato la sua influenza al ministero degli Esteri per passare ad amici (Carlo Lancella e soci) le pratiche di recupero crediti delle aziende italiane che non erano riuscite a farsi pagare da Stati come il Turkmenistan. Nelle intercettazioni si fanno i nomi di società precise (come la E-mind). L’avvocato Marraffa avrebbe lucrato una grande parcella grazie all’intervento di Vattani.
Non solo. Vattani, secondo l’accusa, ha raccomandato con fare perentorio l’avvocato Marraffa anche come consulente per la ricostruzione in Iraq. Marraffa ne ha approfittato per promettere a Gianni Pilo interessamento per la sua azienda, la E-noi, «proprio in relazione allo sfruttamento del gas presente in Iraq». Per tutte queste vicende Woodcock nel 2003 aveva chiesto addirittura l’arresto di Vattani, respinto dal giudice per le indagini preliminari. Ora i magistrati di Roma stanno decidendo se procedere o chiedere l’archiviazione.
I dolori di Lady G8. Le ultime puntate della Vattani story riportano d’attualità anche un vecchio fascicolo della procura di Roma (pubblico ministero Giancarlo Amato) archiviato nel 2002. Riguardava non Vattani, ma le attività di una signora, Maria Criscuolo, titolare del gruppo di comunicazione Triumph e regina dei salotti romani. Ebbene, una delle donne con cui Vattani intratteneva le sue conversazioni telefoniche è Maria Criscuolo. Nei suoi dépliant la signora si vanta di avere organizzato «il vertice G8 a Genova nel 2001; il vertice Nato-Russia a Pratica di Mare nel 2002; il coordinamento delle riunioni informali e degli eventi culturali del semestre di presidenza italiana a Bruxelles; l’organizzazione della Conferenza Intergovernativa di Roma del 2003». La signora Criscuolo è stata anche premiata dalla Fondazione Bellisario per i suoi meriti professionali. Ma in un caso qualcuno aveva sollevato un sospetto.
La professoressa Isabella De Martini, vice capostruttura del G8 di Genova, aveva presentato un esposto in procura sul ruolo della Triumph. Nonostante fosse stata scelta un’altra società (la Promo Est) per la gestione alberghiera dell’evento internazionale, dopo dieci giorni il mandato della Promo Est era stato revocato: «per inadeguatezza». Poi la struttura, diretta dall’ambasciatore Achille Vinci Giacchi, che rispondeva al segretario generale Umberto Vattani, invece di affidare l’incarico all’azienda arrivata seconda alla gara, aveva assunto direttamente il compito. In realtà, secondo l’esposto della professoressa De Martini, nelle riunioni a porte chiuse si diceva chiaramente che Triumph si sarebbe occupata degli hotel, ma nei verbali si legge: «Il marchio Triumph non comparirà mai in nessuna comunicazione alberghiera». Perché tutto questo segreto, se era tutto in regola?
La professoressa De Martini si scontra con Maria Criscuolo, che la assale con il più classico dei «Lei non sa chi sono io!». Ma la legge sul G8 permetteva, in nome della riservatezza, la massima discrezionalità negli appalti e negli incarichi, così al magistrato Giancarlo Amato non è rimasta altra scelta che archiviare tutto.
Prima dell’esposto, la professoressa De Martini aveva scritto una lettera a Roma, al ministro, per segnalare quelle che le sembravano le anomalie dell’incarico alla Triumph. Venti giorni dopo viene fatta fuori dalla struttura G8, lasciata senza compensi e intimidita da lettere anonime inviate al quotidiano genovese Il Secolo XIX. Si muove anche Bruno Vespa, buon amico di Vattani, che in un suo libro dedica righette di fuoco alla professoressa De Martini.
Tutti in crociera. Come le ciliegie, una tira l’altra. E la vicenda del G8 riporta a galla un’altra storia, grottesca. Umberto Vattani era molto amico dell’armatore greco della Festival Crociere, Georges Poulides. «Croceristi. Fornitori. Dipendenti. Non li tradiremo mai. Sono i pilastri della nostra azienda, ma prima ancora la ragione della nostra impresa. Un’impresa “giusta”, perché soggetto moralmente e socialmente responsabile...». Così l’armatore presentava il codice etico della Festival Crociere al prestigioso circolo romano della Farnesina, introdotto dall’amico e ambasciatore Umberto Vattani, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea.
«Un esempio per tutti. Uno strumento di autoregolamentazione che definisce norme di natura morale che la nostra azienda si impone di rispettare», per dirla con le parole dell’imprenditore greco, che tra gli applausi delle istituzioni e dell’economia italiana parlava di diritti umani e profitto, guadagni e cultura, utili e «sostenibilità umana» dell’impresa.
Tante belle parole sono colate a picco in poche settimane. La Festival Crociere è finita qualche mese dopo con un crac da 800 milioni di euro. E 300 lavoratori licenziati, 260 imprese non pagate per le forniture, una ventina di banche con crediti non saldati, migliaia di turisti che chiedono inutilmente il rimborso degli anticipi versati. Vattani non era solo amico di Georges Poulides, era anche presidente della Fondazione Festival. E all’amico armatore aveva fatto avere l’appalto per le navi del G8.
All’epoca Vattani era segretario generale della Farnesina e gestore dell’evento G8: a Poulides affida sette degli otto Grandi, tutti con l’eccezione di George W. Bush, che sta su una nave a parte. Gli altri, da Blair a Putin, da Chirac a Schroeder, da Chretien a Koizumi, da Berlusconi a Prodi, sono a bordo della European Vision, considerata la nave più lussuosa del mondo, una fortezza galleggiante, cablata e supertecnologica. Lo Stato italiano la prende in affitto per una settimana insieme alla Mistral, pagando per il nolo 6 miliardi e mezzo di vecchie lire. È un ottimo affare e uno straordinario successo d’immagine: l’armatore venuto da Atene viene fotografato con i grandi della terra ed è allora che nasce la Fondazione, di cui diventa presidente onorario l’ambasciatore Vattani.
Poi il crac. Ma non per Vattani. Il numero uno della diplomazia italiana prosegue la sua carriera, sempre godendo di ottima stampa e passando infine dalla Farnesina alla presidenza dell’Ice. Affari con l’estero, una sua specialità.
da Gianni Barbacetto per “Il Diario”
Al ministro degli Esteri Gianfranco Fini arriva una comunicazione riservata proveniente dalla procura della Repubblica di Roma. È l’aprile 2005. La lettera è firmata da due sostituti procuratori, Angelantonio Racanelli e Giuseppe De Falco, ed è un atto dovuto: i due magistrati stanno indagando da tempo su un alto funzionario del ministero e hanno ormai deciso di chiedere al giudice per le indagini preliminari il rinvio a giudizio dell’indagato; quando questo avviene per un funzionario della pubblica amministrazione, il codice penale impone che sia avvertito il capo dell’amministrazione di appartenenza, perché prenda i provvedimenti del caso. Ma il capo del ministero degli Esteri è Umberto Vattani. E l’indagato è lo stesso Umberto Vattani. Dunque i due magistrati si rivolgono direttamente al ministro. Gli spiegano, come vuole la legge, che il segretario generale della Farnesina, l’ambasciatore che è a capo dell’intera diplomazia italiana dovrà, a loro giudizio, rispondere dei reati di peculato e molestie.
Nomina omeopatica. Da quel giorno di aprile sono passati quasi tre mesi. Che cosa è successo di Vattani, il più potente e trasversale degli ambasciatori italiani? Mentre il giudice per le indagini preliminari sta decidendo se mandarlo sotto processo oppure no, il ministro Fini e il governo Berlusconi hanno preso il «provvedimento del caso»: hanno spostato Umberto Vattani dai vertici della Farnesina ai vertici dell’Ice, l’istituto per il commercio estero. «Una nomina omeopatica», commenta ironico un personaggio che conosce bene il neopresidente dell’Ice.
Un passaggio avvenuto non senza il via libera del Parlamento. Il governo ha chiesto infatti alla Commissione attività produttive della Camera di ratificare la nomina e i deputati l’hanno fatto a stragrande maggioranza: 21 voti a favore, nove astenuti, solo tre contrari. Anche i Ds non hanno voluto mettersi di traverso e hanno scelto una innocua astensione. Soltanto Matilde Provera, di Rifondazione comunista, ha messo i piedi nel piatto e ha ricordato le «inchieste giudiziarie che coinvolgerebbero» Vattani. Sergio Gambini, dei Democratici di sinistra, ci ha invece tenuto a precisare che «non è il curriculum di Vattani a essere messo in discussione, ma il metodo seguito»; e a spiegare che l’astensione non discende da «un’avversità nei confronti del candidato Vattani, ma rispecchia una presa di posizione di ordine politico, avente a oggetto esigenze di conoscenza e coinvolgimento».
Dunque, massima separazione tra decisioni politiche e carichi giudiziari, e nessuna attenzione alle valutazioni d’opportunità: perché i deputati, di destra e di sinistra, che hanno permesso la nomina di Vattani alla presidenza dell’Ice conoscevano bene le vicende in cui l’ex numero uno della Farnesina è coinvolto. Sono due, infatti, le indagini che lo vedono protagonista. La prima è quella per peculato e molestie di cui i magistrati romani hanno avvertito il ministro. La seconda è una complessa storia di corruzione e di affari all’estero in cui Vattani è tuttora indagato.
Tutto comincia a Potenza, quando il pubblico ministero Henry John Woodcock imbastisce una grande indagine che, soprattutto attraverso le conversazioni telefoniche intercettate di uomini della politica, degli affari, dell’informazione e dello spettacolo, registra in presa diretta un grande film sullo stato dell’Italia all’inizio del terzo millennio, dipinge il più grande affresco finora disponibile sul potere e gli affari della Seconda Repubblica.
Un grande romanzo in cui si intrecciano piccole e grandi corruzioni, una girandola di favoritismi, un rosario di episodi di malcostume. Ma un romanzo destinato a restare sconosciuto ai più: la tv l’ignora, i giornali lo snobbano, la politica lo oscura. Anche perché ce n’è per tutti, per la destra e per la sinistra. Così Woodcock viene presto archiviato come un magistrato dal nome curioso (su cui il Riformista fa dell’ironia) e dalle indagini da dimenticare.
In realtà molti dei suoi fascicoli sono passati, per competenza territoriale, alla procura di Roma, che è alle prese con un centinaio di indagati (le richieste di arresto erano una sessantina). Tra questi c’è anche Umberto Vattani, uomo potentissimo e dagli ottimi rapporti con la stampa. Tanto che una decina di giornalisti di diverse testate ha cercato di scrivere le sue avventure, ma finora senza riuscirci.
Risparmiare sul telefono. Oggi dunque Vattani è in attesa di sapere se andrà sotto processo per peculato e molestie a causa di una curiosa vicenda di telefonate a luce rosse. Proprio lui che il 10 maggio 2005 dettava all’Ansa: «Grazie alle innovazioni tecnologiche che abbiamo introdotto, da qui al 2006 spenderemo 6 milioni di euro in meno per le spese telefoniche». E il 10 giugno dichiarava al Corriere: «L’informatizzazione intensiva ha svolto un ruolo importante, e ora puntiamo sul nuovo sistema di trasmissione della voce attraverso internet: cliccando sul nome di una città possiamo entrare in immediata comunicazione vocale con la nostra rappresentanza diplomatica praticamente a costo zero».
Chissà se i risparmi telefonici del ministero degli Esteri riusciranno a pareggiare i conti delle bollette lasciate da Vattani. L’ambasciatore, infatti, secondo l’inchiesta giudiziaria di Potenza passata a Roma, nel 2003, quando era ambasciatore italiano presso l’Unione europea a Bruxelles, ha fatto con i telefoni del ministero «ben 264 telefonate per 52 ore e 26 minuti», con un costo di circa 25 mila euro. E qui scatta l’accusa di peculato. Le telefonate erano di «contenuto porno-erotico-sentimentale» e bersagliavano la sua collaboratrice dell’ufficio di Bruxelles con avances pesantissime a tutte le ore del giorno e della notte. E qui scatta l’imputazione di molestie. I magistrati accusano infatti Vattani di «molestia e disturbo consistiti nel telefonare più volte e a qualunque ora, anche di sera tardi e nei giorni festivi», con le aggravanti di avere abusato della «relazione di ufficio» e di avere telefonato a spese dello Stato «per motivi libidinosi e quindi biasimevoli».
Vattani si difende dalle accuse di peculato dicendo che è normale utilizzare i telefoni d’ufficio anche per telefonate private. E sostiene di aver comunque rimborsato il ministero: ha portato infatti in procura la documentazione dell’avvenuto pagamento di 11.650 euro per telefonate del 2003. Nel tentativo di discolparsi però ha aggravato la sua posizione: perché da un lato ha ammesso altre telefonate, che gli investigatori non avevano individuato, per 12 mila euro; dall’altro ha messo nei guai un suo collega, il capo contabile della sede diplomatica di Bruxelles, Bernardo Salaparuta, che è stato incriminato per falso e favoreggiamento nei confronti di Vattani. I tempi dei pagamenti, comunque, non tornano: secondo la procura sono stati fatti troppo tardi, quando già le indagini erano partite, solo per cercare di azzerare le accuse.
La collaboratrice di Bruxelles oggetto delle pressanti attenzioni di Vattani è stata sentita dai magistrati e ha dichiarato di non gradire affatto le telefonate dell’ambasciatore, ma di essere stata costretta ad accettare e infine a cedere: l’ambasciatore era potente. Era, nel 2003, il rappresentante dell’Italia a Bruxelles, da poco aveva lasciato la poltrona di segretario generale, quella più alta della Farnesina, che aveva occupato dal 1997 al 2001. E dove poi sarebbe tornato a sedersi nel gennaio 2004, chiamato dal governo Berlusconi. Fino a oggi.
Nato a Skopje, in Macedonia, entra in diplomazia nel 1962. Di scuola democristiana, Vattani è nei primi anni Ottanta capo della segreteria particolare di Arnaldo Forlani. Poi diventa consigliere diplomatico della presidenza del Consiglio, mentre si succedono i governi Goria, De Mita, Andreotti. Per qualche anno è ambasciatore a Bonn, finché Lamberto Dini, in tempi di centrosinistra, lo proietta ai vertici della Farnesina, segretario generale del ministero degli Esteri.
Ma quando, nel 2001, Berlusconi vince le elezioni, Vattani si ricicla e il suo nome circola addirittura come possibile ministro degli Esteri. Sarà battuto da Renato Ruggiero, con cui aveva vecchie ruggini e che lo spedisce invece a Bruxelles: ottimo posto, ma pur sempre lontano dai palazzi romani. Torna nella capitale nel 2004, dopo un intricato lavorio sotterraneo con i berlusconiani ma anche con gli uomini di An. Trasversale per vocazione, potentissimo, ambiziosissimo, intoccabile, Vattani è grande amico di un uomo abituato a frequentare e orientare gli ambienti massonici: Giancarlo Elia Valori.
A chi il gas tunisino? A E-noi! Le telefonate hard rimaste indelebilmente registrate sui nastri dei finanzieri del Gico di Roma non sono certo entrate nell’inchiesta giudiziaria per motivi morali. Non è la curiosità per i gusti sessuali dell’ambasciatore alla base dell’indagine di Woodcock. Il magistrato di Potenza non era interessato alle vicende private dell’ambasciatore, ma ai suoi affari pubblici. E in particolare alla storia di una società che voleva importare gas dalla Tunisia. Ecco come questa storia esce dalle intercettazioni telefoniche.
Una cordata di imprenditori comincia a darsi da fare per commercializzare gas tunisino in Italia. Del gruppo fanno parte Gianni Pilo, l’ex sondaggista di Silvio Berlusconi che lasciati i sondaggi e il Parlamento vuole darsi agli affari energetici con la società E-noi; Pierluigi Polverari, un ex parlamentare socialista con villa a Hammamet e una salda amicizia con Bobo Craxi; un avvocato di nome Roberto Marraffa, molto presente nelle vicende della sezione fallimentare del tribunale romano, grande amico di un paio di faccendieri al centro dell’inchiesta di Potenza sulla corruzione. Pilo e soci si mettono in contatto con i santi giusti per far decollare il business. A Tunisi si muove Polverari. A Roma si dà da fare Vattani. Secondo l’accusa, compito dell’ambasciatore era quello di far andare in porto i progetti di Pilo e di E-noi, ottenendo in cambio una percentuale degli affari realizzati con l’importazione del gas tunisino in Italia.
Carlo Lancella, imprenditore romano che entra nel business, in una telefonata dice all’avvocato Marraffa: «Se questa ipotesi, attraverso le sue pressioni si realizza, l’amico Pilo dà 10. Di questo 10, 5 va a Vattani, giusto? 2,5 va a te. 2,5 al mio ufficio. D’accordo?». Marraffa non è d’accordo. La quota riservata a Vattani gli sembra troppo alta (forse Lancella millanta, per poi incassare lui la quota di Vattani?). Gianni Pilo spiega a Marraffa le dimensioni dell’affare: «Sono 120 miliardi, ma a noi non ci fa impressione questo. Noi in questo momento forniamo la città di Cesena, 70 mila abitanti».
Poi il 20 febbraio 2003 c’è l’incontro decisivo: Umberto Vattani arriva alle 18.45 all’Harry’s bar di via Veneto seguito alla spicciolata da Gianni Pilo, da Carlo Lancella accompagnato dal suo amico Tommaso Olivieri e da Roberto Marraffa. Secondo Woodcock, «nel corso di tale incontro, come si desume chiaramente dalle conversazioni riportate, i menzionati personaggi definiscono evidentemente nel dettaglio i termini economici del loro accordo assicurando a coloro che interverranno, e quindi in particolare all’ambasciatore Vattani, un consistente ritorno economico come corrispettivo della sua preziosa attività». Del «ritorno economico», però, non sono state trovate prove.
Vattani, sempre secondo l’accusa, ha spinto per far rimuovere l’ambasciatore italiano in Tunisia, Armando Sanguini, colpevole di essere una persona onesta non disposta a collaborare con i progetti di Pilo-Polverari-Marraffa e che per questo ha pagato con il trasferimento: stava per essere promosso a una direzione generale a Roma e invece, anche dopo alcune interrogazioni parlamentari di Forza Italia contro di lui, si è ritrovato in una sede scomoda, Riad. La sera stessa dell’incontro all’Harry’s bar, infatti, alle 23.15 Vattani chiama Polverari in Tunisia e gli dice: «Pronto, Pierluigi, il nostro amico Sanguini se ne va a Riad, ce lo togliamo dalle palle». Polverari è raggiante: «Benissimo, grazie, mi hai fatto un regalissimo!».
La procura di Potenza ha passato a quella di Roma una serie di intercettazioni e pedinamenti da cui risulta provato che Vattani incontra all’Harry’s bar i soci del terzetto; che organizza una trasferta a Tunisi con loro; che si vanta e festeggia con Polverari la cacciata dell’ambasciatore Sanguini. Inoltre, al telefono, i suoi amici parlano chiaramente di una percentuale per lui sull’affare del gas. Saranno ora i magistrati romani Racanelli e De Falco a decidere se gli elementi raccolti sono sufficienti per chiedere al giudice un rinvio a giudizio per corruzione.
Gianni Pilo va in Iraq. Ci sono anche altri affari che vedono attivo l’instancabile Vattani. Secondo l’accusa, l’ambasciatore avrebbe usato la sua influenza al ministero degli Esteri per passare ad amici (Carlo Lancella e soci) le pratiche di recupero crediti delle aziende italiane che non erano riuscite a farsi pagare da Stati come il Turkmenistan. Nelle intercettazioni si fanno i nomi di società precise (come la E-mind). L’avvocato Marraffa avrebbe lucrato una grande parcella grazie all’intervento di Vattani.
Non solo. Vattani, secondo l’accusa, ha raccomandato con fare perentorio l’avvocato Marraffa anche come consulente per la ricostruzione in Iraq. Marraffa ne ha approfittato per promettere a Gianni Pilo interessamento per la sua azienda, la E-noi, «proprio in relazione allo sfruttamento del gas presente in Iraq». Per tutte queste vicende Woodcock nel 2003 aveva chiesto addirittura l’arresto di Vattani, respinto dal giudice per le indagini preliminari. Ora i magistrati di Roma stanno decidendo se procedere o chiedere l’archiviazione.
I dolori di Lady G8. Le ultime puntate della Vattani story riportano d’attualità anche un vecchio fascicolo della procura di Roma (pubblico ministero Giancarlo Amato) archiviato nel 2002. Riguardava non Vattani, ma le attività di una signora, Maria Criscuolo, titolare del gruppo di comunicazione Triumph e regina dei salotti romani. Ebbene, una delle donne con cui Vattani intratteneva le sue conversazioni telefoniche è Maria Criscuolo. Nei suoi dépliant la signora si vanta di avere organizzato «il vertice G8 a Genova nel 2001; il vertice Nato-Russia a Pratica di Mare nel 2002; il coordinamento delle riunioni informali e degli eventi culturali del semestre di presidenza italiana a Bruxelles; l’organizzazione della Conferenza Intergovernativa di Roma del 2003». La signora Criscuolo è stata anche premiata dalla Fondazione Bellisario per i suoi meriti professionali. Ma in un caso qualcuno aveva sollevato un sospetto.
La professoressa Isabella De Martini, vice capostruttura del G8 di Genova, aveva presentato un esposto in procura sul ruolo della Triumph. Nonostante fosse stata scelta un’altra società (la Promo Est) per la gestione alberghiera dell’evento internazionale, dopo dieci giorni il mandato della Promo Est era stato revocato: «per inadeguatezza». Poi la struttura, diretta dall’ambasciatore Achille Vinci Giacchi, che rispondeva al segretario generale Umberto Vattani, invece di affidare l’incarico all’azienda arrivata seconda alla gara, aveva assunto direttamente il compito. In realtà, secondo l’esposto della professoressa De Martini, nelle riunioni a porte chiuse si diceva chiaramente che Triumph si sarebbe occupata degli hotel, ma nei verbali si legge: «Il marchio Triumph non comparirà mai in nessuna comunicazione alberghiera». Perché tutto questo segreto, se era tutto in regola?
La professoressa De Martini si scontra con Maria Criscuolo, che la assale con il più classico dei «Lei non sa chi sono io!». Ma la legge sul G8 permetteva, in nome della riservatezza, la massima discrezionalità negli appalti e negli incarichi, così al magistrato Giancarlo Amato non è rimasta altra scelta che archiviare tutto.
Prima dell’esposto, la professoressa De Martini aveva scritto una lettera a Roma, al ministro, per segnalare quelle che le sembravano le anomalie dell’incarico alla Triumph. Venti giorni dopo viene fatta fuori dalla struttura G8, lasciata senza compensi e intimidita da lettere anonime inviate al quotidiano genovese Il Secolo XIX. Si muove anche Bruno Vespa, buon amico di Vattani, che in un suo libro dedica righette di fuoco alla professoressa De Martini.
Tutti in crociera. Come le ciliegie, una tira l’altra. E la vicenda del G8 riporta a galla un’altra storia, grottesca. Umberto Vattani era molto amico dell’armatore greco della Festival Crociere, Georges Poulides. «Croceristi. Fornitori. Dipendenti. Non li tradiremo mai. Sono i pilastri della nostra azienda, ma prima ancora la ragione della nostra impresa. Un’impresa “giusta”, perché soggetto moralmente e socialmente responsabile...». Così l’armatore presentava il codice etico della Festival Crociere al prestigioso circolo romano della Farnesina, introdotto dall’amico e ambasciatore Umberto Vattani, rappresentante permanente dell’Italia presso l’Unione europea.
«Un esempio per tutti. Uno strumento di autoregolamentazione che definisce norme di natura morale che la nostra azienda si impone di rispettare», per dirla con le parole dell’imprenditore greco, che tra gli applausi delle istituzioni e dell’economia italiana parlava di diritti umani e profitto, guadagni e cultura, utili e «sostenibilità umana» dell’impresa.
Tante belle parole sono colate a picco in poche settimane. La Festival Crociere è finita qualche mese dopo con un crac da 800 milioni di euro. E 300 lavoratori licenziati, 260 imprese non pagate per le forniture, una ventina di banche con crediti non saldati, migliaia di turisti che chiedono inutilmente il rimborso degli anticipi versati. Vattani non era solo amico di Georges Poulides, era anche presidente della Fondazione Festival. E all’amico armatore aveva fatto avere l’appalto per le navi del G8.
All’epoca Vattani era segretario generale della Farnesina e gestore dell’evento G8: a Poulides affida sette degli otto Grandi, tutti con l’eccezione di George W. Bush, che sta su una nave a parte. Gli altri, da Blair a Putin, da Chirac a Schroeder, da Chretien a Koizumi, da Berlusconi a Prodi, sono a bordo della European Vision, considerata la nave più lussuosa del mondo, una fortezza galleggiante, cablata e supertecnologica. Lo Stato italiano la prende in affitto per una settimana insieme alla Mistral, pagando per il nolo 6 miliardi e mezzo di vecchie lire. È un ottimo affare e uno straordinario successo d’immagine: l’armatore venuto da Atene viene fotografato con i grandi della terra ed è allora che nasce la Fondazione, di cui diventa presidente onorario l’ambasciatore Vattani.
Poi il crac. Ma non per Vattani. Il numero uno della diplomazia italiana prosegue la sua carriera, sempre godendo di ottima stampa e passando infine dalla Farnesina alla presidenza dell’Ice. Affari con l’estero, una sua specialità.
22.6.05
Villaggio vacanze Al Qaeda
Satira preventiva di Michele Serra
Oggi, grazie alle guerre in Iraq e in Afghanistan e al conflitto di civiltà, il sequestro di persona torna a ricoprire un ruolo di rilievo tra le attività umane.
L'industria dei sequestri di persona, fino a poco tempo fa, era considerata un ramo secco dell'economia, come le sedie impagliate e la Fiat. Resisteva solo un piccolo marchio dell'italian style, la Aspromonte & Supramonte, ma è stato messo definitivamente in ginocchio dalla concorrenza asiatica e mediorientale, che riesce a confezionare un rapimento con poche migliaia di dollari di riscatto e manodopera in costume locale, in suggestive atmosfere esotiche. Oggi, grazie alle guerre in Iraq e in Afghanistan e al conflitto di civiltà, fondamentale per recuperare all'economia di mercato anche gruppi umani fin qui esclusi (predoni del deserto, tribù col turbante, presto anche baiadere assassine, popoli lotofagi e ciclopi), il sequestro di persona torna a ricoprire un ruolo di rilievo tra le attività umane.
Vediamone i principali protagonisti.
Bumbilai Kahn Ha studiato in Inghilterra, ma ha voluto tornare nel suo villaggio afgano per mettere a frutto le sue tre lauree a Oxford. Grazie al suo master in floricoltura, ha cercato di rivoluzionare la coltivazione dei papaveri da oppio, provando a venderli alle colonne di autoblindo, come mazzetti ornamentali, lungo l'unica autostrada del paese, il grande raccordo anulare di Kabul. Non avendo avuto il successo sperato (un solo mazzo di papaveri venduto, a un sergente del Minnesota che se li è fumati sulla corsia di emergenza ascoltando Kurt Cobain), Bumbilai per vendetta è diventato un fuorilegge e per inaugurare la nuova attività ha rapito il direttore del 'New York Times', costringendolo a scrivere decine di editoriali sui centrotavola fatti coi papaveri.
Protokurdi I protokurdi sono una tribù nomade che, pur spostandosi di poche decine di chilometri, si è trovata, negli ultimi anni, a dover combattere contro gli iracheni, gli iraniani, i turchi, i giordani, i siriani, gli angloamericani, gli ittiti e gli achei. Rapiscono per convinzione religiosa e a scopo filantropico: nel loro libro, la Pergamena Sacra, è scritto che solo dormendo sotto un tenda tra due capre si può conquistare la virtù, basta lasciare al padrone della tenda, in segno di gratitudine, 10 mila dollari e una Range Rover con intercooler. Intere spedizioni della Croce Rossa sono state rapite dai protokurdi (molto golosi di pomate e cerotti) e si sono trovate benissimo, con qualche riserva sul vitto (caglio di capra bollente in stomaco di pecora, cucinato da un cuoco di Oristano), ma un forte ricordo delle antiche cerimonie religiose protokurde, basate sulla lettura in forma di litania dei libretti d'istruzione della Range Rover.
Al Qaeda on the beach È un ramo dissidente di Al Qaeda, formato solo da barman e istruttori di sci nautico del Mar Rosso. Sequestra i turisti per una settimana, da sabato a sabato, prelevandoli direttamente dai charter, e li obbliga a praticare la balneazione secondo i dettami coranici, nuotando con il caftano e una pesante scimitarra alla cintola, oppure orientando il windsurf sempre e solo verso la Mecca. I pochi superstiti sono surfisti approdati in Australia dopo sei mesi di traversata. Le donne possono indossare il costume da bagno solo previa resezione dei seni. Terribili i video, diffusi via Internet, con gli animatori turistici di Al Qaeda che costringono anziani tedeschi alla danza sufi. Il rapimento da parte di Al Qaeda on the beach è molto ambito dai praticanti delle vacanze no-limits.
Bastiano Riina È di un ramo secondario dei Riina. Espluso dal mercato dell'eroina (rubava le siringhe ai suoi clienti), si è rifatto una vita in Iraq rivendendole alla Croce Rossa. Ha conquistato le simpatie di una banda di predoni strangolandone il capo a mani nude, e con il nome d'arte di Bin Riina ha rammodernato l'industria dei rapimenti, importando dalla Sicilia lo scioglimento nell'acido del rapito, molto più igienico della decapitazione. Ha introdotto anche nell'Islam, troppo civile per i suoi gusti, alcune pratiche religiose occidentali, come la processione dei flagellanti, l'adorazione di tibie e mandibole dei santi e il conto corrente allo Ior. Ma, soprattutto, ha spiegato che la soppressione del rapito, anche a riscatto avvenuto, permette di risparmiare i soldi dell'autobus per rimandarlo alla sua ambasciata, ottimizzando l'investimento.
Satira preventiva di Michele Serra
Oggi, grazie alle guerre in Iraq e in Afghanistan e al conflitto di civiltà, il sequestro di persona torna a ricoprire un ruolo di rilievo tra le attività umane.
L'industria dei sequestri di persona, fino a poco tempo fa, era considerata un ramo secco dell'economia, come le sedie impagliate e la Fiat. Resisteva solo un piccolo marchio dell'italian style, la Aspromonte & Supramonte, ma è stato messo definitivamente in ginocchio dalla concorrenza asiatica e mediorientale, che riesce a confezionare un rapimento con poche migliaia di dollari di riscatto e manodopera in costume locale, in suggestive atmosfere esotiche. Oggi, grazie alle guerre in Iraq e in Afghanistan e al conflitto di civiltà, fondamentale per recuperare all'economia di mercato anche gruppi umani fin qui esclusi (predoni del deserto, tribù col turbante, presto anche baiadere assassine, popoli lotofagi e ciclopi), il sequestro di persona torna a ricoprire un ruolo di rilievo tra le attività umane.
Vediamone i principali protagonisti.
Bumbilai Kahn Ha studiato in Inghilterra, ma ha voluto tornare nel suo villaggio afgano per mettere a frutto le sue tre lauree a Oxford. Grazie al suo master in floricoltura, ha cercato di rivoluzionare la coltivazione dei papaveri da oppio, provando a venderli alle colonne di autoblindo, come mazzetti ornamentali, lungo l'unica autostrada del paese, il grande raccordo anulare di Kabul. Non avendo avuto il successo sperato (un solo mazzo di papaveri venduto, a un sergente del Minnesota che se li è fumati sulla corsia di emergenza ascoltando Kurt Cobain), Bumbilai per vendetta è diventato un fuorilegge e per inaugurare la nuova attività ha rapito il direttore del 'New York Times', costringendolo a scrivere decine di editoriali sui centrotavola fatti coi papaveri.
Protokurdi I protokurdi sono una tribù nomade che, pur spostandosi di poche decine di chilometri, si è trovata, negli ultimi anni, a dover combattere contro gli iracheni, gli iraniani, i turchi, i giordani, i siriani, gli angloamericani, gli ittiti e gli achei. Rapiscono per convinzione religiosa e a scopo filantropico: nel loro libro, la Pergamena Sacra, è scritto che solo dormendo sotto un tenda tra due capre si può conquistare la virtù, basta lasciare al padrone della tenda, in segno di gratitudine, 10 mila dollari e una Range Rover con intercooler. Intere spedizioni della Croce Rossa sono state rapite dai protokurdi (molto golosi di pomate e cerotti) e si sono trovate benissimo, con qualche riserva sul vitto (caglio di capra bollente in stomaco di pecora, cucinato da un cuoco di Oristano), ma un forte ricordo delle antiche cerimonie religiose protokurde, basate sulla lettura in forma di litania dei libretti d'istruzione della Range Rover.
Al Qaeda on the beach È un ramo dissidente di Al Qaeda, formato solo da barman e istruttori di sci nautico del Mar Rosso. Sequestra i turisti per una settimana, da sabato a sabato, prelevandoli direttamente dai charter, e li obbliga a praticare la balneazione secondo i dettami coranici, nuotando con il caftano e una pesante scimitarra alla cintola, oppure orientando il windsurf sempre e solo verso la Mecca. I pochi superstiti sono surfisti approdati in Australia dopo sei mesi di traversata. Le donne possono indossare il costume da bagno solo previa resezione dei seni. Terribili i video, diffusi via Internet, con gli animatori turistici di Al Qaeda che costringono anziani tedeschi alla danza sufi. Il rapimento da parte di Al Qaeda on the beach è molto ambito dai praticanti delle vacanze no-limits.
Bastiano Riina È di un ramo secondario dei Riina. Espluso dal mercato dell'eroina (rubava le siringhe ai suoi clienti), si è rifatto una vita in Iraq rivendendole alla Croce Rossa. Ha conquistato le simpatie di una banda di predoni strangolandone il capo a mani nude, e con il nome d'arte di Bin Riina ha rammodernato l'industria dei rapimenti, importando dalla Sicilia lo scioglimento nell'acido del rapito, molto più igienico della decapitazione. Ha introdotto anche nell'Islam, troppo civile per i suoi gusti, alcune pratiche religiose occidentali, come la processione dei flagellanti, l'adorazione di tibie e mandibole dei santi e il conto corrente allo Ior. Ma, soprattutto, ha spiegato che la soppressione del rapito, anche a riscatto avvenuto, permette di risparmiare i soldi dell'autobus per rimandarlo alla sua ambasciata, ottimizzando l'investimento.
13.6.05
La tribù senza fuoco
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI
Non so come abbia votato Giovanardi (o Casini, o la Santanché) al referendum sul fuoco. Probabilmente era per l'astensione: che diritto abbiamo di modificare il volere di dio? Se dio voleva darci il fuoco mica lo metteva nei vulcani. Grandi parole di etica che rimbombarono nel pleistocene. un milione e mezzo di anni fa, e anche allora se accendevi Raiuno, in onda c'erano quasi solo preti. Gli scienziati che facevano ricerca sul fuoco andarono a lavorare in America, in Francia, in Svizzera. La tribù di Giovanardi se ne restò al freddo e al buio, mangiando cervi crudi per ancora qualche centinaio di anni, chiacchierando di filosofia con Pera e Buttiglione. Poi, visto l'avanzare delle glaciazioni e la noiosa conversazione, tolse il disturbo battendo i denti.
Il problema di come fermare la ricerca scientifica si è posto spesso, in tutte le epoche. Probabilmente quelli che chiedevano l'abiura a Galileo non erano né meglio né peggio del direttore del Foglio. Oltre alla Storia, ci sono le storie. Fu la pressione di Nancy Reagan a far cambiare idea ai repubblicani americani sulla ricerca con le staminali: bisognava trovare cu re per l'Alzheimer che uccideva Ronnie.
Tutti i malati poveri dovettero ringraziare per l'esistenza di un malato illustre. Il fatto è che se non si fa qui, perché Giovanardi e i preti non vogliono; si fa a 200 chilometri di distanza. Meno di un'ora di volo e oplà, c'è il fuoco, la terra è rotonda, alcune malattie si curano con la ricerca sulle staminali adulte e presto si saprà se le cellule embrionali sanno fare ancora meglio.
Da qualunque parte la si guardi la battaglia astensionista e le sue truppe di supporto teorico sembrano davvero gli ultimi giapponesi nella giungla. Non si è mai ricordato, infatti, che si impedisse alla scienza di fare qualcosa che tecnicamente era possibile fare. Alcune lobby religiose, alcuni poteri forti, hanno frenato, rallentato, messo i bastoni tra le ruote. Ma poi, all'apparir del vero non c'è niente da fare: la terra ruota intorno al sole, uno può anche aspettare 350 anni parlando d'altro, ma poi è costretto a chiedere scusa. Il proibizionismo, insomma, non paga mai, ma può fare tanti danni. Per esempio, nel caso nostro, creare l'embrione di classe, cioè impedire o rendere molto difficile a tutti una cosa che invece gli alti redditi potranno permettersi. Non solo la procreazione assistita, accessibile solo a chi può spendere e viaggiare, ma anche la cura di alcune malattie, che saranno curabili dove si è fatta ricerca e resteranno incurabili dove la ricerca non si è fatta. I teorici astensionisti di matrice ex-laica dicono dunque che noi odiamo i malati, che non li vogliamo nemmeno mettere al mondo. Non ci spiegano però come mai la sterilità sia in così netto e spaventoso aumento e quando gli parli di inquinamento e declino delle condizioni del pianeta, ti dicono che sono tutte balle.
La malafede è palese, a volte in modo anche divertente. Certe signore rifatte col bisturi dalla testa ai piedi evocano lo spettro Frankenstein. Certi pluridivorziati si sbracciano per l'unità della famiglia cattolica. Cosa li spinge, sapendo che i loro tabù pseudoreligiosi verranno spazzati via nel giro di uno, due decenni di ricerca? La risposta è molto semplice: il potere. Il giochetto ardito del cavalcare una tigre oscurantista per resistere ancora un po' agganciati al carretto di quelli che contano. Il riposizionarsi con il vento che tira, l'iscriversi alla parrocchietta neo-con. Con l'assicurazione che i diritti dei ricchi non si toccano. Comunque vada oggi e domani (e speriamo che vada), qualcuno dovrà poi passare a raccattare i cocci, le macerie umane e morali lasciate in giro dai mullah dell'astensione.
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI
Non so come abbia votato Giovanardi (o Casini, o la Santanché) al referendum sul fuoco. Probabilmente era per l'astensione: che diritto abbiamo di modificare il volere di dio? Se dio voleva darci il fuoco mica lo metteva nei vulcani. Grandi parole di etica che rimbombarono nel pleistocene. un milione e mezzo di anni fa, e anche allora se accendevi Raiuno, in onda c'erano quasi solo preti. Gli scienziati che facevano ricerca sul fuoco andarono a lavorare in America, in Francia, in Svizzera. La tribù di Giovanardi se ne restò al freddo e al buio, mangiando cervi crudi per ancora qualche centinaio di anni, chiacchierando di filosofia con Pera e Buttiglione. Poi, visto l'avanzare delle glaciazioni e la noiosa conversazione, tolse il disturbo battendo i denti.
Il problema di come fermare la ricerca scientifica si è posto spesso, in tutte le epoche. Probabilmente quelli che chiedevano l'abiura a Galileo non erano né meglio né peggio del direttore del Foglio. Oltre alla Storia, ci sono le storie. Fu la pressione di Nancy Reagan a far cambiare idea ai repubblicani americani sulla ricerca con le staminali: bisognava trovare cu re per l'Alzheimer che uccideva Ronnie.
Tutti i malati poveri dovettero ringraziare per l'esistenza di un malato illustre. Il fatto è che se non si fa qui, perché Giovanardi e i preti non vogliono; si fa a 200 chilometri di distanza. Meno di un'ora di volo e oplà, c'è il fuoco, la terra è rotonda, alcune malattie si curano con la ricerca sulle staminali adulte e presto si saprà se le cellule embrionali sanno fare ancora meglio.
Da qualunque parte la si guardi la battaglia astensionista e le sue truppe di supporto teorico sembrano davvero gli ultimi giapponesi nella giungla. Non si è mai ricordato, infatti, che si impedisse alla scienza di fare qualcosa che tecnicamente era possibile fare. Alcune lobby religiose, alcuni poteri forti, hanno frenato, rallentato, messo i bastoni tra le ruote. Ma poi, all'apparir del vero non c'è niente da fare: la terra ruota intorno al sole, uno può anche aspettare 350 anni parlando d'altro, ma poi è costretto a chiedere scusa. Il proibizionismo, insomma, non paga mai, ma può fare tanti danni. Per esempio, nel caso nostro, creare l'embrione di classe, cioè impedire o rendere molto difficile a tutti una cosa che invece gli alti redditi potranno permettersi. Non solo la procreazione assistita, accessibile solo a chi può spendere e viaggiare, ma anche la cura di alcune malattie, che saranno curabili dove si è fatta ricerca e resteranno incurabili dove la ricerca non si è fatta. I teorici astensionisti di matrice ex-laica dicono dunque che noi odiamo i malati, che non li vogliamo nemmeno mettere al mondo. Non ci spiegano però come mai la sterilità sia in così netto e spaventoso aumento e quando gli parli di inquinamento e declino delle condizioni del pianeta, ti dicono che sono tutte balle.
La malafede è palese, a volte in modo anche divertente. Certe signore rifatte col bisturi dalla testa ai piedi evocano lo spettro Frankenstein. Certi pluridivorziati si sbracciano per l'unità della famiglia cattolica. Cosa li spinge, sapendo che i loro tabù pseudoreligiosi verranno spazzati via nel giro di uno, due decenni di ricerca? La risposta è molto semplice: il potere. Il giochetto ardito del cavalcare una tigre oscurantista per resistere ancora un po' agganciati al carretto di quelli che contano. Il riposizionarsi con il vento che tira, l'iscriversi alla parrocchietta neo-con. Con l'assicurazione che i diritti dei ricchi non si toccano. Comunque vada oggi e domani (e speriamo che vada), qualcuno dovrà poi passare a raccattare i cocci, le macerie umane e morali lasciate in giro dai mullah dell'astensione.
11.6.05
Gli zoccoli duri dell'Olanda
Satira preventiva di Michele Serra
La recente cirsi della Ue verte sulle radici locali, troppo importanti per essere messe tra parentesi
'Europa vacilla e gli esperti si chiedono come mai l'unità politica sia in forse nonostante le tradizionali, amichevoli relazioni tra i popoli del continente: le guerre religiose, economiche, dinastiche, ideologiche, di secessione, di successione, di sterminio, d'annessione, d'indipendenza - per un totale di 900 milioni di morti (ricalcolati in euro) - si erano tutte concluse con una bella stretta di mano. Perché, dunque, una convivenza così solida viene messa in discussione?
La vera questione è quella delle radici locali, troppo importanti per essere messe tra parentesi. Vediamo i nodi principali.
OLANDA Guidare la macchina con i caratteristici zoccoli di legno è vietato dal nuovo codice della strada europeo, con il banale pretesto che lo zoccolo olandese, largo circa mezzo metro e pesante 12 chili, schiaccia contemporaneamente freno e acceleratore. Questo divieto viene considerato assurdo e anti-nazionale dalla potente organizzazione 'Famiglia Nederlandese', che rivendica anche l'attraversamento delle autostrade di donne in costume rurale (zoccoli, cuffia e grembiule ricamato) che dirigono gruppi di oche all'abbeveratorio sito dall'altra parte della carreggiata. Il costume tradizionale delle contadine (sottoveste di canapa, doppia gonna e pettorina) è difeso strenuamente anche dalla potente lobby dei gay, che lo indossa alla domenica.
SPAGNA Le normative europee sulla tutela degli animali stanno provocando in Spagna una sollevazione popolare. Sono in forse diverse manifestazioni di antichissima tradizione: oltre a San Firmin a Pamplona, molto amata dagli spagnoli perché i tori travolgono per la strada soprattutto turisti americani ubriachi, rischiano l'abolizione anche la seguitissima Matansa di San Pedro, con i tori infuriati che entrano al galoppo dentro le case e vengono affrontati dalle massaie con forchettoni, padelle e fucili a pompa, e la popolare Fiesta di Gurculan, dove la folla inferocita corre sfrenatamente per le strade travolgendo un toro estratto a sorte dal vescovo.
LITUANIA Il problema principale, per l'opinione pubblica lituana, sono i nuovi sportelli pubblici (banche, uffici postali, anagrafe) costruiti, secondo le normative europee, all'altezza standard di un metro da terra. Il partito nazionalista locale, 'Cestisti per la patria', formato da pivot tutti sopra i due metri di altezza, protesta e chiede che gli sportelli rimangano, secondo tradizione, a 180 cm da terra, ideali per la statura media del popolo lituano, e circondati dai parquet regolamentari. Problemi anche per il settore più forte dell'economia locale, quello dei canestri da basket cuciti a mano dalle donne lituane, minacciato, in assenza di dazio, dalla concorrenza lettone ed estone.
FRANCIA Il movimento dei contadini, guidati da José Bové, teme che la globalizzazione metta in forse la produzione di alcuni formaggi caratteristici, dal Camembert stagionato nella melma di palude allo Chaupleroque nelle due versioni, con i vermi e con i topi, al molto aromatico Feteur de Saint-Remi, ottenuto facendo marmorizzare al sole del Midi delle sottilette Kraft. I formaggi censiti in Francia sono 246, e per tradizione, da millenni, hanno tutti lo stesso sapore. I francesi temono che le normative europee portino a differenziare i sapori dei loro formaggi, snaturandoli. Bové ha in mente una clamorosa protesta: scartare in pieno Parlamento europeo, facendolo evacuare, una confezione di caprino del 1947.
INGHILTERRA Gli inglesi, per secoli, hanno creduto che l'Europa fosse un'isolotto a sud della Cornovaglia, in concessione ai Plantageneti che per osservarla meglio inventarono il cannocchiale. Successivamente sono riusciti a ridefinirla come l'estrema propaggine settentrionale dell'Africa. Il primo esploratore britannico che sbarcò a Calais, sir John Stanleystone, convinto di trovarsi in Mauritania, offrì a un pescatore francese perline colorate chiedendogli dove si potesse affittare un dromedario. Oggi gli inglesi considerano con un misto di curiosità e diffidenza l'idea europea di costituirsi in continente autonomo. Purtroppo il plenipotenziario della regina, spedito a Bruxelles per raccogliere informazioni, è morto in un incidente frontale: guidava sulla corsia di sinistra. Gli euroscettici sono disposti a trattare purché la Ue adotti la pinta, il pollice, la libbra e la monarchia, entri a far parte del Commonwealth e fornisca giardinieri e domestiche di colore.
Satira preventiva di Michele Serra
La recente cirsi della Ue verte sulle radici locali, troppo importanti per essere messe tra parentesi
'Europa vacilla e gli esperti si chiedono come mai l'unità politica sia in forse nonostante le tradizionali, amichevoli relazioni tra i popoli del continente: le guerre religiose, economiche, dinastiche, ideologiche, di secessione, di successione, di sterminio, d'annessione, d'indipendenza - per un totale di 900 milioni di morti (ricalcolati in euro) - si erano tutte concluse con una bella stretta di mano. Perché, dunque, una convivenza così solida viene messa in discussione?
La vera questione è quella delle radici locali, troppo importanti per essere messe tra parentesi. Vediamo i nodi principali.
OLANDA Guidare la macchina con i caratteristici zoccoli di legno è vietato dal nuovo codice della strada europeo, con il banale pretesto che lo zoccolo olandese, largo circa mezzo metro e pesante 12 chili, schiaccia contemporaneamente freno e acceleratore. Questo divieto viene considerato assurdo e anti-nazionale dalla potente organizzazione 'Famiglia Nederlandese', che rivendica anche l'attraversamento delle autostrade di donne in costume rurale (zoccoli, cuffia e grembiule ricamato) che dirigono gruppi di oche all'abbeveratorio sito dall'altra parte della carreggiata. Il costume tradizionale delle contadine (sottoveste di canapa, doppia gonna e pettorina) è difeso strenuamente anche dalla potente lobby dei gay, che lo indossa alla domenica.
SPAGNA Le normative europee sulla tutela degli animali stanno provocando in Spagna una sollevazione popolare. Sono in forse diverse manifestazioni di antichissima tradizione: oltre a San Firmin a Pamplona, molto amata dagli spagnoli perché i tori travolgono per la strada soprattutto turisti americani ubriachi, rischiano l'abolizione anche la seguitissima Matansa di San Pedro, con i tori infuriati che entrano al galoppo dentro le case e vengono affrontati dalle massaie con forchettoni, padelle e fucili a pompa, e la popolare Fiesta di Gurculan, dove la folla inferocita corre sfrenatamente per le strade travolgendo un toro estratto a sorte dal vescovo.
LITUANIA Il problema principale, per l'opinione pubblica lituana, sono i nuovi sportelli pubblici (banche, uffici postali, anagrafe) costruiti, secondo le normative europee, all'altezza standard di un metro da terra. Il partito nazionalista locale, 'Cestisti per la patria', formato da pivot tutti sopra i due metri di altezza, protesta e chiede che gli sportelli rimangano, secondo tradizione, a 180 cm da terra, ideali per la statura media del popolo lituano, e circondati dai parquet regolamentari. Problemi anche per il settore più forte dell'economia locale, quello dei canestri da basket cuciti a mano dalle donne lituane, minacciato, in assenza di dazio, dalla concorrenza lettone ed estone.
FRANCIA Il movimento dei contadini, guidati da José Bové, teme che la globalizzazione metta in forse la produzione di alcuni formaggi caratteristici, dal Camembert stagionato nella melma di palude allo Chaupleroque nelle due versioni, con i vermi e con i topi, al molto aromatico Feteur de Saint-Remi, ottenuto facendo marmorizzare al sole del Midi delle sottilette Kraft. I formaggi censiti in Francia sono 246, e per tradizione, da millenni, hanno tutti lo stesso sapore. I francesi temono che le normative europee portino a differenziare i sapori dei loro formaggi, snaturandoli. Bové ha in mente una clamorosa protesta: scartare in pieno Parlamento europeo, facendolo evacuare, una confezione di caprino del 1947.
INGHILTERRA Gli inglesi, per secoli, hanno creduto che l'Europa fosse un'isolotto a sud della Cornovaglia, in concessione ai Plantageneti che per osservarla meglio inventarono il cannocchiale. Successivamente sono riusciti a ridefinirla come l'estrema propaggine settentrionale dell'Africa. Il primo esploratore britannico che sbarcò a Calais, sir John Stanleystone, convinto di trovarsi in Mauritania, offrì a un pescatore francese perline colorate chiedendogli dove si potesse affittare un dromedario. Oggi gli inglesi considerano con un misto di curiosità e diffidenza l'idea europea di costituirsi in continente autonomo. Purtroppo il plenipotenziario della regina, spedito a Bruxelles per raccogliere informazioni, è morto in un incidente frontale: guidava sulla corsia di sinistra. Gli euroscettici sono disposti a trattare purché la Ue adotti la pinta, il pollice, la libbra e la monarchia, entri a far parte del Commonwealth e fornisca giardinieri e domestiche di colore.
10.6.05
Il gioco dell'embrione
di ALESSANDRO ROBECCHI
Casella 1, partenza - Sei un embrione. Che culo! Non sappiamo nemmeno se sarai una cellula di orecchio o un pezzo di placenta e hai già più diritti di tua madre. Non possono nemmeno farti le analisi per vedere se sei sano. Vietato, dicono che così ti proteggono. Avanza di sei caselle.
Casella 7 - Sei Giovanardi, Sfiga. Fermo un giro, poi ritira i dadi. Siccome sei Giovanardi puoi tirarne due. E infatti con due dadi fai due. Sei pur sempre Giovanardi, non ti allargare!
Casella 9 - Siete una bella coppia e volete dei bambini. Evviva! Vai avanti di tre caselle.
Casella 12 - Ahi, ahi, ahi. Sei omosessuale, quindi non esiste un patto sociale che ti leghi al tuo partner, per la legge siete due estranei. Bambini, nemmeno parlarne, adozione pussa via. E' già tanto che ti puoi masturbare, ma forse faranno una legge restrittiva anche per questo. Punito. Torna alla casella Uno.
Casella 1 - Che culo! Sei di nuovo un embrione. Hai più diritti di un professionista gay di quarant'anni con la station wagon! Tira tre volte i dadi!
Casella 21 - Hai una malattia ereditaria e non vuoi che ce l'abbia pure tuo figlio. In più ti dicono che sei come Mengele. Vai in Francia, in Germania o a Malta, paesi civili. Ma prima vai avanti di tre caselle.
Casella 24 - Sei la mamma. Non so se hai notato ma a te in questo grande gioco tra preti e scienziati non ti ha cagato nessuno. Ferma un giro perché sei un po' Mengele anche tu. Poi puoi tirare i dadi.
Casella 31 - Sei Rutelli. Orrore! Torna alla casella numero 7.
Casella 7 - Aargh! Sei di nuovo Giovanardi! Che raccapriccio! Corri alla casella 35.
Casella 35 - Stai tentando la fecondazione assistita, punture, ormoni, ospedali, dottori e speranze, ma il vescovo di Venezia dice che è maglio una bella trombata. Compra un machete e vai avanti di tre caselle.
Casella 38 - Sei Marcello Pera, capisco la delusione. Eri un popperiano laico e adesso sei un chierichetto di Ratzinger, nemmeno molto dotato. Stai fermo un giro e poi tira i dadi.
Casella 43 - Sei la legge sull'aborto e già senti odore di bruciato. Cominci a capire che sei tu il vero obiettivo. Scappa! Corri avanti di cinque caselle.
Casella 48 - Sei un piccolo feto che fa marameo dall'ecografia. Dall'ecografia si può capire se stai bene oppure no. La tua mamma verrà accusata di eugenetica? Ciucciati il pollice per quattro caselle.
Casella 52 - Sei un lettore del Corriere della Sera e ti sei beccato due paginate di Fallaci senza avere alcuna colpa. Puoi fare causa per molestie al Corriere se vai avanti di tre caselle
Casella 55 - Sei Carletto, di due anni e mezzo, e piangi perché vuoi venire nel lettone con papà e mamma. Cazzo, ma sono le quattro! Quando eri un embrione non facevi così! Vai avanti di due caselle.
Casella 57 - Sei un ciellino, una cosa che nessuna analisi prenatale poteva prevedere. Sei contrario all'analisi preimpianto perché sei un sadico che ama la sofferenza della gente. Stai fermo un giro, poi tira i dadi.
Casella 62 - Sei un padre in sala parto, non sai cosa fare, sei spaventato, affascinato e felice. Sudi come un carrettiere. Vai avanti di una casella.
Casella 63 - Sei una madre in sala parto. Gridi come un'aquila e intanto pensi: ma guarda come suda quel fesso. Vai avanti di tre caselle.
Casella 66 - Sei un italiano normalissimo, un'italiana normalissima, ti stai chiedendo cosa diavolo ci fanno i preti e i famosi neo-con con le mani nelle tue mutande. Vai avanti di cinque caselle.
Casella 71, arrivo! - E' domenica 12 maggio, prendi la tua tessera elettorale e vai a votare i referendum. Ci vogliono cinque minuti e si vota anche lunedì, dillo a tutti quelli che puoi. E' un'azione che protegge la vita della gente e non il potere sulla vita della gente. E' un'azione che distingue l'uomo dal Giovanardi e che restituisce un diritto alle donne.
di ALESSANDRO ROBECCHI
Casella 1, partenza - Sei un embrione. Che culo! Non sappiamo nemmeno se sarai una cellula di orecchio o un pezzo di placenta e hai già più diritti di tua madre. Non possono nemmeno farti le analisi per vedere se sei sano. Vietato, dicono che così ti proteggono. Avanza di sei caselle.
Casella 7 - Sei Giovanardi, Sfiga. Fermo un giro, poi ritira i dadi. Siccome sei Giovanardi puoi tirarne due. E infatti con due dadi fai due. Sei pur sempre Giovanardi, non ti allargare!
Casella 9 - Siete una bella coppia e volete dei bambini. Evviva! Vai avanti di tre caselle.
Casella 12 - Ahi, ahi, ahi. Sei omosessuale, quindi non esiste un patto sociale che ti leghi al tuo partner, per la legge siete due estranei. Bambini, nemmeno parlarne, adozione pussa via. E' già tanto che ti puoi masturbare, ma forse faranno una legge restrittiva anche per questo. Punito. Torna alla casella Uno.
Casella 1 - Che culo! Sei di nuovo un embrione. Hai più diritti di un professionista gay di quarant'anni con la station wagon! Tira tre volte i dadi!
Casella 21 - Hai una malattia ereditaria e non vuoi che ce l'abbia pure tuo figlio. In più ti dicono che sei come Mengele. Vai in Francia, in Germania o a Malta, paesi civili. Ma prima vai avanti di tre caselle.
Casella 24 - Sei la mamma. Non so se hai notato ma a te in questo grande gioco tra preti e scienziati non ti ha cagato nessuno. Ferma un giro perché sei un po' Mengele anche tu. Poi puoi tirare i dadi.
Casella 31 - Sei Rutelli. Orrore! Torna alla casella numero 7.
Casella 7 - Aargh! Sei di nuovo Giovanardi! Che raccapriccio! Corri alla casella 35.
Casella 35 - Stai tentando la fecondazione assistita, punture, ormoni, ospedali, dottori e speranze, ma il vescovo di Venezia dice che è maglio una bella trombata. Compra un machete e vai avanti di tre caselle.
Casella 38 - Sei Marcello Pera, capisco la delusione. Eri un popperiano laico e adesso sei un chierichetto di Ratzinger, nemmeno molto dotato. Stai fermo un giro e poi tira i dadi.
Casella 43 - Sei la legge sull'aborto e già senti odore di bruciato. Cominci a capire che sei tu il vero obiettivo. Scappa! Corri avanti di cinque caselle.
Casella 48 - Sei un piccolo feto che fa marameo dall'ecografia. Dall'ecografia si può capire se stai bene oppure no. La tua mamma verrà accusata di eugenetica? Ciucciati il pollice per quattro caselle.
Casella 52 - Sei un lettore del Corriere della Sera e ti sei beccato due paginate di Fallaci senza avere alcuna colpa. Puoi fare causa per molestie al Corriere se vai avanti di tre caselle
Casella 55 - Sei Carletto, di due anni e mezzo, e piangi perché vuoi venire nel lettone con papà e mamma. Cazzo, ma sono le quattro! Quando eri un embrione non facevi così! Vai avanti di due caselle.
Casella 57 - Sei un ciellino, una cosa che nessuna analisi prenatale poteva prevedere. Sei contrario all'analisi preimpianto perché sei un sadico che ama la sofferenza della gente. Stai fermo un giro, poi tira i dadi.
Casella 62 - Sei un padre in sala parto, non sai cosa fare, sei spaventato, affascinato e felice. Sudi come un carrettiere. Vai avanti di una casella.
Casella 63 - Sei una madre in sala parto. Gridi come un'aquila e intanto pensi: ma guarda come suda quel fesso. Vai avanti di tre caselle.
Casella 66 - Sei un italiano normalissimo, un'italiana normalissima, ti stai chiedendo cosa diavolo ci fanno i preti e i famosi neo-con con le mani nelle tue mutande. Vai avanti di cinque caselle.
Casella 71, arrivo! - E' domenica 12 maggio, prendi la tua tessera elettorale e vai a votare i referendum. Ci vogliono cinque minuti e si vota anche lunedì, dillo a tutti quelli che puoi. E' un'azione che protegge la vita della gente e non il potere sulla vita della gente. E' un'azione che distingue l'uomo dal Giovanardi e che restituisce un diritto alle donne.
Torniamo all'euro padano
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI
E' proprio vero che non bisogna mai buttare niente. Così, mi ritrovo per le mani un ritaglio di qualche tempo fa, custodito ma dimenticato per anni nella cartellina «cazzate». E' una bozza della Costituzione Transitoria della Repubblica Federale Padana, una grandinata di maiuscole per nove articoletti che dovevano creare l'ossatura della Repubblica del Nord, finalmente sganciata da Roma ladrona e fiondata verso il suo luminoso futuro. Erano i tempi dell'anelito di indipendenza della Padania che aveva colpito i dirigenti della Lega. Riporto qui integralmente l'articolo 5 (incongruamente scritto in italiano), che recita così: La Lira Padana assume corso legale in Padania. Dunque, la prima domanda per agganciarsi alla stretta attualità è semplice e immediata: a quale lira vuole tornare il ministro del lavoro Maroni, alla vecchia lira italiana o alla lira padana? Comma due dello stesso articolo: Il Governo Provvisorio della Padania determinerà i rapporti di cambio con la lira italiana e le altre monete. L'idea di vedere Maroni e Calderoli seduti in una sala della Bce a discutere di tassi di cambio è quasi irresistibile. Scopro invece, con un po' di delusione, che Maroni vorrebbe tornare alla lira vera, quella italiana, che persino Borghezio chiama ora «cara vecchia lira». La soluzione prospettata dal Maroni è semplice: dare voce al «popolo sovrano» (sic), cioè fare un referendum, cosa che con l'attuale costituzione non è possibile. Dunque si tratta di questo: aria fritta, parole in libertà e depistaggio. Il peggior ministro del lavoro che l'Italia (non la Padania) abbia mai avuto cerca di alzare un polverone per cavalcare l'astio di un popolo impoverito (anche) dalla sua indefessa opera. In ogni caso sarebbe interessante - per puro ghiribizzo - provare a calcolare quale tasso di cambio riusciremmo a strappare se dall'euro volessimo tornare alla lira. Visti i nostri conti, il nostro debito pubblico e gli interessi sul debito, sarebbe certamente una rapina.
Dunque una volta tornati alla lira, isolati in un continente che ragiona in euro, saremmo messi più o meno come l'Albania, e ci troveremmo davanti all'urgenza di tornare all'euro. Altra trattativa sul cambi e altra rapina: questo Maroni è davvero un genio. Lasciando da parte gli scenari teorici, però, va detto che il richiamo al «popolo sovrano» è sempre affascinante. Riportano le cronache di questi giorni che un 5% di italiani detiene il 32% della ricchezza del paese. Una decina di anni fa lo stesso 5 per cento di italiani deteneva «appena» il 27% della ricchezza complessiva. Il calcolo è elementare: pochi italiani si sono arricchiti e molti (il 95%) si sono impoveriti. Logica vorrebbe che quando questi geni dell'economia che ci governano verranno rispediti a casa, il «popolo sovrano» decidesse a chi rivolgersi per riassestare i conti. Un bel referendum potrebbe porre questo quesito: «Volete voi popolo sovrano che quel cinque per cento restituisca il malloppo con gli interessi?». A occhio e croce i sì dovrebbero arrivare al 90 per cento, tutti italiani convinti che più che tornare loro alla lira, sarebbe un po' di lira a dover tornare a loro. Maroni (e Rutelli) potrebbero sempre astenersi.
Del resto, è comprensibile l'ansia del ministro Maroni di trovare un unico e solo colpevole delle sfighe economiche degli italiani. Se tutti guardano all'euro, pensa astutamente, nessuno penserà all'impoverimento della popolazione - e segnatamente dei giovani - garantito dalla riforma del lavoro che porta il suo nome. Milioni di italiani che hanno un orizzonte di sicurezza sociale (ah! ah!) di tre-sei mesi. Milioni di italiani per cui un prestito, un mutuo, persino un contrattino d'affitto, una convivenza o un matrimonio, per non dire fare dei figli, sono un miraggio lontano, una cosa da ricchi, sia in euro che in lire. Al ministro Maroni dunque serve urgentemente un capro espiatorio: un bel pogrom anti-euro. In nome - ci mancherebbe! - del popolo sovrano. Che sarebbe, per inciso, lo stesso popolo sovrano a cui la Lega sta chiedendo in questi giorni di astenersi ai referendum del 12 giugno.
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI
E' proprio vero che non bisogna mai buttare niente. Così, mi ritrovo per le mani un ritaglio di qualche tempo fa, custodito ma dimenticato per anni nella cartellina «cazzate». E' una bozza della Costituzione Transitoria della Repubblica Federale Padana, una grandinata di maiuscole per nove articoletti che dovevano creare l'ossatura della Repubblica del Nord, finalmente sganciata da Roma ladrona e fiondata verso il suo luminoso futuro. Erano i tempi dell'anelito di indipendenza della Padania che aveva colpito i dirigenti della Lega. Riporto qui integralmente l'articolo 5 (incongruamente scritto in italiano), che recita così: La Lira Padana assume corso legale in Padania. Dunque, la prima domanda per agganciarsi alla stretta attualità è semplice e immediata: a quale lira vuole tornare il ministro del lavoro Maroni, alla vecchia lira italiana o alla lira padana? Comma due dello stesso articolo: Il Governo Provvisorio della Padania determinerà i rapporti di cambio con la lira italiana e le altre monete. L'idea di vedere Maroni e Calderoli seduti in una sala della Bce a discutere di tassi di cambio è quasi irresistibile. Scopro invece, con un po' di delusione, che Maroni vorrebbe tornare alla lira vera, quella italiana, che persino Borghezio chiama ora «cara vecchia lira». La soluzione prospettata dal Maroni è semplice: dare voce al «popolo sovrano» (sic), cioè fare un referendum, cosa che con l'attuale costituzione non è possibile. Dunque si tratta di questo: aria fritta, parole in libertà e depistaggio. Il peggior ministro del lavoro che l'Italia (non la Padania) abbia mai avuto cerca di alzare un polverone per cavalcare l'astio di un popolo impoverito (anche) dalla sua indefessa opera. In ogni caso sarebbe interessante - per puro ghiribizzo - provare a calcolare quale tasso di cambio riusciremmo a strappare se dall'euro volessimo tornare alla lira. Visti i nostri conti, il nostro debito pubblico e gli interessi sul debito, sarebbe certamente una rapina.
Dunque una volta tornati alla lira, isolati in un continente che ragiona in euro, saremmo messi più o meno come l'Albania, e ci troveremmo davanti all'urgenza di tornare all'euro. Altra trattativa sul cambi e altra rapina: questo Maroni è davvero un genio. Lasciando da parte gli scenari teorici, però, va detto che il richiamo al «popolo sovrano» è sempre affascinante. Riportano le cronache di questi giorni che un 5% di italiani detiene il 32% della ricchezza del paese. Una decina di anni fa lo stesso 5 per cento di italiani deteneva «appena» il 27% della ricchezza complessiva. Il calcolo è elementare: pochi italiani si sono arricchiti e molti (il 95%) si sono impoveriti. Logica vorrebbe che quando questi geni dell'economia che ci governano verranno rispediti a casa, il «popolo sovrano» decidesse a chi rivolgersi per riassestare i conti. Un bel referendum potrebbe porre questo quesito: «Volete voi popolo sovrano che quel cinque per cento restituisca il malloppo con gli interessi?». A occhio e croce i sì dovrebbero arrivare al 90 per cento, tutti italiani convinti che più che tornare loro alla lira, sarebbe un po' di lira a dover tornare a loro. Maroni (e Rutelli) potrebbero sempre astenersi.
Del resto, è comprensibile l'ansia del ministro Maroni di trovare un unico e solo colpevole delle sfighe economiche degli italiani. Se tutti guardano all'euro, pensa astutamente, nessuno penserà all'impoverimento della popolazione - e segnatamente dei giovani - garantito dalla riforma del lavoro che porta il suo nome. Milioni di italiani che hanno un orizzonte di sicurezza sociale (ah! ah!) di tre-sei mesi. Milioni di italiani per cui un prestito, un mutuo, persino un contrattino d'affitto, una convivenza o un matrimonio, per non dire fare dei figli, sono un miraggio lontano, una cosa da ricchi, sia in euro che in lire. Al ministro Maroni dunque serve urgentemente un capro espiatorio: un bel pogrom anti-euro. In nome - ci mancherebbe! - del popolo sovrano. Che sarebbe, per inciso, lo stesso popolo sovrano a cui la Lega sta chiedendo in questi giorni di astenersi ai referendum del 12 giugno.
7.6.05
Se il cane e il gatto stanno nello stesso sacco
Bestiario di Giampaolo Pansa (L'Espresso)
Neppure il successo elettorale è un collante per il centrosinistra. E dalla destra solo prese in giro per gli italiani. E allora voto bianca
Ho un vicino di pianerottolo che, di questi tempi, fa proprio al caso mio. Nel senso che è un elettore del centro-destra pieno di mugugni e che ha già cominciato ad abbandonare il proprio campo. È il dottor B. Z., un funzionario di banca sui cinquant'anni, sposato con una signora che lavora per un grande studio legale. Uomo informato, legge due quotidiani, vede i tigì e segue i talk-show politici. Da sempre elettore della Dc, nel 1994 è passato a Forza Italia. Ma alle ultime regionali si è astenuto. È stato lui a dirmelo, aggiungendo che stava meditando di votare per il centro-sinistra, alle politiche del 2006. Però da qualche giorno mi ha rivelato di avere dei dubbi. Come mai? Abbiamo provato a parlarne.
Siamo partiti dall'ultima mossa della Margherita. Il dottor Z. confessa di non averla capita. Rutelli, Marini & C. dicono di temere l'egemonia della Quercia. Però i margheriti stanno insieme ai diessini dovunque e in ogni luogo. Ci sono sindaci, presidenti e assessori della Margherita dappertutto, e sembrano fratelli gemelli dei loro omologhi dei Ds. In più, questi margheriti non paiono figli di un Dio minore: alzano la voce, pretendono posti, discutono spaccando il capello in quattro e di solito hanno la meglio.
Sempre su questo punto, il dottor Z. sfodera un po' di sarcasmo. Si domanda: ma Rutelli non è stato eletto per due volte sindaco di Roma grazie ai voti dei post comunisti? E quanti candidati della Margherita sono entrati al Senato e alla Camera dei deputati sempre grazie agli elettori della Quercia? Dunque, c'è un duopolio tra Fassino e Rutelli. Ma allora Cicciobello deve trovare un altro pretesto per rompere i piatti in famiglia, come sta facendo.
È evidente che il dottor Z. ha molte riserve sul leader dei margheriti. Ma ne ha ancora di più sui vecchi Dc che lo hanno sostenuto, e forse spinto, nella rottura. Pensa a De Mita, ma non soltanto a lui. Li ho votati molte volte, dice il mio vicino di casa, e loro hanno lasciato morire quello che era anche il mio partito. Ricorda l'anno orribile, il 1992, con il botto di Tangentopoli. È stata tutta colpa dei magistrati? Non ci credo, dice il dottor Z. E adesso i reduci di quella sconfitta ritornano alla carica! Quando vede alla tivù Marini, un sindacalista che è stato il capo della Cisl, e lo scopre così aggressivo, con il coltello tra i denti, si domanda: ma la regola numero uno dei leader sindacali non è che chi tratta vince? Lui non mi pare che voglia trattare, vuole soltanto sfasciare!
La Margherita si propone di conquistare i voti di gente come me, continua il dottor Z. E Rutelli rimprovera a Prodi di non aver ancora spiegato che cosa intende fare il giorno che tornerà al governo. Certo, il silenzio di Prodi non mi piace. Ma anche Rutelli & C. stanno tenendo la bocca chiusa. Ho seguito le cronache sul seminario di Frascati. Montezemolo ha detto una cosa, il professor Monti la cosa opposta. Però Rutelli non ha detto niente. Immagino che, una volta al potere, il centro-sinistra sarà costretto a varare un programma di cinghia tirata, tutto lacrime e sangue. Vorrei sapere che cosa ne pensa la Margherita. Lei lo sa? Io non lo so.
A questo punto, arriviamo al problema dei problemi. Il dottor Z. racconta di aver lasciato il centro-destra per ragioni insieme semplici e pesanti. Troppa incompetenza, da dilettanti allo sbaraglio. Troppi proclami a vuoto, ossia molto fumo e niente arrosto. Troppe divisioni interne. E in Berlusconi troppe smargiassate che non hanno prodotto a nulla. Vi abbasso le tasse! L'Italia è un paese che scoppia di benessere! Mi sono sentito preso in giro, confessa il mio vicino. E tanti come me hanno pensato che non si governa così un paese nei guai come il nostro.
Credevo di trovare più serietà nel centro-sinistra. E qualche volta ho pensato che il suo Bestiario esagerasse nelle critiche. Ma mi sto rendendo conto che la realtà è molto peggiore di quella descritta da lei. Proprio quando stava vincendo un'elezione dopo l'altra, l'Unione ha pensato bene di spaccarsi. Caspita!, neppure il successo è un collante per quei nove o dieci partiti. Sul più bello, hanno ripreso a combattersi. E non oso immaginare che cosa farà il Parolaio Rosso. Ho letto che, dopo la vittoria del no nel referendum francese sulla Costituzione europea, Bertinotti ha subito strillato, esultante: Amato, Prodi, Fassino e Rutelli sono stati sconfitti!
Mi sembrano il cane e il gatto rinchiusi in un sacco. Ma così preparano soltanto la loro sconfitta. E qui, conclude il dottor Z., si arriva al nodo dei nodi. L'elettore fluttuante, incerto o smonato va soltanto dove si vince. Però nel centro-sinistra di oggi non intravedo reali possibilità di vittoria. Certo, con un centro-destra allo sfascio, Prodi può prevalere nelle elezioni del 2006. E dopo? In che modo riuscirà a governare per davvero? Quanto durerà il suo ipotetico governo? Dunque, datemi una scheda: ve la rimanderò bianca che più bianca non si può.
Bestiario di Giampaolo Pansa (L'Espresso)
Neppure il successo elettorale è un collante per il centrosinistra. E dalla destra solo prese in giro per gli italiani. E allora voto bianca
Ho un vicino di pianerottolo che, di questi tempi, fa proprio al caso mio. Nel senso che è un elettore del centro-destra pieno di mugugni e che ha già cominciato ad abbandonare il proprio campo. È il dottor B. Z., un funzionario di banca sui cinquant'anni, sposato con una signora che lavora per un grande studio legale. Uomo informato, legge due quotidiani, vede i tigì e segue i talk-show politici. Da sempre elettore della Dc, nel 1994 è passato a Forza Italia. Ma alle ultime regionali si è astenuto. È stato lui a dirmelo, aggiungendo che stava meditando di votare per il centro-sinistra, alle politiche del 2006. Però da qualche giorno mi ha rivelato di avere dei dubbi. Come mai? Abbiamo provato a parlarne.
Siamo partiti dall'ultima mossa della Margherita. Il dottor Z. confessa di non averla capita. Rutelli, Marini & C. dicono di temere l'egemonia della Quercia. Però i margheriti stanno insieme ai diessini dovunque e in ogni luogo. Ci sono sindaci, presidenti e assessori della Margherita dappertutto, e sembrano fratelli gemelli dei loro omologhi dei Ds. In più, questi margheriti non paiono figli di un Dio minore: alzano la voce, pretendono posti, discutono spaccando il capello in quattro e di solito hanno la meglio.
Sempre su questo punto, il dottor Z. sfodera un po' di sarcasmo. Si domanda: ma Rutelli non è stato eletto per due volte sindaco di Roma grazie ai voti dei post comunisti? E quanti candidati della Margherita sono entrati al Senato e alla Camera dei deputati sempre grazie agli elettori della Quercia? Dunque, c'è un duopolio tra Fassino e Rutelli. Ma allora Cicciobello deve trovare un altro pretesto per rompere i piatti in famiglia, come sta facendo.
È evidente che il dottor Z. ha molte riserve sul leader dei margheriti. Ma ne ha ancora di più sui vecchi Dc che lo hanno sostenuto, e forse spinto, nella rottura. Pensa a De Mita, ma non soltanto a lui. Li ho votati molte volte, dice il mio vicino di casa, e loro hanno lasciato morire quello che era anche il mio partito. Ricorda l'anno orribile, il 1992, con il botto di Tangentopoli. È stata tutta colpa dei magistrati? Non ci credo, dice il dottor Z. E adesso i reduci di quella sconfitta ritornano alla carica! Quando vede alla tivù Marini, un sindacalista che è stato il capo della Cisl, e lo scopre così aggressivo, con il coltello tra i denti, si domanda: ma la regola numero uno dei leader sindacali non è che chi tratta vince? Lui non mi pare che voglia trattare, vuole soltanto sfasciare!
La Margherita si propone di conquistare i voti di gente come me, continua il dottor Z. E Rutelli rimprovera a Prodi di non aver ancora spiegato che cosa intende fare il giorno che tornerà al governo. Certo, il silenzio di Prodi non mi piace. Ma anche Rutelli & C. stanno tenendo la bocca chiusa. Ho seguito le cronache sul seminario di Frascati. Montezemolo ha detto una cosa, il professor Monti la cosa opposta. Però Rutelli non ha detto niente. Immagino che, una volta al potere, il centro-sinistra sarà costretto a varare un programma di cinghia tirata, tutto lacrime e sangue. Vorrei sapere che cosa ne pensa la Margherita. Lei lo sa? Io non lo so.
A questo punto, arriviamo al problema dei problemi. Il dottor Z. racconta di aver lasciato il centro-destra per ragioni insieme semplici e pesanti. Troppa incompetenza, da dilettanti allo sbaraglio. Troppi proclami a vuoto, ossia molto fumo e niente arrosto. Troppe divisioni interne. E in Berlusconi troppe smargiassate che non hanno prodotto a nulla. Vi abbasso le tasse! L'Italia è un paese che scoppia di benessere! Mi sono sentito preso in giro, confessa il mio vicino. E tanti come me hanno pensato che non si governa così un paese nei guai come il nostro.
Credevo di trovare più serietà nel centro-sinistra. E qualche volta ho pensato che il suo Bestiario esagerasse nelle critiche. Ma mi sto rendendo conto che la realtà è molto peggiore di quella descritta da lei. Proprio quando stava vincendo un'elezione dopo l'altra, l'Unione ha pensato bene di spaccarsi. Caspita!, neppure il successo è un collante per quei nove o dieci partiti. Sul più bello, hanno ripreso a combattersi. E non oso immaginare che cosa farà il Parolaio Rosso. Ho letto che, dopo la vittoria del no nel referendum francese sulla Costituzione europea, Bertinotti ha subito strillato, esultante: Amato, Prodi, Fassino e Rutelli sono stati sconfitti!
Mi sembrano il cane e il gatto rinchiusi in un sacco. Ma così preparano soltanto la loro sconfitta. E qui, conclude il dottor Z., si arriva al nodo dei nodi. L'elettore fluttuante, incerto o smonato va soltanto dove si vince. Però nel centro-sinistra di oggi non intravedo reali possibilità di vittoria. Certo, con un centro-destra allo sfascio, Prodi può prevalere nelle elezioni del 2006. E dopo? In che modo riuscirà a governare per davvero? Quanto durerà il suo ipotetico governo? Dunque, datemi una scheda: ve la rimanderò bianca che più bianca non si può.