Rottamate i poveri
di Alessandro Robecchi (per Il Manifesto)
Per essere un rebus somiglia parecchio a un paradosso. Dunque riassumiamo: secondo l'Istat gli italiani sono sfiduciati. Quindi non spendono. E se non spendono si fermano i consumi, e l'industria non tira. Quale industria? La stessa che ha voluto «più flessibili» i lavoratori, pagandoli con 8-9 mensilità invece di 13. Dunque li ha impoveriti, e ora li accusa di non spendere. Per la prima volta i poveri - per il solo fatto di essere poveri - fanno un dispetto ai ricchi. Dunque, ci ammoniscono gli economisti liberisti, questo è male per tutti, e per i poveri è male due volte (l'unico caso in cui hanno un bonus). Si lascia intuire, con quella sorta di determinismo mesmerico che i liberisti amano applicare al liberismo, che se i poveri si comprassero appartamenti, gioielli e macchinoni saremmo tutti meno poveri. Chiusura del cerchio: siamo più poveri per colpa dei poveri. Bastardi. Dunque si torna lì, ai consumi. Dei consumi indotti si sa e si è detto mille volte. Ma ancora si sobbalza di fronte a certe evidenti cretinate. Perché in un paese dove non si possono superare i 130 all'ora uno dovrebbe fare il pieno con la V Power, «la benzina studiata in collaborazione col team Ferrari»? Mistero.
Perché uno dovrebbe fremere all'idea di guardarsi il videooroscopo sul videotelefonino, e magari indebitarsi per questo? Probabilmente non lo sapremo mai, finché non inventeranno un videotelefono che ce lo spiega: per soli 1 euro e 20 cent al minuto puoi sapere finalmente quanto sei scemo: parecchio.
Nonostante tutto questo ben di dio in agguato, i poveri si ostinano ad essere poveri. E anzi aumentano: otto milioni di italiani sono sotto la soglia di povertà, a pensarci l'incremento dei meno abbienti è l'unico segno «più» di questa mirabolante patacca che è il signor Silvio.
Secondo alcuni (i guru del commercio e della pubblicità), il problema è psicologico: non c'è ottimismo. La gente ha il muso lungo e le palle girate, ha paura del proprio futuro, e questa non è esattamente la situazione in cui uno esce a comprarsi una videocamera digitale o un pigiama di lino.
C'è da capirla: l'ultima volta che la gente è stata ottimista e ha guardato con fiducia al futuro è uscita a comprarsi dei fondi o delle obbligazioni, ed è stata rapinata di ogni suo avere. Il risparmio delle famiglie, specie nei ceti medi, è già stato tosato alla grande.
Alla garrula esortazione «ehi, sii più ottimista», si è tentati di rispondere, «ancora?, ma io ho già dato!». Uno - per buona volontà - ci prova. Con l'affitto (o il mutuo) che fa metà stipendio, il lavoro flexy che traballa, l'assicurazione della macchina aumentata del trecento per cento e magari il nonno portatore sano di tiket sanitari e il piccolo al nido privato, deve essere ottimista per forza, se no si spara. Ma scusate, questa è la solita demagogia, mentre invece il problema è serio, per quanto risolvibile con un po' di ottimismo e un bel sorriso.
Dunque si reclamano e si studiano, per incentivare il consumo, nuovi entusiasmanti barbatrucchi. La rottamazione, partita per le macchine prima che si rottamasse la Fiat, è il nuovo trend. Forse potremo avere incentivi per buttare via la libreria o la lavatrice vecchia e comprarcene una nuova.
La «roba» dura troppo: la nostra libreria, la nostra lavatrice vivono troppo a lungo per le esigenze dell'economia nazionale. Quella stronza ronza, sputacchia e fa casino, ma lava ancora i panni egregiamente. Maledetta lavatrice comunista che boicotta la crescita. Identificatela!
Sicuramente ci penserà la scienza, sempre al servizio del progresso: «Grazie per aver scelto le nostre poltrone, esse si autodistruggeranno alla prossima fase di stagnazione economica».