31.12.03

ARTICOLO SU PARMALAT APPARSO SUL FINANCIAL TIMES

Il caso Parmalat, il gruppo alimentare sotto inchiesta per la più grossa truffa europea che si ricordi, fa sorgere una serie di domande sugli standard di gestione ed amministrazione in Italia. Una delle più importante e se la politica e le leggi emanate da Silvio Berlusconi in qualche modo hanno contribuito al disastro.
Considerando i fatti, le società di Mr Berlusconi hanno avuto in passato problemi riguardanti frodi amministrative; una volta al governo Mr Berlusconi ha deciso di proteggere gli affari da inquirenti troppo zelanti. Lo scorso anno la legge sul falso in bilancio è stata ammorbidita sostanziosamente. La massima detenzione prevista è stata ridotta a tre anni ed il numero di eccezioni aumentato.
Vista la gravità del caso Parmalat, questa legislazione sembra intempestiva. Si pensa che la cifra stimata dell'ammanco sia di circa 10 miliardi di Euro; questo è circa lo 0.8 % del reddito nazionale lordo dell'Italia. Al confronto, il caso Enron risulta irrilevante (come percentuale sul prodotto lordo nazionale).
Un prezzo dovrà essere pagato dai contribuenti italiani e dagli investitori per questa cattiva gestione. Come l'inetta gestione della presidenza europea da parte di Mr Berlusconi ha contribuito ad una crisi di fiducia tra i leader dell'Europa facendo fallire l'approvazione della nuova costituzione, così la sua politica sulle società ha aiutato a creare un clima tale da facilitare l'aumento di scandali societari in Italia.
Gli investitori stranieri avrebbero dovuto rendersi conto per tempo della situazione, ma invece di accettare le loro colpe hanno scaricato tutto sulle agenzie di rating.
Queste agenzie si basano sui dati dei bilanci pubblicati: su queste basi era tecnicamente corretto applicare ai bond Parmalat un livello basso di rischio. Standard & Poor non potevano immaginare che i documenti che mostravano la situazione finanziaria fossero falsi.. Tuttavia le agenzie di rating sono colpevoli di non essere stati abbastanza prudenti nei confronti di società che presentino informazioni anomale. Quando c'è qualcosa che non ha senso, quando ci sono troppe complessità, oppure dubbi sull'integrità del management, un'agenzia dovrebbe rifiutarsi di dare una valutazione.
Il più grosso errore degli investitori internazionali è stato quello di credere che Mr Berlusconi sarebbe andato bene per gli affari essendo anche lui un uomo d'affari, ma questo capita raramente. Per stabilire i rischi d'investimento nell'Italia di Mr Berlusconi basta consultare le tabelle di Transparency International, una organizzazione no-profit che elabora un indice internazionale della percezione di corruzione. Nel 2003 l'Italia era al secondo peggior posto tra i 15 paesi europei, superata solo dalla Grecia. Ove il termine corruzione è inteso in senso lato anche come scarso controllo sulle società. Questo indicatore non è assolutamente perfetto ma ci dice che è più facile che un caso Permalat avvenga in Italia piuttosto che in Finlandia.
Gli investitori dovrebbero anche riconsiderare l'assenza di un premio di rischio sulle obbligazioni di stato italiane: il debito italiano ammonta a più del 100% del prodotto lordo, uno dei più alti dell'unione europea, e l'Italia ha uno dei più bassi tassi di nascita legato ad una situazione pensionistica critica. La sola spiegazione del fatto che le obbligazioni italiane stiano sullo stesso piano di quelle olandesi o finlandesi è legata all'ottimistica opinione che in eurolandia non ci saranno voragini sui bilanci.
La lezione da trarre sul caso Parmalat è che gli investitori devono tener conto dell'incertezza italiana riguardo le regole societarie, dei suoi standard di gestione aziendale e della sua propensione alla corruzione. Se il presidente del consiglio è contento di alleggerire le pene per le società che si comportano scorrettamente e che oggi sono alla nostra attenzione, occorrerà usare grande prudenza nell'operare.

28.12.03

PARLA COME MANGI

di Piergiorgio Paterlini (L'Unità)


Grazia Mirti (*) Traduzione
Ariete. Sarà un anno a passo di carica. Plutone e Nettuno porteranno suggerimenti preziosi in tutti i settori della vita. E il 2004 si chiuderà in bellezza. Ariete. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Toro. Un'organizzazione perfetta di vita. Urano Saturno e Giove saranno per voi un trio molto stimolante. Toro. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Gemelli. Venere, pianeta dell'amore, resterà in Gemelli per un tempo record e Nettuno, maestro in creatività, si schiera per tutto l'anno al vostro fianco. Gemelli. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Cancro. Quando scriverete la vostra autobiografia non potrete omettere gli eventi accaduti nel 2004. Da cosa deduco questa bizzarra affermazione? Dalla presenza del pianeta del destino, Saturno, proprio nel vostro segno come accade soltanto una volta ogni 30 anni. Cancro. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Leone. Nel 2004 continua l'appoggio costante e incondizionato di Plutone. Si è conclusa a fine 2003 l'ostilità di Urano, durata per ben 7 anni. Leone. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Vergine. Giove è presente nel segno della Vergine, un evento che si realizza soltanto una volta ogni 12 anni e come tale lascia intuire protezione e buoni presagi. Vergine. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Bilancia. Prosegue la vibrazione positiva di Plutone, portatrice di armonia interiore, e di Nettuno, ispiratore di creatività. Il 2004 non inizia in modo calmo, ma il recupero è immediato, con magnifiche occasioni, verso un 2005 proprio indimenticabile. Bilancia. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Scorpione. Saturno si trova nel segno del Cancro, tradizionale amico dello Scorpione. Da quella posizione è di ottimo supporto per iniziative durevoli. Il periodo più intenso si realizzerà tra novembre e dicembre, quando Marte e Venere danzeranno all'unisono nel vostro segno. Per un finale da film d'autore. Scorpione. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Sagittario. Plutone spinge i nati nel segno a una benefica autoanalisi, dalla quale emerge un nuovo modo di vedere la vita, sorprendente. Nettuno alimenta creatività e fantasia verso nuove soluzioni originali in tutti i campi. Sagittario. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Capricorno. Sempre vincenti. L'appoggio celestiale viene da Giove, in magnifico aspetto di trigono dal segno amico della Vergine. Perfetto aiuto nel pianificare e realizzare i propri obiettivi. Capricorno. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Acquario. Spicca l'assenza di Urano, che per 7 anni aveva percorso in lungo e in largo il segno dell'Acquario. Inutile negare che il suo esito verso i Pesci rappresenta un sicuro sollievo, con prospettive di calma e serenità. In vista di un eccezionale 2005. Acquario. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
Pesci. Da gennaio 2004 Urano sarà ospite stabile nel segno per la bellezza di 7 anni. Si tratta del pianeta dell'imprevisto, ma nessuna paura, non si tratta di sgradevolezze, i cambiamenti possono consistere in nuovi positivi eventi di vita, come la vincita a una lotteria o l'eredità dello zio d'America. In autunno, nuove entrate di denaro inattese, attraverso sponsor graditi e finanziamenti. Pesci. Per i nati sotto questo segno, sarà un anno strepitoso, magnifico, perfetto.
(*) Astrologa; Oroscopo 2004, inserto da staccare su Specchio della Stampa

22.12.03

Comunicato sindacale

I vertici Rai e Mediaset alzano il tiro inventando il ricatto occupazionale dopo il rinvio alle Camere della Legge Gasparri. L’applicazione di leggi e sentenze doveva essere previsto dai responsabili e comunque i posti di lavoro non sono minacciati dal digitale che si produce e si produrrà per opera di uomini e donne in carne ed ossa.

La CUB-Informazione contesta i motivi e le cifre dei paventati disastri occupazionali provocati dalla eventuale applicazione di leggi e sentenze esistenti dal 1997 (legge Meccanico) e seguenti. Le leggi non impongono la chiusura delle attività: il cambio del titolare dell’attività, la nascita e la trasformazione delle attività non comportano necessariamente tagli occupazionali.

Nel caso di Rete4 i lavoratori e le lavoratrici sono dipendenti del gruppo Mediaset (Videotime, RTI, ecc.) quindi “non esistono 1000 dipendenti della rete 4”. Dei 3.000 dipendenti Mediaset circa un centinaio di lavoratori e giornalisti operano prevalentemente per la produzione del TG4. Qualche altra decina lavora prevalentemente per le altre attività diverse dal TG4 della rete 4 nell’ambito del gruppo Mediaset. In ogni caso per quanto riguarda il gruppo Mediaset gli allarmismi aziendali non corrispondono alla realtà: infatti rete 4 acquista gran parte delle trasmissioni all’esterno e per la produzione necessaria oggi per la rete terrestre non impiega oltre 200 lavoratori tra Giornalisti, dipendenti e collaboratori. La crescita, la nascita di altre realtà produttive per effetto di leggi o per effetto di iniziative imprenditoriali apre eventuali spazi nuovi di ricollocazione. Il reimpiego (eventuale) del 7% (settepercento) della forza lavoro è a portata di mano per un gruppo di circa 3.000 dipendenti con il normale turn over e quindi vanno respinte al mittente le dichiarazioni della direzione Mediaset. I continui rinvii e soluzioni transitorie non rendono semplice la vita ai lavoratori.

19.12.03

OH YEAH, IT' S ONLY PUT AND CALL, BUT I LIKE IT!

dal Barbiere della Sera

Tre massimi dirigenti della Mediaset, il presidente, l’amministratore delegato e un consigliere di amministrazione, hanno operato in borsa su titoli della loro azienda

_9010E191 (FIN) Mediaset: Fedele Confalonieri fa trading su opzioni

Radiocor - Milano, 15 dic - Trading su opzioni Mediaset per Fedele Confalonieri lo scorso 12 dicembre, secondo quanto risulta dalle comunicazioni Consob. Il presidente del gruppo ha acquistato 900mila opzioni put con scadenza 12 dicembre 2004 a 8 euro ciascuna, per un totale di 7,2 mln.
Lo stesso giorno Confalonieri ha ceduto 900mila opzioni call con scadenza 12 dicembre 2006 a 13 euro ciascuna, per un totale di 11,7 mln.
Mod-

(RADIOCOR) 15-12-03 19:17:59 (0685) 5 NNNN_

(FIN) Mediaset: dopo Confalonieri trading anche di Adreani e Nieri

Nieri vende titoli per 383mila euro tra ieri e oggi

Radiocor - Milano, 15 dic - Altri due dirigenti Mediaset, dopo Fedele Confalonieri, in questi giorni hanno fatto trading su azioni e strumenti finanziari del gruppo. Secondo quanto emerge dalle comunicazioni Consob sull'insider dealing, Gina Nieri, consigliere del gruppo, tra il 15 e il 16 dicembre ha ceduto 40 mila titoli per un controvalore complessivo di 383.329 euro. L'a.d. Giuliano Adreani il 15 dicembre ha invece fatto trading acquisto-vendita su varie opzioni del gruppo, per un movimento di capitale complessivo di 8,85 mln di euro.
Man-

(RADIOCOR) 16-12-03 19:40:09 (0811) 5 NNNN_

Questi due take di agenzia sono stati battuti da Radiocor, l’agenzia di stampa della Confindustria, nei giorni 15 e 16 dicembre. Ma hanno avuto poca eco sulla stampa con l’eccezione di una breve su Milano Finanza.

Come si capisce con chiarezza tre massimi dirigenti della Mediaset, il presidente, l’amministratore delegato e un consigliere di amministrazione, hanno operato in borsa su titoli della loro azienda.

In particolare Confalonieri, da quel che si legge, ha acquistato opzioni put sul titolo. Questo si fa in genere quando si ritiene che il titolo abbia un futuro di ribassi (le opzioni call si comprano quando si spera nel rialzo). Gina Nieri ha invece venduto le sue azioni portando a casa il cash e Adreani non si capisce bene, dai due take, cosa abbia fatto.

Fotografiamo dunque la situazione. Tre capi di Mediaset, nei giorni in cui la legge Gasparri è stata respinta dal capo dello Stato, se ne discute su tutti i mezzi di comunicazione e nell’arena politica, nei giorni in cui si ipotizza un trasferimento di Rete4 sul satellite e il governo, il cui capo, Berlusconi, è il proprietario della Mediaset medesima, telefonano al loro broker e impartiscono ordini di vendita e di acquisto.

Tutto legale, tutto in ordine, tutto trasparente, beninteso. I trasferimenti di pacchetti azionari sono stati segnalati alla Consob. Ci sono tuttavia alcune domande che meriterebbero risposte convincenti.

La prima: perché hanno venduto e comprato? Perché debbono acquistare casa e hanno bisogno di liquidità? Confalonieri perché pensa che il titolo scenderà e quindi vuole farci due soldini giocando al ribasso? Si tratta di un'operazione pianificata e annunciata da tempo? E in base a quali valutazioni ha maturato questo convincimento? E’ stato consigliato dal suo broker di fiducia?

La seconda domanda riguarda i cittadini italiani. È decente (non lecito, decente) che i vertici dell’azienda di proprietà del presidente del consiglio, che tra l’altro è fortemente interessata ai destini della legge Gasparri e dell’eventuale decreto legge salva Rete4, operino in borsa sui quantitativi non insignificanti di titoli Mediaset?

Se possiamo esprimere un libero giudizio, a noi sembra una cosa indecente, che non sta né in cielo né in terra. Anzi, per usare le parole che Fedele Confalonieri stesso ha avuto per i rilievi del Capo dello Stato nei confronti della Gasparri, ci sembra che simili comportamenti appartengano a malapena alla preistoria del capitalismo.

18.12.03

"IF"

da Luigi Ferdinando

Se un ex presidente del Consiglio, più volte ministro, senatore a vita, sniffa cocaina procuratagli da due ufficiali della Guardia di Finanza.

Se il suddetto senatore, a ottanta e passa anni, dimostra una spirito vitale e trasgressivo che manco un ventenne.

Se l'Inter riesce, in meno di una settimana, a perdere 5-1 con l'Arsenal e a vincere 1-3 con la Juve a Torino

Se uno che vuole sentire delle frasi di sinistra deve ascoltare le parole dell'ex segretario del MSI.

Se il direttore generale della Rai è un elemento fisso della scenografia dello show del Sabato sera.

Se un laureato guadagna 1000 Euro al mese e un calciatore con la terza media 10.000.

Se per (ri)conquistare la celebrità in Italia bisogna andare a crepare di fame su un'isola caraibica; senza Venerdì naturalmente, ma con un esercito di cameraman.

Se viaggiare in macchina è diventato un incubo dominato da inciviltà e maleducazione.

Se per andare a cena al ristorante bisogna accendere un mutuo.

Se basta un violento temporale per creare il caos in una metropoli come Milano.

Se il telefono cellulare è diventato un aggeggio micidiale con cui è possibile fare foto e filmati,navigare in Internet, giocare ai videogiochi, comporre melodie, ascoltare la radio, guardare la televisione, prepararsi il caffè e, quando capita, finanche telefonare.

Se è normale che il figlio della mia vicina quando viene rimproverato risponda: "Mamma, ma vai aff..." .

Se la Sinistra per sperare di vincere le elezioni deve affidarsi nelle mani di uno che parla come un curato di campagna.

Se un film pieno di volgarità,tette e culi esce in 600 sale contemporaneamente,ci resta sei mesi, e guadagna milioni di Euro.

Se i siciliani ogni Estate restano senza acqua e, al posto di una rete idrica funzionante, si beccano un bel ponte sullo stretto.

Se essere un "corruttore semplice" significa essere quasi onesto.

Se al mercato un chilo di zucchine, alla faccia di chi dice che la verdura fa bene, costa quanto un chilo di polvere d'oro.

Se gli scioperi dei mezzi di trasporto pubblici possono essere fatti senza regole, a costo di trasformare una città in un formicaio impazzito.

Se la caduta di un albero in Svizzera è sufficiente a spegnere la luce in Italia.

Se tutto questo è vero, allora, l'universo sta cambiando. Grazie

17.12.03

Corsi e ricorsi dalla Cirami al lodo Maccanico, alla riforma tv

E il Cavaliere torno' a dire: "Io cosa c'entro?"


Il capo del governo respinge le accuse di promuovere norme a proprio favore dicendo sempre che lui non se n'è occupato
di Gian Antonio Stella, Corriere della Sera - 17 dicembre 2003

"La Gasparri? E io che cosa c'entro?". Conversando amabilmente terreo coi giornalisti, l'altra sera, dopo la decisione di Ciampi di rinviare alle Camere la legge sulle tivù, Silvio Berlusconi era sinceramente stupito di tutte quelle domande sulle tivù. Certo, lo sa che perfino il suo compagno di salesiani Fedele Confalonieri ha spesso ammesso che "il conflitto d'interessi esiste" e che "lui non puo' mica risolverlo dicendo "sono affari miei, saro' un autocrate illuminato alla Federico II di Prussia"". Ma proprio non si capacita di come i nemici e addirittura certi amici non capiscano una cosa di tutta evidenza che pure ha spiegato e rispiegato: "La migliore garanzia sono io".

Macchè: non si fidano. Anzi, arrivano a sospettare d'un altro fenomeno eccentrico che si va ripetendo: ad ogni incrocio di interessi economici o giudiziari, come succedeva con certi attori ai crocicchi stradali nei vecchi film del muto, lui è sempre li' per caso. Di passaggio. Per dannatissime coincidenze che, con le malelingue che circolano, finiscono per danneggiargli l'immagine. Gli è successo, ad esempio, con la legge Cirami sul legittimo sospetto quando, per difendersi dagli attacchi degli avversari che insinuavano fosse una indecenza varata con affannata urgenza dal centrodestra per tentare di cavar d'impaccio lui e Cesare Previti imputati a Milano, fu costretto a spiegare che "l'imparzialità dei giudici è un diritto fondamentale che deve essere garantito a tutti i cittadini". Lo difese a spada tratta, quel progetto. Pur non avendo, preciso', "alcun interesse personale".

Una tesi ribadita con fermezza: "Sono decisioni che spettano al Parlamento e io ne sono completamente estraneo. Tant'è che non ho neanche ben capito i motivi di questa urgenza". E confermata dalle parole del suo avvocato, Niccolo' Ghedini: "La Cirami ? una legge che ci è passata sopra la testa...". Come la "Gasparri" che, a testimonianza della loro totale estraneità, vide Silvio Berlusconi e Gianni Letta, al momento del varo, uscire ostentatamente dalla sala del Consiglio dei ministri ("noi andiamo a farci un giro: fate voi") senza manco sapere cosa c'era in ballo, col rischio che l'esecutivo, vedi mai, se ne uscisse con chissà quale strafalcione...

Per non dire del "lodo Schifani" che sospendeva i processi alle più alte cariche dello Stato. Sarà perché stava abbattendosi a Milano una delle sentenze contro Previti co., sarà perché non risultavano sotto processo altri presidenti in circolazione, divampo' un tale incendio intorno all'idea che si trattasse di una legge "ad personam" che il capo del governo, a costo di far la parte del citrullo tenuto all'oscuro delle cose, fu costretto a dettare a verbale il 17 giugno, all'udienza Sme, poco prima dell'approvazione della legge: "Ho guardato nella mia agenda: se non ci saranno fatti estranei al procedimento, che in questo momento si stanno pur discutendo e a cui non ho dato un parere positivo, perché ritengo che non debba esserci ombra su chi rappresenta il governo del Paese all'Italia e all'estero, ma dato che c'è stata insistenza...". E prese appuntamento coi giudici per la settimana dopo. Che ne sapeva, lui, che la Casa delle Libertà aveva deciso di votare l'immunità che lo metteva al riparo contro il suo parere negativo?

Tre giorni dopo il processo, non lo avevano ancora informato: "Sul lodo Maccanico la maggioranza e il governo non hanno ancora preso posizione. Io non l'ho presa". Posizione ribadita in un'intervista a Europe 1 in cui spiegava che lui, di quella legge che gli aveva fatto sfangare i processi, era del tutto ignaro: "E' frutto di una iniziativa parlamentare, sostenuta dal presidente della Repubblica". Il quale, vittima in quei giorni di velenosissime insinuazioni della destra su un suo coinvolgimento nell'affare Telekom Serbia, manifesto' la sua irritazione cosi' chiaramente che Palazzo Chigi si precipito' a precisare: un equivoco.

Cosi' è fatto, il Cavaliere. Ieri, per esempio, è tornato a ribadire: "Le osservazioni dei tecnici del Quirinale non le ho neppure lette e non le leggerò". Certo, lo sa che Emilio Fede è arrivato a dedicare a lui e al suo governo l'87% degli spazi del Tg4 . Ma lui, dell'ipotesi venga rispettata la sentenza che il 31 dicembre spedisce Retequattro sul satellite (ipotesi che renderebbe il 2004 meno fruttuoso del 2003 e di quel 2002 in cui, mentre tutto il mondo era in crisi nera, gli utili della Fininvest erano cresciuti miracolosamente del 70,8%) dice di voler stare alla larga: "Non me ne voglio occupare".

Non aveva forse detto, già otto anni fa, al momento dei referendum sulla tivù commerciale "ormai mi sono staccato dalle televisioni, per me i referendum non hanno importanza"? Macché: non gli credono. Eppure l'ha detto: "In fondo, avere tre reti televisive mi ha danneggiato". Ridetto: "Trovatemi una segretaria o un telefonista che possa dire che a Palazzo Chigi mi sono occupato della Fininvest". E ridetto ancora: "Non oso telefonare al mio gruppo perché un solo operatore telefonico potrebbe dire "Berlusconi sta chiamando"". L'ha giurato: "Io, uomo delle tivù, sono per essenza l'uomo della democrazia". Rigiurato: "Ci sono le mie garanzie personali: non compiro' mai un gesto che avvantaggi gli interessi del mio gruppo". Rigiurato ancora: "La miglior garanzia è quella che puo' venire dall'impegno, dalla passione civile, dal disinteresse personale che io mi accingo a mettere in questo incarico".

Macché: sospettano di tutto. Anche della nomina di Tony Renis a Sanremo. Tutta colpa di qualche indecisione sparata via via nei titoli: "Sono pronto a vendere le mie aziende, ad andare anche oltre il blind trust americano. La mia vita di imprenditore si sta concludendo". "Non vendero' mai le mie televisioni". "Oggi vi annuncio che ho deciso di vendere le mie aziende". "Vendere la Fininvest? Non ci penso nemmeno". "Della Fininvest terro' solo il 30%, una quota di minoranza. S'era pensato anche di vendere tutto ma si sono opposti i miei figli". E tutti li', a fargli le pulci: e il conflitto d'interessi? E il conflitto d'interessi? E il conflitto d'interessi? Un assedio. Eppure, appena eletto, era stato chiaro: "Ho preso un impegno a dare una soluzione entro i primi cento giorni, cosa che faremo sicuramente. Immagino di poterlo fare addirittura prima delle ferie estive". Mica aveva specificato di che anno.

15.12.03

MARONI DEVE 1000 EURO A ROBECCHI

di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Ebbene sì, ho fatto un bambino e non è la prima volta. E dunque mister Maroni, il ministro contro il welfare, mi deve mille euro tondi tondi. Non ho capito se è un finanziamento o un rimborso. Mille euro uguali per tutti, ricchi e poveri, esentasse, praticamente in nero. Una specie di mancia. Dice il sito internet del ministero che è al lavoro un'apposita commissione di studi: se scoprirà che con la mancia nascono più bambini, la estenderà ai primogeniti, cioè mille euro per tutti. In certi casinò del Nevada ti regalano un po' di gettoni da un dollaro, quando arrivi, tanto per dirti: gioca con noi. E poi ti spellano vivo.
Naturalmente tutta questa attenzione governativa per la mia famiglia mi lusinga, e l'attivismo del dottor Maroni è commovente. Nel giro di poche settimane finanzia il figlio con l'una tantum di buona entrata e taglia la pensione a papà e mamma. Vista così, i mille euro sono un piccolo prestito che verrà restituito tra anni con interessi da usura.
Mi rendo conto che di fronte a un nuovo inquilino del pianeta ci sono considerazioni ben più importanti della mancia governativa, ma è anche vero che a fine mese al nido ti chiedono soldi, mica discorsi etici e dunque il signor Maroni ha giocato la facile partita della demagogia in contanti. Mi preoccupano piuttosto le reazioni del neonato. Non vorrei che pensasse di essere sbarcato nell'Eldorado: ehi, se mi sganciano mille euro appena arrivato, chissà che succede dopo. Appunto.
Dunque ora abbiamo qui un cittadino, per quanto piccolo, con mille euro in tasca, e tocca leggergli i suoi diritti. E scoprire che ne ha pochi: ha il diritto di mangiare mele senza pesticidi, sempre se mamma e papà le pagano il doppio di quelle normali. Ha diritto a respirare un'aria decente, ma in una città dove ogni tanto gli si intima di non uscire di casa pena l'avvelenamento. Ha diritto di andare all'asilo privato, o a mettersi in fila senza speranze per quello pubblico. Da qualunque parte ti giri scopri che questo novissimo italiano con mille euro in tasca è una specie di intruso, e non è che gli andrà meglio da adolescente, che di diritti non se ne parla, che anche i suoi minuscoli spazi si restringono e che la politica di incoraggiamento dell'infanzia si limita a infilargli dei soldi in tasca. Il che descrive bene lo spirito dei tempi: l'una tantum sostituisce certi fastidiosi diritti acquisiti. Vada, buon uomo, questo è un anticipo su tutte le privatizzazioni che le spetteranno in futuro. Una liquidazione del suo welfare a cura del ministero del welfare.
Intanto, mentre il piccolo intasca questa mancia della malafede, il Paese urla e strepita, si divide sui grandi temi della vita e del concepimento, c'è pure chi si fa venire le crisi mistiche in diretta tivù roteando gli occhi come Giovanna d'Arco sul rogo, e ci becchiamo pure la filippica della valletta di Giuliano Ferrara. Un subbuglio mediatico che discetta argutamente - scivolando anche nel fanatismo - di diritto alla vita, ma sorvola allegramente su quel che i bambini mangiano, o respirano, di quel che le madri devono fare per gestirli all'interno di una vita normale, sfidando il famoso mercato che vede come il fumo negli occhi il binomio mamma-lavoratrice. Per non dire della scuola, che gli taglia il tempo pieno, devastando equilibri faticosamente costruiti.
Naturalmente il nano appena arrivato, essendo l'unico vero rivoluzionario della compagnia, tutto preso a soddisfare i suoi bisogni primari, non se ne cura. Ma io so che quei mille euro mi scotteranno un po' tra le mani. Per la loro volgare demagogia, prima di tutto. Perché qui non cambieranno di una virgola la situazione, mentre altrove potrebbero salvare delle vite. Perché saranno un'ulteriore squillo di tromba nella fanfara elettorale che ci aspetta. E anche perché coprono inenarrabili carenze, culturali e di servizi e di qualità della vita. Insomma, andremo a incassare con un certo senso di schifo, e decideremo come stanziare la mancia del signor Maroni, tenendo presente che sono solo mille euro, ma che mandano proprio un cattivo odore.

14.12.03

IL 14 DICEMBRE TUTTI A MILANO
di Paolo Flores D'Arcais

«Ora basta!!!». È questo l'impegno con cui domenica prossima, 14 dicembre, i movimenti e i girotondi organizzano una giornata nazionale contro la censura. Perché davvero non se ne può più. Sia chiaro: la censura televisiva è una tradizione, nel dopoguerra democristiano e socialista (si pensi - già alcune vite fa - a Dario Fo e Franca Rame, alla coppia Tognazzi-Vianello e a tantissimi altri casi). Ma col regime di Berlusconi si è andati davvero oltre ogni limite (altrimenti non sarebbe un regime). Non solo viene censurato Enzo Biagi, il cui programma («Il fatto») è stato appena incoronato come il migliore dell'intera storia televisiva italiana, ma si rovescia addirittura il senso delle parole. E toccano le filippiche dei Socci, Ferrara e altri Vespa (con relativi ospiti), che ci spiegano come non di censura si tratti (vedi l'ennesimo caso, con Sabina Guzzanti), ma di doveroso controllo a vantaggio della libertà di tutti. E se qualcuno degli ospiti timidamente obietta (molto timidamente: scelgono con cura anche gli ?oppositori?), ecco la replica di pronta beva: la sua presenza qui è la dimostrazione che la censura non c'è! A questi soloni della censura a go-go basterebbe chiedere di prendere sul serio il giudizio del loro Dio iperliberista: del mercato, insomma. E pretendere che all'ordalia del mercato fossero disponibili a sottomettersi davvero. Ad esempio: per un paio di mesi realizzando ?Porta a porta? diretta da Bruno Vespa e una da Marco Travaglio. Alla fine dei due mesi diventa conduttore ufficiale chi ha totalizzato lo share più alto. Analogamente con Excalibur, alternando Socci con Santoro. E magari anche a ?Otto e mezzo?, su ?la7? (in questo caso mi candido ad alternarmi con Ferrara). Non accetteranno mai. Si riempiono la bocca di mercato, ma conoscono solo il privilegio di non avere competitori, la ?libertà? della censura
(altrui). Ecco perché una giornata nazionale di lotta contro la censura non è più procrastinabile, e il movimento dei girotondi la organizza in decine di città contemporaneamente. L'epicentro sarà comunque a Milano, alle ore 20,30 al Palalido, con Sabina Guzzanti, Michele Santoro, Furio Colombo, Marco Travaglio, Pancho Pardi, Giulietto Chiesa, Nando dalla Chiesa, Massimo Fini (oltre ai collegamenti con Dario Fo e Franca Rame, con Daniele Luttazzi, tanti altri che via via si aggiungeranno. Una nuova, necessaria, ?festa di protesta?. Allegra e riflessiva, preoccupata per la deriva che il paese conosce a causa del peggior malgoverno dai tempi del fascismo ad oggi, intenzionata a chiedere a gran voce al presidente Ciampi di non firmare l'ignobile ukase Gasparri, di ascoltare unicamente la voce della Costituzione e non quella dei
transitori equilibri parlamentari. Una giornata di festa e di lotta che, come sempre nel caso dei girotondi e dei movimenti, dipende unicamente dai cittadini. Dal tuo impegno personale. Dalla mobilitazione che riuscirai a realizzare con le tue e-mail, i tuoi ?messaggini?, le tue catene telefoniche, i tuoi volantini improvvisati, autoprodotti e distribuiti.
Finché c'è lotta c'è speranza. Nella rassegnazione e nella servitù volontaria, invece, la vita diviene più grigia.

PARTITO IN PROVETTA

di Sebastiano Messina (Repubblica)

Questa fecondazione artificiale non riesce proprio, al centro-sinistra. Non parliamo del ddl sugli embrioni - che ha separato le cellule laiche da quelle ortodosse, facendo nascere un aborto di legge - ma del progetto per la nascita di una lista unica, ovvero di un partito in provetta. L'esperimento era già a buon punto, con l'impianto di tre embrioni politici nello stesso simbolo, quando sono cominciati i dubbi, le polemiche, gli scontri. Così oggi ci si pone alcuni interrogativi laceranti. E' giusto, è legittimo, è ammissibile che vangano utilizzati anche partiti - come quello di Di Pietro - estranei alla coppia Ds-Margherita? Può valere per lo Sdi l'eccezione per le liste sterili? In quali casi è ammesso il ricorso alle cellule di partito nate fuori dal matrimonio ulivista, per esempio quelle di Rifondazione?
Come al solito - siamo in Italia - prevale il compromesso. Non sarà permesso a Prodi di creare più di tre liste uniche per volta, ma i partiti che da più di cinque anni non riescono ad avere il quorum potranno adottare i candidati eccedenti e impiantarli nel proprio simbolo. Resta il problema più delicato: cosa fare con i leader creati in laboratorio ma non impiantati in una coalizione vincente. Si fa strada, sia pure in mezzo a un conflitto di coscienze, l'ipotesi di consentirne il congelamento.

PARLA COME MANGI

di Piergiorgio Paterlini (per L'Unità)

Berlusconi e i giornali
Silvio Berlusconi (*) Traduzione di Alberto Arbasino (*)
Gli editori dei quotidiani si illudono di prendere la pubblicità della tivù, che invece non finirebbe mai sui giornali perché destinata a un pubblico di massaie. Le massaie guardano la tivù, giusto? Non leggono mai i giornali perché i giornali sono fatti per le élites, il 70 per cento degli articoli vengono letti soltanto dall'autore. A cosa serve sui giornali la pubblicità dei pannolini, del detersivo, del prodotto di bellezza? La carta stampata fa parte di un momento dello sviluppo della tecnologia, oggi è diventata obsoleta. Chi la difende assomiglia a quei produttori di carrozze che in Inghilterra chiesero al Parlamento di vietare la produzione di automobili. La casalinga di Voghera
Non legge più il Corsera
E perfino l'Unità
Non la legge neanche il papà.

Non han soldi per l'affitto
Ma su google digitan fitto
Gli hanno tolto la pensione
Ma un blog ce l'hanno eccome.

(*) Presidente del Consiglio; risposta a una domanda di Marcello Sorgi, direttore della stampa, alla presentazione del libro di Bruno Vespa "Il cavaliere e il professore"; su tutti i quotidiani dell'11 dicembre (*) apocrifo

8.12.03

Le parole sono importanti

di Alessandro Robecchi

Tra le tante cose che rivorremmo indietro, e subito, e senza fare storie, ci sono le parole. Le parole con il loro senso e significato, le parole com’erano una volta: se vuoi scomode, ma chiare.

La guerra era guerra e la pace era pace, per esempio. Ora si chiama pace una cosa che sanguina e bombarda, a “far la pace” si mandano uomini armati dove altri armati stanno facendo la guerra.
Oggi quello che chiamano pace è il lavoro di fino della guerra, la sua stabilizzazione; per il lavoro grezzo ci sono i bombardamenti indiscriminati.

Rivorremmo indietro le parole, appunto, quelle vere. La democrazia si costruisce e non si esporta. Non si carica sui bombardieri, non si addestra nella Carolina del Sud, non si lancia dai sommergibili sulle case dei civili.
Le parole hanno una loro strabiliante semplicità: quello che torna a casa nel sacco nero lo puoi chiamare patriota e anche eroe, se vuoi, ma è soprattutto un morto, dico, i parenti se ne accorgono.
Gli effetti collaterali sono una bella perifrasi, ma alla fine, vocabolario alla mano, sono morti anche loro.

Chi fa un giornale sa che le parole non sono caramelle – o dovrebbe saperlo. Se la guerra si chiama pace – e se si riesce a farlo impunemente – chi ci eviterà le guerre venture? E chi chiuderà quelle del presente?

Ora nasce PeaceReporter. Dunque – mi dico – gli serviranno le parole. E non vorranno cadere nella trappola che “il discorso è più complesso”, perché il discorso, invece, è molto semplice e ci sono delle parole per dirlo. C’è chi stacca le gambe alla gente e chi le riattacca, chi fa uscire il sangue e chi lo tampona, chi appicca il fuoco e chi tenta di spegnerlo. E’ tanto semplice, per niente complesso.

Sappiamo i nomi e i cognomi di chi ha fatto la guerra, di chi ha partecipato, di chi ci ha detto che serviva per battere il terrorismo, che invece è aumentato. Di chi ha detto che serviva per portare la democrazia là, e invece la democrazia è peggiorata qua. Di chi ha detto di aver vinto quando stava invece perdendo. Di chi non ci fa vedere i morti perché la morte non aiuta il marketing.

Così ora abbiamo la guerra e la nebbia. Una nebbia di parole dietro cui si nasconde la guerra, come un sudario, come un velo: dalla bugia palese al sottile distinguo, chi gioca con le parole protegge la guerra, è suo amico, è complice. Invece le parole sono così semplici, e vere, talmente vere che chi muore non ne ha più, per sempre.

E dunque, se serve un augurio per un nuovo giornale è semplice semplice: ridateci le parole, usate quelle più vere, non chiamate pace la guerra, perché è il modo migliore per non averne più: di pace e di parole, due cose che rivogliamo indietro, subito e senza fare storie.

Satira preventiva

di Michele Serra, L'espresso 5 dicembre 2003

Alemanno giura: olio di ricino Doc

Dopo la svolta di Fini, i postfascisti scoprono la modernità.
Obiettivo: la marcia su Roma con veicoli elettrici

Dopo la clamorosa presa di posizione di Fini, che ha perdonato ufficialmente gli ebrei, a nome dell'Italia, per la loro renitenza alle leggi razziali, la galassia post-fascista s'interroga. Il dibattito si coagula attorno alle questioni decisive della modernità. Ecco le principali posizioni.
Donna Assunta Almirante Chiamata 'donna' per facilitare la distinzione dal cantante punk Ozzy Osbourne, al quale assomiglia moltissimo, è ancora molto amata per la sua energia e molto temuta per le violente borsettate che assesta a chi la contraddice. Punto di riferimento dei tradizionalisti, considera sbagliatissimo togliere la Fiamma dal simbolo e servire il dessert insieme ai formaggi. La sua presa di posizione più recente è la richiesta di riunire d'urgenza il Gran Consiglio per studiare le contromosse allo Sbarco in Normandia.
Uomo Mirko Tremaglia Chiamato 'uomo' per distinguerlo da donna Assunta Almirante, alla quale assomiglia moltissimo, l'anziano combattente di Salò è ammirato anche dagli avversari politici per la coerenza indefettibile: la sua scorta è ancora formata da un plotone d'esecuzione del 1944, anche se Tremaglia non ricorda bene se doveva dare l'ordine di fucilazione o doveva essere fucilato. Personalità antica, il senatore è però capace di notevoli salti in avanti: il suo europeismo è tra i più radicali, prevede l'annessione all'Impero di tutti gli Stati membri e l'invasione militare della Svizzera.
Teodoro Buontempo Molto sostenuto dalla base, meno dall'altezza, è l'indiscusso leader della destra sociale e popolare. Disprezza le mollezze borghesi della sinistra intellettuale, e pratica le schiette e rudi tradizioni delle borgate, dal festoso urlo di richiamo nella tromba delle scale all'amplesso in canottiera traforata. Qualcuno dice che è solo una posa, e che Buontempo parli sette lingue, vesta nelle migliori sartorie di Londra e stia preparando un melologo teatrale sulla vita di Debussy. Se è una posa, è comunque molto ben riuscita: in un recente incontro a Frascati, le comparse di un film di Sergio Citti hanno abbandonato la trattoria disgustati dal suo comportamento a tavola.
Gianni Alemanno Ministro dell'Agricoltura molto apprezzato anche dalla sinistra che ama il biologico: sua la proposta di legge europea per il riconoscimento dell'olio di ricino Doc imbottigliato all'origine, senza conservanti e con un somministratore graduato, forse un tenente degli arditi forse un maresciallo dei carabinieri. Come Buontempo, Alemanno è di quella destra così sociale che sembra quasi di sinistra: ecologista convinto, ha allo studio un remake della Marcia su Roma con autoveicoli elettrici.
Marcello Veneziani Ossimoro vivente: intellettuale di destra. Perseguitato a sinistra perché di destra, e a destra perché intellettuale, teorizza, come risposta alla globalizzazione, il ritorno alle radici occidentali: ginseng no, rabarbaro se ne può discutere, radicchio e dente di leone sì. Il suo rivale interno è il toscano Franco Cardini, cattolico medievista, suggestionato dall'Oriente e dall'Islam, studioso di Averroé e maestro di danza del ventre, grande teorico del sincretismo spirituale: sua la ricetta della ribollita di cus-cus.
Alessandra Mussolini Impegnata nelle battaglie femministe, ai tempi del nonno sarebbe stata mandata a Ventotene a organizzare corsi di economia domestica per confinate. Quando le hanno spiegato che An non sta per Azione Nipoti ha deciso di fondare un partito transnazionale con Gudrun Hitler, Dolores Pinochet e Francisca Franco. Ma intrattiene rapporti cordiali anche con la sinistra: è amica personale di Quo Tze-Dong (uno dei tre nipotini di Mao) e della cambogiana Paula Pot.
Altero Matteoli È della corrente di Altero Matteoli.

CETI MEDI

di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

C'è un gran dibattito sulle regole. Bisogna regolare, che diamine! E' tutto un frenetico riscrivere regole. Nuove regole: un embrione ha più diritti di un diciottenne, e non possono nemmeno togliergli punti dalla patente. La mamma dell'embrione, invece, ha un po' meno diritti e infatti presto andrà in Francia per restare incinta. Se fai il secondo bambino ti danno mille euro. Se volevi abortire, ci ripensi e dai in adozione il neonato, te ne danno millecinquecento. Fare della contabilità nelle mutande delle ragazze italiane sembra una passione costante dei cattolici. Servivano nuove regole, eccole.
Attenzione, gente, perché ognuno avrà le regole che si merita. Ai tranvieri milanesi, per esempio, sono già state promesse severe ritorsioni, forse potranno scioperare soltanto guidando il tram. Nello stesso momento, serve una regola urgente per quei poveri contribuenti che si sono dimenticati di pagare le tasse nel 2002, cioè praticamente ieri. E' il condono cotto e magnato, quattro salti in padella e sei pulito, immacolato e candido come un bambino da mille euro.
Particolarmente esilaranti, le regole concepite per una sola parte della popolazione, tipo i ceti medi, per esempio. Chi diavolo è di ceto medio? E' una questione economica, una categoria dello spirito? Il professore di liceo con famiglia sarà ceto medio? E il tranviere milanese? Comunque, a questo ceto medio rapinato, impoverito, saccheggiato dall'inflazione percepita, che magari si è comprato pure un po' di bond Cirio, qualcosa bisogna dare. E si pensa a una nuova regola per gli affitti. Avrà delle agevolazioni fiscali chi costruisce case per poi affittarle al ceto medio. Speriamo che le costruiscano in fretta, perché molto ceto medio si sta velocemente trasferendo nella categoria ceto basso, presto sarà semplicemente ceto povero e non potrà procurarsi una casa per ceti medi costruita da qualcuno del ceto alto con le agevolazioni del governo. Sfiga nera. E comunque colpisce che si facciano delle leggi, inserendole nella finanziaria, sulla base del censo, dell'appartenenza a un ceto. Speciali detector all'ingresso delle palazzine segnaleranno il transito di ceti sotto la media, ma vedrete che qualche ceto alto si terrà per sé l'attico con terrazza. Quanto ai ceti bassi, costruiranno quelle case agevolate per i ceti medi: muratori albanesi pronti ad ogni istante a cadere provocatoriamente dalle impalcature, irresponsabili.
Poi ci sono le regole larghe e comode, di cui la Gasparri è un eccellente esempio: c'è un'azienda che si allarga, e allora bisogna allargare la legge. Il bambino è cresciuto, la Mammì gli va stretta, già che ci siamo prendiamo una legge di due misure più larga, così l'azienda può crescere ancora. Una volta capito che si possono adattare le regole alla realtà e non viceversa, basta pensare in grande. Per esempio - come ha detto Silvio al New York Times - perché limitarsi a fare le regole al proprio paese? Dobbiamo esportare la democrazia e quindi vogliamo fare regole dove ci pare. A Cuba, in Congo, in Bolivia, in Iraq, non c'è posto dove Silvio e George non possano arrivare con un po' di soldati, qualche nuova basilare regola per i ceti medi e qualche sostanziosa agevolazione per i ceti alti. Servono urgentemente enormi regole planetarie. E sono urgenti, però, anche piccole regole locali di convivenza civile, per esempio norme un po' più restrittive sullo sciopero. Il tranviere milanese, incolpato in settimana di ogni disgrazia, tragedia, epidemia e terremoto, si alza certamente ogni mattina con quel pensiero fisso: bisogna fare nuove regole, costruire case da dare in affitto ai ceti medi e portare la democrazia da qualche parte. Sennò dove si va a finire? E poi via, felice, realizzato, a guidare il tram per 800 euro al mese.

3.12.03

BUSH - Missione tacchino

STEFANO BENNI (Il Manifesto)

Mi chiamo Bush e sono un duro. Dicono che faccio il duro perché sotto sotto sono un codardo paranoico, ma stavolta li ho fregati.

Come tutti sapete, ho vinto e stravinto la guerra in Iraq; ma qualcuno insisteva a dire che la guerra non era finita, che morivano ancora decine di soldati americani e alleati, e che non ci avevano affatto accolto come dei liberatori.

Propaganda comunista, disfattismo pacifista e provocazione pellerossa, ho pensato.

Allora il giorno del Ringraziamento ho preso l'Air Force One, il mio aereo personale e sono andato a controllare la situazione. All'aeroporto di Baghdad avevo già avvertito i miei generali: non fatemi vedere bare di soldati che portano sfortuna. Sulla pista infatti c'erano cento bambini iracheni che mi salutavano sventolando bandierine a stelle e strisce.

Ne ho avvicinato uno e gli ho chiesto:

- Come ti chiami, piccolo mussulmano filoamericano?

- Veramente mi chiamo Jerry e sono un nano di Chicago - ha balbettato quello.

L'ho fatto sbattere a Guantanamo, insieme a tutta la troupe di comparse.

Poi mi sono fatto portare alla base Usa sull'auto blindata Ground Force One. Tutto era tranquillo come a un party, i soldati mi hanno accolto con un applauso scrosciante e ammirato. Ero elegantissimo: avevo il giubbotto mimetico da generale, la t-shirt dei marines e gli anfibi nuovi che mi ha regalato Berlusconi, ancora freschi di saliva.

C'era ad attendermi il generale Sanchez.

Gli ho stritolato la mano e ho chiesto: allora tutto bene questo mese?

- Veramente ci sono stati più di duecento caduti - ha risposto Sanchez.

- Cazzo, date meno cera ai pavimenti - ho detto io.

Il generale Sanchez ha dato l'ordine di ridere. Vedete, un presidente deve saper dire battute e sdrammatizzare. E poi a me le perdite non piacciono, io sono un vincente.

Sono entrato nella sala mensa col mio passo fiero e emorroidale, a gambe larghe, tra John Wayne e un pitbull.

E in mezzo alla sala c'era Bin.

Un tacchino iracheno di trenta chili, enorme, spaventoso.

Nessuno aveva ancora trovato il coraggio di affrontarlo e fare le porzioni.

- Stia attento - dice Sanchez - lo abbiamo tenuto in forno per sei ore, ma con questi iracheni non si sa mai.

Ma io sono il presidente e non ho paura di niente. Mi sono avvicinato a Bin e ho estratto Blade Turkey One, il coltellaccio presidenziale.

Nei miei occhi sono passati i momenti storici della storia americana e della mia vita: Little Big Horn, Pearl Harbour, Jack Daniels, il Vietnam, le mie evasioni fiscali, le truffe elettorali...

Ho lanciato un urlo di guerra terribile e ....

Ho fatto a pezzi Bin. Cosce di qua, ali di là, e il ripieno di castagne e napalm che riempiva tutto il tavolo.

Tutti applaudivano e tiravano petardi in segno di giubilo.

Poi mi hanno detto che non sparavano petardi, ma stavano ammazzando gli spagnoli.

- Che cazzo ci fanno gli spagnoli qui? - ho chiesto.

- Sono nostri alleati - mi ha detto il generale Sanchez.

- Ah già, ora ricordo - ho detto io - beh insegnate loro la frase con cui la nostra terza guerra mondiale passerà alla storia: al posto di

«Stanno ammazzandoi i nostri soldati e non sappiamo più cosa fare»

bisogna dire

«Non ci lasceremo intimidire».

Mentre parlavo con Sanchez, hanno portato dentro sei o sette feriti pieni di sangue.

- Proprio adesso che stiamo mangiando? - ho protestato io.

A quel punto bisognava tirar su il morale dei soldati. Beh, non ci crederete ma in meno di mezz'ora io e lo Stato maggiore abbiamo mangiato tutto il tacchino Bin, comprese le patate bollenti. Due generali sono rimasti ustionati alla lingua.

Non dite che non abbiamo coraggio da vendere.

Poi abbiamo ruttato e pisciato in gruppo, come si usa nel Texas, e mi hanno detto che dovevo parlare alle truppe. Democraticamente sono sceso tra i marines. C'era un soldato nero, un po' grasso, con la faccia da Annan. Gli ho chiesto:

- Cosa pensi soldato, di questa guerra?

- Penso che il mio paese sia guidato da uno degli uomini più stupidi, arroganti e paranoici della storia dell'umanità - ha detto il nero.

Ho stabilito che da oggi durante le parate militari dovrà essere seguito il metodo della Tivù italiana cattaneonunziatista: i soldati potranno parlare ai superiori solo con una cassetta registrata e approvata dagli alti comandi.

Era ora di tornare a casa.

Ho bevuto trentatrè Amarines, l'amaro del marines, e sono risalito barcollando sull'Air Force One. Salve di fucilate festanti accoglievano la mia partenza.

Beh la mattina dopo è stata dura, la fatica del viaggio, il tacchino sullo stomaco, e poi altri attentati ovunque, e abbiamo richiamato tremila riservisti e ho scippato altri tremila miliardi all'assistenza sociale per destinarli a spese di guerra, e mentre i marines crepavano sapete dove ero io? In un bunker tremante?

No, ero in giocare a golf col mio babbo.

Capito che sangue freddo?

Vedete, il terrorismo è l'unico problema del mondo che io e Blair e Berlusconi fingiamo di sapere affrontare, per nascondere che non sappiamo affrontare tutti gli altri problemi.

Perciò ho confidato a Bush senior che spero di poter mangiare altri tacchini in Iraq, in Siria, in Yemen e in tanti altri posti.

Mi hanno detto che gli scienziati, riuniti a congresso, hanno stabilito che seil collasso ambientale continua, la terra ha cinquanta anni di vita.

Dilettanti: io potrei far fuori tutto il pianeta con venti testate nucleari in meno di due ore. Lo dichiara la Cia in un divertente recente rapporto. Putin non è più in grado di farlo e Osama avrebbe bisogno di anni.

Ero lì immerso in questi allegri pensieri alla buca quindici, quando mi ha telefonato Berlusconi.

Mi ha detto che in Italia avevano scoperto delle cellule dormienti.

Non ho capito se si riferiva a nuclei terroristi o al cervello di Bondi.

In tutti i casi, approfitteranno dell'allarme attentati per far passare la legge Gasparri.

Dio benedica l'America e Forza Italia, e ci conservi Saddam.

Ero lì all'ultima buca e brandivo Last Strike One, la mazza presidenziale, quando ho avuto un attacco di lucidità. E' stato terribile, l'ultimo l'avevo avuto nel 1984. Ho visto la pallina da golf e mi è sembrata la terra, un piccolo pianetino coi mari e i continenti sperduto nel grande prato del cosmo. E ho pensato che dopo secoli di civiltà, religione, democrazia, tecnologia e intelligence la terra è sempre quella piccola cosa lì, un pianetino affamato, intossicato, insanguinato, nelle mani di poche bande, sempre più potenti e sempre meno responsabili.

E' stato il pensiero di un attimo.

Ma non mi sono lasciato intimidire.

Con un colpo secco, l'ho infilata in buca.

2.12.03

Che cos'è la censura

di Peter Freeman e Alessandro Robecchi

"La mafia non esiste" lo dicono i mafiosi. Ora, siccome siete una platea intelligente vi facciamo una domanda: chi è che dice che la censura non esiste?

La gente si immagina un censore come una persona severa che ti cancella qualche riga da quello che hai scritto. E' esattamente così, o almeno, nella sua forma classica la censura è esattamente questo. E' un meccanismo molto semplice: la gente ascolta quello che dici e non si chiede mai: ehi, avrebbe potuto dire qualcos'altro? Qualcosa di più?

La censura sostituisce un silenzio a un suono, uno spazio vuoto a una parola scritta. Dopo che è passato il censore, la parola censurata non c'è più, al massimo la conoscono due persone: il censurato e il censore. Il censore dirà che la censura non esiste, e il censurato rimarrà lì come un pinguino nel deserto. E a voi, invece, è stato rubato qualcosa, e nella maggior parte dei casi neppure lo sapete. Visto il trucchetto? Sembra che ci sia stato un furto - una parola - e invece ce ne sono stati due: la parola e la stessa notizia del furto. Ogni censore dovrebbe prendere due stipendi!

Si può provare una certa nostalgia per questo tipo di censura: c'è un buono che dice una cosa e un cattivo che non gliela fa dire. E' una cosa schifosa, ma almeno è chiara e limpida. Come la guerra: era una cosa schifosa pure prima, ma il fatto che ora la chiamano "pace" o "esportazione della democrazia" la rende ancora più ripugnante.

Il fatto è che il giorno dopo il censurato torna dal censore. E questa volta si crede astuto, e scrivendo, e parlando, e cantando la sua canzone si dice: ora ti frego io. E si sforza di pensare come il censore, e la parola la cambia lui, prima che quello glielo dica. Bene! Se tutti i censurati penseranno come il censore, i censori non serviranno più. Visto? La censura non esiste.

Ma vedete, non è così semplice, perché il censore comincerà a pensare come il censurato che si sforza di pensare come lui. E, si dirà, se sono riuscito a fargli cambiare una parola, perché non due? E' la pura verità, gente: la censura si autoalimenta, più parole cancella e più ne vorrebbe cancellare. E così finisce che il censurato avrà paura delle sue stesse parole. Si chiederà ad ogni riga: passerà questo? E questo sarà accettato? E questo, tutto sommato, perché non lo ammorbidisco un po'?

Naturalmente, questo censore accigliato che vi cancella le righe è una figura un po' démodé. Oggi, dopo un secolo di psicanalisi e dieci anni di Berlusconi, il censore si mostra amico del censurato. Come si fa con i bambini, cerca di farlo riflettere, gli suggerisce parole alternative. Come un veggente, gli spiega chi potrebbe arrabbiarsi per quella parola, e nel giro di un secondo l'ipotesi diventa certezza, e il secondo dopo la parola non c'è più. Perché, insomma, bisogna pensare alle conseguenze. Ehi, siamo realisti, perché dovrei tirarmi addosso tutti questi casini solo per non cambiare una parolina?

Quando il censurato si convince e comincia a pensare alle conseguenze, la sua maturazione è giunta a buon fine. Ecco, ora è il censurato perfetto, quello che non dice ciò che pensa perché quello che pensa potrebbe non piacere a tutti, e quindi smette di dirlo, e dopo un po' anche di pensarlo e dopo un po' nessuno si prenderà la briga di censurarlo perché ha capito tutto e finalmente è un autore maturo, affidabile, pronto per dire ciò che piace a tutti, cioè tante parole piene di vuoto che, anche esteticamente, sono meglio di una riga nera.

Ecco: missione compiuta: in questo paese siamo passati da "la mafia non esiste" a "bisogna convivere con la mafia". Con la censura è successo lo stesso, ma nessuno ve lo dirà in tivù. Il che prova, gente, che è successo davvero.

1.12.03

DISCORSO DI PERICLE

da Luca Serpieri

Leggete un po' questo estratto (come era un estratto quello di Paolo Rossi) e ditemi se il vostro Pericle vi piace ancora.
Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: per questo è detto democrazia.
Per quanto riguarda gli onori, ognuno viene prescelto secondo la fama di cui gode.
Libera si svolge la vita politica, e quanto a quel sospettoso inquisire nelle quotidiane abitudini dei concittadini, non ci si irrita con il vicino, se anche in qualche cosa si comporta a piacer suo, né lo si rattrista con dispettoso cipiglio, pur senza colpirlo direttamente.
Abbiamo procurato allo spirito numerosissimi svaghi alle fatiche, con la consuetudine di gare sportive durante tutto l'anno, e con eleganti case private. Noi viviamo con abbandono la vita, eppure sappiamo affrontare una lotta a pari condizioni [contro coloro che si addestrano con faticoso allenamento] Noi, quando assaltiamo i territori altrui, siamo soliti vincere sul campo, senza difficoltà, gente che difende i propri beni. La ricchezza è per noi stimolo all'attività e quanto alle ristrettezze della povertà, è umiliante presso di noi non il confessarle, ma piuttosto il non saperle superare lavorando. Raccogliamo nelle nostre persone le cure familiari e politiche, e, pur rivolti ognuno a una diversa attività privata, riveliamo tutt'altro che scarse capacità nelle pubbliche mansioni. Cerchiamo le amicizie non ricevendo, ma offrendo benefici. E chi ha beneficiato è più sicuro amico, in modo da conservare la dovuta gratitudine del beneficio con manifestazioni d'affetto. Alla nostra gloria basterà l'avere costretto terra e mare a dischiudersi per intero al nostro ardire, e l'aver lasciato tracce incacellabili di disastri insieme e di trionfi.

PERICLE, ROSSI E LA FRASE IN PIU'

da Eugenio Ercolani

Questo è il testo del volantino distribuito da Paolo Rossi in Teatro. La frase in più (Alessandro Ceratti, 29.11,) non c'è. Non ricordo se Rossi l'ha pronunciata.
Ad Atene noi facciamo così.

Di Pericle.

Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: per questo è detto democrazia.

Le leggi assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo i meriti dell'eccellenza.

Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, non come un atto di privilegio, ma come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento. La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l'uno dell'altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se preferisce vivere a suo modo.

Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevano offesa.

E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte la cui sanzione risiede solo nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso.

La nostra città è aperta al mondo; noi non cacciamo mai uno straniero. Noi siamo liberi di vivere proprio come ci piace, e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.

Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private.

Un uomo che non si interessa dello Stato non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benché soltanto pochi siano in grado di dar vita a una politica, noi siamo tutti in grado di giudicarla.

Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla strada dell'azione politica.

Crediamo che la felicità sia il frutto della libertà e la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell'Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versatilità, la prontezza a fronteggiare le situazioni e la fiducia in se stesso.

Pericle, citato da Tucidide in "La guerra del Peloponneso 11, 3 7-41.

UN'ADUNANZA OCEANICA DI CAZZATE

di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Lo spettacolo è di quelli epici e di certo sarebbe piaciuto al duce: una tale adunanza oceanica di cazzate non si vedeva da tempo. Ma soprattutto diverte lo psicodramma collettivo: almirantiani, repubblichini, missini generici, eterni balilla e Buttafuochi vari che faranno ora, andranno alle riunioni dei Fascisti Anonimi per disintossicarsi? Riusciranno a smettere? Anche i plausi e gli unanimi consensi riservati a Gianfranco Fini e alla sua "svolta" lasciano un po' perplessi. Già, se uno deve arrivare a cinquant'anni per accorgersi del "fascismo male assoluto" non significa che è un genio, semmai che è un po' tardo, dov'è stato Fini nell'ultimo mezzo secolo, su Saturno? Ma la politica, si sa, è materia bizzarra, e Fini dev'essersi detto: se sono riuscito a mettere le mani su qualche ministero gravato del peso insostenibile del volitivo mascellone, chissà dove posso arrivare sgravato e leggero come una piuma. Magari a regalare a Silvio la legge Gasparri. Auguri.
Fin qui la cronaca. Quel che segue è invece uno spettacolo pirotecnico, gustosissimo e divertente, in cui ognuno tira di qui e di là la bara del cavalier (ops!) Mussolini, con tanto di fiamma perenne e contorno di anticaglie kitch. Che in tempi di derattizzazione sbatta la porta la nipotina del topone più grosso è comprensibile. Che donna Assunta si inalberi è comprensibile pure quello, perché in realtà è in corso una dealmirantizzazione finora mai compiuta. Che i colonnelli fascisti dell'"antifascista" Fini pronuncino un fascistissimo "obbedisco", covandosi un'ulcera come lo stizzito La Russa, è quasi ovvio. Ma lo spettacolo resta imperdibile, a partire dalla neo-fascistizzazione dei padani, che prendono a suonare il piffero per portare i nostalgici del duce al loro mulino: dieci anni fa volevano "andare a cercarli casa per casa" (Bossi dixit), oggi hanno una gran voglia di labari: un vero rastrellamento in vista delle elezioni europee. Quanto alle leggi razziali, c'è n'è una recentissima che porta proprio il nome del post-fascista Fini e del suo avversario Bossi e regola (dicono) l'immigrazione.
Ma ora è il momento dei "mal di pancia", dell'immenso "come eravamo" in orbace, delle parole in libertà. C'è il signor Storace che coltiva la speranza di una corrente sempre più vasta, che raccolga gli arditi derubati della loro storia. Ci sono i commentatori "liberali" di casa Berlusconi che, ansiosi fino a ieri di dimostrare che il fascismo non era poi così male, si trovano un po' spiazzati. Ci sono i revisionisti storici, che hanno passato anni a sputare su Resistenza e Liberazione e adesso si trovano un po' in mutande davanti alla svolta di Fini. Quanto ai Rauti, ai naziskin, ai ragazzotti un po' ritardati di Forza Nuova, festeggiano "romanamente", convinti come sono che "tanti nemici, tanto onore": speriamo che nel brindare non confondano spumante e olio di ricino, abbiamo pur sempre un cuore.
Spettacolo esilarante, ricco di colpi di scena, nonsense e testacoda. Il Pansa che difende "i ragazzi di Salò" finisce osannato sulla Padania. L'ardito Buttafuoco accusa Fini di essere difensore di chi diceva "uccidere i fascisti non è reato" e di dare copertura morale ai "rossi". I balilla di Azione Giovani si dissociano, si strabiliano e chiedono a Fini di "non rinnegare la nostra storia". I venditori di souvenir, da Predappio, lanciano un accorato allarme sull'andamento degli affari. Donna Assunta Almirante freme per riprendersi la fiamma, Alessandra Mussolini se la porta "idealmente" con sé, nella borsetta. Giordano Bruno Guerri dice che il fascismo fu "un grande movimento culturale" e quindi non va buttato con l'acqua sporca delle leggi razziali. Fisichella, solitamente grigio e moderato, evoca un Fini "inseguito col forcone" e gli predice (ulteriori) tracolli elettorali. Non resta che sedersi sulla riva del fiume e godersi questo gustoso match tra fascisti in servizio effettivo permanente, ex-fascisti, post-fascisti, para-fascisti e tardo-fascisti ringalluzziti dal maschio e virile confronto. Fa ridere, in effetti.
Fa un po' meno ridere, invece, il fatto che questa pochade del ripudio del fascismo giunga proprio in un momento storico in cui il fascismo monta e si organizza. In cui un attore non può recitare in tivù un brano di Pericle scritto più di 2000 anni fa, in cui la libertà di informazione sta per essere regalata al capo del governo, in cui gli spazi di libertà - sociale, economica, politica - si riducono inesorabilmente. Bene, archiviato da Fini il vecchio fascismo in orbace, ridicolo e demodé, sarebbe interessante archiviare al più presto anche quello nuovo, scintillante, catodico che è - oggi, non sessant'anni fa - in via di costruzione.