29.12.05

Stile Milano
DI ALESSANDRO ROBECCHI


Dopo centoquaranta giorni in un anno sopra le soglie massime dell'inquinamento, Milano stabilisce un record assoluto: è l'unico posto al mondo dove, per legge, non si potrebbe respirare per un giorno ogni tre. La scarsa ossigenazione al cervello ha indotto il sindaco a inviare a ogni cittadino (a spese di ogni cittadino) un opuscolo che parla di «Milano città verde». I danni cerebrali insomma, paiono incalcolabili. Dunque sarà stato il nervosismo indotto dalle polveri sottili (non posso immaginare altra patologia) a far scattare uno sgombero il 27 dicembre, quando la retorica del santo natale già si avvia alla raccolta differenziata. L'urgenza di cacciare gli occupanti da uno stabile che era vuoto da anni, dimenticato e diroccato, in una zona dove un metroquadro costa diecimila euro è sembrata così improrogabile e necessaria da passare alle vie di fatto ancora con il panettone in mano. Milano, città efficiente.

La destra plaude per l'ordine ristabilito, la sinistra chissà dov'è, in coma post-prandiale, o ha staccato il telefono. C'è Dario Fo, e del prefetto Ferrante nemmeno un'eco lontana, pare proprio di essere a Milano. A dire il vero i ds hanno preso posizione nei giorni scorsi: per sgridare Dario Fo. In effetti, ora che me lo riguardo, nell'elegante e costoso opuscolo del sindaco, che peraltro ho pagato io, una casa per cento rifugiati politici eritrei, etiopi, sudanesi non c'è. Ci sono i grattacieli fatti col computer, i parchi, gli asili nido, i servizi al cittadino, tutto disegnato a matita. E' una cosa bellissima, si può dire che il sindaco di Milano è il più grande disegnatore a pastelli di parchi che esiste. Ma una casa per cento rifugiati politici non c'è. Ho guardato bene, tutte le pagine. Niente. Forse come milanesi non possiamo permettercela, per forza! spenderemo tutto in grattacieli!

I cento di via Lecco, poi, sono tristemente noti alle cronache per un motivo davvero inconfessabile, che chi governa Milano non può digerire né tollerare. Cioè non sono clandestini, hanno un regolare permesso di soggiorno, il nostro paese ha magnanimamente riconosciuto che a casa loro sarebbero in galera, o peggio, e dunque gli ha aperto le porte. Suprema disdetta: non si possono affondare in mare (e nemmeno nella darsena del Naviglio, perché ci stanno facendo un parcheggio), e non si possono deportare come si fa con gli altri, non si può chiuderli in via Corelli, né rastrellarli per le strade. E persino il motto dei leghisti-compassionevoli (aiutiamoli a casa loro) in questo caso non funziona, a meno di non andare a convincere il boia. Insomma, i cento di via Lecco sono stranieri in regola, quindi non si può sfruttarli troppo, né ricattarli, e con questo non aiutano nemmeno il fiorente mercato paraschiavistico che fiorisce in città. Sono anche tosti, abbastanza giovani, politicamente avvertiti. Quindi, pericolosi, gente che può entrare con la gomma a cancellare i disegnini sull'opuscolo del sindaco.

Ed ecco dunque lo sgombero.

Era così urgente? Certo che no, e anzi la mossa è piuttosto cretina: sgomberare cento persone che hanno diritto di stare qui senza un'alternativa, un posto, una sistemazione che risolva il problema è manifestamente una cazzata. Ma sindaco, vicesindaco, assessori, consiglieri e giù giù (ma proprio giù) fino a Tiziana Maiolo non sembrano curarsene. Forse via Lecco, a ridosso del vecchio Lazzaretto della peste manzoniana, e proprio dietro l'impero dei commercianti orfani di Billé (corso Buenos Ayres) è considerata troppo centrale per un'occupazione. Però va detto: nell'opuscolo su quanto è bella, saggia, verde e ben governata Milano (praticamente un dépliant di fantascienza), un posto per quei cento di via Lecco non c'è, nemmeno in periferia (e anzi, non ci sono nemmeno, le periferie). Non si capisce se la propaganda del peggior sindaco che Milano abbia mai avuto sia la città che ci promettono, o se la città di oggi deve urgentemente assomigliare alla propaganda, nel qual caso i cento di via Lecco sono di troppo. Le umanissime aperture del governo cittadino ci sono state, per la verità: qualche container, che non è il massimo né per l'umido né per la dignità. E poi basta, spiacenti, Milano di più non può offrire. La sua specializzazione è ormai essere pura fiction, puro plasticoso prodottino Mediaset: finti i parchi, finte le foto di una giovanissima e ritoccatissima Moratti che riempiono la città, finto, e per sempre, il sogno ipermoderno (e finta pure l'opposizione). Di vero rimane che un giorno su tre non si può respirare. E cento esuli politici sgomberati, a cui gli illuminati amministratori consigliano di «andare a dormire a casa di Dario Fo». Stile Milano

(alessandro robecchi)

27.12.05

SCANTONAMENTI
di Marco Travaglio

da l’Unità del 20 dicembre 2005

Toccava vedere anche questa: un presidente del Consiglio con dodici rinvii a giudizio, sei prescrizioni e due processi in corso all'attivo, circondato di pregiudicati, ottiene le dimissioni del governatore di Bankitalia che non voleva sloggiare per ben due avvisi di garanzia. Dimissioni invocate a gran voce, "per la credibilità dell'Italia", da quanti non hanno mai chiesto le dimissioni del presidente del Consiglio né dei pregiudicati al seguito, Naturalmente l'anomalia non sono l dimissioni: ma il fatto che le dia solo Fazio e non Berlusconi. II quale, per la cronaca, non è sospettato di abuso d'ufficio e insider trading, ma ha sicuramente pagato un giudice tramite un suo avvocato (reo confesso di frode fiscale), già ministro, da 12 anni parlamentare. C'entra qualcosa, tutto ciò, con la "credibilità dell'Italia"? Chissà.
A sentire i tg di regime, pare quasi che Gianpiero Fiorani avesse due soli amici: Fazio e Consorte. Invece ne aveva ben di più. La variopinta compagnia di giro che qualche mese fa, all'ombra dello sgovernatore e dei protettori azzurri, bianchi, rossi e verdi, decise di spartirsi Antonveneta, Bnl e Rizzoli-Corriere della sera (tanto per gradire: poi sarebbe toccato verosimilmente alle Generali e alla solita Telecom), aveva molto a che fare con il Cavalier Bellachioma e i suoi cari. Prendiamo uno dei capi della banda, anzi della banca: Gianpiero Fiorani, l'uomo che è riuscito ad associare due figure. in genere distinte, quella del banchiere e quella del rapinatore, in una sola persona, la sua. Bene, Fiorani è colui che acquista gentilmente la Banca Rasini , dove il padre del Cavaliere, ragionier Luigi Berlusconi, era entrato sportellista e uscito direttore generale, e dove secondo Sindona la mafia riciclava i soldi sporchi. Poi ingloba nella Popolare di Lodi anche l'Efibanca, la merchant dell'Eni infestata di piduisti di cui Previti era ovviamente consulente e che fornì crediti illimitati a Bellachioma per la sua scalata alle tv. Insomma, fino all'altroieri il banchiere-rapinatore è rimasto seduto sulle due banche che nascondono molti segreti dell'oscuro passato del Biscione, e sui rispettivi archivi. Nel '99 la Guardia di Finanza dì Palermo andò alla Lodi in cerca delle carte sui misteriosi finanziamenti alle holding Fininvest, ma si sentì rispondere che l'archivio Rasini non c'era più. I finanzieri tornarono poco dopo, ripetendo la domanda con più energia. Allora ai dirigenti fioraniani venne improvvisamente in mente che forse l'archivio. c'era: fu riesumato dalla pensione un vecchio archivista che accompagnò i militari in una soffitta di via Mercanti. Purtroppo alcuni microfilm erano andati bruciati (autocombustione?), mentre le holding Fininvest - si faticava a trovarle perché erano state registrate (quando si dice la sbadataggine) alla voce "negozi di estetista e parrucchiere per signora". Quanto all’Efibanca, dopo averla incorporata, Fioroni si mette in società con l'Hdc di Enrico Crespi, il sondaggista dì Forza Italia. Un impegnuccio da 15 miliardi di lire. Poi all'improvviso gli chiede di rientrare dai fidi: Hdc fallisce e Crespi finisce in galera per bancarotta.
Insomma, il presidente del Consiglio è proprio l'uomo adatto per risolvere il caso. Infatti, per il dopo-Fazio, mentre i giornali fanno i nomi di Monti, Quadrio Curzio, Padoa Schioppa, Draghi e altri pericolosi incensurati, lui ha in mente l'uomo giusto al posto giusto: il senatore forzista Giampiero Cantoni. Ex socialista, Cantoni era presidente di Bnl nel febbraio '94 quando dovette "autosospendersi" in tutta fretta per una spiacevole disavventura. Mentre un'ispezione di Bankitalia si occupava di finanziamenti Bnl al gruppo meccanico Mandelli che aveva rilevato un'azienda legata alla sua famiglia, la Procuradi Milano lo indagava e poi lo faceva arrestare per corruzione. L'accusa era quella di aver corrotto l'architetto Anchise Marcori, capogruppo del Psi al comune di Segrate, con una mazzetta di 400 milioni di lire in cambio della concessione edilizia per un complesso residenziale nei terreni della sua famiglia. Cantoni confessò di aver pagato, ma sostenne di essere stato costretto. Cioè concusso. Ma non fu creduto, nemmeno da se stesso, visto che all'udienza preliminare si presentò con 800 milioni sull'unghia a titolo di risarcimento e patteggiò circa 2 anni di reclusione. Per corruzione. Ecco perchè Bellachioma ha subito pensato a lui per rimpiazzare Fazio. Scegliere un incensurato, col pericolo che poi venga indagato, è troppo rischioso. Molto meglio un pregiudicato, che è già allenato.
NESSUNO TOCCHI BELLACHIOMA
di Marco Travaglio

da l'Unità del 23 dicembre 2005


E un'infame calunnia che Bellachioma abbia problemi con le domande. Ha problemi con le risposte. Non è abituato. Almeno fino all'altra sera, quando a Porta a Porta s'è verificato un evento inspiegabile, mai visto nella storia decennale del programma: un ospite collegato s'è messo improvvisamente a fare domande. Così, a tradimento, senza neppure dare il tempo all'insetto, molto provato dal lungo pellegrinaggio di tv in tv con libro incorporato, di simulare un guasto tecnico e interrompere il collegamento. L'importuno naturalmente non era un giornalista (i giornalisti, almeno quelli invitati a Porta a Porta, ignorano quello strano genere letterario denominato «domanda»). Era un noto industriale delle scarpe, difficilmente ascrivibile alla Terza Internazionale. A Bellachioma dava del tu, come si fa tra colleghi, e lo chiamava «Silvio» mentre lo invitava, con l'amorevole premura che di solito si usa con il fratello tonto, a «lasciar perdere i soliti bigliettini con i soliti disegnini».
Feltri, vecchio marpione dell'arte rabdomantica, fiutava l'aria e ci dava dentro inzigando su quel noto ectoplasma che è il poliziotto di quartiere. Ma all'apparire di quel meteorite impazzito chiamato «domanda», lo sconcerto in studio era palpabile. L'insetto, d'istinto, si gettava a corpo morto a protezione dell'ospite, che fra l'altro è anche il suo editore, assicurando che lui di poliziotti di quartiere ne ha visti parecchi (pare che ne tenga un paio anche nel giardino di casa, insieme ai nanetti di gesso). Ma veniva abbandonato financo da Polito e Sorgi, che di solito completano l'arredamento (quando hanno da fare, vengono sostituiti con sagome di cartone, tanto la differenza non si nota). Le domande di Mister Tod's li hanno come ridestati da un lungo letargo, tant'è che i due parlavano proprio come le persone normali e azzardavano financo qualche domanda, pur scontando una scarsa dimestichezza con i punti interrogativi. L'insetto, a quel punto, abbandonava la scomoda posizione del giubbotto antiproiettile e ammetteva financo che, sulla crisi economica, «le cifre sono cifre». Lo sgomento Bellachioma, sguardo smarrito e denti stretti, l'occhio destro ostruito da un improvviso distacco della palpebra, sintomo allarmante di un cedimento strutturale del lifting, non credeva ai propri orecchi. Voci di corridoio assicurano che alla fine, spente le luci e le telecamere, abbia duramente rampognato l'insetto, molto cambiato dai tempi del Contratto con gl'Italiani, quando gli fece trovare come unico interlocutore in studio una scrivania di ciliegio. Se anche lui consente le domande, crea un pericoloso precedente. Dove andremo a finire? Qui c'è il rischio che la prossima volta sparisca dalle sedie anche il cuscinone imbottito, e lui si ritrovi rasoterra.
Intanto, visto come reagisce alle domande, la gente ha preso a fermarlo per strada ponendogliene una a caso. L'altro giorno l'han fatto due ragazzine, così, tanto per fargli saltare i nervi. Lui ha risposto «ignoranti!» e se n'è andato borbottando.
Pure i cameraman portaportesi, annusata l'aria che tira, indugiavano impietosi sulle zeppe sagomate sotto le lucide scarpe presidenziali, lasciando per un attimo intravedere il mitico tacco a spillo con rialzo a molla e rinforzino interno: forse in omaggio a Della Valle, Bellachioma aveva infatti deciso di sfoggiare anche da seduto quel prodigio della tecnologia ortopedica, noto in tutto il mondo per i trionfi riscossi nelle foto di gruppo dei G8. Di questo passo, nella prossima puntata, avremo una veduta aerea del crine trapiantato: quei radi filamenti numerati, allineati e disposti a raggiera come bacchette dello shangai che ogni mattina, previa asfaltatura, James Bondi ha il compito di contare a uno a uno per saggiarne la resistenza alle intemperie, dando sepoltura agli eventuali caduti. «C'è chi delocalizza le imprese, io ho delocalizzato i capelli», ha provato a scherzare il premier. Ma si vedeva che non era soddisfatto. Con tutto quel che ha speso dal tricologo, non si piace. Tant'è che, nei manifesti 6 per 3, compare con la fronte tagliata. Insomma, sono momenti difficili. L'altra sera, mentre Feltri, Sorgi e Polito lo torchiavano e Vespa lasciava fare, ci è venuto in mente Saddam mentre gli americani lo fanno seviziare dalla guardia repubblicana. E per la prima volta, che Dio ci perdoni, abbiamo provato sincera compassione per lui. Non si fa così.

ZAPRUDER

Care amiche e cari amici,
dal 2003 esiste una rivista di storia che si chiama
«Zapruder» (Abraham Zapruder e' il nome del
cineamatore che riprese l'assassinio di John Kennedy e
mise in discussione la versione ufficiale). E' una
rivista un po' particolare.
Non e' proprieta' di una importante casa editrice ne'
di una universita'.
E' "costruita" collettivamente da decine di persone
sparse in tutta Italia, unite dall’idea che sia
necessario difendersi dagli attacchi di un
revisionismo sempre piu' becero, che ogni giorno,
sulle pagine dei giornali o nei volumi di famosi vip
del circo mediatico, riscrive a suo modo la storia del
nostro paese, e non solo. E' una rivista che vuole
studiare e reinterpretare criticamente la storia dei
movimenti e del conflitto sociale, dei loro
protagonisti collettivi e individuali, con spirito
laico, confrontandosi con i tanti luoghi comuni e
cercando di comprenderne miti e mitologie. Zapruder e'
di "proprieta'" dell'associazione SIM (Storie in
movimento) nata da un appello messo in rete nel 2002
(sette mesi dopo Genova...) e al quale hanno risposto
centinaia di uomini e donne in tutta Italia. Lo stile
e' quello del confronto, del lavoro collettivo, della
ricerca non sottomessa a nessun potentato. Gli
argomenti di ogni numero vengono scelti
collettivamente in un’assemblea annuale
dell'associazione. In questa occasione viene anche
eletta la redazione e il Comitato di coordinamento.
L'Associazione organizza anche una sorta di
"Universita' estiva" (il SIMposio) a luglio, dove per
quattro giorni, giovani e anziani, studiosi famosi e
persone curiose, si trovano assieme per riflettere su
temi di storia, in modo non gerarchico o accademico.
L'associazione organizza infine incontri in molte
realta' territoriali ed e' organizzata per "gruppi
locali".
Questa esperienza ha necessità di essere sostenuta. La
rivista, e l'Associazione, vivono solo degli
abbonamenti e delle vendite della rivista stessa,
oltre che del lavoro volontario di molte persone.
Anche a Natale puoi sostenere questa scommessa e
divenirne parte (la partecipazione alla associazione e
alla costruzione della rivista e' aperta a tutti).

TI INVITO A REGALARE UN ABBONAMENTO A ZAPRUDER, A UNA
AMICA O A UN AMICO, A UN FAMIGLIARE, A UNA BIBLIOTECA,
A UNA ASSOCIAZIONE, A UNA SCUOLA, A UN ISTITUTO DI
RICERCA, A UNA SEZIONE DI PARTITO, A UN ARCHIVIO, A
CHI TI VIENE IN MENTE.
LA RIVISTA E' QUADRIMESTRALE E OGNI NUMERO, OLTRE A
VARIE RUBRICHE, CONTIENE UNA SEZIONE TEMATICA CHE OGNI
VOLTA AFFRONTA UN TEMA DIVERSO. PUOI ANCHE REGALARE
TUTTI I NUMERI GIA' USCITI (OTTO) COSI' DA METTERE A
DISPOSIZIONE LA RACCOLTA COMPLETA.

E' una rivista "seria", ma anche bella, interessante,
molto curiosa, dove certamente non troverai la storia
come viene raccontata sui maggiori quotidiani, ma la
narrazione di tante vicende che rischiano di essere
dimenticate. Ogni numero ha una copertina con un
colore diverso. Insomma, fa anche la sua bella figura
nella libreria di casa e si presenta bene in un pacco
regalo!

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8 numeri (dal n. 1 al n. 8) di "zapruder": 40 euro;
abbonamento 2006 a "zapruder" (n. 9, 10 e 11): 25
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8 numeri di zapruder + abbonamento 2006: 60 euro;
ogni singolo numero arretrato di "zapruder": 8 euro.

I PAGAMENTI POSSONO ESSERE FATTI CON VERSAMENTI SU IL
C/C DI BANCOPOSTA N. 36662534, ABI 07601, CAB 03000,
INTESTATO A ENNIO BILANCINI.

Questi sono gli argomenti trattati nei primi otto
numeri di Zapruder:
N.1 Piazza e conflittualità'
n.2 La guerra nella storia
n.3 Il lavoro
n.4 Storie di sport
n.5 La storia di genere
n.6 La storia della scienza
n.7 I servizi segreti e la storia
n.8 Il colonialismo (anche italiano...)

18.12.05

Condeúba, Natale 2005
Lettera agli amici di don Giuliano


Così Uomo come Egli fu,
soltanto un Dio poteva esserlo!

Buon Natale!
Vorrei iniziare questa mia lettera natalizia con una provocazione che ci aiuti ad entrare nel mistero del Natale come donne e uomini desiderosi di coglierne la profonditá esistenziale, culturale e teologica.
Non potrebbe essere il NATALE di Gesú una crisi nella vita affettiva di Dio?
Un Dio tormentato dalla sua solitudine e dal suo desiderio di relazione, di incontro, di vita affettiva e comunitaria...
Il Natale é celebrare e ricordare la nascita di questo Dio discreto, affamato e assetato di relazioni, un Dio umile e silenzioso che entra nella storia senza grandi applausi, quasi in punta di piedi.
Un Dio che non si impone, ma che si propone e bussa alla nostra porta.
Un Dio che non dispone della nostra libertá, ma che apre e offre alla nostra libertá sentieri e orizzonti sconfinati e affascinanti.
E la Chiesa é chiamata a incarnare nella precarietá e provvisorietá del presente, l´ulterioritá e l´eternitá di questo Dio che vuole nascere a Betlemme e che vuole avere bisogno dell´amicizia e degli affetti umani.
Una Chiesa, consapevole di non essere oggetto della Promessa, ma mediazione della Promessa, della quale vive e per la quale dovrebbe essere continuo e forte riferimento all´interno di un mondo mutevole e relativo.
Una Chiesa con il compito di farsi mediazione della storia della Salvezza, trasfigurando quello che é sfigurato, dando pienezza di senso e di valore a tutte le forma di vita, specialmente a quelle forme di vita umane minacciate dall´oppressione e dall´esclusione.
Una Chiesa che non vive per servire e per salvare, non serve a nulla...
Il mondo ha bisogno di una Chiesa che sia viva nel dialogo e nel servizio.
Un servizio efficace, legato alle necessitá reali, che provochi impatto nella realtá, senza per questo cessare di essere una Chiesa discreta.
La precarietá dell´istituzione é il volto vivo della discrezione di Dio nel tempo dello Spirito, nel tempo della pazienza di Dio.
Il modo di agire della Chiesa non puó essere differente dal modo divino di manifestarsi nel mondo in Gesú Cristo e il modo di manifestarsi di Dio é racchiuso nell´esperienza di Betlemme.
Mettersi in evidenza é allontanarsi dalla discrezione di Dio e arrogarsi il potere di divinizzare la precarietá della propria organizzazione.
É soltanto mediante la sua discrezione che Dio si presenta come Dio!
La Chiesa non puó battere strade diverse da quelle di Dio, perché é soltanto nella sua discreta presenza, nella sua consapevole precarietá e nella sua sofferta e feconda flessibilitá che puó proporsi come testimone e annunciatrice credibile di quel Gesú che la supera e la precede.
Quel Gesú che ogni anno ci si fa incontro con il miracolo di ogni Natale: riconoscerlo e accoglierlo nelle situazioni piú povere e discrete della storia umana e con il messaggio del Bambino di Betlemme: l´esigenza e l´urgenza di un cristianesimo che sia a servizio degli uomini e del loro camminare nella storia.
Che la luce del Natale possa illuminare la nostra vita, le nostre speranze, i nostri sogni e le nostre lotte...
Nonché le nostre comunitá e le nostre famiglie.
Dio non é pensabile senza Gesú Cristo... Senza il Natale, senza la concretezza di un Bambino.
Senza gli amici di Pezzoli, senza le persone “care” incontrate in questi anni di cammino e di speranza, senza gli amici sparsi per l´Italia, donne e uomini di buona volontá con i quali abbiamo condiviso sogni e ideali, idee e progetti, nella quotidiana costruzione di una societá e di una Chiesa a misura d´uomo e a misura di Dio...
LIBERI E FEDELI, senza proibire a Dio di essere Dio e senza proibire a Dio di essere uomo...
Nella libertá e nella fedeltá é racchiuso il vero senso della nostra vita, il tesoro prezioso per il quale vale la pena vendere tutto e comprarlo!
E qui siamo al centro del mistero cristiano: un Dio libero e fedele, che invia il Figlio nel mondo per renderci liberi e fedeli, capaci di cogliere e di leggere nell´effimero il Permanente, nel temporale l´Eterno, nel mondo Dio...
La teologia, che non é la conoscenza di Dio, ma un discorso umano su Dio, fu per secoli argomentativa e razionale... Forse é giunto il tempo di parlare di Dio in forma simbolica e poetica... Esperimentare una teologia narrativa, perché la vita é misteriosa e anche Dio é misterioso.
La veritá non sta nei concetti, ma nella vita realmente vissuta, nella celebrazione misteriosa e concreta della GRAZIA che abita il nostro mondo.
L´uomo non é soltanto manipolatore del suo mondo.
É anche qualcuno capace di leggere il messaggio che il mondo porta in sé e con sé.
Questo messaggio sta scritto in tutte le cose che formano il nostro mondo e la nostra storia.
Un uomo nato a Betlemme, cresciuto a Nazaret, viandante lungo le strade della Palestina, abitó questa terra e annunció che questo mondo ha un significato eterno...
La sua INCARNAZIONE non é un puro caso della storia!
È un evento preparato, la cui gestazione avvenne dentro la creazione, dentro la storia e nel mondo.
Sant´Agostino diceva che la storia era gravida di Gesú Cristo... E la gestazione divenne nascita...
A partire da Gesú, potremmo rileggere tutto il passato: come la stessa creazione giá fosse orientata verso di Lui... Come Adamo é immagine e somiglianza di Cristo...
Egli stava nascostamente presente in Abramo, in Mosé, in Isaia... Egli parlava attraverso la bocca di Budda, di Confucio, di Socrate e di Platone...
Il significato di tutti questi personaggi si svela pienamente alla luce di Cristo: tutto quello che essi pensarono, Gesú lo realizzó.
Essi sono una presenza annunciata e prefigurata di Cristo e Cristo é la presenza realizzata e concreta di Dio nel mondo... La concretezza di un UOMO che venne nel mondo e nella storia per annunciare che la vita é destinata per la VITA e non per la morte.
Che la felicitá che ci si puó e ci si deve aspettare da Dio, appartiene a quelli che piangono, sono perseguitati, calunniati e torturati.
Che questo mondo procede, nonostante tutto, verso una meta felice, garantita da Dio.
Dalla Galilea inizió a proclamare una grande gioia e una lieta notizia per tutto il popolo...
Era il Figlio di Dio, fattosi uomo come noi, Gesú Cristo, nostro Liberatore!
Nella sua vita fece soltanto del bene. Guarí. Perdonó i peccati. Generó speranza nei cuori delle persone. Risuscitó i morti. Amó tutti, senza nessuna esclusione!
Nonostante tutto questo, fu motivo di scandalo e di contrasto.
Come diceva il saggio e santo Simeone: questo fanciullo sará motivo di scandalo, di inciampo, di perdizione e di salvezza per molti in Israele.
E cosí avvenne...
Alcuni lo considerarono un beone e un mangione, frequentatore di ambienti sospetti e discussi, sovversivo, eretico, pazzo, indemoniato, bestemmiatore...
Altri, da parte loro, lo ritennero un maestro, un giusto, un santo, il liberatore, l´inviato di Dio, il Salvatore, lo stesso Dio presente su questa terra.
Come si diceva nella Chiesa dei primi tempi: per alcuni Egli era pietra di inciampo che, tolta dalla strada, é gettata lontano; per altri, era la pietra angolare, sopra la quale si costruisce un edificio solido e duraturo...
Nella vita e nella pratica di Gesú, si nota un elemento simbolico che – come la parola simbolico suggerisce – riunisce, mette insieme, accompagna e indirizza verso Dio.
Coloro che avevano un cuore retto e cercavano con sinceritá la salvezza e aspettavano il Liberatore definitivo dalla condizione umana decadente, compresero e accolsero Gesú...
Scoprirono chi in veritá Egli era e lo testimoniarono: Tu sei il Messia, il Figlio di Dio vivo.
Nonostante la sua apparenza di poco valore. Nonostante l´umile origine. Nonostante la sua debolezza umana.
Con tutte le persone che lo accolsero, Egli esultó, dicendo: “Fortunati e felici coloro che non si scandalizzano di me”.
Coloro che erano aggrappati alle proprie veritá e tradizioni, coloro che erano legati agli interessi sociali, politici e religiosi stabiliti, coloro che erano ben installati e ben impiantati e soddisfatti della propria vita, coloro che non attendevano nulla perché avevano tutto (o pensavano di avere tutto!), coloro che aspettavano soltanto un Messia che venisse a confermare i propri privilegi, tradizioni, dogmi e convinzioni, tutte queste persone videro in Gesú un elemento “diabolico”.
Come la parola “diabolico” suggerisce, pensavano che Gesú separava, divideva, metteva in pericolo la Religione e lo Stato.
E avevano ragione...
Gesú rimetteva tutto in discussione... Pretendeva conversione... Non legittimava la situazione politica, sociale e religiosa esistente...
Richiedeva un nuovo modo di rapportarsi degli uomini tra di loro e di tutti con Dio.
Tali “sovversive” esigenze furono percepite dai detentori del potere religioso, politico, economico e ideologico.
Accettare Gesú implicava cambiare comportamento, sovvertire il proprio modo di pensare e di agire... Era un grande rischio.
Nel passato, come oggi, é piú facile isolare e liquidare il riformatore che intraprendere una riforma.
Per questo motivo, Cristo fu diffamato, perseguitato, imprigionato, torturato e crocifisso.
Egli é stato e continua ad essere la presenza misteriosa e visibile di Dio nel mondo.
Presenza di LUCE...
La luce evidenzia le parti occulte della casa... Fá vedere le parti piú nascoste...
O un uomo accoglie la luce e si trasforma in un figlio della luce o sará tentato di disconoscerla e di negarla... Sará tentato di spegnerla!
La luce lo danneggia, gli fa male agli occhi e al cuore. E come ogni segnale, la luce puó essere compresa o incompresa, accolta o rifiutata.
Appartiene all´essenza del segnale essere “simbolo”, per chi lo intende o essere “diavolo” per chi non lo intende!
É il rischio che ogni segnale porta con sé e in sé.
Gesú Cristo, il piú grande, l´ultimo e definitivo segnale di Dio, non sfuggí a questo rischio.
Un popolo che camminava nelle tenebre, vide una grande luce...
Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo, ma il mondo non lo riconobbe e preferí le tenebre alla luce.
Ma io credo, spero e amo che non sará sempre cosí...
Ancora una volta, in questo Natale, siamo invitati a credere, sperare e ad amare insieme, uniti anche se lontani, a tenere piú che mai gli occhi aperti e il cuore vigile, perché il Natale che sta arrivando puó essere o non essere (dipende da ciascuno di noi e non importa il luogo dove viviamo!) un ulteriore e amoroso appello di Dio a scoprire e a riconoscere nella LUCE di Betlemme quel piccolo grande segnale di cui abbiamo bisogno per continuare a camminare e a sognare...
Ancora Buon Natale!
Con affetto

don Giuliano

8.12.05

Hanno la faccia come il Pera
di Marco Travaglio
da l’Unità del 6 dicembre 2005 (pag.8)


Bellachioma è ottimi?sta. Nei manifesti 6 per 3 si affaccia con la testa taglia?ta per mascherare la cattiva riuscita del trapianto pilife?ro e, minacciando gli italiani («Andiamo avanti!»), sorri?de entusiasta. Che avrà da ri?dere? Una possibile spiegazione arriva da due recenti scoperte scientifiche, desti?nate a rivoluzionare la pros?sima campagna elettorale. La prima è il trapianto inte?grale di faccia, già sperimen?tato con successo in Fran?cia. Uno spende miliardi per rifarsi le guance, botularsi la fronte, svuotarsi le borse, spuntarsi le orecchie, levi?garsi la pappagorgia, moquettarsi la capa, poi arriva un chirurgo e rende tutto inu?tile: basta prendere la faccia di un altro e tutto è risolto. Intervento utilissimo, per un premier che la faccia l'ha persa da tempo a suon di bal?le, gaffes, autosmentite e contratti fasulli. Basta trova?re il donatore disposto al sa?crificio e coi nuovi connotati si posson firmare altri con?tratti, fare ulteriori gaffes, raccontare nuove balle, smentirle con altre.

L'altra scoperta la rivela Re?pubblica: «Inventato il pane che rimane fresco. Ricerca?tori del Cnr scoprono un bat?terio per nuovi metodi di conservazione che impedi?scono l'ammuffimento». Si attende di poter estendere il nuovo batterio dal pane agli uomini. Così il Cavalier Ri?fatto, che presenta tracce inequivocabili di muffa, so?prattutto sulla fronte, potreb?be darsi una rinfrescata col nuovo trattamento conserva?tivo in vista di una terza gio?vinezza, la seconda essendo scaduta nonostante il meto?do Scapagnini. Se poi il bat?terio antimuffa valesse per il materiale cartaceo, il nuovo Contratto con gl'Italiani sa?rebbe bell'e fatto. Anzi, i nuo?vi contratti: perché stavolta -anticipa il Giornale- saran?no addirittura tre «con una declinazione ad hoc per don?ne, giovani e anziani, puntati con forza sulle famiglie». E lui di famiglie se ne intende, avendone due. Di qui l'utilità di un trapianto facciale: in?dossando la pelle di un tra?passato, eviterebbe di arros?sire.

A proposito di Ruini, e so?prattutto di trapianti facciali, il discorso scivola inevitabilmente su un'altra carica del?lo Stato che ne ha tanto biso?gno: Marcello Pera, che si di?vide fra Popper e Gavio, lo Spirito Santo e l'azienda del gas di Lucca, l'alta teologia e il basso asfalto. Ora, con quella faccia da Pera, denun?cia un'oscura «campagna di denigrazione» ai suoi danni. E le sue manovre per far ven?dere la Gesam Gasall'Enel? «Volevo capire cosa stava accadendo», spiega il filoso?fo gasista, senza peraltro spe?cificare che diavolo c'entri il presidente del Senato con un’azienda municipalizzata. E le mene per piazzare un ami?co medico alla presidenza di un autostrada? «Mi fu chie?sto un parere e feci quel no?me: l'ho sostenuto, non impo?sto», sibila il filosofo cemen?tifero, senza peraltro specifi?care che diavolo c'entri il presidente del Senato con le autostrade. Perché mai le forze occulte cospirano ai suoi danni? «Do fastidio alla sinistra per la mia consonan?za col Vaticano e le mie posi?zioni su Usa, Israele e Islam».

Finalmente tutto è chiaro: uno s'impiccia di affari di bottega e raccomanda a de?stra e manca come un Pomi?cino o un Gaspari qualsiasi, ma se qualcuno lo critica è un ateo senzadio al servizio di Satana, di Al Qaeda e dell'Olp. A scanso di equivoci, sul caso Pera prendiamo a prestito le parole di un noto filosofo dei primi anni 90: «Preghiamo ogni mattina per salvare la democrazia in?quinata dalla degenerazione dei partiti e quelli ti dicono che se disinquini i partiti si perde la democrazia» (2-12-92). «In democrazia, farsi da parte non significa suicidarsi e impedirsi altri ruoli. Significa semplicemen?te pagare il conto per ciò che si è fatto... facendo ogni ge?nere di traffici e profittando dell'impunità» (16-4-92). «I partiti pensano e dimostrano che enti, banche, appalti, professioni siano "cosa no?stra ". Questi partiti devono retrocedere e alzare le mani, subito e senza le furbizie che accompagnano i rantoli del?la loro agonia» (1-2-93). «Si deve spersonalizzare il pote?re, ora carismatico e nepotistico e clientelare; e allonta?nare un ceto dirigente scredi?tato» (5-5-92). «Possibile che non si avverta che (pro?muovere persone per la tes?sera di partito, ndr) ormai ri?pugna a tutti gli italiani? Ma siete ammattiti, o siete così arroganti, strafottenti, pre?potenti che cercate ancora dì imporre ciò che fa venire la nausea a tutti? Una volta, nelle università, vigeva il principio "uno a me, uno a te, e uno bravo ". Oggi, per le nomine negli enti pubblici, siamo ancora alla prima par?te.

Il "bravo" è un accessorio: se c'è bene, se non c'è me?glio. I signori dei partiti prendano atto che il tentati?vo di mettere in vita il vec?chio sistema ha lo stesso effetto che dar la cipria a un cadavere: uccide anche il truccatore» (8-2-93). Quel filosofo si chiamava Marcello Pera.
Scemenze ad personam
di Marco Travaglio
da l’Unità del 4 dicembre 2005 (pag. 4)


Impegnatissimi a deplorare il «giustizialismo», la «persecuzione», la «demonizzazione», «la giustizia politicizzata», la «sentenza scritta con inchiostro rosso» e soprattutto la cattiveria dei giudici che «negano a C.P. le attenuanti e la prescrizione», Bellachioma e i suoi cari dimenticano di dire la cosa più importante: che C.P. è innocente e i 434 mila dollari passati il 6 marzo '91 dal conto estero di Bellachioma a quello di C.P. a quello di Squillante sono un'illusione ottica. Ma forse questo è troppo anche per loro.

Il commento più formidabile è quello di James Bondi: «E' una sentenza ad personam». Buon Dio, e come dovrebbe essere una sentenza se non ad personam, visto che per la nostra Costituzione «la responsabilità penale è personale»? Sono le leggi che, essendo «generali e astratte», non possono (in teoria) essere ad personam. Le sentenze invece lo devono essere. Se uno ruba, è lui che viene condannato. Non suo fratello, o uno zio, o un amico, o uno che passa di lì. Figurarsi le risate se un rapinatore condannato per aver svaligiato una banca urlasse alla Corte: «Vergogna, è una sentenza ad personam!». Ma i berluscones hanno questo di bello: fanno e dicono cose che uno normale si vergognerebbe di pensare. Chissà come gradirebbe le sentenze il Pallore Gonfiato, visto che «ad personam» non gli garbano. Le preferisce collettive? Matrimoniali? Bifamigliari? Magari con sconti comitiva?

Non bastasse Bondi, ecco Biondi (nel senso di Alfredo). A un'ora pericolosamente tarda del pomeriggio - come direbbe Borrelli - l'avvocato-deputato -. rileva che «le attenuanti vengono negate a un incensurato e concesse a delinquenti per i più efferati delitti». Infatti a Berlusconi le han concesse sei volte. Il semprelucido Biondi aggiunge che « la Corte d'appello fa le sentenze con la fotocopiatrice, uguali al primo grado». Come se il compito delle Corti fosse quello di bocciare i tribunali sempre, anche quando hanno ragione: così, per sport. Nelle stesse ore il ministro dell'Interno dello stesso partito di Biondi, cioè Beppe Pisanu, tuonava in Parlamento contro i giudici che, «con le loro difformità di valutazione sulla stessa vicenda, seminano sconcerto nella popolazione». Naturalmente parlava dei tanti islamici, ora assolti (quando manca la prova), ora condannati (quando c'è la prova). Non certo del caso di C.P., dove la difformità di valutazione sulla stessa vicenda era auspicata in appello e vieppiù lo sarà in Cassazione. Morale della favola: i giudici devono essere difformi per assolvere un condannato amico di Pisanu e per condannare un marocchino assolto; ma conformi per confermare la condanna di un marocchino o l'assoluzione di un amico di Pisanu. Non male il commento di Giancarlo Lehner sul Giornale della ditta: «Nella magistratura domina il corporativismo di casta». Una strana forma di corporativismo, visto che i giudici hanno condannato i giudici Squillante e Metta. Chissà quanto avrebbero preso i pover'uomini se i colleghi non fossero stati corporativi. Strepitoso l'avvocato Sandro Sammarco: «I giudici hanno fatto una corsa contro il tempo». In effetti una condanna a 10 anni e più dall'inizio del processo nasconde una fretta quanto mai sospetta.

Mentre amici e compari sparavano raffiche di scemenze ad personam sulla sentenza ad personam, C.P. saliva a Palazzo Chigi per lamentare la misera fine dell'ultima legge ad personam e avviava le consultazioni con il presidente del Consiglio, cioè con l'uomo che gli fornì i 434 mila dollari da girare al comune amico Squillante. C.P., fra l'altro, è stato condannato a risarcire 1 milione di euro alla Presidenza del Consiglio. Ma pare che il premier abbia evitato di chiedergli i soldi (il versamento, fra l'altro, non potrà avvenire estero su estero) e l'abbia rincuorato promettendogli la ricandidatura per un nobile scopo: salvarlo dalla galera. Secondo il Corriere, C.P. avrà «un posto in lista adeguato al suo rango»: in FI c'è una graduatoria apposita, anche se non è chiaro quale sia il posto riservato a un bi-condannato in appello. Valgono più i suoi 12 anni per corruzione o i 14 totalizzati da M.D.U. per mafia, estorsione e frode fiscale? Una bella gara. Intanto si attende la Cassazione che - ricorda l'avv. Perroni - «per fortuna è a Roma». Peraltro la Cassazione ha già respinto sei ricusazioni chieste da C.P. contro i suoi giudici e due istanze di rimessione dei processi a Brescia. Ma anche Taormina ne fa una questione geografica: «Finché i processi si terranno a Milano, non potranno che finire così». Lui comunque riesce a perderli benissimo anche a Cogne.

7.12.05

SIAMO ALLA FRUTTA. RITRATTO DI MARCELLO PERA
dal Foglio

Si è svolta ieri a Roma, presso la sede nazionale dei Radicali italiani in via di Torre Argentina, la presentazione del libro di Michele De Lucia (Kaos edizioni) sul pensiero del presidente del Senato. Erano presenti, oltre allautore, il giornalista Gad Lerner, il vaticanista Giancarlo Zizola, il direttore di Radio Radicale Massimo Bordin e il direttore del Foglio Giuliano Ferrara. Giuliano Ferrara ha rilasciato alla stampa la seguente dichiarazione: Anathema sit. Come posso attaccare le idee di Marcello Pera, visto che sono integralmente riprese dal Foglio e dalle sue annate, salvo qualche accentuazione sgradevole, qualche sparata a salve contro il meticciato? Come posso negargli il diritto di cambiare radicalmente idea, ciò che il libro di Michele De Lucia dimostra al di là di ogni ragionevole dubbio, visto che difendo il diritto di ciascuno a cambiare idea, e anzi critico tutti i ragazzi e le ragazze del secolo scorso che in varie forme dicono a se stessi di non aver cambiato idea, e si cullano nellindulgente e consolatorio e pigro restar fedeli agli ideali di gioventù? Io penso che gli uomini liberi possano cambiare la loro identità, a certe condizioni e con un certo stile, figuriamoci le loro idee. (A proposito, visto che gli altri miei biografi hanno fallito lo scopo, prego Michele De Lucia di mettersi al lavoro anche lui, e posso anche finanziarlo se fosse in difficoltà, sul mio cambiamento di identità e di idee da quando, oltre ventanni fa, lasciai il partito comunista. Vedrà che non cè trippa per gatti. Troverà al massimo, insieme a tante sciocchezze consustanziali al mestiere di un pubblicista e di un polemista politico, peraltro in itinere, una serie di articoli del 1987 contro la Ru486 e la cultura abortista, sul Corriere della Sera, e una milionata di articoli contro lo spirito forcaiolo della magistratura e della stampa italiana, da Tortora a Craxi a Andreotti. Il mio vezzo è di poter quasi sempre dire: ho cambiato molti giudizi e una identità dal comunismo a un anticomunismo senza complessi però confermo quanto ho scritto. Ma è di unaltra biografia intellettuale che stiamo parlando stasera.) Pera per quanto mi riguarda non è criticabile per ciò che pensa e nemmeno per ciò che ha pensato prima, cioè il contrario. E criticabile invece per il modo in cui pensa quel che pensa, per il modo in cui prende in prestito quel che prende in prestito, e per come investe il piccolo capitale intellettuale che gli arriva in tasca con laccensione del mutuo e il cambio di stagione. Fa tutto questo senza stile. Senza rendere conto. Senza quel poco di dolore che qualifica la ricerca intorno alle idee. Senza rispettare le critiche, senza rispondere spiegandosi. Così, con facilità tutta politicista, saltando da Di Pietro a Berlusconi, dallAsino di Podrecca a Ratzinger, dal laicismo al Barolo alle radici giudaiche e cristiane dellEuropa, senza andare per il sottile. E non poteva che finire come è finita, cioè con linaudita volgarità di riparare le polemiche lucchesi su qualche innocente raccomandazione di troppo addirittura sotto la tonaca del Papa. A Lucca mi attaccano perché sono amico del successore di Pietro: ecco, questa è da scomunica laica. E su questo gli rivolgo volentieri anatema dottrinale (canone del bon ton) e confermo che Pera, e tutti coloro che scambiano per un piatto di lenticchie clericali la discussione sulla laicità e sul neosecolarismo, sullislam e sullo scontro di civiltà, sulletica sulla bioetica e sul relativismo, agiscono da croque-morts delle cause giuste, perché offendono la natura schietta, limpida, libera di un confronto di cui sia il pensiero religioso sia il pensiero laico hanno bisogno. Dalla sede radicale di via di Torre Argentina, addì 5 dicembre 2005. Imprimatur.

6.12.05

DUE SICILIE
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera)

Saranno uno scontro imperdibile, le prossime elezioni siciliane. Perché, se lo spoglio notturno delle primarie dell’Unione dovesse confermare le prime indicazioni, la sfida sarà tra Totò Cuffaro e Rita Borsellino. La sorella del giudice assassinato dalla mafia da anni impegnata nel volontariato. Uno scontro frontale. Tra due concezioni del mondo, della politica, della vita, della legalità e dell’illegalità. Ma soprattutto tra due concezioni della Sicilia.

Avete presente il Pus? È il Partito Unico Siciliano, così come l'ha marchiato il sicilianissimo Alfio Caruso nella sua invettiva (Perché non possiamo non dirci siciliani) da innamorato tradito. «Il Pus vince sempre: vince con la faccia di Lima, vince con la faccia di Orlando Cascio, vince con la faccia di Miccichè, vince con la faccia di Mattarella, vince con la faccia di La Loggia. Facce importanti, facce che contano: dietro ognuna di esse si dipanano decenni di tradizione, di esperienze, di consolidati rapporti parentali». Non è di destra, non è di sinistra.

O può essere l'uno o l'altro. L'uno «e» l'altro. Incarnandosi magari nella stessa persona, come è successo appunto con Cuffaro che nella scorsa legislatura riuscì a restare inchiodato sulla sua poltrona di assessore all'agricoltura mentre cambiavano le maggioranze. Difficile dare torto al giornalista scrittore. Come è difficile dar torto a chi guarda alle prossime elezioni regionali valutando i pro e i contro col metro dei risultati di questi anni. Che sono inequivocabili. Cappotto 61 a 0 della destra nelle politiche 2001. Trionfo alle regionali dello stesso anno.

Risultato nettamente migliore rispetto alla media nazionale alle Europee del 2004. Crescita costante dell'Udc a dispetto delle grane giudiziarie del presidente della Regione, delle inchieste, degli arresti a raffica di neodemocristiani di spicco. Vittoria al primo turno alle comunali di Catania con il trionfo personale di Raffaele Lombardo. Calo contenuto a dispetto delle pessimistiche previsioni a Messina sia pure col trucchetto (apparso un po' indecoroso perfino a Silvio Berlusconi) delle 21 liste a sostegno di Luigi Ragno. Conclusione: largo spazio ai navigatori, nessuno per poeti, santi e sognatori. Un'idea passata anche ai vertici della Margherita di Roma.

E riassumibile con le parole usate da Franco Marini per spiegare come mai era stata fatta la scelta di puntare, nella sfida a Cuffaro o a chiunque sarà il candidato della destra alle prossime regionali, sul rettore dell'università di Catania Ferdinando Latteri: «Noi riteniamo che il nostro candidato sia più efficace». Comedargli torto, se la sinistra che sostiene con più entusiasmo Rita Borsellino ha mostrato, a Catania e a Messina, di non avere peso e di essere molto minoritaria rispetto alla Margherita? Se la sinistra da molto tempo non riesce più a parlare con questa isola? Se Fassino e D'Alema, come Emanuele Macaluso spiegava ieri ad Aldo Cazzullo, «danno l'impressione di non conoscere più la Sicilia. Di non considerarla una questione nazionale »?

Ne ha già buttate via tante, questa sinistra, di occasioni. Enzo Bianco, che pure era stato lodato come un buon sindaco di Catania, non è riuscito a farsi perdonare l'avere lasciato la città che amministrava per fare il ministro dell’Interno. Leoluca Orlando, che era riuscito a farsi tributare un plebiscito (oltre il 75% dei voti) come sindaco di Palermo, sarà ricordato non solo per certe battaglie sacrosante che gli costarono nel 1988 una manifestazione ostile nella quale per le strade di Palermo sfilarono due casse da morto intestate a lui e al suo vice ma anche per avere riempito il Comune con uno sproposito di lavoratori socialmente utili.

E c'è chi non dimentica, come il rifondarolo Francesco Forgione nel libro Amici come prima, che i governi dell' Ulivo non riuscirono «neanche a onorare l'impegno solenne preso sul colle di Portella della Ginestra, il 1? maggio del 1997, dal vicepresidente del Consiglio, Walter Veltroni, nel 50? anniversario della strage compiuta dalla banda di Salvatore Giuliano. L'abolizione del segreto di Stato su quella prima strage politico- mafiosa della storia dell'Italia repubblicana». Sarà durissima per la liberale Rita Borsellino, sempre che sia davvero lei la vincitrice delle primarie, riconquistare la fiducia del popolo «rosso».

Come non le sarà facile superare le diffidenze del grande popolo moderato siciliano che non vota a sinistra. Della Margherita che si sente tradita dal mancato appoggio diessino a Latteri. Delle segreterie di partito che la vedono come una marziana. Eppure proprio questa totale estraneità alla politica isolana, storicamente minata da finte risse e accordi consociativi spesso indecenti, potrebbe essere secondo i suoi sostenitori la sua carta vincente. Dicono: perché votare un simil-Cuffaro se c'è già Cuffaro?

3.12.05

BANANAS
L'Innominabile
Marco Travaglio per l'Unità - 3 dicembre 2005


Caro direttore, devo declinare la tua proposta di commentare la nuova condanna a 5 anni emessa ieri dalla Corte d'appello di Milano a carico dell' on. C.P.,già condannato in un altro processo d'appello a 7 anni, sempre per corruzione di giudici. Ti prego anzi di non chiedermi mai più di occuparmi della Sua augusta persona, avendo io deciso di non nominarLa mai più, o almeno di provarci.
Anzitutto perché, come puoi ben immaginare, quella sentenza mi ha profondamente turbato e addolorato. E poi perché proprio l'altro giorno, alla vigilia del triste verdetto, mi è stato recapitato nella canonica busta verde l'ennesimo atto di citazione col quale l'on. C.P. mi trascina nuovamente in tribunale per aver parlato male di lui sull'Unità.
In quanto direttore responsabile dovresti essere anche tu della partita, senonchè l'on. C.P. ignora la tua nuova qualifica e dunque se la prende con l'ormai incolpevole Furio Colombo, chiedendo a me e a lui un modico risarcimento di 120 mila euro per il mio «intollerabile quanto ingiustificato attacco alla persona dell'on. C.P.» che «ne ha gravemente offeso la reputazione, l'onore, il decoro, la dignità e l'identità personale e professionale». Nel Bananas del 27 ottobre ricordavo una frase detta da Celentano a Tony Renis a Sanremo 2004: «Chi non ha amici criminali?». E commentavo, in un tentativo forse malriuscito di ironia: «Da allora Bellachioma - che in una sola vita è riuscito a frequentare Mangano, Dell'Utri e Previti - provò per lui un'istintiva simpatia». Così - denuncia C.P. - «il giornalista ha definito l'attore (cioè lui, ndr) ?criminale?, travalicando macroscopicamente il limite della continenza espressiva e invadendo, con un attacco illegittimo e ingiustificabile, la sfera personale dello stesso attore? un vero e proprio insulto all'esclusivo scopo di denigrarlo».
Non posso sapere cosa decideranno i giudici. Ma posso spiegare il movente di quella battuta. Mi ero fatto l'idea, nella mia beata ingenuità, che l'evasione fiscale sia un crimine (idea che peraltro condivido con qualche milione di italiani, oltrechè con il codice penale). E che un deputato si difende in tribunale dall'accusa di corruzione spiegando che ha solo evaso le tasse sulle presunte parcelle plurimiliardarie che Berlusconi e Rovelli gli versavano in Svizzera abbia confessato un crimine, ancorchè prescritto. E che, così facendo, si sia denigrato, insultato e diffamato da solo, provocando danni irreparabili alla reputazione, onore, decoro, dignità e identità personale e professionale di se medesimo. Invece scopro che ho fatto tutto io: tutti credevano C.P. un onesto e illibato avvocato, deputato esemplare, contribuente modello, finchè non uscì lo sciagurato Bananas.
Ora, visto che non posso dimenticare quelle sue parole e appena le ricordo metto nei guai me stesso, l'Unità e i suoi direttori, preferisco occuparmi d'altro. Se Lucia Annunziata definisce «terrorista» un marocchino sempre assolto dall'accusa di terrorismo, riceve i complimenti di vari ministri, sottosegretari e del Corriere della Sera. Ma dubitare della reputazione di un ex ministro che si proclama evasore fiscale e viene condannato in appello a 5 e 7 anni per corruzione di giudici, non si può.
Se proprio insisti, potrei optare per una formula salvavita molto in voga alla Rai: quella suggerita l'altro giorno dai responsabili di un notiziario del «servizio pubblico» al collega Carlo Casoli, che proponeva un servizio sul nuovo processo avviato a Roma contro l'on. C.P. per corruzione di un perito del tribunale: «Manda pure il servizio, ma non fare nomi». Il cronista, dopo lunghi tentativi, s'è dovuto arrendere. Così nessuno ha potuto conoscere la notizia, salvo i fortunati che l'hanno poi letta sul Corriere.
Ecco, se vuoi posso inviarti un commento senza fare nomi: «La Corte d'appello di Milano, in due distinti processi, ha condannato a 12 anni di reclusione per corruzione di due giudici (che non nominiamo per riguardo alle signore) un noto parlamentare della Repubblica (che non nominiamo per la legge sulla privacy), di professione avvocato, già ministro della Difesa, membro di un importante partito (che non nominiamo per rispetto del pubblico più impressionabile) e braccio destro del capo del governo uscito a sua volta da entrambi i processi per le attenuanti generiche e la conseguente prescrizione. L'uomo politico, già destinatario di varie leggi su misura che non hanno funzionato, ha testè annunciato la sua ricandidatura alle prossime elezioni. Vista la sua specchiata dirittura morale, che si aspetta a promuoverlo ministro della Giustizia?».
Gli ardimentosi esploratori dell'Udc
Satira preventiva di Michele Serra

Ma dove si trova, esattamente, il Grande Centro? Diverse spedizioni scientifiche, finanziate da partiti di entrambi gli schieramenti, si stanno inoltrando alla sua ricerca nel ventre profondo della società italiana

Ma dove si trova, esattamente, il Grande Centro? Diverse spedizioni scientifiche, finanziate da partiti di entrambi gli schieramenti, si stanno inoltrando alla sua ricerca nel ventre profondo della società italiana. Era dai tempi della corsa al Polo Nord che non si scatenava una competizione così appassionante tra uomini disposti a tutto pur di piantare la propria bandiera in un luogo così ostile alla vita umana, eppure così ambito. Chi arriverà per primo?
Spedizione Udc Equipaggiati con la gloriosa divisa tradizionale degli esploratori centristi (abito bigio, cravatta bigia, calzini corti e leggera infarinatura di forfora sulla giacca), gli ex democristiani hanno ufficialmente presentato alla stampa la loro spedizione. L'itinerario, illustrato in una brochure di colore bigio, è puntiforme: consiste nel rimanere a casa, immobili, per un'intera giornata, ricevendo una delegazione di impiegati statali del proprio collegio elettorale. Secondo la teoria puntiforme, infatti, il Grande Centro sarebbe esattamente dove già si trovano i casiniani: la sua rappresentazione grafica si ottiene unendo con una matita i puntini che rappresentano le loro abitazioni. I giornalisti presenti alla conferenza stampa hanno provato a unire i puntini ottenendo una curiosa figura a forma di calzino corto.
Spedizione Corsera Anche il più insigne quotidiano italiano ha voluto partecipare alla corsa con una propria spedizione, guidata dal politologo Panebianco e da Barbara Palombelli, che applicheranno la famosa 'teoria terzista': il Grande Centro sarebbe un luogo vastissimo, corrispondente esattamente alla superficie dell'intero Paese (più il Canton Ticino), ma non è visibile a causa della presenza opprimente di Destra e Sinistra, false prospettive che offuscano la vista. Nel corso di un esperimento ottico di grande suggestione, il professor Panebianco ha dimostrato che oscurando Destra e Sinistra si ottiene un gigantesco vuoto, una specie di enorme pianerottolo con forte odore di broccoli che si estende da Bolzano alla Sicilia: il mitico Grande Centro! Per ottenerlo, dunque, basterà ridicolizzare progressivamente le identità politiche nazionali con una serie di inchieste già in corso. Di prossima pubblicazione: 'Il dramma delle Kessler, una è di destra una di sinistra: non potranno più ballare insieme'; 'Nilla Pizzi: Togliatti non mi voleva al Festival di Sanremo'; 'Mussolini privato: amava un ragioniere ebreo ma lui gli preferì Mauthausen'. Molto attesa anche la Nuova Enciclopedia Neutra, a cura di Sergio Romano, imponente opera che rivede l'intera storia umana alla luce della sua totale inutilità. La voce più lunga è dedicata allo psico-antropologo biellese Gino Umegna, scopritore del moderatismo nell'età prenatale. "L'uomo", scriveva Umegna, "nasce privo di idee. Perché imporgliele?".
Spedizione Ulivista Considera il Grande Centro un mito eccessivo. In controtendenza, si ripromette di conquistare il Piccolo Centro, individuato in un serbatoio di poche migliaia voti, nelle province di Enna, Piacenza e Alessandria. Nel corso di una suggestiva cerimonia a Roma, i leader della sinistra hanno affidato il loro tradizionale serbatoio di voti (circa 15 milioni) a un posteggiatore abusivo, e sono partiti alla ricerca del Piccolo Centro, litigando sulla destinazione e sul mezzo di trasporto più indicato. Strategiche le soste sui sagrati, contemplando le facciate delle chiese e rivelando ai giornalisti di essere in pieno travaglio spirituale. Difficoltà per Mussi e Angius, che già alla prima tappa, per errore, hanno contemplato un ufficio postale e un negozio di cravatte.
Esploratori Anonimi È l'associazione che raccoglie i pochi italiani che vogliono disintossicarsi dal moderatismo e cambiare vita. Hanno individuato il Grande Centro in un baule nella soffitta di una vedova Gava. Consiste in un plico contenente migliaia di lettere di raccomandazione inviate dai Gava ai parenti Gava in favore di altri parenti Gava. La spedizione conta di raggiungere il baule entro pochi minuti e distruggerlo.
Spedizione Hack La coraggiosa scienziata è sicura che il Grande Centro esiste, e sia un buco nero a 90 milioni di anni luce dalla Terra, tra la costellazione dei Broccoli e la galassia di Mediokron. Dunque, ha deciso di non andarci.

2.12.05

L?INTERVISTA
Il ministro: giuste tutte le campagne di prevenzione. L?indagine parlamentare? Meglio nella prossima legislatura
Il nuovo strappo della Prestigiacomo "Cominciamo a dare gratis i preservativi"
GIOVANNA CASADIO


ROMA - «Non sono convinta che siano tante le donne che decidono di interrompere la gravidanza per motivi economici. Molte lo fanno per ragioni di salute, moltissime sono immigrate. E poi, ci sono le giovanissime che conducono una vita sessuale da adulte senza conoscere la contraccezione. Anche perché di questi tempi non si parla più di preservativi, ad esempio. Farei una campagna dandoli gratuitamente...». Stefania Prestigiacomo, ministro delle Pari opportunità, rilancia sul tema più ostico per i cattolici: la contraccezione. Riscopre il feeling con Berlusconi sull?aborto: «Ha ragione il presidente del Consiglio quando parla di libertà di coscienza sulla 194, ci mancherebbe altro: l?aborto e la fecondazione assistita sono temi etici, non lo sono invece le quote rosa».
Qualche settimana fa Prestigiacomo, "liberal" di Forza Italia, aveva inviato una lettera aperta al ministro della Salute, Francesco Storace difendendo la legge sull?aborto «conquista di civiltà» e chiedendo una moratoria alla vigilia della campagna elettorale.
Ministro Prestigiacomo, continua l?offensiva politica sulla 194?
«Davvero non è possibile scontrarsi in questo modo sulla 194: certe sortite o si fanno a inizio legislatura oppure il sospetto che tutto sia semi propagandistico è forte. Non si può trattare una questione come l?aborto radicalizzando il confronto: lo dico al centrosinistra. Ma riconosco che alcuni nella Casa delle libertà utilizzano a fini elettorali il tema dell?aborto».
Sulla commissione parlamentare d?indagine è scontro tra i Poli: lei era contraria?
«Credo sia giusto verificare che la legge venga applicata per intero, compresa la parte dell?articolo 9 sull?obiezione di coscienza e su come quindi è assicurato il servizio».
L?unico dubbio?
«Penso che sarebbe stato meglio fare un?indagine nella prossima legislatura. Sono assolutamente favorevole alla discussione, ma non credo affatto che in sei mesi - che poi sono meno di lavori parlamentari - si possa condurre un monitoraggio completo e serio sul funzionamento dei consultori. Avevo proposto di rinviare l?indagine, ma la commissione Affari sociali della Camera ha deciso diversamente: allora mi auguro che il lavoro cominciato prosegua poi nella prossima legislatura».
Le ex ministre dell?Ulivo, Rosy Bindi e Livia Turco, hanno proposto insieme con Beppe Fioroni un emendamento alla Finanziaria per il bonus cosiddetto "evita aborto", cioè un assegno di gravidanza che aiuti le donne che pensano di abortire perché in difficoltà economica: lei lo voterà?
«Non ho alcuna preclusione. L?idea di un assegno di gravidanza è buona in sé. Aggiungo che è simile a quelle già contenute in Finanziaria: la Casa delle libertà prevede bonus per i nati, il centrosinistra li finalizza alla donna in gravidanza. Sono misure utili, certo. L?aiuto economico è sempre gradito però non sono queste le priorità su cui investire per il sostegno alla maternità».
E quali sono, ministro Prestigiacomo?
«Una politica a favore della maternità non è fatta solo di bonus ma soprattutto di servizi efficienti. Mi sono battuta perché ci fosse la deducibilità di una parte delle spese per gli asili nido, posto che questi ci siano. E qui la competenza è delle Regioni».
Non aiuta il taglio agli enti locali.
«Non voglio attaccare le Regioni ma ci sono molti sprechi e non si spiega come abbiano speso sempre tantissimo per i servizi sociali, però investito poco su quelli di sostegno alla maternità. Sull?emendamento "assegno di gravidanza", non mi interessa che sia di centrosinistra o di centrodestra, in questo caso occorre guardare al contenuto. Bisogna aggiungere che gli aiuti per le extracomunitarie che interrompono la gravidanza, talvolta clandestine, spesso sfruttate nel mercato della prostituzione, ci sono. Un?immigrata ha diritto al permesso di soggiorno per sei mesi e a un assegno. Inoltre ci sono gli aiuti dei Comuni alle donne in difficoltà. La proposta dell?Ulivo credo abbia un intento provocatorio, ma è apprezzabile».
La 194 si tocca, o no?
«La 194 non si tocca. Ho detto che è una conquista di civiltà e sono sorte un sacco di polemiche, ma è la legge che ha sottratto le donne all?inumana pratica degli aborti clandestini. Non ho detto e non penso che l?aborto sia civile».
Il ministro Calderoli la invita a piangere sulle donne violentate e non sulle quote rosa.
«Basta propaganda, Calderoli. Non c?è bisogno che mi insegni lui quale è il dramma degli stupri e della violenza sulle donne».

1.12.05

Sentenze opportune
di Massimo Fini (Il Gazzettino", 30/11/2005)

Allora il giudice milanese Clementina Forleo non era una mezza matta o addirittura una simpatizzante della jihad, come strillò scandalizzata, la destra quando lo scorso gennaio assolse Mohammed Daki e altri due magrebini dall'accusa di "terrorismo internazionale", pur condannandoli per altri reati, quali la ricettazione di passaporti falsi e la alterazione di documenti ad uso di immigrati clandestini. La terza Corte d'assise d'Appello di Milano ha infatti confermato la sentenza di primo grado, assolvendo peraltro Daki da tutte le imputazioni condannando gli altri due per i reati minori.
Si tratta di sentenze importanti perché operano una distinzione fra guerriglia e il reato di "terrorismo internazionale" introdotto in Italia dopo l'11 settembre Il nuovo articolo del nostro Codice penale (270 bis) non specifica cosa si intenda per "terrorismo internazionale", ed è toccato quindi ai giudici, di merito, mettere i paletti per definirlo. È stato infatti accertato che Daki e gli altri reclutavano elementi per rifornire l'organizzazione "Al Ansar Al Islam" che in Iraq combatte contro gli occupanti angloamericani e italiani. Per il Pm milanese Stefano Dambruoso questo era sufficiente per considerare i tre complici del terrorismo. Ma "Al Ansar Al Islam" in Iraq fa soprattutto guerriglia e solo marginalmente atti di terrorismo e non c'era nessuna prova che gli elementi reclutati da Daki e gli altri avessero partecipato a questo tipo di azioni. I giudici hanno quindi applicato innanzitutto il principio generale del diritto secondo il quale nessuno può essere condannato se nei suoi confronti non sono state raccolte prove che ne dimostrano la colpevolezza "oltre ogni ragionevole dubbio". Ma così facendo hanno anche operato, implicitamente ed esplicitamente, una distinzione fra guerriglia e terrorismo, perché era provato "oltre ogni ragionevole dubbio" che Daki e i suoi reclutassero elementi che andavano a combattere in Iraq contro gli occupanti.
La Forleo aveva motivato la parziale assoluzione dei tre magrebini - e non c'è dubbio, anche grazie ad autorevoli indiscrezioni, che la Corte d'Appello ne abbia ricalcato l'impostazione - affermando che "Condannare come terrorismo ogni guerriglia violenta significherebbe negare l'elementare diritto di resistenza all'occupazione di truppe straniere" e quello dell'autodeterminazione dei popoli solennemente sancito a Helsinki nel 1975 e firmato da quasi tutti gli Stati del mondo. "È guerriglia - diceva la sentenza della Forleo - quando l'attacco violento è indirizzato su obbiettivi militari, è terrorismo quando colpisce indiscriminatamente militari e civili".
Fin qui le sentenze. Io andrei più in là, comprendendo nella guerriglia anche gli atti violenti che avendo principalmente obbiettivi militari coinvolgono anche civili. Altrimenti dovrebbero essere condannati anche i militari americani ogni volta che le loro "bombe intelligenti" o i "missili chirurgici" provocano i devastanti "effetti collaterali" che conosciamo.
Mi pare che queste sentenze dei giudici italiani in materia di guerriglia e terrorismo, anche se possono sconcertare un'opinione pubblica ormai imbottita di propaganda e fanno gridare allo scandalo i "falchi" di casa nostra fra i quali ci spiace annoverare il Pubblico ministero Dambruoso che vorrebbe istituire delle Corti speciali per questo tipo di reati (i Tribunali Speciali c'erano sotto il fascismo e sono vietati dalla nostra Costituzione), siano quanto mai opportune in questi tempi confusi, perché restituiscono il suo posto e, oso dire, la sua dignità alla guerra i cui atti non possono essere penalmente valutati alla stregua del diritto vigente in tempi di pace. Altrimenti tutti i combattenti sono degli assassini, potenziali o reali. Queste sentenze restituiscono anche valore al concetto schmittiano di "iustus hostis" per cui il nemico è il nemico, ed è quasi legittimo ucciderlo, ma non è, per ciò stesso, un criminale, che è invece la linea americana da Norimberga a Guantanamo passando per Milosevic. Una linea secondo la quale la guerra è tale solo quando la facciamo noi occidentali (anzi, se conviene, non è nemmeno guerra ma "operazione di pace") mentre quando la fanno gli altri contro di noi è sempre e solo terrorismo e crimine.
In margine alla sentenza della Corte d'Appello, Daki ha lanciato accuse gravissime, affermando che il Pubblico ministero Dambruoso lo ha fatto interrogare per due giorni, senza l'assistenza del difensore, da agenti americani "che dicevano di essere dell'Fbi" ma che secondo lui erano uomini della Cia fra cui c'era anche quel "Bob" accusato di aver rapito, in Italia, l'egiziano Abu Omar per consegnarlo, via la base extraterritoriale americana di Aviano, alle prigioni e alle torture del suo paese.
Vogliamo sperare che le affermazioni di Daki appartengano alla malabitudine degli imputati ormai invalsa in Italia proprio grazie al cattivissimo esempio di alti e altissimi esponenti della nostra classe dirigente, di accusare i propri giudici. Però la smentita di Dambruoso è stata debole: il Pm nega che l'imputato non fosse assistito dal difensore, ma tace sul fatto che gli interrogatori venissero condotti da uomini dell'Fbi e della Cia. Se così fosse sarebbe un fatto di una gravità eccezionale, giuridicamente e politicamente, una ulteriore lesione alla nostra sovranità nazionale; già abbondantemente compromessa dai disinvolti comportamenti americani. E di questo ci sarebbe da menar scandalo da parte dei nostri ipernazionalisti a corrente alternata invece di prendersela, more solito, come fa il ministro Calderoli, con le sentenze e i giudici "di manica larga" (che poi, quando assolvono o prescrivono i reati di "lorsignori" ridiventano invece dei sacrosanti "garantisti").
Più porridge agli africani
Satira preventiva di Michele Serra

I poveri esistono. E' la sconcertante scoperta di un gruppo di antropologi, che hanno esaminato a lungo alcuni documenti filmati provenienti da Parigi

I poveri esistono, e sono molto incazzati. È la sconcertante scoperta di un gruppo di antropologi, che hanno esaminato a lungo alcuni documenti filmati provenienti da Parigi (Francia), arrivando alla sensazionale conclusione che a pochi km dal centro della capitale, in grandi parallelepipedi di calcestruzzo fin qui creduti installazioni artistiche di un punk giapponese, vivono effettivamente molte migliaia di persone. La scoperta ha mobilitato studiosi di tutto il mondo. Dell'esistenza dei poveri si era infatti perduta traccia. Secondo Andrew Levine, ordinario di Moralità del Profitto ad Harvard e consigliere personale di Bush, l'estinzione dei poveri ha coinciso con la fine del comunismo che li teneva in vita artificialmente solo per dare fastidio. Altre teorie, più radicali, contestano ab ovo l'idea che i poveri siano mai esistiti: si trattava solo di minoranze di estrosi che, per rendersi interessanti, si vestivano in maniera indecorosa e prendevano malattie disgustose. Notevole anche la 'teoria di Zeffirelli': i poveri un tempo erano ricchi, poi plagiati dal cinema neorealista che aveva urgenza di comparse. Nel frattempo aumentano a macchia d'olio le segnalazioni di insediamenti di poveri in tutto il pianeta. Questi i casi più singolari.
Africa Pare davvero impossibile che nella terra dei safari, di Tarzan e dei Watussi, piena zeppa di città perdute nella giungla dove anche le scimmie giocano a bowling con gli smeraldi, esistano dei poveri. Eppure, anche gli increduli hanno dovuto arrendersi all'evidenza. Con parole allarmate e toccanti la Banca mondiale ha presentato un rapporto sull'Africa, 'Nel continente nero, paraponzi ponzi pà', nel quale si sostiene che la mortalità per fame, per quanto inspiegabile, è un'usanza ancora molto diffusa. Le cause? La scarsa diffusione degli autogrill è considerata dagli esperti della Banca mondiale la vera piaga del continente. Ma sono i pregiudizi culturali l'ostacolo più difficile: "convincere gli africani a mangiare il porridge", scrissero quasi due secoli fa Stanley e Livingstone, "è perfino più difficile che farli correre nella savana tenendo la sinistra".
Cina Il regime comunista occulta le cifre reali, ma pare che alla periferia di Shanghai, in un solo palazzo, abitino due milioni di persone. Ordine pubblico a rischio specie durante le riunioni di condominio. Il governo ha fatto un enorme sforzo per dotare i portoni di giganteschi citofoni, ma gran parte dei residenti, quando rincasa, sbaglia appartamento, creando un clima di vergognosa promiscuità. Il regime vacilla: nella banlieue di Pechino milioni di teen-agers hanno dato alle fiamme l'unica automobile, tracciando ideogrammi ostili sui muri e lanciando contro la polizia le bottiglie Lin Piao, molotov cinesi riempite di carbonella che prendono fuoco solo se lanciate contro una catasta di legna già accesa. Sono stati fermati per accertamenti 320 milioni di minorenni.
Italia Chiarito il mistero dei miserabili che vivono in caverne di tufo accanto a Saxa Rubra: il governo ha reso noto che non si tratta di immigrati, ma di un antichissimo insediamento cavernicolo rimasto intatto nei millenni. Il ministero del Welfare ha deciso di aiutarli distribuendo gratuitamente clave e pelli di mammut. Prospero il tenore di vita del resto della popolazione italiana: un telefonino, ormai, costa meno di un chilo di pane, e molti pensionati passano la giornata a telefonare al panettiere per farsi descrivere le baguettes e le rosette appena sfornate. Il governo, per puro scrupolo, ha deciso un sopralluogo nelle principali periferie urbane. È l'operazione 'hic sunt leones': ministri e sottosegretari, in pittoreschi abiti coloniali, percorrono i principali viali suburbani sulle Land Rover blu, seguiti da portatori negri a piedi. In preparazione il primo rally Scampia-Primavalle, per autoblindo e gipponi blindati, gemellata con la Parigi-Dakar: grazie alla globalizzazione, invece di andare a rompere i coglioni ai beduini a migliaia di chilometri di distanza, li si potrà investire direttamente ai nostri semafori, mentre salutano agitando festosamente in aria la spugna per lavare i parabrezza.

26.11.05

COSA ACCADE AD UNA RAGAZZA CHE HA DECISO DI ABORTIRE /2
da Anna Mantero dalla provincia di Trento


Siamo in quattro: una ragazza dell’est, due coppie ed io. Ci fanno una visita. Nuovamente la ginecologa del reparto mi domanda perché voglio abortire e se sono sicura di volerlo fare. Io mi innervosisco e ripeto meccanicamente le ragioni che avevo detto al consultorio. Lei per smorzare i toni mi dice che ho un bel piercing. Poi ci mettono in una stanza e ci danno un ovulo da inserire in vagina. Dopo mezz’ora l’ovulo mi procura degli spasmi molto dolorosi a livello dell’utero e inizio a sanguinare copiosamente. Faccio amicizia con la ragazza di fianco al mio letto. Il suo ragazzo non parla, sembra distrutto. Lei mi chiede se è la prima volta. Dico di si. Anche per lei è la prima volta. Piange. Capisco che è una decisione che non vorrebbe prendere ma deve farlo. Forse per motivi di salute non può portare avanti la gravidanza. Leggo un po’ la Littizzetto, che mi tira su di morale, aspettando il mio turno. L’infermiera che ci assiste è una mia amica: mi si avvicina e mi sussurra all’orecchio di non preoccuparmi perché c’è la privacy. Sorrido. Arriva il mio turno e mi portano in sala operatoria. Il ginecologo è gentile e cerca di tranquillizzarmi. Le infermiere, invece, mi prendono come un sacco di patate e mi sbattono sul lettino che mi sembra uno strumento di tortura. Mi fanno l’iniezione con l’anestesia totale. Roteo gli occhi verso destra e mi addormento all’istante, L’operazione, dicono, durerà qualche minuto. Mi risveglio, rischiarata da un raggio di sole che passa da una persiana e dalla voce del ginecologo che mi chiama per nome. Arriva l’amica infermiera a prendermi e a riportarmi in camera. Fuori dalla sala operatoria c’è un’altra mia amica che è venuta in pausa pranzo a trovarmi. Parliamo. Mi aiuta a stendermi sul letto. Alla totale ho reagito benissimo, mi dice l’infermiera. Poi l’amica se ne torna al lavoro e io dormo un po’. Dopo sei ore possiamo bere, ma non mangiare. Il marito di una delle due donne mi porta una tazza di the. Passato il periodo che bisogna attendere dopo l’operazione per verificare che non ci siano emorragie interne, possiamo vestirci, ma dobbiamo essere visitate prima di lasciare l’ospedale.
COSA ACCADE AD UNA RAGAZZA CHE HA DECISO DI ABORTIRE
daAnna Mantero dalla provincia di Trento


Un mese di ritardo. Mi sento strana, sempre stanca. Mi guardo allo specchio e scopro una nuova luce sul mio viso. Mi sa che ci sono rimasta. Test di gravidanza preso in farmacia: positivo. Test in ambulatorio: positivo. Ho 23 anni, faccio l’università e ho una relazione non ufficiale con un mio compagno di corso. Glielo dico. Non reagisce. Prendo subito appuntamento con il consultorio. Otto di mattina di una bella giornata estiva. Dentro dall’assistente sociale parlo dei miei dubbi e delle mie incertezze. Non so ancora cosa voglio fare. L’assistente mi consiglia comunque di prendere appuntamento in ospedale per l’operazione. Dice che passerà un mese dalla data dell’operazione e avrò quindi il tempo di pensare a quello che voglio fare perché posso tirarmi indietro anche se sono già sul lettino operatorio. Visita della ginecologa del consultorio: il feto è ok. Lei compila tutte le carte. Mi chiede se la decisione è stata presa di comune accordo con il mio compagno/marito. Penso al bastardo che mi ha messo incinta, che mi sta aspettando fuori dalla porta e che ogni tanto si vede ancora con la sua ex e dico no: la decisione l’ho presa io. Con le carte che mi autorizzano l’aborto, corro al reparto ginecologico dell’ospedale. L’appuntamento per l’interruzione volontaria di gravidanza è di lì a meno di un mese. Devo fare una serie di visite: elettrocardiogramma, e analisi del sangue per verificare se posso sostenere l’anestesia totale. Mi danno un foglio con tutte le istruzioni su cosa fare e non fare il giorno dell’operazione. Uscita dall’ospedale scoppio a piangere e mi rendo pienamente conto di quello che mi sta accadendo. Il bastardo mi consola poi mi dice che ha da fare e si dilegua. Non lo vedo più per giorni. Decido che devo dirlo ai miei genitori, nel caso mi accadesse qualcosa. Quella sera mia madre piange con me e in un moto di confessione mi dice che sono fortunata perché lei ha dovuto farlo da una mammana, quando abortire era illegale. Mio padre si fa venire una crisi di coscienza e non mi parla per una settimana. Il bastardo si fa sentire e mi domanda che cosa ho deciso di fare. Dico che non lo so. E lui, ad un certo punto, arrivare ad esclamare: ?Che bello! Un figlio!?. Io sorrido e fa capolino la speranza che forse non devo prendere quella decisione. Ma poi sparisce di nuovo e per sempre. Quel mese mi sembra interminabile ma devo pensare bene se prendere o no questa scelta. Comincio a vagheggiare una vita con un figlio. Sono felice all’idea. Ma poi penso che ho solo 22 anni, non un lavoro, che mi devo laureare. Le amiche provano a starmi vicino, ma credo che per loro sia difficile farlo. Arriva il giorno dell’operazione. Sette di mattina, mi presento all’ospedale, senza aver fatto colazione per via della totale.

23.11.05

Videomàfiami
di Marco Travaglio, Unità 22 novembre 2005

Proviamo a immaginare che negli Stati Uniti la Corte Suprema stabilisca definitivamente che l'ex presidente George Bush senior incontrava abitualmente Al Capone, Salvatore Anastasia, Sam Giancana, Lucky Luciano, Frank Coppola in arte «Tre Dita», Salvatore Gambino e John Gotti e ha commesso il reato di associazione per delinquere con Cosa Nostra almeno fino alla primavera del 1980. Che ne sarebbe di lui? Probabilmente soggiornerebbe nelle patrie galere, non esistendo negli Usa quel gentile omaggio chiamato prescrizione che in Italia viene riservato agl'imputati ricchi che riescono a tirare in lungo i loro processi: là la prescrizione si ferma al rinvio a giudizio.
Di certo Bush il Vecchio non farebbe il senatore a vita e nemmeno il testimonial degli spot tv. Anche perché i prodotti sponsorizzati da un ex mafioso non troverebbero acquirenti.

Ora, si da il caso che nessun ex presidente Usa sia stato giudicato mafioso. E' capitato invece a un ex premier italiano, Giulio Andreotti, ritenuto responsabile di associazione per delinquere fino al 1980 (reato commesso ma prescritto grazie alle attenuanti generiche) dalla Cassazione. Ma tutte le tv e quasi tutti i giornali hanno parlato di una sua inesistente assoluzione. Così l'ex premier continua a sedere in Parlamento come senatore a vita, da tutti riverito e omaggiato. E recentemente compare in tv anche in uno spot dei video-telefonini «Tre» in sostituzione di Vittorio Cecchi Gori, al fianco di Claudio Amendola e Valeria Marini. Legge il giornale seduto in aereo (forse in memoria dei viaggi compiuti in Sicilia per incontrare Stefano Bontate nel '79 e nell'80 per discutere del delitto Mattarella). E viene riconosciuto da Amendola e Marini i quali, tutti emozionati, non gli domandano se per caso stia tornano sul luogo del delitto. Gli chiedono che succede in Parlamento.
A quel punto l'anziano prescritto suggerisce loro di munirsi di Pupillo, che non è un 'espressione gergale della malavita per indicare il palo, ma un aggeggio che consente di vedere che accade intorno alla persona chiamata sul video-telefonino. Armati di Birillo, i due interlocutori potranno assistere in diretta alla scena quotidiana di un prescritto per mafia che spiega la lotta alla mafia agli altri senatori. A quel punto i due attori, con la voce rotta dall'emozione, commentano: «Ma lei sa proprio tutto, presidente!». In effetti ignora la sua prescrizione, ma per il resto sa proprio tutto. La Marini potrebbe domandargli quando si deciderà a confessarlo, quel tutto: a dirci se per caso sa qualcosa sul golpe Borghese, su Sindona, su Ambrosoli, su Mattarella, su Dalla Chiesa, su Gelli, su Moro. A quel punto Valeria potrebbe concludere: «Lei sa tutto presidente. Ma perché noi non sappiamo niente?». Invece lo spot finisce lì, sul più bello.
Domanda retorica: se sapessimo qualcosa, nessun 'azienda si sognerebbe di eleggere uno così a testimonial dei suoi prodotti. Perché nessuna azienda riuscirebbe a piazzare non dico un videofonino, ma nemmeno un lavandino sponsorizzato da un ex premier che aveva rapporti con la mafia. E magari, invece della Coca Cola, oggi qualcuno boicotterebbe i videofonini andreottiani.

Invece, dopo i videofonini, Andreotti s'appresta a sponsorizzare pure la Banca d'Italia (prodotto decisamente più consono alla sua figura, visto lo sgovernatore che ci ritroviamo). Ogni anno, a fine novembre, la banca centrale festeggia il «Trentennale» dei dipendenti che di volta in volta raggiungono quelV anzianità di servizio. A solennizzare l'evento interviene a turno un'alta carica dello Stato. Nel 2000 Ciampi, nel 2001 Pera, nel 2002 Casini, nel 2003 di nuovo Ciampi, nel 2004 il presidente della Consulta, Onida. Quest'anno, il 24 e 25 novembre, ci sarà Andreotti. Alcuni sindacalisti di Bankitalia hanno pensato di rammentare ai partecipanti che trentanni fa, mentre i dipendenti ora festeggiati entravano a Palazzo Koch, Andreotti incontrava l'avvocato di Sindona per salvare il bancarottiere piduista e mafioso dalla bancarotta, salvataggio contrastato dall'allora governatore Ciampi e dal liquidatore della Banca Privata Giorgio Ambrosoli. E hanno proposto di distribuire, all'ingresso della cerimonia, un volantino: «Trentennale con la condizionale».
Guia e l'aborto (un problema che non riguarda coloro che ne parlano)

UN'OBIEZIONE RADICALE ALLE POSIZIONI DEL FOGLIO. LA RIVENDICAZIONE DELLA POSSIBILITÀ DI DARE O NEGARE LA VITA

Il bello è che non ne parla mai chi sa di che cosa si stia parlando. Ne discettano tutti da studiosi, col loro bravo riflesso pavloviano "l'aborto-è-un-dramma". L'altra sera, a Matrix, l'aborto era un dramma per tutti i dibattenti. Detto da chi difendeva la 194, faceva un po' tenerezza: una legge che è come un parente un po' scemo, da difendere pur vergognandosene. A un certo punto è comparsa una signora e ha detto che è inutile continuare a parlare di contraccezione, nei paesi ad alto tasso di contraccezione le donne abortiscono come altrove. Ottimo. Quindi la contraccezione non serve, l'aborto è una tragedia dell'umanità, riproducetevi come coniglie e andate in pace. Il bello è che non parla mai chi è interessato all'argomento. A dibattere di quel che devi fare se ti accade di aspettare un figlio senza averne alcuna voglia sono sempre uomini senza figli (vescovi e non) e donne ormai al sicuro da quello scivoloso crinale che è l'arco dell'età riproduttiva e che, mi piace pensare, in gioventù abortirono - con dramma interiore, si capisce - e ora ne sono talmente pentite da voler risparmiare a tutte noi questa possibilità. Non si può dire che non siano altruiste. Certo hanno le stesse probabilità di finire in un consultorio a elemosinare Ru486 e a ricevere buoni consigli da quelli che preferiscono la riproduzione (specie se praticata da altri) che ho io, e la somma di queste probabilità è zero. Il direttore di questo giornale, che ha fatto la sua brava campagna per astenersi dal voto e dalla creazione di embrioni, e l'ha fatta giurando che era orrendamente in malafede chi pensava quella per la fecondazione fosse la prima tappa di una lunga campagna che aveva per obiettivo ultimo l'aborto, ha detto che per carità lui non vuole tornare all'aborto illegale. Pochi secondi dopo ha dichiarato il proprio obiettivo: il numero di aborti effettuati dev'essere portato a zero. Enrico Mentana avrà avuto le sue buone ragioni per non chiedergli come pensi di conciliare le due cose: niente aborti legali, niente aborti illegali… iniezioni obbligatorie di senso materno? Sterilizzazione? Certo non semplice contraccezione, visto che di lì a poco la sua sparring partner ha appunto argomentato che è inutile, le cittadine di quei paesi sciamannati in cui si fa dissennato utilizzo di contraccezione fanno uso altrettanto dissennato di interruzione di gravidanza. Avrò sicuramente capito male, ma mi è sembrato di cogliere il percorso auspicato dal direttore di questo giornale nella sua risposta a una domanda sui volontari del Movimento per la vita. Usando più o meno le stesse parole che di lì a poco, in un servizio, avrebbe usato proprio uno dei volontari in questione, l'uomo che vuole zero aborti legali e zero illegali ha detto che le donne convinte dai volontari pensavano di non volere figli "in un primo momento", ma "poi sono contente". Queste sciocchine. Puoi convincerle a cambiare idea sulla loro volontà di fare un figlio con la stessa facilità con cui le puoi convincere a comprare una gonna in saldo. Puoi convincerle a fare un figlio e poi non potranno che esserne contente, è ineluttabile, tutti i genitori amano i figli, si sa, tutti gli esseri umani sono dotati di istinto genitoriale, diamine. La settimana scorsa questo giornale, che quando si tratta di sostenere le proprie idee non va troppo per il sottile, ha pubblicato la lettera dei genitori di Holly Patterson, che due anni fa morì di infezione dopo aver preso la Ru486. Aveva diciassette anni. Io non ho ben capito, ma è sicuramente un limite mio, perché da queste parti ce la si abbia tanto con la Ru486. Ho l'impressione che non sia perché si sta con la salute delle donne invece che con la lobby dei medici, che sia piuttosto un problema di "se devi abortire, che almeno la cosa ti sia di un qualche peso, niente vie brevi e niente anestesia generale, ché devi stare ben sveglia e renderti conto della porcata che stai facendo" - ma sono certa di stare travisando. Dunque c'era questa lettera, in cui i genitori - che avendo scelto all'epoca di generare e non di abortire sono evidentemente persone migliori di me e persino della loro stessa defunta figlia - scrivevano che "Holly non era una ragazza sola, disamata, senza protezione o appoggio". Quella ragazza amata e appoggiata dai genitori, quell'abitante di una famiglia felice di quelle che si creano solo in una cultura della vita, preferì morire piuttosto che rivelare ai suoi genitori che aveva fatto una cosa turpe come scegliere di non avere un figlio a diciassette anni. Lo so, non bisogna infierire su persone devastate dal dolore. Ma loro per quanto devastati sono vivi, e mi piacerebbe sapere se alla povera Holly, morta di emorragia per non farsi sgridare, avevano insegnato i fondamentali della contraccezione. Aveva diciassette anni, mica sette. Io ero certamente disattenta. Probabilmente confusa dalla visione dei volontari del Movimento per la vita, impegnata a pensare che "fanatismo religioso" fosse una tautologia, con un calo di concentrazione dovuto all'ora tarda. Perché giurerei che, nel dibattito su Canale5, il direttore di questo giornale abbia detto che "la salute della donna risiede nella sua capacità di generare" - e questo non può essere vero, giusto? Non può averlo detto, dico bene? Non tanto e non solo perché sarebbe troppo sprezzante nei confronti di tutte le donne che scelgano di non generare, perché sancirebbe la figura della donna-come-fattrice- punto. Quanto perché giurerei che, nel corso del dibattito sull'astensione dalla procreazione assistita e dal voto, lo stesso direttore di questo stesso giornale argomentasse che la sterilità non è una malattia che va curata, ma una condizione naturale da accettare come tale. O forse ero distratta anche allora, e ho capito male. Facciamo finta di essere d'accordo su una premessa: si abortisce a quindici anni, non a trenta. Una donna adulta che non abbia ancora imparato a mandare a quel paese gli uomini che "con il preservativo non mi tira", gli uomini che "stai tranquilla ci penso io", e in generale a gestirsi accortamente le poche ore di fertilità che le capitano ogni mese, una donna così è adulta solo formalmente. Le gravidanze indesiderate sono un accidente di gioventù, di quell'età dell'innocenza in cui è ancora lecito pensare che gli uomini preferiscano essere informati della questione e partecipare alla decisione se abortire o procreare, di quel periodo di incertezza in cui è lecito non sapere se un figlio lo si vuole o no, e magari fare conversazione con un volontario può convincerti in un senso o nell'altro. Una donna adulta che - ops - resta incinta per sbaglio, e - ops - credeva di voler abortire ma le si può far cambiare idea come sull'acquisto di un cappotto che tutto sommato non le dona, una donna così è un'idiota. Vanno protette, le idiote, quelle che credono "che all'ottava settimana sia un grumo" e quando vedono l'immagine con le braccine sono così commosse che improvvisamente sono pronte a essere madri? Vanno salvate da loro stesse? E, se sì, è più protettivo nei loro confronti forzarle a riprodursi, mettendo al mondo figli indesiderati (al netto della poetica poi-sei-contenta), o a lasciar perdere, ché la maternità è questione che necessita di un po' di sale in zucca, e non si capisce perché aprire una salumeria richieda una licenza e prendersi a vita la responsabilità di un altro essere umano neppure richieda un test psicoattitudinale? (Sì, sì: i figli si sono sempre fatti senza tante storie. Sì, sì: torniamo nelle caverne). Siccome Dio esiste e traccia i palinsesti, a interruzione del dibattito sull'aborto c'era uno spot della Mister Baby: la città pullulava di donne col pancione, e la voce fuori campo spiegava, casomai ce ne fosse bisogno, che da quando ci sono meravigliosi biberon e gadget assortiti della Mister Baby "cresce la voglia di diventare mamma". Diteglielo, ai volontari, che basta così poco: invece di stordirle di chiacchiere, le gravide, si presentassero con un biberon in omaggio. Le sciocchine si lasceranno convincere. (Poi c'è la questione del "sostituirsi a Dio" e "chi sei tu per scegliere di dare la vita e la morte?". Lieta di apprendere che Dio c'è per certo - mica ci si può sostituire a qualcuno che non c'è, no? - provo a rispondere: sono una che può dare la vita, e anche decidere di non darla. Spiacente, è una discussione impari. Magari nella prossima vita sei fortunato, nasci con un utero, ma per ora non puoi praticare nessuna delle due opzioni. Quanto al delirio di onnipotenza, segnalo il caso di scuola del "dare la vita per interposto parto": la signora della Mangiagalli e l'orgoglio del suo sguardo nel raccontare, fingendo di schermirsi, delle madri che dicono ai neonati "non fosse per questa signora tu non saresti nato". Poi lo scaricano a lei, il pupo, quando si accorgono di non essere portate per il mestiere di madre?) Il bello è che non parlano mai quelle che non sono né me né le dibattenti televisive. Quelle che, in caso di bisogno, vanno davvero in un consultorio. Ne parliamo noi, che abbiamo stipendi sufficientemente alti e assicurazioni sanitarie sufficientemente buone da, in caso di bisogno, andare non dal macellaio da ambulatorio mostrato in tv l'altra sera, ma in una qualche serissima casa di cura privata che scriva "raschiamento" sulla cartella clinica. L'abbiamo sempre fatto, perché sulla legalità prevale la comodità, lo faremmo anche se l'aborto fosse illegale. Il rappresentante del Movimento per la vita, osasse questionare sulle nostre decisioni, verrebbe trattato come un rappresentante di aspirapolveri. Ma non se ne darà l'occasione, perché noi dal consultorio non ci passeremo comunque. Non è un nostro problema. E' un problema delle extracomunitarie, delle pocotenenti, e delle tredicenni. Quelle stesse tredicenni di cui, sempre l'altra sera in tv, un infermiere di un ospedale romano lamentava non usassero il preservativo e poi andassero a chiedere la pillola del giorno dopo. Ecco, io preferirei che qualcuno, magari genitori che si organizzino prima per non piangerne la morte per aborto malfatto dopo, insegnasse loro un paio di banalità sulla contraccezione. A quel punto, potrò anch'io iniziare a scandalizzarmi per le cose veramente importanti, quelle per cui l'altra sera in tv si scandalizzava il direttore di questo giornale: che per l'infermiere la pillola del giorno dopo fosse affare così banale da trattarlo con strascicata cadenza romanesca. A quel punto potremo tutti riguadagnare un po' di stile, smettendo di sporcarci le mani con una bruta realtà fatta di sangue, sperma, dialetti.

Guia Soncini

22.11.05

Eccoci vescovizzati
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI

Vedo che giornali e telegiornali parlano molto delle donne, del corpo delle donne, dei diritti delle donne. Quelli che ne parlano sono uomini, o vescovi, o Giovanardi, il che induce a pensare che non ci sia davvero alcuna pietà per le ragazze. Il fatto che Ruini, Storace e la regione Veneto (con l'appoggio esterno di Casini) vogliano aprire le porte dei consultori ai militanti del movimento per la vita ha del paradossale: prima si è fatto di tutto per impoverire i consultori, minarli, devastarli, e poi si pretende di infiltrarli con quei signori che anni fa se ne andavano in giro con un feto nella ventiquattr'ore. A nessuno sfugge che la nuova impennata di livore antiaborista derivi da un semplice ed elementare progresso scientifico (in cui peraltro l'Italia arriva buona ultima), cioè l'introduzione di una pillola abortiva che permette l'interruzione di gravidanza in modo meno invasivo, doloroso e chirurgico. Insomma, si sa che se non ci sono sangue e lacrime in quantità i cattolici si divertono molto meno, e rischiano di perdere per strada alcuni dei principali pilastri del loro marketing: dolore, sofferenza, violenza sui corpi, senso di colpa eccetera. Già perdono clienti su molti fronti (il fronte delle vocazioni, il fronte dei matrimoni) e veder sfumare gran parte della sofferenza (almeno gran parte di quella fisica) da una scelta che già di suo è sofferta e traumatica li turba parecchio.

Del resto, tutte le aziende che perdono quote di mercato tentano per prima cosa un marketing più aggressivo. Si aggiunga che i vescovi stanno in tivù ormai quasi più di Bruno Vespa e che hanno acquisito una visibilità mediatica che è ben superiore al loro peso nella società. O perlomeno al peso che avrebbero nella società se tutti - a destra e a sinistra - non passassero ore, giorni e settimane a corteggiarli per una questione o quell'altra. Così ci sono esponenti della sinistra che chiedono con accorati appelli di non attaccare più i vescovi, cosa che pare faccia perdere voti. E sembra che il problema non sia più quello di essere laici (sacrilegio!), ma che si debba evitare persino di essere laicisti. E ancor più strabiliante è l'affermazione di Fassino che sottoscrive in toto le parole del papa (lui dice «perfetta sintonia»). Cioè: «Laicità significa assoluta indipendenza dei valori temporali tenendo conto della fede». Tradotto in italiano, essere laici significa dividere in modo ferreo le cose dello Stato da quelle della Chiesa, fino a quando non interviene la fede. Papale papale (è il caso di dire) si può essere laici finché si vuole, ma poi interviene la fede e prende tutti a cazzotti: il laicismo è dunque una faccenda per atei e quindi, alla fin della fiera, pussa via.

Ha ragione Andrea Colombo che ieri, su questo giornale, ha analizzato in questo modo l'invadenza della Chiesa nella politica italiana: sfumato il sogno di un partitone cattolico, sono passati all'infiltrazione di entrambi gli schieramenti. Quel che si propone, insomma, è una specie di pensiero unico (come quello liberista, né più né meno) che pervada entrambi i poli, da qui la prudenza della sinistra, le conversioni improvvise, le posizioni interlocutorie che spuntano anche quando non ci sarebbe niente da interloquire. La politica insomma si vescovizza. Ma va detto che anche i vescovi si politicizzano (nell'accezione meno nobile, clientelare e cinica) e oggi la Cei sembra Mastella, da cui ognuno va con il suo cesto di doni per guadagnarsi il consenso. Ieri, per esempio, il capo del governo è andato a incontrare il papa, carico di fogli e foglietti per mostrare quanto abbia fatto il suo governo per favorire la Chiesa. Una Chiesa che parla alle anime, ma che non disdegna di risparmiare sull'Ici, e questo a casa mia si chiama laicismo. Sulla triste questione dell'Ici, ad esempio, la sinistra ha protestato vibratamente, ma non ho sentito nessuno mettere all'ordine del giorno per il prossimo dieci aprile, in caso di vittoria dell'Unione, il ripristino immediato della tassa sugli immobili della Chiesa (altro sacrilegio!). In compenso, ecco tutti, a sinistra, plaudire alle critiche ecclesiastiche alla devolution, come se i vescovi avessero improvvisamente detto «qualcosa di sinistra». Miopia spaventosa: trattasi soltanto della preoccupazione di poter controllare venti sanità invece di una sola. E visto che le regioni che chiedono l'introduzione della pillola abortiva cominciano ad essere parecchie, i vertici della Chiesa si chiedono come diavolo faranno, in futuro, a far pressione su venti ministri della sanità anziché su uno solo, che tra l'altro - non c'è limite al peggio - oggi si chiama Storace.