28.8.02

IO CARMELO L'HO CONOSCIUTO BENE



da Fausto Cerulli

Carmelo Bene, io non l’ho conosciuto bene. Ho visto molti dei suoi spettacoli, mi sono lasciato provocare quel tanto che lasciava contenti provocatore e provocato; ed io che in genere a spettacolo finito sono di quelli che vanno a fare i complimenti al mattatore, con lui non ho avuto né tempo né occasione; perché Carmelo Bene, prima dello spettacolo e subito dopo, continuava ad esser solo con se stesso e non è che non volesse veder gente in camerino: era proprio che non vedeva. Parlo di adesso, ovviamente; di quando era diventata una star, e ci giocava sopra, a far la star dello star male. In altri tempi fu diverso; parlo degli anni ’60, quando il teatro o era Pirandello del Quirino o era l’avventura degli scantinati di Roma. Lo chiamavano far laboratorio: quasi che fossero chimici attenti agli alambicchi, ed erano studenti innamorati del teatro, e che per gelosia lo maltrattavano: almeno così sembrava, ed erano le avances di un innamorato timido. Una di quelle storie si svolgeva in una traversa di Via del Gambero, a quattro passi dal Caffè dove andava Malagodi con la corte, e qualche volta Lelio Basso, senza corte. Caffè Ciampini, adesso mi ricordo. A cinquanta metri svoltavi in una piazza sempre buia, angusta come si addiceva all’avanguardia. Un portone che apriva alle otto in punto, e una freccia di legno che indicava il sottoscala. Fu lì che vidi le prime teatrazioni fuori norma: e fu lì che conobbi anche Carmelo Bene. A quel tempo giocava con Camus, ma guai se gli dicevi che giocava: aveva già allora i bulbi oculari sporgenti, come chi soffre di tiroide; ma gli occhi erano pericolosi, gli occhi di un serpente che si guarda dentro. A quel tempo si usava che a spettacolo finito ( e dovevi capirlo a volo, che finiva: e applausi niente, malvezzo di borghesi) si andava a mangiare un piatto di spaghetti dalle parti di via delle Coppelle, zona Pantheon; che si mangiava bene, a poco prezzo, e nessuno storceva il naso alle bestemmie. Intese come bestemmie religiose o come bestemmie di cultura. Carmelo non beveva, lo ricordo perché bevevamo tutti quel cattivo vino di Roma che ai Castelli c’era stato nel sogno del trattore. Carmelo parlava poco: lo ricordo perché non facevamo che parlare, parlarci addosso, parlare addosso al mondo. Carmelo mangiava poco: ma voleva formaggio pizzicoso e peperoncino. Ora che ci ripenso aveva l’aria di prenderci in giro, e di soffrirne. Io non facevo parte del gruppo, mi ero solo aggruppato: per questo mi guardavo il mio Carmelo, scorrendo nella mente le leggende metropolitane che si cuciva addosso: che amava il teatro per quanto odiava il pubblico, che non ammetteva commenti quando era in servizio di scena, che se non lo pagavi ti mandava affanculo, poi ti chiedeva scusa e se la prendeva con la Siae: come se la Siae c’entrasse qualche cosa, in quegli spettacoli improvvisati, rubati e maltrattati. Per tre o quattro sere frequentai il locale; credo che mi abbia notato perché ero più spaesato di lui, che era spaesato come un pugliese in esilio. E forse fu per questo che una sera, prima dello spettacolo, mi chiamò insieme a tre o quattro altri studenti; ci portò in un angolo e ci disse:” Ma quando la finite di venire a farvi prendere per il culo?” Proprio e solo così. Carmelo Bene. Io non lo conoscevo bene.

Non siete aggiornati? Ecco le 10 notizie del mese


dal Corriere della Sera


Una selezione dei fatti più importanti delle ultime settimane per chi in vacanza ha spento la tv e non ha letto i giornali.




Fine agosto, tempo di grandi rientri. La maggior parte degli italiani è tornata a casa nelle ultime ore o si appresta a farlo. Molti arrivano da mete lontane dove era difficile tenersi informati, altri hanno volutamente «staccato la spina». Siete fra loro? Volete sapere quali notizie vi sono sfuggite durante il mese e rimettervi in pari?

Abbiamo selezionato le dieci più importanti:


31 luglio



Strage all'Università di Gerusalemme, 7 morti

Attentato alla caffetteria dell'università Ebraica: esplode una bomba lasciata in una borsa. Tra gli oltre 80 feriti anche una ragazza italiana, ricoverata in condizioni non gravi. L'attentato rivendicato dalle Brigate Ezzedin al Qassam, il braccio armato del movimento islamico Hamas.


Vai all'articolo:
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/
2002/07_Luglio/31/esplosione_università.shtml



1 agosto




«Legittimo sospetto» approvato a Milano

Battute, gestacci, manifesti, richiami, urla e anche due sospensioni della seduta per l'intervento al Senato di Melchiorre Cirami (Udc), firmatario della disegno di legge sul legittimo sospetto. L'opposizione presenta oltre 900 emendamenti. Alla fine il Senato approva.


Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/
2002/08_Agosto/01/cirami.shtml



5 agosto





Si è ucciso Franco Lucentini

Lo scrittore Franco Lucentini, noto al grande pubblico per il lungo sodalizio con Carlo Fruttero, si è ucciso, a Torino, lanciandosi nella tromba delle scale della sua abitazione. Nello stesso modo, e nella stessa città, l'11 aprile 1987, si tolse la vita Primo Levi. Lucentini era malato da tempo di cancro ai polmoni.

Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/
2002/08_Agosto/05/lucentini.shtml



12 agosto




Nube tossica sull'Asia

La nube è spessa 3 km, per l'80% causata dall'uomo. Alterati il clima, le piogge e l'agricoltura. L'Onu lancia l'allarme: potrebbe raggiungere l'Europa. I dati del pericolo saranno diffusi al vertice sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, dal 26 agosto al 4 settembre.


Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Scienze_e_Tecnologie/
2002/08_Agosto/12/nubetossica.shtml



13 agosto e i giorni successivi




Inondazioni in Centro-Europa

Drammatica situazione a Praga. La capitale della Repubblica Ceca deve affrontare un'inondazione di proporzione catastrofiche. La Moldava ha straripato inondando la parte bassa della città.

In pochi giorni le piene travolgono l'Europa centrale, Germania e Dresda in testa.


Vai all'articolo su Praga:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/
2002/08_Agosto/13/praga.shtml


Vai all'articolo su Dresda:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/
2002/08_Agosto/16/ticino.shtml











17 agosto




Uccise le bimbe inglesi scomparse

Jessica Chapman e Holly Wells, le bimbe di 10 anni scomparse due domeniche fa nella cittadina di Soham, sono state uccise. La polizia del Cambridgeshire ha incriminato Ian Huntley, 28 anni, bidello della scuola del villaggio e la sua compagna Maxine Carr, 25.


Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/
2002/08_Agosto/17/bambine.shtml



18 agosto




Folla immensa per il Papa nella sua Cracovia «Sovente l'uomo vive come se Dio non esistesse e perfino mette se stesso al posto di Dio», dice Giovanni Paolo II davanti a una folla stimata in quasi tre milioni di persone. Durante la Messa il pontefice nomina quattro nuovi beati.



Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Esteri/
2002/08_Agosto/18/papa_cracovia.shtml



20 agosto




Il campionato di calcio slitta al 15 settembre

Slitta al 15 settembre l'inizio dei campionati di calcio di Serie A e B. Le Lega chiede al governo che venga proclamato lo stato di crisi del calcio, la risposta è negativa.




Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/
2002/08_Agosto/20/assembela.shtml



23 agosto




Ronaldo torna a Milano, il Real: niente accordo

Ronaldo resta all'Inter. Il colpo di scena arriva dal sito ufficiale del Real Madrid: le trattative per il passaggio del Fenomeno al club spagnolo sono finite. «I colloqui tra le due società sono stati cordiali, ma infruttuosi».



Vai all'articolo:

http://www.corriere.it/Primo_Piano/Sport/
2002/08_Agosto/23/ronaldo.shtml

DA PAOLO FLORES D'ARCAIS



Cari amici,
le prossime settimane sono decisive, perché ormai il rientro dalle vacanze
si sta completando. La sensazione, abbastanza entusiasmante, che si ha dalla
circolazione di e-mail, è che centinaia di persone, nelle più diverse
località, stiano già operando come dirigenti/organizzatori della
manifestazione del 14 settembre. Nessun autocompiacimento e nessuna pausa,
però: Piazza del Popolo è davvero molto, molto grande.

Alcune informazioni dettagliate su tre temi cruciali.


COMUNICAZIONE:

Tra due o tre giorni al massimo sarà operativo il nuovo sito unificato dei
movimenti in vista della manifestazione del 14 settembre.

Si chiamerà www.centomovimenti.it e conterrà i links con gli altri siti
già esistenti, tutte le informazioni su come organizzarsi con treni e
pullman, l'aggiornamento sulla preparazione della manifestazione (adesioni,
ecc), un essenziale "eco della stampa" (sia favorevole che ostile), la
possibilità di contribuire con carta di credito via internet
all'autofinanziamento.

E soprattutto la possibilità di ricevere una newsletter quotidiana (che si
chiamerà, anch'essa, "centomovimenti"), nelle due settimane precedenti e in
quella successiva la manifestazione, che oltre alle informazioni conterrà
anche veri e propri brevi articoli. Una sorta di quotidiano on-line a tutti
gli effetti.

Poiché vogliamo rispettare rigorosamente l'etichetta della rete, questa
nuova newsletter quotidiana verrà inviata automaticamente solo a quanti già
si erano iscritti alla newsletter del sito manipulite.it (fermo restando che
basterà un clic per chi non la volesse poi più ricevere). Per tutti coloro
invece che si sono iscritti a liste e-mail di altri siti (da
opposizionecivile.it a igirotondi.it, a tutte le moltissime altre), la
newsletter verrà inviata solo a chi lo vorrà, iscrivendosi appunto
nell'apposita casella del nuovo sito "centomovimenti.it"


TRASPORTI:

Stiamo provando a organizzare alcuni "treni speciali". E' possibile farlo
solo per alcune linee e in numero molto limitato.

Il vantaggio è il costo (circa la metà di un biglietto di seconda classe),
e il piacere di viaggiare insieme. Lo svantaggio è un tempo di percorrenza
più lungo.

Poiché i tempi di percorrenza e gli orari vengono stabiliti dalle ferrovie
solo se avanziamo una richiesta ufficiale, e poiché in tal caso dobbiamo poi
(pena decadenza della prenotazione) pagare in pochi giorni un anticipo di
circa la metà dei costi, è necessario fare una sorta di pre-prenotazione.
Se, per ogni treno, nei prossimi giorni arriverà un numero sufficiente di
pre-prenotazioni, andremo avanti. Altrimenti rinunceremo a tale mezzo di
trasporto.

Indichiamo qui di seguito, perciò, le condizioni probabili che ci verranno
fatte da Trenitalia. Se poi dovessero essere peggiori di come ce le
aspettiamo (tempi di percorrenza troppo lunghi, orari troppo disagiati),
resta inteso che la pre-prenotazione non comporta alcun obbligo di
acquistare il biglietto.




I treni speciali possibili sono i seguenti:

due Napoli-Roma-Napoli (15 euro circa)

due Firenze-Roma-Firenze (22 euro circa)

due Bologna-Roma-Bologna (25 euro circa)

uno Viareggio Pisa-Livorno-Grosseto-Roma e ritorno (25 euro circa)

uno Piacenza-Parma-Reggio Emilia-Modena-Roma e ritorno (32 euro circa)

ciascun treno porta 1002 passeggeri.

Tutti questi treni partirebbero la mattina: molto presto quelli da
Bologna, Viareggio, Piacenza, più ragionevolmente quelli da Firenze e
Napoli.

Inoltre è possibile un treno Milano-Roma-Milano (36 euro circa), che
viaggerebbe però di notte, dunque la notte del 13 all'andata e la notte del
14 al ritorno.

I treni non fermeranno in nessuna stazione diversa da quelle indicate.

Per pre-prenotarsi da Milano, mandare subito una e-mail a:

krome@libero.it

per pre-prenotarsi dalle altre stazioni mandare una e-mail a:

napoli.speciale@manipulite.it

firenze.speciale@manipulite.it

bologna.speciale@manipulite.it

eccetera.

Esiste poi la possibilità di utilizzare i treni ufficiali, con uno sconto
comitiva del 10% se Eurostar e del 20% sugli altri. Anche qui, bisogna
raggiungere un numero minimo (alquanto basso, tra le 20 e le 50 persone a
seconda dei treni, anche se sto verificando la cifra esatta).

Gli sconti non sono alti, ma sono un vantaggio per chi avesse deciso di
usare comunque questo mezzo di trasporto.

In questo caso non si possono fare pre-prenotazioni (del resto non
avrebbero senso) ma prenotazioni definitive. Bisogna anzi farle al più
presto, perché non si può disporre di carrozze riservate, e dunque si è in
"concorrenza" con le prenotazioni degli altri utenti.

E' essenziale che i treni arrivino a Roma non più tardi delle 12,30 (le 13
rendono già problematico l'arrivo in tempo a Piazza del Popolo, tenendo
conto che la metropolitana sarà quel giorno affollatissima, e che l'inizio
della manifestazione sarà fissata tra le 14 e le 15) e ripartano non prima
delle 19/20.

Chi vuole scegliere questa via deve dunque prenotarsi al più presto ai
seguenti indirizzi e-mail (indicando orario e sigla del treno che intende
prendere, altrimenti la prenotazione è impossibile).

Da Milano:

dea-tea2002@yahoo.it

da tutte le altre località già indicate per i treni speciali, con in più
le stazioni di Venezia, Padova, Ferrara, Rimini, Ravenna, Forlì, Verona,
Genova, Ancona, Salerno, secondo il metodo:

bologna.sconto@manipulite.it

firenze.sconto@manipulite.it

venezia.sconto@manipulite.it

padova.sconto@manipulite.it

ferrara.sconto@manipulite.it

eccetera.

Per tutte le altre stazioni non menzionate sopra, infine:
scontotreno@manipulite.it



Via via che ci saranno i responsabili per ogni città di ogni treno, daremo
il nuovo indirizzo e-mail e trasferiremo ad esso i messaggi già ricevuti.

Via via che si raggiungerà per ogni treno il numero minimo di viaggiatori
per far scattare lo sconto comitiva, daremo gli indirizzi relativi per
andare a pagare il biglietto.

Daremo nei prossimi giorni anche alcuni indirizzi per chi voglia viaggiare
in pullman, oltre a questo da Milano che diamo subito:

silviascognamiglio@hotmail.it


Per i pullman, comunque, le indicazioni che daremo devono essere
considerate solo una piccola aggiunta, per chi non avesse già altri
contatti, rispetto allo sforzo di auto-organizzazione di pullman che si sta
effettuando in ogni città. Non deve dunque in nessun modo essere considerato
sostitutivo di tale sforzo e impegno, che va continuato con la massima
intensità e in modo decentrato, basandosi sull'iniziativa di circoli, gruppi
di amici, singoli individui, poiché sarà proprio questo "mare" di pullman
auto-organizzati a costituire la parte preponderante del lavoro
organizzativo di spostamento (e a decretare il successo o il minor successo
della manifestazione).

In proposito, oltre ad associazioni e gruppi di tipo "tradizionale", vi
sono anche associazioni "virtuali" che stanno organizzando dei pullman (mi è
giunta notizia di un sito di fans di Jack Folla, il personaggio di Diego
Cugia, ad esempio). E' un'ottima idea, a cui fin qui non avevamo pensato.
Chi è attivo in una di queste "comunità virtuali" (ci saranno, immagino,
quelle legate ai romanzi di Camilleri e al suo commissario Montalbano, o a
qualche cantante, o a tante altre personalità e personaggi, ecc.) può
prendere l'iniziativa di trasformare una comunità virtuale in un pullman in
carne ed ossa.

Non appena avremo incontrato il sindaco di Roma, faremo sapere con
esattezza le zone di parcheggio per i pullman e i collegamenti di
metropolitana (o eventuali bus-navetta) con piazza del Popolo.


Come avrete notato, alcune regioni (o parti di regione), soprattutto al
sud, ma non solo (anche Torino, ad esempio, o il Friuli-Venezia Giulia),
avranno maggiori difficoltà per quanto riguarda i trasporti. Purtroppo
dipende dalla conformazione del territorio e dallo stato delle
infrastrutture. Qualsiasi suggerimento per rendere più agevoli i
trasferimenti da tali regioni sarà più che benvenuto.


AUTOFINANZIAMENTO:

Il quotidiano di Alleanza nazionale, "Il secolo d'Italia" ha aperto una
campagna di menzogne che - sono facile profeta - continuerà su altri fogli e
video governativi: ha scritto infatti che - attraverso un articolo di Pancho
Pardi - avremmo minacciato i partiti di centro-sinistra in questi termini:
"se non ci date i soldi, niente manifestazione" (le espressioni usate dal
quotidiano governativo erano, naturalmente, assai più volgari).

Falso, ovviamente. Non abbiamo chiesto e non chiederemo ai partiti (o
altre organizzazioni) neppure una vecchia liretta.

Pagheremo tutto di tasca nostra, fino all'ultimo euro. E questo malgrado i
costi della manifestazione siano alquanto elevati (quasi da paura, anzi).
> Tutti coloro che partecipano all'organizzazione stanno lavorando
rigorosamente gratis, ovviamente (e in realtà, anzi, pagando in proprio
molte spese vive, dai telefoni alla benzina, eccetera).

I cantanti che saranno sul palco parteciperanno a titolo gratuito,
ovviamente (e anche loro, talvolta, in realtà spenderanno in proprio per
spese vive e magari per collaboratori).

Tutti si pagheranno il proprio viaggio, compresi quelli che i viaggi li
organizzeranno.

Ciononostante il palco, la sicurezza, l'amplificazione, i maxischermi, gli
allacciamenti, e via enumerando, costano cifre quasi proibitive. Che
tireremo fuori noi, senza chiedere alcunchè ai partiti e al loro
finanziamento (benchè anche tale finanziamento pubblico sia uscito proprio
dalle nostre tasche). I massmedia governativi sono perciò pregati di
rinunciare alle loro menzogne in proposito.

Il giorno della manifestazione circoleranno le "ceste" per una
mega-colletta, come al Palavobis (più a ridosso della manifestazione ne
daremo la dettagliata descrizione, con riferimenti ai documenti visibili di
chi sarà autorizzato alla raccolta). Fin da ora abbiamo però attivato,
grazie alla collaborazione dell'Arci - che ringraziamo vivamente - tre
modalità di pagamento per partecipare subito all'autofinanziamento della
manifestazione. La cosa è tanto più urgente, perché per i treni speciali
dovremo anticipare almeno metà degli importi (si tratta, solo per questo, di
decine e decine di milioni di vecchie lire. Il palco e il resto costeranno
molto ma molto di più).






CONTO CORRENTE POSTALE n.ro 87210001

Intestato: ARCI Nuova Associazione - Via Monti di Pietralata, 16 - 00157

ROMA

Causale: "CentoMovimenti" (o "14 settembre" o altro, va bene qualunque
cosa renda riconoscibile la destinazione della donazione)



Oppure un bonifico bancario (tramite qualsiasi banca) sul

CONTO CORRENTE BANCARIO n.ro 505052 (codice ABI 05018 codice CAB
12100 ) , della
Banca Popolare Etica - Filiale di Roma

Intestato: ARCI Nuova Associazione "Cento Movimenti" - Via Monti di

Pietralata, 16 - 00157 ROMA

Causale: va bene "14 settembre" o anche qualsiasi cosa, il conto è stato
aperto appositamente e viene usato solo per questa occasione.


Oppure un versamento con carta di credito attraverso il sito

www.centomovimenti.it

non appena attivo (potrebbe esserlo già domani, comunque non oltre
mercoledì, così ci è stato garantito dalla "authority" competente".


Prima ancora che attivassimo questi conti, abbiamo ricevuto alcune
richieste da persone che già volevano contribuire (in un paio di casi per
cifre consistenti: un milione di vecchie lire). Siamo dunque certi che anche
questa volta riusciremo ad autofinanziarci, compresi i soldi per attivare il
nuovo sito e attrezzarlo per il 14 settembre a garantire - se non una
diretta - almeno la possibilità di servizi anche in audio e in video delle
parti salienti della manifestazione (anche per il sito, tutti lavorano
gratuitamente, come del resto in tutti i siti che fanno riferimenti a
movimenti, palavobis e girotondi: ma sussiste una quantità di spese tecniche
inderogabili, e soprattutto di acquisti di "spazio" sulla rete).

Credo che, per la parte che riguarda l'autofinanziamento, sarebbe
opportuno che ciascuno, nel far circolare il più ampiamente possibile questa
lettera, la personalizzasse al massimo. Anche perché ciascuno ha conoscenti
che in fatto di reddito possono di più o possono di meno. E comunque,
personalizzare l'invito agli amici a contribuire all'autofinanziamento, con
il proprio stile e i propri argomenti, e magari con lettere diverse a
seconda del tipo di amici e conoscenti cui ci si rivolge, fa parte di un
modo non burocratico e non anonimo con cui tutti ci stiamo impegnando a
realizzare ogni aspetto della manifestazione del 14.
> Che avrà, come tutte le nostre manifestazioni, il carattere dell'impegno e
il carattere della festa. Insieme. Perché per noi la politica, fatta e
vissuta in prima persona, è entrambe le cose. E non è affatto noiosa. E'
gioia e allegria, anche se qualche volta è fatica.


> Una Festa di Protesta, insomma, allegra e coloratissima (non aggiungo
nemmeno: pacifica, perché sarebbe già un'aperta provocazione se qualcuno
solo avanzasse un vago sospetto in contrario. Ma un brutto editoriale di "Il
foglio" sembra proprio voler aprire anche questo disgustoso capitolo).

Associazioni, gruppi, singoli, preparino dunque le proprie bandiere, i
propri striscioni e cartelli, i propri slogan e cori, le proprie vignette e
pupazzi di satira. Anche su questo si potranno scambiare idee e "invenzioni"
sul nuovo sito "centomovimenti".


Un'ultima considerazione: abbiamo l'impressione di essere molto forti
nella fascia d'età superiore ai 35 anni, assai meno in quella inferiore. E'
importante perciò curare in modo particolare i contatti con ogni espressione
organizzata - sul territorio o in rete - della realtà giovanile,
coinvolgendo tanti cittadini più giovani nell'organizzazione del 14
settembre.



Un grazie a tutti

Paolo Flores d'Arcais

26.8.02

QUELLA VOLTA CHE DIFESI L'ASSASSINO DI PASOLINI


da Fausto Cerulli



Quella mattina dovevo discutere una causa piccola piccola alla Pretura di Tivoli, e mi ero ripromesso di andare a visitare Villa Adriana; sicché presi di buon umore l’autobus che partiva e forse parte ancora dai giardinetti accanto alle Terme di Diocleziano, che allora erano in abbandono perché non era ancora l’Era di Rutelli.

L’autobus, mi ero informato, avrebbe impiegato appena un’ora per arrivare a Tivoli,

giusto il tempo di dare una scorsa alla guida di Tivoli che avevo comprato alla Stazione Termini.



Quando arrivai a Tivoli, saranno state le otto e mezzo, mi feci indicare la Pretura e mi affrettai: come avvocato che viene da fuori, in genere i colleghi ti danno la precedenza ed il Pretore chiude un’occhio sull’ordine di chiamata delle cause. Così

avrei avuto tutto il tempo per andare alla villa di Adriano ( che allora non era ancora la villa immortalata da una scrittice francese e poi da un attore inquieto ed inquietante, la Yourcenaur voglio dire e Giorgio Albertazzi) prima di riprendere l’autobus per Roma.



Invece le cose non andarono per il loro, anzi per il mio, verso: perché non feci in tempo ad entrare in Pretura che un cancelliere mi chiese di andare nell’ufficio del Pretore; questi mi disse che durante la notte avevano arrestato un tizio che cercava di rubare in un appartamento e che il processo andava fatto per direttissima e che dunque mi si dava l’incarico di difenderlo. Chiesi ed ottenni di parlare con il mio cliente cosiddetto d’ufficio: nella stanza in penombra dove gli imputati detenuti attendono in compagnia delle guardie di essere processati, chiesi di parlare con il topo d’appartamenti: un tale grassoccio, dai capelli untuosi, giacca e calzoni a borchie e l’aria insonnolita. Tanto per dirgli qualcosa gli chiesi se aveva riportato

qualche condanna, prima di allora, ( si chiamano, chissà perché, i “precedenti “; for-

se perché si ritiene che ci saranno “ i successivi “) e lui mi disse che sì, che aveva fatto tre o quattro anni di carcere per omicidio. Mi sembrò strano che per un omicidio, anche se tutto e nulla è strano nella nostra Giustizia, avesse scontato una

pena tutto sommato così lieve. Fu allora che mi disse che l’omocidio l’aveva fatto da minorenne. Ed aggiunse, con una specie di orgoglio sparolato, che lui era Pino Pelosi, quello che aveva ammazzato Pasolini. E mi parve quasi che si meravigliasse che io non lo avessi riconosciuto. In effetti era cambiato, rispetto a quel ragazzo ricciuto e

spavaldo che aveva occupato le pagine dei giornali dopo la morte dello scrittore.



Ora penso che lui pensasse che gli avrei chiesto di quell’omicidio, ma d’improvviso mi sentii stanco e svogliato. Gli spiegai in fretta cosa doveva dire al Giudice per cavarsela con il minimo della pena, e feci per andare in Aula; ma si era sparsa la voce che il Pelosi era di nuovo immischiato con la legge, e nei corridoi s’era formato un capannello di giornalisti: del Messaggero, penso, e del Tempo e di Paese Sera che erano i giornali di Roma e dintorni. Mi chiesero particolari, si informarono su quello

che Pelosi mi aveva detto, soprattutto li incuriosiva di sapere che effetto mi facesse difendere l’ex assassino di un personaggio storico.



Feci finta di non sapere che il mio assistito d’ufficio fosse quel Pelosi di cui loro parlavano e tirai di lungo. Quando fu chiamato il processo, anche il Pretore provò

ad accennare a quel famoso “precedente”: ma non mi fu difficile troncargli un po’ il discorso, visto che quella mattina Pelosi aveva da essere giudicato soltanto per un tentativo di furto, sia pure un po’ aggravato. Il processo fu breve: il Pelosi si prese un paio d’anni, e niente sospensione; perché era recidivo: recidivo di un omicidio, sia pure commesso da minorenne. Fuori dell’aula fui avvicinato dalla madre di Pelosi che mi spiegò che non aveva soldi da darmi, e mi chiese di fare l’appello che qualche

cosa avrebbe rimediato.



Non andai a Villa Adriana, ovviamente: ma perché, poi, ho scritto “ovviamente “ ? Mi ricordai di quell’episodio quando per qualche giorno, nella rubrica quotidiana di Montanelli sul Corriere, si discuteva se l’omicidio di Pasolini fosse stato un omicidio politico, organizzato dai fascisti di turno, o un omicidio per squallide questioni di squallido sesso.



Intervenni nella polemica: e nonostante la venerazione che provo per quasi tutto quello che ha scritto Pasolini, raccontai in una lettera quel processo di Tivoli, e sostenni che non avrebbe fatto il topo di appartamenti un Pelosi che avesse compiuto quell’omicidio su mandato di altri: ché avrebbe avuto in mano un’arma di ricatto da camparci discretamente una vita. Alle spalle dei mandanti politici di destra o di sinistra. Niente intrigo politico, dunque, almeno una volta tanto.



Ricordo che Montanelli chiosò seccamente la mia lettera: sono perfettamente d’accordo con lei, scrisse il mitico Indro.

24.8.02

QUELLA VOLTA CHE FECI ARRABBIARE KHOMEINI


da Fausto Cerulli



Considerando che l’Iran sta tornando di moda,, vorrei parlare di quella volta che feci arrarabbiare Khomeyni, e un po’ anche Craxi.
Quel giorno di agosto ero rimasto solo, nello studio legale in cui mi aveva ospitato, per fare soccorso rosso, Rocco Ventre. Verso le due del pomeriggio ricevetti una telefonata dal rappresentante in Italia di uno dei tanti gruppi che cercavano di far le scarpe al regime degli ayatollah, e che aveva come riferimento il nostro studio.
Due iraniani avevano dirottato su Fiunucino un aereo delle linee interne di Iran Air: a bordo un centinaio di iraniani che nelle loro intenzioni avevano programmato un viaggio da Teheran e Shiraz e che ora si ritrovavano all’aereoporto di Fiumicino, con il loro aereo circondato da un nugolo di poliziotti e finanzieri.
L’iraniano che telefonava chiedeva di intervenire: il dirottamento, mi diceva, aveva uno scopo politico, era una dimostrazione antikhomenista, e i due dirottatori andavano difesi a livello politico.


Per il momento si trattava di risolvere problemi tutto sommato di dettagli: i dirottatori chiedevano che l’ aereo non fosse rispedito in Iran, e i viaggiatori, in maggioranza, erano d’accordo con loro. Ma il governo iraniano aveva già richiesto, con la prepotenza del petrolio, che l’aereo fosse rispedito a casa.
A Fiumicino non fu difficile convincere i due dirottatori a consegnarsi alla polizia: avranno avuto quarant’anni in due, erano spaventati e sorpresi di quella storia piu’ grande di loro: per convincere i piloti a far rotta su Roma avevano mostrato una scatola di cartone, legata con uno spago ( la vidi tra i corpi di reato) dicendo che era piena di esplosivo. Nessuno mi leva dalla testa che i piloti abbiano soltanto fatto finta di spaventarsi, e che anche a loro non dispiaceva un “transito “ romano.


Per convincere i due ragazzi ad arrendersi, avevo promesso che avrei fatto di tutto per consentire ai passeggeri che lo desideravano di restare a Roma: cominciai una serie di telefonate con Gennaro Acquaviva, che all’epoca si occupava di questioni estere per il governo Craxi:; Acquaviva mi disse che avrebbe sentito Craxi, in quei giorni d’estate in vacanza non so dove ( forse faceva le prove di Hammamet).


Dopo cinque o sei telefonate, Acquaviva mi fece capire che le autorità iraniane rivolevano indietro aereo e passeggeri: e non si poteva dir di no: diritto internazionale, mi diceva, ed io gli rispondevo che era diritto di petrolio. Alla fine un compromesso, ovviamente perdente per me e per gli iraniani dissidenti: passeggeri ed aereo fecero ritorno a Teheran: a Roma restò solo un bambino iraniano di tre anni, con i suoi genitori: lo stavano portando a Shiraz per un delicato intervento di cardiochirurgia.
Fu operato a Roma, da Marcellini del Bambin Gesù: e fu l’ unico a trarre vantaggio dalla vicenda.
A Shiraz, mi disse Marcellini, probabilmente non gli avrebbero potuto fare nulla.


I due dirottatori furono processarti per direttissima; ricordo che chiesi al Presidente del Tribunale qualche giorno per studiarmi le carte, mi concesse tre ore, suscitando l’ira funesta di Capanna, che era tra il pubblico e che, quando il giudice mi concesse soltanto tre ore, si mise a gridare buffoni, rivolto ai giudici, e fu espulso dall’aula. Formidabili, dici bene Capanna, quegli anni.


Il problema era di non dare spazio alla norizia, ordine di Teheran: e il Tribunale si sbrigò alla svelta: assolto uno dei dirottatori perché dormiva, sette anni all’altro.
La sera, insieme al dissidente iraniano, andammo a Regina Coeli per prendere in consegna l’iraniano assolto: ma mi dissero che l’aveva giè preso in consegna la nostra Polizia.
Telefonai in Questura, un po’ scocciato: un funzionario mi disse di star calmo e di recarmi verso le nove di sera in un albergo vicino a Stazione Termini: si raccomando’ vivamente che non dicessi nulla ai giornali.


Quando arrivai in quel piccolo albergo c’erano due penne d’oro dek Messaggero ed un fotografo.Fu allora che imparai che esistono gazzettieri di polizia.
L’iraniano assolto mi abbracciò commosso e due giorni dopo partì per gli States, come rifugiato politico. Ogni tanto scriveva qualche cartolina a colori da Miami al suo compagno di avventura: che rimase in galera cinque o sei mesi, e poi credo sia andato anche lui a Miami. Avrei voluto chiederne notizie al rappresentante dei dissidenti: ma il poveretto si è scontrato con tre o quatto proiettili.

Omicidio ad opera di ignoti.

IL MIO INCONTRO CON RAFANI


da Fausto Cerulli



Sul settimanale Diario, che prima della sciagurata Berlusconeide era un settimanale dignitoso, tiene una rubrica tenera e delicata il collega Jacchia; si intitola se ne sono
Andati e parla dei morti della settimana, dai più importanti ai meno , ma sempre a gente che ha lasciato un segno. Una rubrica simile la trovi su El Mundo, un quotidiano che ho spesso letto in Spagna e dal quale avremmo tutti qualcosa da imparare; su El Mundo la rubrica “ Se ne sono andati” ha un altro nome, ibericamente barocco ma etimologicamente affine “ Obitorjois”.


E’ su questa rubrica di El Mundo che ho scoperto che è morto il 16 aprile di quest’anno un personaggio importante, anche se il suo nome non dirà molto a molti. Si chiamava Mohamed Rafani, era nato nel ‘ 51, a Kandahar, ed è morto a Rawalpindi, in Pakistan, a cinquant’anni.
Nel frattempo era stato il numero due dei talebani, quelli che sono diventati famosi in questo ultimi giorni perché sparavano alle statue di Buddha.
Ho conosciuto Rafani per uno di quei casi che appunto sono casi, era venuto in Italia
In incognito a farsi visitare per quel cancro che l’ha portato alla morte. Alcuni amici
Comuni hanno fatto in modo che pranzassimo insieme e che parlassimo un poco, con l’interprete.


Del talebano aveva la barba lunghissima, e l’aria combattiva nonostante quel male che non gli dava scampo. Dal 1996, quando i talebani hanno preso il potere in Afghanistan, Rafani è stato il braccio armato del movimento, la mente essendo il suocero, Mohamed Omar. Il capo spirituale stava in un posto nascosto, non per paura ma perché altrimenti che capo spirituale sarebbe stato; viveva a Kandahar, e comandava su tutto, da lontano.
Rafani, in compagnia del suo cancro incurabile, stava al palazzo del Governo, la ex
Reggia di Kabul. E si occupava degli affari correnti, fucilazioni di massa, improbabili editti sulla lunghezza della barba e sull’obbligo del chador nelle feste solenni, che poi si celebravano un giorno sì e l’altro pure.


Ma allo studente anziano Mohamed Rafani gli era rimasto uno strano paradossale attaccamento all’occidente: forse si ricordava che gli Stati Uniti avevano armato quegli strani ragazzi studenti in teologia quando combattevano contro l’Armata Sovietica e addirittura la sconfiggevano, anche se, va detto, era un’armata ormai poco armata ed assai poco sovietica.
Ricordo che in quel breve colloquio il teologo Rafani si lamentava di quello che gli
Sembrava il voltafaccia degli Usa, che lo avevano sostenuto,armato sino ai denti,
che erano bianchissimi ed affilati sotto la barba lunga come una quaresima, e che poi
lo avevano scarticato, insieme ai suoi compagni, dopo che gli avevano levato dal fuoco la castagna russa. E pensare, mi faceva tradurre, che per far piacer agli americani aveva organizzato l’esecuzione del presidente deposto, il filocomunista Najibula, e che per farlo fuori lo aveva fatto uscire con uno stratagemma dalla sede dell’Onu. Diceva queste cose con il candore orrendo di un eterno studente, deluso
dai professori made in Usa, che ora gli avevano scatenato contro la stampa e la televisione e lo trattavano da folle, una specie di Savonarola mussulmano.


Sapeva anche scherzare, don Rafani; come quando mi disse che gli Usa li avevano
Scaricati, ma tenevano una testa di ponte a mantenere i rapporti. I Talebani avevano rapporti cordialissimi con l’Arabia Saudita e gli Emirati; che non muovono foglia,
lo sanno anche i bambini dell’asillo, senza che Casa Bianca non voglia.
E si riprometteva, don Rafani, di scrivere di questo paradosso diplomatico: paradosso
Per lui, che aveva studiato in una madrasa, che sarebbe un seminario di Allah, e che non aveva avuto il tempo per studiare le finezze della diplomazia: occupato com’era a far la guerra ai comunisti ( cosiddetti ) russi, a tradurre in editti le volontà del suocero, Omar, ed a controllare il traffico dell’oppio per conto delle multinazionali
Del settore.


Ho citato Savonarola, e qualcosa di quel mistico aleggiava nella figura di Rafani. Per
Quello che ne so, non aveva né case né patrimoni: si portava il suo cancro come una
Rabbia e per curarsi gli facevano le collette i suoi colleghi studenti un po’ anzianotti.
Eppure ne maneggiava di soldi, per via dell’oppio: ma non ne fumava, Rafani, e aveva l’aria di considerarlo come un’arma strategica.
Il suo nome lo conoscevano poichi in Occidente, anche perché, bestemmia estrema, aveva decretato che chi guardava la televisione rischiava la pena capitale: anche nel peggiore degli uomini, e lui non era il peggiore, gratta gratta ci trovi una dote.


Quando il governo talebano ha deciso di bombardare Buddha, don Rafani stava morendo in Pakistan. Voglio pensare, posso dire che mi è caro pensare?, che lui,
con quella enorme sciocchezza, non avesse a che farci.
L’hanno seppellito dove era nato; ai funerali hanno assistito, ma senza pompa magna,
i ministri degli Esteri dell’Arabia Saudita, degli Emirati Arabi Uniti e del Pakistan.


Gli americani non hanno mandato neppure un telegramma. L’Occidente non si sporca
Le mani col petrolio e con l’opppio: trova sempre qualcuno che se le sporca per suo
Conto.
Rafani è morto e seppellito, non so se gli ho reso un omaggio o una ennesima immeritata presa in giro. Tutto sommato, adesso che ci penso, quel pranzo casuale
Non fu un pranzo sprecato: se fossi stato un giornalista serio, ma allora non scrivevo
Su nessuna carta stampata, avrei potuto fare il mio bravo scoop.


Ma adesso, me ne sarei magari vergognato.

NON SONO UN OCCUPANTE. PUNTO E BASTA.


di Uri Ya'acobi



Tra due giorni rifiuterò l'arruolamento nell'esercito.Andrò al centro militare, salirò insieme agli altri giovani sull'autobus e scenderò insieme a loro al Centro di Reclutamento a Tel Hashomer. A differenza degli altri, rifiuterò di farmi arruolare e, quasi sicuramente, verrò mandato in prigione. In prigione incontrerò altri due firmatari della "Lettera degli studenti delle superiori", Yoni Yechezkel e Dror Boimel. Sono stati rinchiusi in carcere la settimana scorsa, perché a loro volta avevano rifiutato l'arruolamento. Proprio come farò io. E loro come me e molti altri israeliani capiscono che questa guerra, portata avanti dallo Stato di Israele nei Territori che ha occupato nel 1967, non è una guerra dei figli della luce contro i figli delle tenebre (esattamente come non lo furono molte delle guerre combattute nel corso della storia). Quando i mezzi di informazione stranieri ci descrivono i carri armati israeliani che la fanno da padroni per le strade delle città palestinesi (chissà perché i media israeliani non ce ne parlano quasi mai), non ce la
raccontano tutta. La triste verità è che l'esercito israeliano nei Territori non si limita alle devastazioni compiute dai carri armati per le strade.Né le azioni militari si limitano a fermare le ambulanze con a bordo donne incinte ai posti di blocco. I nostri soldati si trovano in situazioni difficili, è vero, e alcuni di sicuro lo fanno per sbaglio ... ma la verità è che uccidono bambini e vecchi che non sono in alcun modo collegati con il terrorismo! Distruggono case di intere famiglie e commettono altri atti, di cui la miglior definizione è "terrorismo". Tutti questi sono atti imperdonabili, ai quali io e i miei amici ci rifiutiamo di partecipare.Sono azioni che vanno contro la giustizia. E non c'è alcuna ragione al mondo, certamente non il desiderio di colonizzare un altro pezzo di terra, che possa trasformarle in azioni giustificate dal punto di vista morale, come non c'è alcuna ragione al mondo che possa trasformare gli attacchi terroristici contro i civili israeliani in azioni moralmente giustificate. Io non so se la leadership palestinese desideri veramente la pace, io non so se i palestinesi vogliono rimanere poveri e discriminati per sempre (anche se appare difficile che sia così). Ma so per certo una cosa: che i palestinesi non ci vogliono come forza di occupazione! So che non vogliono vivere in una situazione di guerra e di continuo spragimento di sangue. So che non sono loro che ci obbligano ad occupare le loro terre; non sono loro che ci hanno trasformato in forza di occupazione. Questo siamo abbastanza bravi a farlo da soli, senza il loro aiuto. Non vado affatto fiero del mio popolo o del mio paese. Non vado affatto fiero delle azioni che vengono compiute in nome della mia sicurezza. Né sono fiero del fatto che andrò in prigione perché mi rifiuterò di servire in un esercito di occupazione (e non sono fiero neanche dell'opportunità che mi viene data di soffrire per la mia scelta di principio). Sono fiero però del fatto che ascolto la voce della mia coscienza, e sarò felice quando un numero sempre crescente di persone ascolterà la propria coscienza e non gli ordini del comandante.

23.8.02

GLI OGM FANNO MALE?


da Ennio Galante


Osservatorio sulla ricerca agricola,
Istituto di biologia e biotecnologia agraria, CNR




Mi permetta di interloquire nuovamente dopo la sua risposta al mio e-
m “OGM, Sirchia ha ragione”.
Non mi considero così presuntuoso da sperare di convincerla con 30
righe di testo. Tuttavia credo utile portare elementi nel dibattito,
essendo la questione importante e complessa. Ho notato che lei ha
ricevuto altri interventi in merito. Vengo alle sue argomentazioni.

(1) “è provato che non fanno male?” - la risposta può essere basata
su due diversi approcci: uno preventivo, che consiste nell’impostare
schemi sperimentali di prove epidemiologiche, tossicologiche acute e/o
croniche, mutageniche, immunologiche, ecc., condotte in laboratorio o
su scala pilota su microorganismi, cellule coltivale in vitro, animali
da laboratorio, persone volontarie; la seconda, a posteriori, è la
verifica dopo l’immissione sul mercato dei singoli prodotti per un
certo numero di anni. Non vedo altro modo. Purtroppo anche nel campo
della farmacologia sono avvenuti casi di farmaci molto dannosi o di
vaccini che oltre a proteggere gli umani hanno effetti tragici su
alcuni individui (non so se lei concorda con i Testimoni di Geova di
bandire a priori tutti i vaccini e le trasfusioni di sangue ?!).

(2) “se l’intendimento è quello di risolvere i problemi della fame nel
mondo …” ­ NON è solo quello. Glie ne cito altri pure socialmente
importanti: diminuire l’impiego di prodotti chimici in agricoltura
per proteggere l’ambiente (le tecniche agricole “alternative” condotte
in assenza totale di chimici per il momento credo non riescano a
soddisfare i bisogni), la salute dei consumatori, e ridurre i costi per
i produttori (si potrebbero portare molti esempi, ma non vorrei
dilungarmi troppo in questa sede)

(3) un altro ascoltatore le ha fatto l’esempio del riso ingegnerizzato
arricchito di elementi nutrizionali essenziali per le popolazioni
povere che non possono permettersi diete ricche e variate come noi
opulenti. Tenga conto che quel riso è stato creato all’International
Rice Research Institute (IRRI) nelle Flippine che non dipende dalle
multinazionali chimiche-biotecnologiche e che ricerche analoghe vengono
sviluppate anche dall’Accademia delle scienze della Repubblica Popolare
Cinese.

(4) Sulla “corsa ai brevetti” lei ha tagliato il mio precedente
intervento dove citavo (per dire da che parte sto) il mio impegno in
prima persona alla FAO e all’OCSE.

(5) “tutte le questioni debbono essere analizzate con metodo politico” ­
sono d’accordo. Anche politici e giornalisti possono essere amorali.
La informo che da molti anni la gran parte dei ricercatori accettano la
e partecipano alla politica della ricerca in tutti i paesi. Basterebbe
dare un’occhiata alle due più prestigiose riviste internazionali Nature
e Science. Politica della ricerca vuol dire: innanzitutto, raccogliere
la domanda di conoscenza e innovazione proveniente dalla società;
valutare lo stato dell’arte; definire le priorità; quantificare le
risorse necessarie e allocabili; impostare i programmi pluriennali (in
genere consultando sia la comunità scientifica che gli stakeholders
cioè gli interessati non-ricercatori; valutare lo svolgimento dei
programmi; trasferire i risultati. La informo che le maggiori
istituzioni che finanziano ricerca nel campo del sistema agricolo
documentano questa trafila di attività (ne cito alcune: USDA-ARS, BBSRC-
UK, INRA-FR, Max Plank-DE, CSIRO-AU, Direzione XII-CE, ecc.).
(casomai le interessasse la valutazione c’è un libretto “Galante, Sala,
Lanini - Valutazione della ricerca agricola”, pub. Franco Angeli, 1998).

22.8.02

IL GALEONE DI D'ALEMA



di Piero Sansonetti per l'Unità



Quest’estate Massimo D’Alema ha fatto due cose: ha scritto un libro e ha comprato una barca. Né il libro né la barca sono ancora pronti. I giornali e un buon numero di parlamentari del Polo si sono occupati però di una sola di queste due attività del presidente dei Ds. Non della scrittura del libro. E probabilmente non solo perché gran parte di loro ha una dimestichezza non eccessiva con i libri. Anche perché l’acquisto di una barca a vela da parte di un leader di sinistra è parso un ottimo argomento per ricche polemiche. Quel che più stupisce di tutte queste polemiche è il fatto che i protagonisti delle dispute non sono operai metalmeccanici a meno di due milioni al mese, e non sono neppure i pensionati al minimo, che ancora aspettano l’aumento promesso da Berlusconi.







No: sono direttori di giornali, opinion-maker alquanto benestanti, deputati, ministri e personaggi simili. L’ipocrisia, da sempre, è un elemento chiave in ogni polemica, specie nelle polemiche politiche. Talvolta però l’ipocrisia è sfacciata, allora fa sussultare.
È un delitto che un leader politico di sinistra, un po’ più che cinquantenne, acquisti una barca a vela? Si dirà: ma è una barca molto lussuosa. Facciamo i conti. Sembra che la barca che D’Alema ha acquistato sia costata circa un miliardo (ragioniamo in lire, che è più semplice: dall’anno prossimo faremo le polemiche in Euro: promesso).



Due o trecento milioni sono stati recuperati con la vendita della vecchia barca, la Ikarus, che D’Alema aveva da diversi anni, in comproprietà con due amici. Restano sette o ottocento milioni, e questa spesa è stata suddivisa tra gli stessi amici. Dunque D’Alema deve avere staccato un assegno di due o trecento milioni. È una cifra molto alta. La maggioranza degli italiani non si può permettere di spendere una cifra così alta per il proprio svago, nemmeno dopo una vita di onesto lavoro. Però esiste una consistente minoranza di italiani che invece può, e lo fa. Due o trecento milioni sono il prezzo di due stanze al mare, vicino a Roma, o vicino a Napoli, sono la metà del prezzo di un bel camper nuovo. Equivalgono a una quota di un casale in campagna o di una villetta piccola, in multiproprietà, sulle Dolomiti o in Sardegna.



Allora ci sono tre osservazioni da fare. La prima è una domanda: come mai nessuno si indigna se la dichiarazione dei redditi di Tremonti parla di guadagni per oltre 7 miliardi all’anno, cioè più di mezzo miliardo al mese, cioè quasi 20 milioni al giorno (ci mette 10 giorni a mettere da parte i soldi per prendersi una quota della barca di D’Alema)?. E nessuno si indigna per i quattro miliardi di reddito di Dell’Utri, o il miliardo e mezzo dichiarato da Previti, o per il miliardo e rotti di Sgarbi e di Frattini?
Si dirà: perché sono di destra. Dunque esiste un’etica pubblica che stabilisce che chi è di destra fa bene ad essere ricco, anche ricchissimo, anche ributtantemente ricco, e chi è di sinistra (o di centro-sinistra) deve rispettare, come i francescani il voto di povertà? Basta dirlo, dirlo forte, dirlo anche agli elettori.





(Per senso del disturbo non ho citato i 16 miliardi dichiarati da Berlusconi, né le sue cinque case a Milano, né le sue cinque ville in Sardegna, né le sue tre barche ciascuna delle quali vale da cinque a venti volte quella di D’Alema. In Sardegna mi hanno detto che una villa di Berlusconi, se affittata, in agosto, rende dai trecento ai seicento milioni. Solo in un mese. Non ci credevo, me lo sono fatto ripetere e me lo hanno ripetuto. E chi me lo ha ripetuto era una persona che sapeva).



Seconda osservazione. Quale è la morale secondo la quale un signore che guadagna quanto te, o più di te, oppure tre o quattro o dieci volte più di te, si indigna per il fatto che tu sei troppo ricco? Ci piacerebbe sapere quanto guadagna il direttore del Giornale, Maurizio Belpietro, o quanto guadagna il nostro amico Giuliano Ferrara, eccetera. Quale è e come funziona l’empito morale che li spinge a saltar su alla notizia che D’Alema ha una barca grande? Belpietro addirittura ha fatto una campagna contro Cofferati, accusandolo - con un titolo di prima pagina, in testata, a sei colonne - del seguente misfatto: negli ultimi tempi la sua pensione sarebbe lievitata da un po’ più di venti milioni a oltre quaranta. No, non al mese: all’anno. No, non netti: lordi. Vuol dire circa due milioni e duecentomila al mese. In quanti minuti Belpietro guadagna quella cifra?







La terza osservazione è la più seria. Può darsi che nella campagna contro la barca di D’Alema sia contenuto il seguente messaggio: questa società occidentale è troppo ingiusta. C’è gente che non ha un soldo, ci sono famiglie di quattro persone che vivono al limite della povertà con un solo stipendio sotto i due milioni, e poi c’è gente normale, perbene (non solo i milardari e gli speculatori) che vive con due o trecento milioni di reddito (lordo), come D’Alema e come poche altre centinaia di migliaia di persone. Questa osservazione è più seria: però non sono sicuro che sia il punto al quale vogliono arrivare i critici di D’Alema.







Negli anni sessanta un grande imprenditore e intellettuale come Adriano Olivetti aveva stabilito una regola: nelle sue aziende, i salari e gli stipendi erano diversificati e si ispiravano a un principio meritocratico, però con un limite; nessuno poteva guadagnare più del triplo di nessun altro. Cioè lo stipendio dell’ultimo operaio doveva essere non inferiore a un terzo dello stipendio del direttore. Vogliamo porci l’obiettivo di realizzare l'olivettismo sul piano nazionale? A me sembrerebbe una splendida idea, potremmo perfino allargare un po’ le maglie, decidere che il rapporto sia da uno a cinque, anziché da uno a tre. Vuol dire che se l’operaio più povero arriverà a guadagnare 2 milioni al mese, il migliore di tutti noi - e cioè Berlusconi - potrà guadagnarne dieci. Con dieci milioni al mese - credo - non si vive male.







A quel punto però D’Alema dovrà ridurre le sue pretese e contentarsi di una barca un po’ più piccola. Anche Berlusconi, Frattini, Tremonti, Sgarbi, Ferrara e Belpietro dovranno un po' rivedere i loro bilanci. Vendere qualche casa, qualche barca, qualche fattoria, qualche miliardo di azioni.
A me sembrerebbe una splendida idea. Intravedo una bell’Italia. Non so se anche i critici di D’Alema sono d’accordo.



P.S. Una preghiera a D’Alema, sincera, amichevole: per favore, fallo per noi che ti vogliamo bene: non comprare più barche.

18.8.02

A CASA DI LUCA COSCIONI


da Fausto Cerulli



Un mese fa, era tempo di elezioni, Luca Coscioni era riuscito a far parlare di sé, vincendo la coalizzata resistenza dei guelfi e ghibellini di allora: discordi a parole quasi in tutto e solamente concordi su un punto: le elezioni erano” cosa loro” e gli altri concorrenti non dovevano esistere. Coscioni ottenne di sforare il silenzio con la sua voce aspra e metallica di sintetizzatore, e la sua immagine apparve come una bestemmia radicale sui teleschermi, nelle ore di minima audience e travisata; lui voleva apparire per quello che era, il leader di un movimento politico che aspirava a sedere in Parlamento: e i media lo facevano apparire come un malato di riguardo, una specie di portavoce di ammorbati.



Comunque apparve, comunque lo stridio della sua voce turbò qualche coscienza: e ottenne di essere ricevuto da Ciampi, ebbe la visita del ministro buono, il Veronesi; ed ebbe anche, ma di questo i media preferirono tacere, l’appoggio di cinquanta premi Nobel: e un messaggio di uno scrittore comunista, Saramago, che per lui scovò parole da cristiano e in lui vide una specie di laicissimo Messia.



Tutto questo accadeva un mese fa, di tutto questo fu notizia nonostante la congiura del silenzio.



Poi, passate le elezioni e riacquistato da parte dei vincitori e dei perdenti di riguardo, il diritto a fare dei mass-media quegli strofinacci d’inchiostro e di tettone che tutti conosciamo, anche Luca Coscioni scomparve. A conti fatti aveva ottenuto, con Emma Bonino, quasi un milione di voti: non gli erano bastati per andare in Parlamento, ma dovevano bastare, santo Iddio, perché si parlasse di lui almeno la decima parte di quanto si parlava e si parla di D’Antoni e di Di Pietro e di Gianni De Michelis, con rispetto parlando. Invece silenzio, silenzio d’ordinanza.



Spente le luci dei riflettori, che invero per lui furono accese poco e tardi, Luca Coscioni si dovrebbe avviare, come una Gloria Swanson radicale, su qualche viottolo del tramonto. Lui, a 33 anni…



E allora sono andato a scovarlo, lui che non si è mai celato in alcun covo: ed a restituirgli la voce,nuda, cruda e sintetizzata.



Viaggio in casa di un leader che si volle sconfitto e che si vuole scomparso dalla scena.



Luca non è cambiato molto, dal tempo in cui, se così vogliamo dire per tranquillarci la coscienza, fu sotto la luce dei riflettori. Sta sempre bloccato nel suo male che qualcuno ha deciso non si debba curare, e ci fa da interprete preziosa Maria Antonietta, che gli legge le frasi sulle labbra.



Il suo primo pensiero è per un compagno della battaglia radicale, candidato al Senato,

e morto qualche giorno fa: si chiamava Massimo Fenoia, ma ne cerchereste invano notizie sui giornali che contano e che cantano: anche se è stato preside all’Università di Roma tre, e dunque qualche piccolo necrologio gli accademici glielo potevano riservare; anche se è morto da cattolico credente, e dunque ti saresti aspettato quattro righe sull’Avvenire.Nada de nada.Meglio non nominare i radicali,danno fastidio

anche da morti in questa democrazia poco perfetta.



Domando a Luca Coscioni che succede nel mondo radicale: anche perché uno strano silenzio ingombra in questi giorni la loquacissima radio radicale: Il comitato dei radicali ( di cui Luca Coscioni è presidente) ha deciso, subito dopo le elezioni, una manifestazione pensierosa che si chiama “ il comitato lungo un mese”: e allo scader del mese, giusto il 12 luglio, i radicali si troveranno insieme all’Hotel Ergife per fare il punto della situazione. Intanto durante questo mese di riflessione, la vita del movimento radicale si svolge anche via Internet. Un affollarsi di messaggi, proposte, critiche e critiche delle critiche. Ed il centro propulsore è anche e soprattutto il computer portatile di Luca Coscioni, adattato alle sue esigenze di persona che

muove soltanto un dito e con quel dito muove la posta elettronica e muove i militanti delusi e tiene in vita il Movimento. La sconfitta del 13 maggio è stata una sconfitta cocente: ma non basta una sconfitta a piegare la voglia radicale di far politica alla maniera radicale. Certo, mi fa dire Luca Coscioni, il fatto di non avere neppure un seggio in Parlamento ( ed è la prima volta che succede, dopo un venticinquennio di presenza fastidiosa e pungente) rende tutto più difficile: ma non essendo

i radicali avvezzi alle poltrone e alle prebende, la battaglia va avanti.



Il come e il quando sarà deciso al Comitato di metà luglio: per ora non si rilasciano anticipi o veline: i radicali, quando riflettono su se stessi, non accettano di essere

riflessi.



Qualche anticipazione, comunque, è lecita. A partire dal mese di settembre verrà avviata la raccolta di firme per due proposte di legge di iniziativa popolare: la prima relativa alla clonazione terapeutica, la seconda tocca un tema scottante, l’eutanasia.



Una cosa è discettarne in accademie, una cosa è chiedere alla gente di far passare una

proposta di legge: non usa queste parole, Luca Coscioni, ma il concetto è proprio

questo: mettere la dolce morte con i piedi per terra, e costringere il popolo italiano a confrontarsi con essa. Coscioni è pienamente convinto che maggioranza e opposizione non hanno la volontà di mettere in campo questi temi, brucianti e trasversali; spetta dunque ai radicali farsi avanti,come ai tempi del divorzio e dell’a-borto, e togliere le castagne bollenti dal fuoco. Non importa se poi qualcuno vorrà appropriarsi di una eventuale vittoria, e chiamar sua una legge che non ha il coraggio di dibattere in Parlamento: di questi scippi è fatta, anche, la storia radicale.



Chiedo a Coscioni qualche giudizio sul nuovo governo. Per quello che lo riguarda da vicino, pensa che il neo ministro della Sanità non sarà tenero con la battaglia radicale per la ricerca sulle cellule staminali ricavabili dagli embrioni in soprannumero. In fin dei conti Sirchia fece parte della Commissione Dulbecco, che decise per la liceità di quel tipo di ricerca: ma Sirchia faceva parte, guarda caso, della minoranza vittoriosa: quella che all’ombra del Cardinal Ruini fece appassire la maggioranza permissiva.



Ancora. Apprendo da Coscioni che i radicali stanno riprendendo il tema del partito radicale transnazionale: anche perché, spazzati via dal Parlamento Italiano, sono presenti ancora in quello europeo, con tipi che non dormono, tanto per fare nomi Emma Bonino: e se in Italia i grandi temi vengono sapientemente celati, in sede europea è in funzione una Commissione che si occupa alla grande di bioetica, che ha raccolto il parere anche di Luca, e che darà luogo entro quest’anno ad un
Risoluzione sulla clonazione terapeutica.



Mi guardo intorno, mentre Luca Coscioni spazia su questi temi, e la moglie mi traduce le sue frasi: una stanza non grande, un computer portatile su un tavolo moderno, la poltrona di Luca, qualche foto di quando fece la maratona in quel di Carpi, sognando la maratona di New York.



Si fa fatica a pensare che da questa stanza dentro il grembo di Orvieto si muova la

speranza radicale, e la rabbia, e la voglia di sopravvivere alla sconfitta. Già, la sconfitta: Luca è perentorio, sul tema. La congiura cominciò dopo la vittoria inattesa alle elezioni europee del 13.6.99: una vittoria che mise in allarme i dicitori di parole e i facitori del poco o nulla; i quali, in disaccordo su tutto, strinsero un patto chiaro per

amicizia lunga e tormentata: i radicali spariscano, prima che il loro seme laico e

liberale possa attecchire. E pacta sunt serbanda. I radicali non disturberanno la quiete

olimpica delle novelle camere. I giochi sono fatti?



Mentre saluto Luca, gli leggo sulle labbra un sorriso ironico e dolce. Poi stringe le

sue inutili labbra, e capisco che la battaglia radicale continua. Accidenti, se continua…

Avv.Lina Arena compilation



Lettere a www.sabellifioretti.blogspot.com by avv.Lina Arena



A cura di Luca di Ciaccio




Tu cosa mi offri? Parole al vento e banalità egoistiche. Ti dovresti vergognare per le cose che dici. Comunque le puoi ancora dire e volentieri le leggo perché so cosa risponderti.




Il tuo computer caro Claudio non te lo ha costruito il compagno Putin né il compagno Pintor. Lo ha fatto Bill Gates e la tua e mia condizione di vita è diventata più comoda e felice grazie a questo strumento. Mi adopererò affinchè tutti ne possano avere uno.




Verrà il tempo in cui le magliette con Bin Laden saranno eguali a quelle del Che. Naturalmente anche questa volta il capitalismo sconfiggerà la barbarie del socialismo ed ancora una volta si dovrà difendere dalle accuse volgari lanciategli da un pugno di venduti radical chic. Il comportamento della sinistra è palesemente di aiuto a Bin Laden e favorisce le operazioni terroristiche.




Il Genoa Social forum è l'anticamera del partito dei talebani che mira alla distruzione del sistema capitalistico.




Non sono una cambialara. Nel mio logo ho inserito Tom e Jerry con i martelli in aria.




I compagni, allo stato della cose, producono solo parole e piedi nudi.




Berlusconi non ha bisogno che l'onore gli venga restituito. Le recenti elezioni lo hanno gratificato e gli hanno dato il premio che meritava.




Le segnalo che il mio balcone resterà con la bandiera americana (bellissima) fino a quando le due torri non saranno riedificate.




Mi vuol ricordare alla memoria perché Dante colloca Maometto nell'inferno? Forse perché falso profeta? Ma a questo punto perché la sinistra non è insorta contro Dante?




Sono felice di non essere più comunista e di aver capito l'inganno sotteso ad idee e programmi asserviti a manipoli di sanguinari rivoluzionari.




Maria Grazia Cutuli: Le lacrime dei compagni giornalisti sono comunque ignobili e sempre mercenarie.




Non si può far politica predicando la demolizione delle case abusive.




Le case abusive non solo non offuscano le bellezze delle tirannie del passato, ma dimostrano solo la laboriosità dei siciliani e l'impegno, non da poco, di pensare al tetto e non alla droga, come certi intellettuali radical chic.




Il comunista ha il cervello tarato e bacato. Critica tutto e tutti perché vuole mutare i rapporti di produzione e vuole cambiare il sistema economico.




Non andrei mai a fare una vacanza a Cattolica, oppure a Rimini né a Riccione.Sono posti squallidi, meschini, poveri culturalmente. Solo luoghi dove incontri carne con gli occhi senza luce.




Credo che Cuba sia il paese latino americano più arretrato e più ignobile.




Bada che Fidel è come Bin Laden. Cerca di essere onesto e non cercare solo sederi di cubane.




La sinistra ha allevato nelle università schiere di veri e propri terroristi del diritto.
Al comunista interessa solo la morte naturale o civile del capitalista.




Rifiuto e non accetto la categoria del giornalista perché non si può avere un marchio né si deve avere un padrone per poter scrivere e manifestare le proprie idee. Ammenocché non si sia solamente meschini cronisti.




Il cavaliere è un superdotato e capisce tutto in anticipo.




Auguri per il nuovo anno. Al bambinello non credo.




Il partito comunista è stato un cancro per la cui estirpazione non bastano i cannoni.




Fino a quando i comunisti siederanno in Parlamento qualsivoglia cittadino italiano, ricco sfondato come Berlusconi o povero in canna come un barbone, dovrà godere del diritto di sedere in Parlamento.




In Italia c'è tanta gente brava che comprende i problemi della società e non vuole discutere solo di tagliatelle e di donne pettorute.




Globalizzare si deve e frapporre ostacoli è solo pura follia.




Porto Alegre: per voi è facile cianciare perché avete le tasche piene di dollari ed il cervello pieno di crusca. Ho il sospetto che vi manda la CIA per stornare le giuste lotte dei poveri.




Il movimento che ha dato vita allo spettacolo del palavobis ha lanciato un segnale agli italiani: la sinistra muore in un mare di fango e di ridicolo.




Avete perso e adesso non vi rimane che cullarvi nel ricordo di quell'ignorantone di Di Pietro.




Le università italiane, specie le facoltà di giurisprudenza ed economia, sono diventate focolai del terrorismo.




Ho fatto tanti viaggi in giro per il mondo e adesso li faccio attorno alla mia scrivania con il pieno di giornali e di libracci di autori di provenienza sinistra.




Sai troppo di spirito bolscevico e puzzi di finta democrazia e finto liberalismo.Sei falso e degno in tutto di quelle sciurette che vai intervistando.




La sua indignazione è tipica dell'ignorante di sinistra che deve gridare allo scandalo e fare come le rane in uno stagno. Gracidare.




Lei rappresenta quanto di più vecchio, inutile e balordo può esser dato dalla intellighenzia italica.




Salutami le tue sciurette di alta classe ma di sinistra. Povera classe operaia.




Coltivo l'impressione che prima di Berlusconi sarai tu a sparire.



13.8.02

OGM


ARTICOLO SUL MANIFESTO



Ricordo della notizia riportata dagli ambientalisti americani che il gene della resistenza all'erbicida gliphosate introdotta sulla soja della Monsanto, non è ormai più quello originale e dichiarato dalla Monsanto ma diverso; si tratta quindi di una mutazione già avvenuta nel giro di pochi cicli di produzione del seme transgenico.
Dal manifesto del 18 luiglio si legge che una ricerca ha dimostrato che il dna dei vegetali geneticamente modificati resiste nell'intestino umano. Però.....
Lo studio condotto dai ricercatori dell'Università di Newcastle, pubblicato ieri sul quotidiano inglese The Guardian, ha dimostrato che il dna geneticamente modificato di alcuni vegetali può trasmettersi all'uomo attraverso i batteri dell'intestino.


E siccome la verdura biotech contiene alcuni geni che resistono agli antibiotici, questo il rischio per la salute, anche la resistenza degli esseri umani a questi farmaci potrebbe venire alterata. Si tratta della prima ricerca al mondo che ha testato gli effetti del cibo geneticamente modificato su alcuni volontari umani.


La Food standard agency (Fsa), che ha commissionato lo studio, ha cercato di ridimensionare la portata di questa scoperta sostenendo che il passaggio di materiale transgenico non è avvenuto in condizioni normali. I ricercatori, infatti, hanno nutrito con burger alla soia e un frullato sette volontari che erano stati sottoposti alla rimozione del basso intestino.


Una volta confrontate le loro feci con quelle di dodici persone sane che non presentavano alcuna anomalia genetica, si è scoperto che «una proporzione relativamente ampia di dna geneticamente modificato era sopravvissuta al primo passaggio nello stomaco». Per scoprire se il dna modificato era trasmigrato «via batterio» all'intestino, gli studiosi hanno prelevato i sette campioni per coltivarli in laboratorio: e in tre casi sono stati scoperti geni resistenti agli erbicidi. Eppure, minimizza la Food standard agency, questa ricerca dimostrerebbe solo che negli esseri umani nessun materiale geneticamente modificato sopravvive al passaggio attraverso l'intero apparato digerente: «I transgeni, benchè sopravvivano al passaggio dell'intestino umano, appaiono completamente degradati nel colon». Ma proprio a partire dal quel «benchè», attorno alla ricerca si è accesa una disputa destinata a fare rumore.


«E' pura dinamite», sostiene l'associazione inglese Friends of the earth. «L'industria, la scienza e i governi - ha commentato Adrian Bebb - hanno sempre minimizzato il rischio di questa possibilità e adesso, al primo tentativo di verifica degli scienziati, questo rischio è stato confermato».


Ugualmente preoccupanti le osservazioni di Michael Antonio, il genetista molecolare della King's College Medical School di Londra che ha parlato di un lavoro importante: «Dimostra che si può modificare la resistenza agli antibiotici, anche se a livello molto basso, con un solo pasto. Ha dimostrato chiaramente che il gene modificato del dna si può trasferire nei batteri dell'intestino: tutti hanno sempre negato questa possibilità». In Italia, il verde Alfonso Pecoraro Scanio ha immediatamente preso carta e penna per scrivere a Silvio Berlusconi e Romano Prodi: «I risultati dimostrano che gli ogm si trasmettono all'uomo. Lo avevano escluso esattamente come per il prione sulla Bse. Ripetere quell'esperienza in modo enormemente più esteso sarebbe una scelta criminale. Bisogna fermarsi in tempo».

SOTTO IL VESTITO NIENTE MUTANDONI


di Mitì Vigliero



Mentre il sesso maschile, appena iniziò a coprirsi per ripararsi dal freddo, inventò sin di primordi della civiltà sorte di patelli via via sempre più lunghi, che diedero poi origine a pantaloni prima e mutandoni poi, quello femminile per secoli interi non fece uso dell’intimissima biancheria ; ad esempio, spulciando i minuziosi elenchi dei capi di corredo che le italiane nobili, borghesi o popolane portavano in dote, sino al 1845 di mutande non v’è cenno. Il perché è dovuto alla moda dei lunghi vestiti femminili; se erano strettissimi e a tubo, nessun colpo di vento malandrino avrebbe potuto giocar brutti scherzi; se erano dotati di larghissime gonne, le tonnellate di sottovesti e crinoline che le sorreggevano erano ugualmente un buona difesa, anche se talvolta accadevano incidenti come quello narrato da Rousseau nelle Confessioni : “Potrei raccontarvi l’aneddoto di Mademoiselle Lambercier che, per un’infelice caduta in fondo al prato, finì lunga e distesa mostrando en plain air il suo posteriore al re di Sardegna” . I mutandoni comparvero come biancheria comune solo agli inizi dell’Ottocento grazie alle studentesse figlie d’Albione appassionate di gare di salto in alto; venivano chiamate “sottabiti a tubo”, due cannoni di stoffa fermati alle caviglie da un volant più o meno elaborato. Ma il loro uso, anziché essere apprezzato nell’Europa e soprattutto nell’Inghilterra vittoriana, scatenò scandalizzate proteste. I medici dicevano che la stoffa avrebbe impedito il regolare passaggio d’aria nelle nascoste zone, favorendo malattie e conseguenti disturbi alla procreazione; i benpensanti contestavano il fatto che le donne osassero indossare indumenti fino ad allora riservati ai maschi; i moralisti facevano notare che, con quelle “robe” addosso, le donne avrebbero avuto più libertà di movimento, perdendo così la classica compostezza femminile; i bigotti sottolineavano che non per nulla le prime a utilizzare con entusiasmo i “pantalons de femmes” erano state proprio le ballerine e le meretrici d’alto bordo e Jean Commerson chiosava: “Diffido sempre delle donne che portano i mutandoni: è il pudore con una bandiera” Tutto questo pandemonio era in realtà scatenato dal fatto che gli uomini furono immediatamente e piacevolmente attratti dal femineo nuovo indumento; ricordiamo che era il periodo in cui le cosce di pollo venivano lasciate ai domestici pur di non mostrarle a tavola. Ma in seguito, il pattinaggio, l’equitazione, i vari sport sempre più esercitati dalle donne, nonché balli in voga come il valzer e la polka, convinsero gran parte delle signore dell’alta società a impiparsene del giudizio maschile e indossare disinvolte “gli innominabili”, che venivano sempre più abbelliti nell’aspetto con merletti vezzosi. Poco per volta, seguendo sempre la moda e relativa lunghezza dei vestiti, i mutandoni si accorciarono: prima a metà polpaccio, poi sotto al ginocchio, poi a metà coscia. Però il loro utilizzo quotidiano rimase sino ai primi decenni del Novecento una prerogativa di nobili e borghesi, mentre popolane e contadine continuavano a considerarle un optional, un lusso senza senso. Poi finalmente, tutte si convertirono. Oggi i mutandoni non s’usano più manco per andare in alta montagna; si chiamano culotte, slip, tanga, fili interchiappali: ma ci sono (quasi) sempre, anche se spesso solo sottoforma d’idea.

LA FORTUNA DI CHIAMARSI VARENNE


di Miti Vigliero




Poco tempo fa vi fu una buona notizia; secondo un sondaggio Internet compiuto attraverso le varie anagrafi nazionali, all’Italia venne annunciato che i genitori battezzavano di nuovo i figli con i classici nomi italiani. Ritornavano in auge, insomma, le Marie, i Giuseppe, i Luca e le Giulie a scapito dei tanti Jessica o Denis fino ad ora imperversanti. Oggi la notizia del bambino chiamato dal padre amante dei cavalli Varenne (in fondo Ribot sarebbe stato peggio...). Non vedo perché scandalizzarsi. Anche senza l’equitazione di mezzo, di nomi bizzarri e pure lievemente inconsulti ce ne sono sempre stati e sempre ce ne saranno. Continua, ad esempio, l’usanza di affibbiare al pargolo i nomi dei nonni; ma forse a causa delle famiglie moderne allargate, per non fare torti a nessuno dei tre nonni, ci ritroviamo oggi con un Gianantonandrea a Sassari e una Rinapianna a Roma: oppure i genitori ne scelgono uno del tutto diverso, ma sempre sobrio e soprattutto non “esotico”. Però basta sfogliare degli elenchi telefonici di qualunque città per rendersi conto che i nomi dei nostri concittadini sono in generale ancora un po’ particolari…Secoli fa la gente chiamava i figli come diavolo le pareva; ciò spiega la presenza nella nostra letteratura di nomi romantici come Cazzutoro; ma col Concilio di Trento (1545-1563) la Chiesa mise dei vincoli, stabilendo per legge che ai neonati dovessero essere dati esclusivamente nomi di Santi, personaggi dell’Antico Testamento o comunque ispirati alla religione cristiana; da qui i vari Natalina, Pasquale, Salvatore, Assunta, Quaresimina, Rosario o Resurrezione. Ma dal 700 in poi, mossi da smanie rivoluzionarie, molti genitori si ribellarono alla legge clericale raggiungendo spesso nella scelta dei nomi livelli di lieve follia, soprattutto in Emilia Romagna, terra anarco-socialista per eccellenza; sino al 1950 era facile trovare pargoli col ciuccio che si chiamavano Ribello, Ateo, Collettivo, Comunarda e Molotov. Un operaio di Rimini, a cui il padre aveva imposto il nome Sciopero, forse per vendetta volle continuare la tradizione sui suoi 3 figli chiamandoli Scintilla, Ordigno, Avanti ed Emilia Libera fu il nome di una brigatista della prima ora. I genitori clericali rispondevano a queste provocazioni battezzando la prole Santafede, Confessione, Chierieleison, Litania, Dedeo, Diesire (dies irae), Pronobi (ora pro nobis) e Purif, mite casalinga di Massalombarda che deve il nome a una ricorrenza segnata su tutti i calendari: “Purif.(purificazione) di Maria Vergine”.



Fabio Castellano, raffinato esperto in analisi del costume e della società, così commenta: “Nei nomi c’è la storia di un popolo con le tracce delle sue idee, credenze, opinioni, desideri, paure, valori. Non a caso negli anni i nomi politici come Benito o Michail Aleksandrovic (Bakunin), quelli della grande musica come Aida o Adelchi e quelli storici come Paride o Achille, sono stati sostituiti dai Geiar, i Maicol (sic), le Naomi o Deborah-con-l’h; questi sono d’altra parte i valori della moderna civiltà occidentale. Dopo i valori valutari, ovvio”.



Infatti nomi di battesimo sono lo specchio della società e della cultura del periodo in cui uno nasce: quelli che si chiamano Rachele o Adolfo non potranno mai nascondere la loro età, così come i vari Palmiro/a, Lenin o Nikita. Anche la moglie di Cuccia fu vittima dell’amore politico del padre che la nomò Idea Socialista; poi lui, durante il fascismo, cambiò opinione: ma a lei il nome rimase, anche se mitigato in par condicio dal cognome: Beneduce. In compenso ora, se nessuno si sogna di chiamare una figlia Casalibèrta o Diessina, tra i musulmani residenti in Italia nascono parecchi Osama.



La passione per la letteratura ha ispirato molti genitori nel modenese facendoli chiamare i bimbi Athos, Portos, Aramis; e sempre in zona la S finale ha preso la mano una trentina d’anni fa creando Amos, Neris, Nolis e Meris. A Bo c’è il signor Foscolo Maria mentre a Ferrara vi sono due fratelli fabbricati da scatenati fans di Sir Conan Doyle, che si nomano rispettivamente Holms e Uotzon (ri-sic). Sempre in Emilia la passione per l’opera lirica ha prodotto moltissimi Gioconda, Azucena, Violetta, Falstaff, Otello, Radames, mentre in casa di Giovannino Guareschi lavorava una colf che si chiamava Luisamiller.



Se non sono storia e arte a suggerire nomi per bambini, ci pensano sport, cinema e tv. Nel giugno 1984 a Napoli, quando era ancora incerto l’ingaggio di Maradona, furono ben 118 i neonati che vennero chiamati Diego o Diego Armando, così come molti furono i bimbi battezzati nell’estate ’82 Pablo o Pablito, in omaggio a Paolo Rossi: in compenso a Genova c’è una ragazzina 15 enne che si chiama Doriana , che potrebbe essere nome normale se gli amici di famiglia non sapessero che si tratta del diminutivo di Sampdoriana... Indubbiamente nate intorno agli anni ’70 tutte le Sabina (in omaggio alla Ciuffini del Rischiatutto), così come Lara furoreggiò dal 1966 alla fine degli anni 70 a causa della celebre colonna sonora del Dottor Zivago, mentre la maggioranza delle Sabrine è annata 1954, grazie all’omonimo film con Audrey Hepburn: in compenso, per la sindrome da rotocalco, nel cosentino oggi c’è una infelice bimba che si chiama Ledidiana (sic). Le telenovele nell’ultimo ventennio hanno rimpinzato i nostri asili di Dilan , Gessica , Geiar (sic, sic e sic), Suellen (tùrna sic, spesso italianizzato in Suella) e Samantha. Talvolta, al ridicolo, si aggiungeva l’accento regionale di chi andava a registrare in neonato in municipio. Ciò spiega ad esempio perché nelle Marche, dove la pronuncia è un po’dura (Lugìa, gampagna ecc) vi siano ragazze nomate Samanda, o che a Monterotondo (Rm) una leggiadra Ortensia sia diventata Ortenza . E se la smania dell’esotico ha recentemente creato mostri quali Jacaranda, Bramina, Volmer, Siron, Aliosha e Cocis, in Sardegna pochi anni fa, causa la caratteristica di alcuni cognomi tipici del loco, si diffuse la moda di creare nomi hollywoodiani; e così, come in una barzelletta, oggi possiamo trovare Sofia Loriga, Alain Delogu, Bruce Ligas e Demi Murgia.



Lo storiografo Thomas Carlyle diceva “dare il nome a qualcuno è in realtà un’arte”; certo occorre molta ispirazione per chiamare un indifeso neonato Canzianilla , Amelberga, Osmundo, Volusiana, Eroteide, Godeardo, Eliconide, Valdetrude, Olibrio, Filigonio (tutti nel bolognese) o Ademara, Serrana, Ardelio, Foresto, Argene, Dardaco e Drusiana (Toscana). Gli industriali Migliorati (bambole) e Borletti (punti perfetti) si chiamavano rispettivamente Sostene e Senatore. A Biella c’è un signor Edile; a Bo Manilio, Manlisco, Divo; a Reggio Emilia Arto (papà ortopedico?); a Forlì Decio, Norcio, Edel e, giuro, i fratelli Salito e Disceso. A Ferrara Araldo e Anronio; a Recanati Euticchio, e Marchiano (gravidanza indesiderata?). A Roma ho trovato un Esubero (figlio probabilmente di un’esasperata pluripara) e una Eclide; a Barletta Sterpeta e a Padova la signora Ema, sperando non sia un diminutivo, strumento utilissimo ad esempio alla giornalista Gruber per celare sotto il vezzoso Lilly un teutonicissimo Dietlinde; all’ex signorina buonasera Aba Cercato un coloniale Addis Abeba e infine a Nilla Pizzi un terrificante Adionilla.


OGM


da Sergio Palazzi


Io non ho sentito le testuali parole di Sirchia sugli Ogm, la frase "fanno solo bene" non può essere vera per nulla che esiste nell'universo, e credo che Sirchia, avendo studiato almeno un po', lo sappia, per cui o l'espressione è stata decontestualizzata o risintetizzata, o più verosimilmente è stata usata testualmente ma in modo paradossale e spazientito in risposta a qualche osservazione sconclusionata.

No agli OGM perché "si interviene così pesantemente sui processi naturali", dice: ma no, si interviene molto più blandamente di come si è sempre intervenuti con gli incroci e la selezione "naturale". Piantiamola con le pagliacciate sui maiali con orecchie da aringa e coda di fragola. Parliamo invece del Golden Rice, che nei pochi posti dove viene usato è considerato la più bella invenzione della storia, da chi non ha altra via per curarsi dalle ipovitaminosi.



E delle baggianate vetero-vetero sulle multinazionali che vendono i semi sterili solo per obbligare il contadino a ricomprarli da loro. A meno di credere che i muli, ibridi genetici sterili da sempre deliberatamente prodotti dal capitalista proprietario di cavalle ed asini, e ceduti a caro prezzo al proletario che di nuovo era obbligato a rifornirsi da lui, siano moralmente più tollerabili dei semi ibridi sterili (per la cronaca: che cosa sia il mais ibrido me l'hanno spiegato quando facevo le medie, una trentina d'anni fa, e allora veniva ottenuto con normali incroci "alla come viene viene"). E che il contadino vada a comprare le sementi piuttosto che usare quelle dell'anno prima è ovvio per chiunque conosca espressioni come "imbastardire", "perdere la razza" etc, che è quello che succede naturalmente a qualsiasi coltura per le modifiche genetiche naturali che spontaneamente avvengono nelle colture non controllate.


Quanto ai danni per la salute dovuti agli interventi sul DNA: agli alpini non sono mai spuntate le orecchie da mulo pur restando per anni a contatto del loro sudore e del loro fiato, ai montanari non spuntava la coda e non diventavano sterili (o più testardi di quanto naturalmente fossero) se a fine carriera il quadrupede finiva nelle loro pentole.
La tecnologia genetica sta all'impollinazione d'orchidee di Nero Wolfe (o alle pratiche di qualsiasi contadino-bricoleur premendeliano) come la microchirurgia sta alle amputazioni col segaccio: si cerca di ottenere un risultato migliore intervenendo nel modo meno invasivo, toccando solo quel che va toccato, e non anche tutto il resto. Quanto alle allergie, alle contaminazioni, alle intolleranze che secondo alcuni dovrebbero nascere a causa di questi interventi, diciamo piuttosto che l'uso di tecniche rudimentali porta molto più spesso a ibridi nocivi non OGM che solo dopo anni vengono scoperti essere causa di allergie. Lo fanno certe verdure e certa frutta. E in questo caso nessuno ha mai fatto studi preventivi di valutazione di impatto ambientale e di qualsiasi altra cosa. Anzi, te le fa pagare il doppio perché "so' biolloggiche"



"Non siamo alla retroguardia ma all'avanguardia" perché non sperimentiamo gli OGM: ma dai! Diciamo piuttosto che se i paesi all'avanguardia negli OGM sono la Cina, i paesi del sudest asiatico e Cuba, nei quali il rispetto dei diritti umani e le valutazioni ambientali sono preoccupazioni totalmente inesistenti, per cui ho una scarsissima fiducia sul fatto che si realizzino controlli almeno di buon senso o si spenda una lira in più per cautelarsi, è veramente folle che non facciamo ricerca noi che per questi valori abbiamo qualche rispetto in più.



Non so se ha letto, lo scorso anno, uno dei libri più terrificantemente documentati in materia, quello di A. Meldolesi uscito da Einaudi: era di una chiarezza spaventosa e arrivava alle stesse conclusioni a cui si possa arrivare con un minimo di ragionamento equilibrato, conclusioni che ahimè sono opposte alle sue e a quelle di Biancamaria.



E, come insegnante di chimica della scuola italiana, per dimostrare che la scuola va ribaltata da cima a fondo mi basterebbe il fatto che anche gente diplomata se non laureata (magari in medicina: ho ben presente i corsi di biologia e di chimica "per i medici"!) non trovi palesemente assurdo quel che avete detto ancora oggi in trasmissione. Dovrebbe apparire assurdo a chiunque abbia studiato correttamente, a livello di scuola media superiore, un minimo di chimica e di biologia tradizionale.



La ritengo una persona particolarmente brillante ed intelligente, la leggo sempre volentieri e quando posso la ascolto per radio: a questo punto, trascurando le opinioni da pastorelle arcadiche dell'amico che le parla da Bolzano (visto che sono in diretta? e bella la risposta di quello da Novate Milanese!), le chiedo: è mai possibile che se una persona dovesse sostenere che Ronaldo è un capellone bianco che fa il difensore di pallanuoto verrebbe sbertucciato sulla pubblica piazza da chiunque, e non solo da Trapattoni o Cannavò, mentre chi dice cose assolutamente meno ragionevoli e meno documentate in materia scientifica si ritiene in diritto di ergersi a paladino dell'umanità, mettendo in dubbio qualsiasi cosa venga detta da un esperto in materia? magari in nome di quel principio di precauzione che a tutti sembra un'ottima cosa, salvo il fatto che mai due persone si sono messe d'accordo su quale ne sia la formulazione corretta, e soddisfacente per entrambe?



O il ciabattino di Apelle non si insegna più neanche al Classico?



Chiudo qui prima che magari qualcuno tiri fuori le follie sui campi elettromagnetici dell'ENEL che fanno bollire il cervello o strinare il *ello (il termine "elettroiate" con cui commento questi dibattiti è mio, e lo può usare solo con citazione dell'autore :-) ).

Sergio Palazzi

NEWSLETTER DI PAOLO ATTIVISSIMO (topone@pobox.com)



Ho trovato un sito che mostra in dettaglio le immagini dei pezzi d'aereo sul prato del Pentagono, quelli che secondo i bufalari complottisti di Asile.org non esistono. Ho aggiornato l'indagine antibufala di conseguenza: la trovate presso



http://www.attivissimo.net/antibufala/pentagono_boeing_fantasma.htm





_Antibufala: la truffa nigeriana_




Avrete probabilmente già ricevuto un misterioso e-mail in inglese di un funzionario di un paese africano che promette di spartire con voi alcuni milioni di dollari, e magari vi siete chiesti cosa c'è dietro. L'indagine antibufala (o meglio antitruffa) è disponibile presso



http://www.attivissimo.net/antibufala/soldi_nigeria.htm




Magari vi siete chiesti se c'è davvero qualcuno così cretino da abboccare all'invito di un perfetto sconosciuto che offre milioni di dollari in cambio di niente. Ebbene, se volete un esempio di caso specifico, con tanto di nomi e cognomi, c'è un recente articolo della CNN:



http://www.cnn.com/2002/TECH/internet/08/11/nigeria.scam/index.html



che fa per voi: la signora Shahla Ghasemi e suo marito, un medico, si sono fatti spillare quasi quattrocentomila dollari da un imbroglione che si spacciava via e-mail per un funzionario del governo nigeriano. La signora ha abboccato perché l'imbroglione conosceva molte informazioni personali sulla coppia (informazioni peraltro facilmente reperibili in Rete). Ai Ghasemi fu detto che i soldi spettavano loro come eredità. La signora non ha pudore nel dire che si è chiesta “Se qualcuno non ci conosce, come
può averci lasciato dei soldi?”. Nonostante questo dettaglio non proprio trascurabile, la signora si è convinta che l'invito era autentico (non c'è come l'avidità per superare le esitazioni) e ha inviato 7500 dollari richiesti come “parcella del notaio”. Ha poi continuato a inviare soldi per coprire le nuove spese che (guarda un po') si presentavano, fino a raggiungere la ragguardevole somma di 400.000 dollari.

10.8.02

DUELLI



di Filippo Facci per il Giornale



Londra contro Parigi. Paperino contro Topolino. Bagno contro doccia. Slip contro boxer. Nei salotti e nei tinelli e finalmente sulle spiagge ci si scanna anche su queste cose. Caccia contro pesca. Maccheroni contro spaghetti. Il gioco degli schieramenti non ammette sfumature, si è trasferito anche nel vivere civile e soprattutto nel verbo degli opinionisti che dirimono ogni questione senza incertezze: o di qua o di là. Si vivacchiava impaludati nei distinguo consociativi e nel giro di qualche anno siamo stati travolti dal bipolarismo all¹italiana e poi dal bipolarimo planetario in salsa 11 settembre: e allora Occidente contro Islam, bene contro male, Israele contro Palestina, America contro Afghanistan, tutto personalizzato e quindi demonizzato: gli Usa non hanno invaso l¹Afghanistan, hanno bombardato Osama; e prima non avevano sconfitto i serbi, avevano fermato Milosevic. E via a scendere, Cogne, colpevolisti contro innocentisti, Ferilli contro Arcuri, cani contro gatti, bionde contro more: e se menzioni le rosse sei un disimpegnato. Una volta si leggeva Montanelli e si diceva: non ci avevo pensato. Adesso si legge la Fallaci e si dice: ce l¹avevo sulla punta della lingua.
Ora sta per cominciare Usa-Irak per quanto il pubblico non senta ancora la partita. Ma il clima si sta scaldando e gli opinionisti pure, stanno smussando e plasmando ogni propria e segreta opinione per restituirla squadrata e inattaccabile. Ci siamo quasi. Guerrafondai contro pacifisti. Foglio contro Manifesto. Tuttosport contro Gazzetta. Panettone contro pandoro.

8.8.02


Surace: il mio scoop diventato incubo «Dimenticato in carcere da otto mesi»



Il giornalista: «Credevo di restare dentro solo il tempo di scrivere un servizio



di Giuseppe Guastella per il Corriere della Sera



MILANO - Si era costituito alla vigilia di Natale pensando che per una condanna a due anni e mezzo di carcere per diffamazioni di più di 30 anni fa non lo avrebbero lasciato in cella che pochi giorni. Invece, da otto mesi Stefano Surace, 68 anni, giornalista pubblicista e maestro di arti marziali tra l’Italia e la Francia, è ancora dietro le sbarre. Ora protesta contro giustizia e magistratura. Mentre il suo caso è seguito da avvocati, parlamentari e giornalisti, confessa: «Volevo fare uno scoop, raccontare le carceri da detenuto. Mi sembra di essere tornato ai vecchi tempi e mi sento giovane ancora». Surace da martedì è rinchiuso nel carcere milanese di Opera dove, anche su sua richiesta, è stato trasferito da quello di Ariano Irpino per un’udienza davanti al tribunale di Milano. Polo blu e jeans neri, occhiali spessi da miope che pendono con una cordicella al collo, un metro e settanta circa, entra sicuro nella saletta colloqui del carcere. Nonostante la calvizie, sembra più giovane dei suoi anni.
Parla Surace e racconta di quando negli anni ’50 divenne giornalista pubblicista per caso, «perché - spiega - un professore mi invitò a rispondere per iscritto a dei giornalisti che chiedevano informazioni sulle bombe nucleari».



Nel ’65 la prima «indagine» per l’agenzia di stampa, così la definisce, che aveva fondato a Napoli con il nome L’inchiesta .



«Scrissi di un negoziante finito in una clinica psichiatrica. Dicevano che era pazzo ma i medici stabilirono che era sano. La cosa non piacque al titolare della clinica, che non solo mi querelò, ma riuscì a farmi sottoporre a una perizia psichiatrica. Quando mi dissero che mi avrebbero mandato in manicomio se non avessi smentito, ebbi l’idea del primo scoop. Mi dichiararono matto ed entrai in manicomio e il processo per diffamazione si fermò». Anche allora credeva che sarebbe uscito quando i medici si fossero accorti che era sano. «Rischiai di restarci anni». Approfittò di un permesso per fuggire. Mentre era latitante, i suoi difensori ottennero una nuova perizia che poi lo dichiarò sano. Ne parlarono i giornali. Il processo per diffamazione riprese e fu condannato a un anno.



La seconda condanna, anche questa a un anno, arrivò per un articolo del ’65 su un ufficiale dei carabinieri coinvolto in una torbida vicenda di donne. «Il processo andò per le lunghe e me ne dimenticai -dice Surace -, proseguì con un avvocato d’ufficio. Non ne seppi nulla, mentre gli atti venivano notificati a un indirizzo che non era il mio. Eppure tutti mi conoscevano, compresa la polizia, ma nessuno mi trovò». Quel caso durerà «una decina di anni».



Da altri due processi per diffamazione uscì assolto, ma le condanne tornarono più tardi, quando, negli anni ’70, diventò direttore del periodico Le Ore , che allora muoveva i primi passi nel mondo della pornografia. Stefano Surace veniva pagato bene per la direzione, ma lui dice che l’aveva accettata perché voleva «fare gli scoop». Come? «A quel tempo si veniva arrestati per pubblicazioni oscene. Rimanevi in cella qualche giorno. Pensai che così avrei potuto conoscere il carcere. Visitai 8 istituti diversi in 19 arresti». Nel ’75 tentò di sfuggire a un posto di blocco. Lo arrestarono dopo un inseguimento in auto. «Dirigevo molti periodici erotici. Li lasciai e diventarono pornografici».
Era il 1976 quando Surace si trasferì in Francia, anche per sfuggire alla giustizia italiana. «Sapevo che qualcosa era passato in giudicato e che se fossi rientrato in Italia avrei avuto problemi». Aveva accumulato condanne per 18 anni di carcere. Oltre a quelle per diffamazione (ce ne furono anche due per articoli fatti da altri giornalisti sui periodici), c’era una condanna dell’85 a un anno (condonata) per una tentata estorsione legata alla distribuzione delle riviste. A quella vicenda è connessa, riferiscono i familiari di Surace, una speculare causa civile che ha vinto. Poi tante condanne, amnistiate, per le pubblicazioni oscene, mentre quelle che rimasero furono «cumulate» in 2 anni, 6 mesi e 12 giorni. In Costa Azzurra lo seguì la nuova compagna, mentre a Napoli rimasero la moglie e due figlie.



Scrisse sei libri. Il primo, Lettera a Pertini , riguardò proprio le carceri e gli valse nell’82 un premio letterario napoletano. «Furono anni di vacanza, bellissimi - ricorda -. Avevo tanti soldi che avevo guadagnato con le riviste e con il mio lavoro di giornalista. Mi stufai. "Sono un uomo", dissi. Mi trasferii in un appartamento nel centro di Parigi». Nella capitale, Surace trovò anche una nuova occupazione.



Fondò una nuova agenzia di stampa, la Abc news , ora è diffusa attraverso Internet, e cominciò a insegnare lo ju jitsu, un’arte marziale orientale che aveva appreso dal padre, diventandone anche «un’autorità». «Ho avuto il riconoscimento del decimo dan, la più importante onorificenza del massimo organismo ufficiale mondiale delle arti marziali», spiega con orgoglio.



A Parigi lo raggiungeranno anche le altre due figlie. Di questo arrivo, turbolento per i dissidi con la moglie, si interessò anche la magistratura francese: «Mi diede ragione e le bambine restarono a me». All’ombra della Torre Eiffel, il menage familiare scorreva tranquillo mentre lui riceveva onorificenze francesi.



Surace tornò anche un paio di volte in Italia, da semiclandestino. Nessuno se ne accorse o forse «fecero finta», commenta adesso. Fino al 2000. «Mi chiamò mia madre. Aveva 92 anni, mi disse che non ce la faceva più ad accudire mio fratello invalido civile. Mi recai a Napoli. Feci le pratiche per la pensione di mio fratello, attivando qualche conoscenza, e tornai in Francia. Quando mia madre morì, dovendo nominare un tutore per mio fratello, mi resi conto della lentezza e dell’assurdità della giustizia italiana. Si poteva risolvere in un mese, passò più di un anno. Scrissi tutto sull’agenzia dalla Francia. Un giorno, a settembre 2001, un vicino mi disse che la polizia mi stava cercando.



«Tutti davano per scontato che sarei rimasto a Parigi. Come al solito ho approfittato di quest’occasione per fare uno scoop. "Torniamo ai vecchi tempi", mi sono detto. Rientrai in Italia e il 24 dicembre andai a bussare alla Procura di Torre Annunziata, la città del mio avvocato. Dissi che ero ricercato, mi risposero che avrebbero controllato e mi fecero andare. Lasciai il mio numero di telefono. Mi chiamarono e mezz’ora dopo due poliziotti mi misero le manette».



Surace non ha chiesto la grazia, come vorrebbero i suoi difensori. Vuole che siano riaperti i termini per la presentazione degli appelli in quei processi per i quali è stato condannato definitivamente in contumacia e dei quali non sapeva nulla. E’ sicuro che sarebbe assolto portando le prove che ancora conserva, ma si «accontenterebbe» anche della prescrizione. A settembre, comunque, il tribunale di Milano potrebbe decidere di rideterminare la pena oppure di concedergli qualche beneficio.



Un agente si presenta per riportare Surace nella cella numero 1 che divide al secondo reparto con un bancarottiere settantaduenne. «Cosa mi resta? La soddisfazione di aver messo alla luce una situazione aberrante e che tutti si interessano del mio caso. Nessuna preoccupazione, ne ho viste di peggio».