29.4.05

«Diritti delle donne e ricerca, ecco i miei 4 Sì»
intervista a Umberto Veronesi - Corriere della Sera

MILANO È una legge devastante, come quei proiettili che si spezzano e si dividono, distruggendo tanti organi in un colpo solo. Una legge che con la scusa di combattere il Far West si infila nel corpo della società rimbalzando pericolosamente tra etica, scienza e diritti.
Umberto Veronesi non ha dubbi: quella sulla procreazione assistita è una legge medievale (la definizione è del New York Times) «perché impone obblighi antichi». E il 12 giugno voterà sì, anzi quattro volte sì.
Proprio per questo l’ex ministro della Salute ha accettato di diventare testimonial della campagna promossa dai Ds e dal Comitato per il referendum.
«Bisogna spiegare a chiunque, a tutti quelli che incontriamo, ci ascoltano, ci leggono, che bisogna votare e far votare contro questa legge sbagliata. E piena di contraddizioni».
Ad esempio?
«Prendiamo l’articolo che vieta il congelamento degli embrioni e impone che tutte le cellule fecondate, fino a un massimo di tre, siano impiantate nell’utero. È un controsenso. Perché se tutti gli embrioni impiantati attecchiscono, si ha una gravidanza trigemellare creando un problema per la donna e mettendo a repentaglio la salute dei futuri feti i quali, per banali motivi geometrici, di spazio, rischieranno di non vedere mai la luce. Se invece, come auspicabile, ne attecchisce una solo significa che gli altri due muoiono, che è proprio quello che la legge non vuole. Perché è una legge che va contro se stessa: dice di voler proteggere l’ovulo fecondato ma, imponendo di impiantarli tutti e tre (perché non ammette il loro congelamento) finisce per condannarne a morte uno o due. E dire che basterebbe applicare la norma dettata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità la quale dice di inserire nell’utero un solo ovulo fecondato per volta, mentre gli altri devono essere messi da parte in modo da venir utilizzati se il primo non attecchisce».
La seconda contraddizione?
«Riguarda la diagnosi preimpianto la quale, dal punto di vista medico - ma anche logico o del semplice buon senso - non è altro che l’anticipazione di quella diagnosi prenatale che viene effettuata frequentemente in gravidanza. Bene, in Italia oggi ci troviamo nella situazione, davvero singolare, che è possibile verificare la salute del feto all’interno della madre, ma non quella dell’embrione nella provetta. E non è finita. La legge 194 dice che, in presenza di malattie genetiche è possibile interrompere la gravidanza ricorrendo all’aborto. Che è poi quello che avviene da anni nei Paesi europei. Una recente indagine dice che in Europa l’89% delle donne preferisce ricorrere all’aborto se l’esito dell’amniocentesi rivela che il feto è affetto da sindrome di Down. Ora, visto che stiamo parlando di fecondazione assistita e che esistono le tecniche di diagnosi embrionale, perché dover aspettare la formazione del feto? Perché ricorrere a un aborto quando basta decidere di non impiantare l’embrione che presenta un danno genetico?».
A questo proposito c’è un aspetto ancora più singolare. La legge dice espressamente che possono ricorrere alla fecondazione assistita solo le coppie con problemi di sterilità escludendo in tal modo quelle, fertili, dove esiste alta probabilità di trasmettere ai propri figli una malattia genetica.
«È una scelta ingiusta. In Italia ogni anno nascono 30mila bambini affetti da malattie dovute a difetti genetici, molte delle quali gravi. La fecondazione assistita e la diagnosi preimpianto potrebbero ridurre di molto quel numero».
E la terza contraddizione?
«Riguarda i 31mila embrioni attualmente congelati e conservati nei vari laboratori italiani, frutto dell’attività degli anni passati. La nuova legge non dice nulla in proposito: sai solo che non li puoi sopprimere e non li puoi utilizzare per scopi di ricerca. Il risultato è che vengono lasciati rinchiusi nei freezer dove comunque sono destinati, prima o poi, a morire. Anche qui il buon senso dice che piuttosto che dimenticarli e lasciarli finire nel nulla sia meglio destinarli alla ricerca».
Che è poi quello che ha sostenuto venerdì l’Accademia dei Lincei con un documento che non lascia dubbi.
«Teniamo presente che uno dei settori più promettenti della ricerca biologica e medica riguarda le staminali di origine embrionale, cellule molto versatili, si chiamano totipotenti, con la caratteristica davvero unica di potersi trasformare in qualunque altro tipo di cellula: in questo modo potrebbero rappresentare la soluzione ideale per quelle malattie degenerative come il morbo di Parkinson o l’Alzheimer andando a rimpiazzare le cellule danneggiate. È un filone di ricerca fondamentale: perché ignorarlo con tanta determinazione?».
Esiste una possibile applicazione anche in campo oncologico?
«Non direttamente, anche se le staminali potrebbero rappresentare la via per ricostituire le cellule del midollo danneggiate dopo una chemioterapia o una radioterapia. Il modo in cui la legge 40 influenza l’oncologia è tuttavia un altro: non potere congelare l’embrione rappresenta un problema per le donne giovani affette da tumore, soprattutto adesso che le donne tendono a sposarsi sempre più tardi. Due generazioni fa era quasi normale avere figli tra i 18 e i 20 anni, una età dove il rischio di contrarre un tumore è molto basso; oggi il primo figlio arriva dai 25 ai 35 anni, spesso anche dopo, entrando in una età dove la comparsa tumorale è invece più frequente. Questo pone un problema nuovo, perché con la chemioterapia o la radioterapia si ha il rischio di indurre sterilità. Ebbene, prima della legge 40 questo problema veniva aggirato in maniera tutto sommato semplice: si prendevano gli ovuli della donna, li si fecondavano con il seme del marito e li si congelavano in attesa di poterli introdurre nell’utero nel caso le cure avessero danneggiato le ovaie. Con questa legge non è più possibile: la donna che ha avuto la sfortuna di ammalarsi e non è ancora diventata mamma potrebbe rinunciare per sempre a quello che io chiamo il suo progetto procreativo. Non importa che la scienza abbia trovato il modo di risolvere il problema: la legge, questa legge, non lo permette».
Il Patacca bis
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI

Nel sessantesimo anniversario della Liberazione, che ricorre domani, ci troviamo nella bizzarra situazione di dover fare gli auguri al nuovo governo, il Patacca bis, dal quale ci aspettiamo grandi cose. La mia ammirazione per il coraggio dimostrato dall'esecutivo è sincera: finalmente un sacco di facce nuove. Alla scuola c'è la Moratti (al posto della Moratti), alla difesa c'è Martino (prima c'era Martino) e per fortuna che arriva Giovanardi ai rapporti con il parlamento (di quello di prima, Giovanardi, non se ne poteva più). Molti i problemi sul tavolo del nuovo governo, e primo tra tutti il riportare ordine nella comunicazione. E' bastata infatti qualche bastonata elettorale, una mini-crisi, l'approdo a un governino balneare perché qualcuno provasse a rialzare la testa. I toni elegiaci si sono un po' attenuati, la nota politica è un po' meno unta del solito, persino il tg uno non fa più il panino, quel famoso sandwich di dichiarazioni maggioranza-opposizione-governo che illustrava agli italiani il pensiero unico di Silvio. Dunque, corre l'obbligo per il nuovo esecutivo di rimettere le cose a posto e - perdonate la metafora - di rimettere in sella il duce caduto da cavallo.

Ecco allora che mi sento di consigliare ai portavoce del governo Patacca bis e al neo ministro delle comunicazioni Landolfi, un interessante libro storico, da leggere e approfondire, al fine di applicarne metodi e insegnamenti: Le veline del Duce, di Riccardo Cassero (Sperling & Kufner). Faccio un esempio per il nuovo corso governativo prendendolo dritto dritto da una velina del 1940: «l popolo italiano è il meno oberato di tasse di tutto il mondo. Anche se l'asserzione trova conferma nei fatti, i giornali si astengano da tale argomento». Se non fosse in un libro parrebbe farina del sacco di Tremonti: è risaputo che parlare di tasse porta sfiga. Una velina del 1939 consiglia invece ai giornali di «Non parlare per ora di richieste di aumento di stipendi agli impiegati», altra cosa che potrebbe aiutare la coesione del nuovo governo. «Diminuire le notizie sul cattivo tempo» (direttiva del giugno `39), sarebbe invece un po' difficile da applicare, che senza il meteo che dura mezz'ora di cosa dovrebbero parlare i tg del premier? Di politica? Meglio evitare. Più realistico il «consiglio alla stampa» del novembre `39: «Non commentare il comunicato sull'aumento delle tariffe tramviarie». E ancora più urgente un altro ordine secco (stesso mese, stesso anno): «Si conferma la disposizione di non fare corsivi polemici». Ci mancherebbe.

Ora sappiamo che la storia non si ripete (anche se il governo Patacca bis sta lì a dimostare il contrario), e dunque non pretendo che l'esilarante prosa censoria del ventennio venga proprio ripresa paro-paro. Però è sicuro che qualche spunto, qualche suggerimento può darlo. Con misura, s'intende. Perché persino dalle veline del Duce si affaccia un problema ben noto anche oggi: l'eccesso di zelo e di servilismo. Un esempio del 1940: «A nessuno venga in mente di raccontare che in fondo il burro fa male alla salute e che l'olio è indigesto. Dire però che si tratta di sacrifici sopportati molto serenamente». E poi (1943): «Si annuncia il sequestro di un giornale a causa di un articolo esageratamente elogiativo del Ministero della Cultura Popolare. L'adulazione deve cessare e la sobrietà deve dominare». Parole antiche che sembrano scritte per Emilio Fede.

Per quanto riguarda il privato del grande capo, come su tutto il resto, deciderà lui. Se vuole qualche consiglio dal passato, eccone uno (1937): «Rivedere le corrispiondenze dalla Sicilia perché non si deve pubblicare che il Duce ha ballato». E ancora (1938): «Non fare assolutamente cenno nella cronaca odierna del balletto cui ha partecipato il Duce a Belluno». Chissà cosa ne pensa il bravo chitarrista Apicella, ma è chiaro che siamo di fronte a una svolta programmatica e che converrà insistere sul lavoro, la serietà e non sulle pagliacciate. E quindi (luglio 1938): «Notare come il Duce non fosse affatto stanco dopo quattro ore di trebbiatura».

Infine, ecco un promemoria che sembra fatto apposta per gli intellettuali della Padania e per il neo ministro delle riforme Calderoli (prima c'era Calderoli): «Si ricorda che Africa si scrive con una sola f e non con due» (giugno 1936). Ecco, è solo qualche spunto, spero ne facciano tesoro, i nuovissimi membri del nuovissimo governo. Quanto a noi, che domani facciamo festa, coraggio, la liberazione è vicina.

21.4.05

Un patrimonio politico
CONTRORDINE di ALESSANDRO ROBECCHI

In questi tempi di crisi, di ridicoli balletti, di «teatrino della politica», col capocomico in primo piano, riemergono prepotenti le famose Tre I di Silvio Berlusconi: I soldi, I soldi, I soldi. In consiglio dei ministri, mentre la frana già scendeva sulla sua capoccia, Silvio sbottava: «Uno come me, con un patrimonio di ventimila miliardi, deve perdere tempo con voi...». Non so se la frase, riportata da alcuni giornali, sia vera o soltanto verosimile. Ho atteso una smentita: se oltre a ventimila miliardi hai anche un cervello, una frase così la smentisci, perché è di quelle che ti rendono odioso a ventimila miliardi di distanza. Niente smentita: Silvio aveva da fare. Spedito Letta al Quirinale, in piena crisi di governo, si recava a comprargli un regalo di compleanno (auguri, dottor Letta!), passeggiando per via dei Coronari, tra le botteghe degli antiquari romani. Inutile dire che quando compare all'orizzonte un uomo con un patrimonio di ventimila miliardi, gli antiquari fanno la òla. Non è la prima volta. Fu ancora più diventente quando, cacciato malamente dai suoi amici leghisti e dagli avvisi di garanzia, si lamentò con Scalfaro di aver speso un sacco di soldi per ristrutturare gli appartamenti di Palazzo Chigi. Insomma, talmente cercava una scusa per restare, Silvio, che si aggrappava alla tappezzeria, e avendo pagato alcuni faraonici lavori non voleva lasciare l'appartamento.

C'è, in queste cronachette minori dei tempi del colera, qualcosa di incredibilmente lineare, di spaventosamente coerente. I soldi.

I soldi, sapete, non danno la felicità, ma comprano un sacco di altre cose. Per esempio il lusso di una doppia personalità. Così, mentre il Silvio premier sta talmente aggrappato alla poltrona che bisognerà scarteggiarlo via con l'acquaragia, il Silvio imprenditore passa all'incasso. Vende azioni Mediaset per quattromila miliardi di lire, mantiene intatto il controllo sull'impero mediatico, monetizza la sua attività di governo e la legge Gasparri in primis. Non ci vuole un genio della finanza per annusare l'affarone: basta andare a vedere come stava il titolo Mediaset un anno fa e come stava al momento del realizzo. Bel colpo, e si torna sempre lì, ai soldi.

Ma la frase che resta illuminante è sempre quella: «Uno come me, con un patrimonio di ventimila miliardi...». C'è dentro tutto lo stupore e l'amarezza che in questi luridi tempi moderni e comunisti uno ricco possa contare, in certe cose, come uno povero, o perlomeno come uno normale. C'è incredulità... ma come! E i soldi, allora, non contano niente? Ecco che il problema si fa politico. No, non quella politica lì, quella dei Follini e dei De Michelis che se ne vanno, dei Giovanardi che piangono, dei Fini indecisi a tutto. Ma la politica vera, quella futura del paese. Perché uno che ha in tasca ventimila miliardi, e che ne incassa altri quattromila con l'ultimo barbatrucco finanziario, è pericoloso a prescindere, anche se non fosse presidente del consiglio, anche se non fosse padrone dei media, anche se non fosse unto dal Signore. Uno così ricco è un problema, più che una risorsa, è una minaccia e un pericolo per la democrazia. Questo un comunista lo capisce al volo. Ma anche i signori liberali, sotto sotto, lo sanno. E la prova provata è l'allarme di questi giorni, in cui tutto il mondo padronale si chiede struggendosi: e mo' che ci farà Silvio di tutti quei soldi? Comprerà Telecom? O addirittura una rete Rai? Oppure il Corriere della Sera? Una massa così impressionante di soldi il capitalismo italiano se la sogna di notte e quando si avvicina, la teme parecchio. Ecco perché su una cosa almeno Silvio ha ragione: «Non vi libererete tanto presto di me....». Vero. Anche quando sarà cacciato a furor di popolo dal governo, avrà messo da parte un tale groviglio di interessi lubrificati con i soldi che sarà impossibile scioglierlo per decenni. Stava fallendo di brutto, ha passato dieci anni sul tram della politica, e quando lo costringeranno a scendere sarà il più ricco e potente di tutti. I soldi, appunto. Ed è per quello che, senza nemmeno smentire, o schermirsi, o vergognarsi un po', Silvio può dire frasi come quella: «Uno come me con un parimonio di ventimila miliardi, deve perder tempo con voi...». Che è l'esatta, perfetta, cristallina riproduzione di quel che Alberto Sordi /Marchese Del Grillo dice al popolino romano: «Io so' io, e voi nun siete un cazzo!». Ah, i soldi!

20.4.05

FECONDAZIONE ASSISTITA
da Marina Ceccherini, Genova

Si parla poco di procreazione assistita, quasi sempre a sproposito, spesso con supponenza ed arroganza.

I referendum in materia si avvicinano e io volevo raccontare qualcosa sulla mia esperienza personale. Questo perché si parla di questa pratica come se fosse assimilabile al trattamento di una carie trascurata. Diversamente dalla cura di un dente, il primo problema da affrontare è psicologico. L’impossibilità di avere un figlio dal tuo compagno causa un dolore paragonabile al lutto per la perdita di una persona cara. Il senso di impotenza e di ingiustizia inizialmente pervade ogni pensiero. Superato questo (e ce ne vuole), si affronta la possibilità dell’adozione. Nella maggior parte dei casi, ci vogliono circa otto anni per ottenere un bambino. Durante questo periodo si è trattati come cavie da laboratorio, vengono interrogati ripetutamente i colleghi di lavoro, i vicini di casa, i potenziali nonni (e si noti che basta il parere negativo anche di uno solo di essi per dichiarare non idonea all’adozione la coppia). Si valuta la situazione finanziaria, ma anche i metri quadri dell’abitazione, doppi servizi e la presenza di giardini o terrazzi costituiscono titolo preferenziale. Se si pensa all’adozione internazionale, va tenuto presente anche il prezziario relativo. Al sito:

http://www.commissioneadozioni.it/site/it-IT/La_normativa/I_Costi_dell'Adozione/I_Costi_per_l'Ente/

si può valutare se è più conveniente adottare un bambino albanese (costi all’estero 5276,33 euro), boliviano (6635,00), bulgaro (tra i più cari, 7247,93) o marocchino (quasi un saldo, solo 3493,84).

Sarà anche giusto così, ma farmi radiografare per anni per poi comprare un bambino un tanto al chilo, io proprio non me la sono sentita.

Allora, si avvia l’iter per l’inseminazione. In istituti seri, l’inseminazione è l’ultima possibilità dopo una lunga serie di esami clinici e tentativi non invasivi. Tanto perché sia chiaro, anche alcuni di questi esami non sono esattamente una passeggiata in campagna. La lista d’attesa nella mia città per un tentativo con il servizio pubblico è di circa due anni, le probabilità di concepimento del 20% al massimo.

Quando finalmente ti chiamano, il procedimento prevede una pesante e costosa cura ormonale (circa 1000 euro nel 2001): per circa un mese una iniezione al giorno di stimolanti ormonali, un bombardamento debilitante. Nell’ultimo periodo, un giorno sì un giorno no, c’è un day-hospital con esami ed ecografie per verificare l’avanzamento della maturazione degli ovociti. Questo comporta anche una notevole serie di assenze dal lavoro, non sempre facili da ottere e giustificare.

Al termine della stimolazione, non sempre gli ovociti maturano adeguatamente. Se è presente un numero sufficiente di ovuli, questi devono essere estratti. È un piccolo intervento in day-hospital, in anestesia locale. Talvolta, a seconda della conformazione fisica della donna, doloroso. Gli ovuli vengono analizzati e, se ritenuti idonei, inseminati. Normalmente, per ottenere tre embrioni atti all’impianto, si inseminano sei ovuli. Anche in questa fase, non è detto che l’operazione abbia successo, nei casi peggiori nessun embrione sopravvive, o, per vari motivi, è ritenuto idoneo. A questo servono le analisi preimpianto, a scongiurare il caso in cui venga trasferito un embrione malformato o con scarsissime probabilità di impiantarsi nell’utero materno a discapito di embrioni sani.

Anche quest’ultimo passo, l’impianto degli embrioni, è una piccola operazione in day-hospital in anestesia locale e anche questa può essere estremamente dolorosa, nonostante l’anestesia.

Poi si aspetta: quindici interminabili giorni prima del test di gravidanza.

In questo lungo e faticoso processo si conoscono tante coppie, tutte con lo stesso desiderio di famiglia, di intimità. Consapevoli dell’esiguità delle probabilità di successo, si cerca di mantenere i piedi per terra, ma sperare senza illudersi non è facile. E poi ci sono tante faccette di bimbi nati con questo procedimento nello studio, non puoi non pensare che vorresti ci fosse anche la faccetta di un bimbo tuo su quel muro.

Dopo il test di gravidanza, quando ti dicono “Ci dispiace, non è andata bene” non è facile rimanere in piedi. Fa male, molto male.

Il gruppo col quale ho affrontato il primo tentativo era composto da dodici coppie. Solo una ora ha un bel bimbetto.

L’ospedale pubblico dove ho seguito la terapia (ottimo peraltro, dottori ed infermieri con grande sensibilità oltre che professionalità) non era ancora attrezzato per il congelamento degli embrioni, anche se si stavano organizzando. Il mio fisico ha risposto ottimamente al ciclo di stimolazione ormonale, fin troppo! Mi sono stati estratti, se non ricordo male, sedici ovuli di cui dodici adatti al trattamento. Sei avrebbero potuto essere inseminati e congelati per essere utilizzati per un nuovo tentantivo, risparmiandomi più di un anno di lista di attesa (il secondo tentativo ha una lista più breve), un nuovo ciclo di stimolazione, un nuovo intervento di estrazione, tempo e denaro di una struttura pubblica. Non è stato possibile e così ho rifatto, dopo un anno, tutto dall’inizio.

Dodici coppie, tra queste alcune dell’anno prima, iniezioni, esami, day-hospital, assenze dal lavoro, operazioni... nessun tentantivo è andato a buon fine. Io ho detto basta, con dolore, anche perché il disegno di legge era già stato presentato. La maggior parte delle altre ragazze, no.

Tutto questo lunghissimo e sicuramente noiso preambolo perché? Per dare un minimo di visibilità anche al punto di vista delle coppie che affrontano questo percorso e soprattutto alle donne, oltre alla crociata per la protezione dell’embrione. Per dire che questo è un trattamento lungo, per niente banale e soprattutto doloroso, sia fisicamente che mentalmente, affrontato con caparbietà solo per avere quella famiglia di cui tanto si parla, diritto per tutti tranne che per te.

Che vantaggio porta impedire il congelamento degli embrioni? La stragrande maggioranza delle coppie tenta più cicli di inseminazione, perché non consentire il congelamento a chi si impegna all’impianto entro un termine stabilito? E che moralità c’è nell’obbligo di impiantare embrioni malformati o deboli al punto da non aver alcuna possibilità di arrivare in fondo alla gravidanza? Si ha una vaga idea della feroce crudeltà che questo rappresenta per una donna? E per favore, piantiamola di dare numeri in libertà! Come ho detto, se il procedimento è fatto seriamente, la probabilità di successo è del 20% al massimo, per donne di circa trent’anni ed in ottima salute. La probabilità scende al 5% circa per una quarantenne. Le possibilità di avere parti gemellari sono risibili.

In ultimo, come può essere moralmente più accettabile distruggere le decine di migliaia di embrioni attualmente congelati piuttosto che consentire ai ricercatori di studiarli?

Circa il 12% delle coppie ha problemi di infertilità, ed è un numero che sta crescendo. Si parla molto di provvedimenti a sostegno della famiglia, perché chi desidera averla questa famiglia e suo malgrado non riesce a costruirla non può essere aiutato piuttosto che colpito? Possibile che, pur garantendo innanzitutto il bene dei bambini, le pratiche per l’adozione non possano essere più fluide? Possibile che un bambino possa essere comprato come qualsiasi altra merce con tanto di tariffario ministeriale? Possibile che non si possa regolarizzare la materia della fecondazione assistita senza colpevolizzare persone assolutamente incolpevoli?

Io mi illudo che si possa fare meglio di così, molto meglio.

17.4.05

Perché scomparvero i dinosauri
"Satira preventiva" di Michele Serra

Risolta finalmente la questione sulla sovranità su Gerusalemme. Un gruppo di studiosi ha deciso di mettere la parola fine all'annosa questione. Ecco i risultati

Dopo i recenti, ennesimi disordini nella spianata delle Moschee, a Gerusalemme, un gruppo di studiosi (storici e teologi, affiancati da uno staff di enigmisti) sta cercando di ricostruire con rigorosi criteri scientifici la storia della Città Santa, per stabilire una volta per tutte chi abbia ragione. Come è noto, la sovranità su Gerusalemme è rivendicata da ebrei, musulmani e cristiani, dai turchi, da maccabei, cananei e filistei, da ittiti, persiani e vichinghi, da un ramo minore dei Coburgo-Sassonia, dai discendenti del re assiro Tukulti I, dal miliardario australiano Jeff Boone che sostiene di averla rilevata a un'asta di fallimento e dai figli dell'attore egiziano Omar Sharif che l'aveva vinta in una celebre mano di poker.

Ma questo riguarda l'attuale assetto istituzionale, religioso e catastale, molto semplificato dagli sforzi diplomatici. Assai più complicata e controversa è la storia passata della città, a partire dalla sua fondazione, che avvenne nel neolitico per mano di una decina di coloni-profeti di diversa etnia, provenienti da ogni parte del globo, allontanati dalle rispettive tribù perché rompevano i coglioni tutto il santo giorno. Per una straordinaria circostanza, arrivarono lo stesso giorno e la stessa ora nello stesso posto dichiarando di sentirsi finalmente a casa, sedendosi su un sasso e minacciando gli astanti.

Il nome Gerusalemme è infatti un acronimo composto dalle iniziali dei nomi dei fondatori: Gurk, Ermete, Robertino, Ulk, Sansone, Amin, Leonzio, Ettore, Menelao, Minnehaha ed Escamillo. Scavando negli infiniti strati di terriccio e rovine che raccontano la storia plurimillenaria della città, si possono trovare miliardi di cocci dei servizi di piatti via via andati distrutti nelle risse tra i gerosolimitani, e poi ossa, clave, forconi, armi primordiali (tra le quali una rudimentale fionda-kalashnikov che sparava micidiali raffiche di pinoli), posate da pesce che comproverebbero una presenza fenicia, e numerosissime scritte murali di tipo razzista, tra le quali "israeliani ebrei!", "meglio un morto in casa che un palestinese alla porta" e la misteriosa "scintoisti porci", che lascerebbe intendere anche un antico insediamento giapponese.

Nel museo etnografico e antropologico sono custoditi anche il celebre 'ossario di Ohelal', cinque scheletri strettamente intrecciati tra loro, probabilmente cinque sacerdoti di diverso culto morti nello stesso istante mentre si strangolavano l'un l'altro (esclusa l'ipotesi del gioco erotico, severamente vietato da tutte le 58 religioni succedutesi in Terra Santa). E l'altrettanto celebre 'coccio di El-Baktar', un mattone con la scritta 'viva la figa' le cui matrici storico-culturali sono inspiegabili in un contesto simile. Ma la scoperta più sensazionale di archeologi e paleontologi è che il destino cruento di Gerusalemme risalirebbe addirittura a epoche precedenti, circa mezzo milione di anni prima di Cristo, quando gruppi di ominidi di diverse confessioni (i protopitechi, che adoravano le more e l'uvaspina, gli antropomacachi, convinti che Dio fosse il maschio alfa del branco, e il raffinato Homunculus del Tigri, che essendo alto 70 centimetri era ateo e di pessimo umore) si sterminarono a vicenda proprio nel territorio dove sarebbe sorta Gerusalemme.

Altri studiosi si spingono ancora più indietro nel tempo: l'esame dei fossili dimostrerebbe che Gerusalemme già nel Giurassico fu teatro di feroci competizioni territoriali tra dinosauri, e dunque il famoso "lago di sangue" descritto nel Pentateuco, con autentico entusiasmo, in quasi tutte le pagine, risalirebbe a epoche pre-umane. Questo avvalora la più recente ipotesi sull'estinzione dei dinosauri: non fu un meteorite né una glaciazione ad annientarli, fu direttamente Dio a farli fuori perché ne aveva le tasche piene di quella gentaglia verdastra, rumorosissima, dall'alito disgustoso, che passava le giornate a sbranarsi. Il secondo tentativo (l'uomo) è un esperimento ancora in corso. Scarse le probabilità di successo. In caso di fallimento, il terzo tentativo di Dio sarà affidare la Terra, e Gerusalemme, ai crostacei.

13.4.05

Wojtyla, il Papa che ha fallito
di Hans Kung (Corsera, 05/04/2005)

Una voce critica. Il teologo cattolico dissidente Hans Küng indica le undici contraddizioni che avrebbero segnato il Pontificato di Giovanni Paolo II, costringendo milioni di credenti a una drammatica «crisi di speranza».
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Predica il dialogo ma ha isolato la Chiesa. Le sue idee di fede e di morale hanno cancellato il Concilio Vaticano II La situazione della Chiesa Cattolica è seria. Il Papa è gravemente malato e merita ogni compassione. Ma la Chiesa deve vivere. Per questo, nella prospettiva di un'elezione papale, ha bisogno di una diagnosi, di una sincera analisi svolta dal suo interno. Delle terapie si potrà discutere dopo. Gli oltre venticinque anni di Pontificato di Karol Wojtyla sono stati una conferma delle critiche che già avevo espresso dopo un anno del suo Pontificato. Secondo la mia opinione, egli non è il Papa più grande ma il più contraddittorio del XX secolo. Un Papa dalle molte, grandi doti, e dalle molte decisioni sbagliate! La sua «politica estera» ha preteso da tutto il mondo conversione, riforma, dialogo. Però, in tutta contraddizione, la sua «politica interna» ha puntato alla restaurazione dello status quo ante Concilium, a impedire le riforme, al rifiuto del dialogo intra- ecclesiastico e al dominio assoluto di Roma. Questa contraddizione si evidenzia in undici ambiti problematici. Riconoscendo gli aspetti positivi di questo Pontificato, mi concentrerò quindi sui suoi aspetti critici e contraddittori.

Prima contraddizione.
Giovanni Paolo II predica i diritti degli uomini all'esterno ma li ha negati all'interno, cioè ai vescovi, ai teologi e soprattutto alle donne. Il Vaticano, un tempo nemico convinto dei diritti dell'uomo ma ben disposto oggi a immischiarsi nella politica europea, continua a non poter sottoscrivere la Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo del Consiglio d'Europa: troppi canoni del diritto ecclesiastico romano, assolutistico e medioevale, dovrebbero prima essere modificati. La separazione dei poteri, principio fondamentale del diritto moderno, è sconosciuta alla Chiesa Cattolica romana, nel cui comportamento non vi è nessuna lealtà: nei casi di disputa l'autorità vaticana funge nel contempo da legislatore, accusa e giudice.

Seconda contraddizione.
Grande ammiratore di Maria, il Wojtyla predica gli ideali femminili, vietando però alle donne la pillola e negando loro l'ordinazione. Per molte donne cattoliche tradizionali (soprattutto le donne appartenenti a ordini religiosi), l'aspetto più apprezzato di questo Papa è il suo respingere le donne moderne, in quanto le ha escluse da tutte le consacrazioni più importanti e considera la contraccezione appartenente alla «cultura della morte ». Tuttavia, molte delle donne che partecipano alle manifestazioni di massa del Papa, rifiutano la dottrina papale che si oppone ai metodi contraccettivi.

Terza contraddizione.
Questo Pontefice predica contro la povertà di massa e l'indigenza nel mondo ma, al tempo stesso, con la sua posizione in merito al controllo delle nascite e all'esplosione demografica, si è reso colpevole di questa indigenza.
In occasione dei suoi numerosi viaggi e anche di fronte alla Conferenza delle Nazioni Unite su Popolazione e Sviluppo tenutasi al Cairo nel 1994, questo Papa ha preso posizione contro l'uso della pillola e del profilattico e, pertanto, potrebbe essere ritenuto responsabile più di qualsiasi uomo di Stato della crescita demografica incontrollata in alcuni Paesi e del dilagare dell'Aids in Africa.

Quarta contraddizione.
Karol Wojtyla propaganda una figura sacerdotale maschile caratterizzata dal celibato ed è, quindi, il principale responsabile della catastrofica carenza di sacerdoti, del collasso dell'assistenza spirituale in molti Paesi e dello scandalo della pedofilia nel clero, ormai venuto alla luce.
Agli uomini che si sono dichiarati pronti al servizio sacerdotale nelle comunità viene proibito il matrimonio. Questo è solo un esempio di come anche questo Papa abbia ignorato la dottrina della Bibbia e la grande tradizione cattolica del primo Millennio in cui non vi era alcuna legge sul celibato per i sacerdoti. I quadri si sono ridotti, il reclutamento è fermo e fra poco, non solo nell'area di lingua tedesca, quasi due terzi delle parrocchie rimarranno senza sacerdote e la stessa celebrazione domenicale dell'eucarestia non potrà più essere assicurata, nemmeno con l'importazione di parroci e il raggruppamento delle parrocchie in «unità spirituali». Il clero fedele al celibato è dunque in crescente pericolo di estinzione. Gli scandali della pedofilia verificatisi dagli Stati Uniti all'Austria hanno inoltre gravemente danneggiato la sua credibilità, portando sull'orlo della bancarotta grandi diocesi negli Stati Uniti.

Quinta contraddizione.
Il Papa polacco ha praticato un numero elavatissimo di canonizzazioni, ma al tempo stesso ha ignorato l'inquisizione attuata nei confronti di teologi, sacerdoti e membri di ordini malvisti dalla Chiesa. I devoti, strumentalizzati politicamente e commercialmente con spese ingenti e conseguenti profitti per la Curia, sono soprattutto pie suore, fondatori di ordini religiosi o Papi come l'antidemocratico, antisemita, autoritario Papa Pio IX (controbilanciati dalla canonizzazione di Giovanni XXIII). Devoti sono divenuti anche l'imperatore asburgico Carlo I e il ben poco pio fondatore dell'Opus Dei Josémaria Escrivá.
Uomini e donne (anche donne appartenenti a ordini religiosi) che si sono distinti, per il loro pensiero critico e per la loro energica volontà di riforme, sono stati invece trattati con metodi da Inquisizione. Come Pio XII fece perseguitare i più importanti teologi del suo tempo, allo stesso modo si comportano Giovanni Paolo II e il suo Grande Inquisitore Ratzinger con Schillebeeckx, Balasuriya, Boff, Bulányi, Curran, Fox, Drewermann e anche il Vescovo di Evreux Gaillot e l'Arcivescono di Seattle Huntington.
Nella vita pubblica mancano oggi intellettuali e teologi cattolici della levatura della generazione del Concilio. Questo è il risultato di un clima di sospetto, che circonda i pensatori critici di questo Pontificato. I vescovi si sentono governatori romani invece che servitori del popolo della Chiesa. E troppi teologi scrivono in modo conformista oppure tacciono.

Sesta contraddizione.
Il Papa elogia spesso e volentieri gli ecumenici, ma al tempo stesso ha pesantemente compromesso i rapporti con le Chiese ortodosse e con quelle riformiste ed evita il riconoscimento dei suoi funzionari e dell'eucarestia.
Il Papa avrebbe dovuto consentire ­ come suggerito in molti modi dalle commissioni di studio ecumeniche e come praticato direttamente da tanti parroci ­ le messe e l'eucarestia nelle Chiese non cattoliche e l'ospitalità eucaristica. Avrebbe anche dovuto ridurre l'eccessivo potere esercitato dalla Chiesa nei confronti delle Chiese dell'Est e delle Chiese riformiste e avrebbe dovuto rinunciare all'insediamento dei Vescovi romano- cattolici nelle zone delle Chiese russe- ortodosse. Avrebbe potuto, ma non ha mai voluto. Ha voluto invece mantenere e ampliare il sistema di potere romano. La politica di potere e di prestigio del Vaticano è stata mascherata da discorsi ecumenici pronunciati dalla finestra di Piazza San Pietro, da gesti vuoti e da una giovialità del Papa e dei suoi cardinali che cela in realtà il desiderio di «sottomissione» della Chiesa dell'Est sotto il primato romano e il «ritorno» dei protestanti alla casa paterna romano-cattolica.

Settima contraddizione.
Come Vescovo suffraganeo e poi Arcivescovo di Cracovia, Karol Wojtyla ha preso parte al Concilio Vaticano II. Una volta diventato Papa, ha però disprezzato la collegialità del Pontefice con i Vescovi decretata proprio al Concilio.
Questo Pontefice ha più volte dichiarato la sua fedeltà al Concilio, per poi tradirlo nei fatti attraverso la sua «politica interna». I termini conciliari come «aggiornamento, dialogo, collegialità e apertura ecumenica» sono stati sostituiti da parole quali «restaurazione, magistero, obbedienza, ri-romanizzazione ». Il criterio per la nomina dei Vescovi non è affatto lo spirito del Vangelo e l'apertura mentale pastorale, bensì la fedeltà assoluta verso la condotta romana. I sostenitori del Papa tra i vescovi di lingua tedesca come Meisner, Dyba, Haas, Groer e Krenn sono solo gli sbagli più eclatanti di questa politica pastorale devastante, la quale fa pericolosamente scivolare in basso il livello morale e intellettuale dell'episcopato. Un episcopato reso ancor più mediocre, rigido, conservatore e servile, è forse l'ipoteca più pesante di questo lunghissimo Pontificato.

Ottava contraddizione.
Questo Papa ha cercato il dialogo con le religioni del mondo, ma contemporaneamente ha disprezzato le religioni non cristiane definendole «forme deficitarie di fede». In occasione dei suoi viaggi o «preghiere di pace», il Papa ha radunato con piacere attorno a sé dignitari di altre chiese e religioni. Non vi erano tuttavia molte tracce reali della sua preghiera teologica. Anzi, il Papa si è presentato in sostanza come un «missionario » di vecchio stampo.

Nona contraddizione.
Il Papa polacco ha assunto la funzione di rappresentante della fede in un'Europa cristiana, ma il suo ingresso trionfale e la sua politica reazionaria hanno involontariamente favorito l'inimicizia nei confronti della Chiesa, se non addirittura l'avversione contro il Cristianesimo stesso.
La campagna di evangelizzazione del Papa, il cui punto centrale è rappresentato da una morale sessuale ben poco adeguata ai tempi, ha discriminato soprattutto le donne: quelle che in questioni controverse, quali la contraccezione, l'aborto, il divorzio, l'inseminazione artificiale hanno dimostrato di avere opinioni diverse da quelle della Chiesa, sono state definite portatrici di una «cultura della morte». Attraverso interventi politici­ come è accaduto in Germania contro il Parlamento e l'episcopato nel caso del conflitto sul tema della gravidanza ­, la Curia romana ha dato l'impressione di rispettare poco la separazione giuridica tra Stato e Chiesa. Il Vaticano cerca (attraverso il gruppo parlamentare del Partito Popolare europeo) di esercitare delle pressioni anche sul Parlamento Europeo, incentivando l'ingaggio di osservatori particolarmente vicini alle idee di Roma per questioni relative alla legislazione sull'aborto. Invece di farsi ovunque fautrice di soluzioni ragionevoli che consentano la mediazione, la Curia romana con i suoi proclami acutizza di fatto a livello mondiale la polarizzazione tra oppositori e sostenitori dell'aborto, moralisti e libertini.

Decima contraddizione.
Come carismatico comunicatore e «star» mediatica, questo Papa fino alla sua veneranda età ha fatto presa in particolare sui giovani, ma si è appoggiato soprattutto ai «nuovi movimenti» di origine italiana, all'Opus Dei di casa in Spagna e a un pubblico acritico e fedele del Pontefice. Tutto ciò è sintomatico del rapporto del Papa con la laicità e della sua incapacità di dialogare con un pubblico critico.
I grandi raduni mondiali dei giovani sostenuti a livello regionale e internazionale, sotto la sorveglianza della gerarchia dei nuovi movimenti laici (Focolare, Comunione e Liberazione, St. Egidio, Legionari di Cristo, Regnum Christi, etc. ), hanno attirato e attirano centinaia di migliaia di giovani. Molti di essi volonterosi, troppi del tutto acritici. Il carisma personale di Wojtyla è quasi più importante dei contenuti da lui trasmessi.
Le domande che i giovani avevano posto al Papa e che, in occasione del suo primo viaggio in Germania, lo avevano messo in serio imbarazzo, in seguito non sono state più consentite. Le associazioni cattoliche di giovani, che non si trovano sulla linea del Vaticano, vengono disciplinate e messe alla fame dall'ordine romano attraverso il ritiro di finanziamenti da parte dei vescovi locali. Inoltre viene messa in discussione la fiducia un tempo accordata all'ordine dei gesuiti: prediletti dai Papi precedenti, ora vengono percepiti come sabbia negli ingranaggi della politica di restaurazione del Papa a causa delle loro qualità intellettuali, dei loro teologi critici e delle opzioni teologiche di liberazione. Invece Karol Wojtyla, già ai tempi in cui era ancora arcivescovo di Cracovia, concesse la piena fiducia all'associazione segreta Opus Dei, potente sia dal punto di vista finanziario che in termini di influenze, ma antidemocratica e in passato compromessa con regimi fascisti.

Undicesima contraddizione.
Giovanni Paolo II ha offerto nel 2000 una pubblica confessione dei peccati per gli errori della Chiesa nel passato, senza però trarne alcuna conseguenza pratica.
La confessione dei peccati ampollosa e barocca inscenata a San Pietro per gli errori della Chiesa è rimasta vaga e ambigua. Il Papa ha chiesto perdono solo per gli errori dei «figli e delle figlie della Chiesa» ma non per quelle del «Santo Padre», per quelle della Chiesa stessa e dei gerarchi presenti. Il Papa non ha mai preso posizione in merito agli intrighi delle varie sedi della Curia in affari mafiosi e ha contribuito più all'occultamento che alla rivelazione di scandali e crimini (Banca Vaticana, il «suicidio» di Guido Calvi, l'omicidio avvenuto nell'ambiente del corpo delle guardie svizzere. . . ). Anche con la rivelazione degli scandali della pedofilia dei clericali, il Vaticano è stato straordinariamente titubante. Nonostante alcune richieste, il Papa non ha mai dato udienza ad alcuna vittima. Anzi, ha riempito di elogi un insigne criminale nel corso di una fastosa cerimonia al Vaticano: il messicano Marcial Maciel Degollado, fondatore dei Legionari di Cristo (500 sacerdoti e 2. 000 seminaristi) e del movimento laico Regnum Christi, diventato ormai concorrente ancora più conservatore dell'Opus Dei.

Conclusioni.
Per la Chiesa cattolica questo Pontificato si rivela, nonostante i suoi aspetti positivi, una grande speranza delusa, in fin dei conti un disastro, perché Karol Wojtyla, con le sue contraddizioni, ha profondamente polarizzato la Chiesa, allontanando i suoi innumerevoli uomini e gettandoli in una crisi epocale. Contro tutte le intenzioni del Concilio Vaticano II, il sistema romano medioevale ­ un apparato di potere caratterizzato da tratti totalitari ­ è stato restaurato grazie a una politica personale e dottrinale tanto astuta quanto spietata: i vescovi sono stati uniformati, i padri spirituali sovraccaricati, i teologi dotati di museruola, i laici privati dei diritti, le donne discriminate, le iniziative popolari dei sinodi nazionali e delle chiese ignorati. E poi ancora scandali sessuali, divieti di discussione, dominio liturgico, divieto di predica per i teologi laici, esortazione alla denuncia, impedimento dell'eucarestia. Di tutto questo è forse colpevole «il mondo»?
La grande credibilità della Chiesa Cattolica, cioè quella ottenuta da Giovanni XXIII e dal Concilio Vaticano II, ha lasciato il posto a una vera e propria crisi della speranza. Questo è il risultato della profonda tragicità personale di questo Papa: la sua idea cattolica di stampo polacco (medioevale, controriformista e antimoderna), in qualità di Pontefice Karol Wojtyla l'ha voluta portare anche nel resto del mondo cattolico. Si è però verificato il contrario di ciò che egli sperava: la Polonia stessa è stata travolta dal moderno sviluppo secolare e, dopo la sostituzione dell'alleanza elettorale in carica fino al 2001, Solidarnosch, si appoggia sempre meno alle idee di fede e di morale promosse dal Pontefice.
Quando verrà il momento, il nuovo Papa dovrà decidere di affrontare un cambio di rotta e dare alla Chiesa il coraggio di nuove spaccature, recuperando lo spirito di Giovanni XXIII e l'impulso riformistico del Concilio Vaticano II. «Videant consules», i consoli vogliano fare in modo che la Repubblica non subisca danni, si diceva nell'antica Roma. «Videant cardinales», i cardinali vogliano fare in modo­si dovrebbe dire nella Roma di oggi­che la Chiesa non subisca danni.
(Traduzione del Gruppo Logos) Hans Küng teologo cattolico dissidente 30 marzo 2005
http: //www. corriere. it/Primo_Piano/Documento/2005/03_Marzo/26/index_kung. shtml
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Un ritorno alla radici del Nuovo Testamento che ispiri una riforma radicale della Chiesa: questo il centro della predicazione di Hans Küng, il più noto teologo del dissenso del mondo cattolico. Nato a Lucerna 77 anni fa, fu ordinato sacerdote nel 1954 e diventò professore di Teologia all’Università di Tubinga nel ’60. Due anni dopo divenne consigliere nel Concilio Vaticano II, nel quale ebbe un rilevante ruolo intellettuale. In seguito, il rifiuto della dottrina dell’infallibilità del Papa valse a Küng la censura della Congregazione per la dottrina della fede. Quando nel 1970 gli venne revocata la qualifica di teologo cattolico romano, continuò a insegnare presso l’Istituto per la ricerca ecumenica di Tubinga. Küng sostiene la necessità di introdurre il sacedozio femminile e di creare un consiglio dei vescovi elettivo per porre fine al culto della personalità papale. La sua ventennale critica a Wojtyla non gli ha impedito di tributare al Pontefice il «plauso più grande» per la contrarietà espressa riguardo alla guerra in Iraq. Tra i suoi libri «Vita eterna» (Mondadori) e «Cristianesimo» (Bur).
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12.4.05

Un italiano in America
"Bananas" di Marco Travaglio

Domenica sera, uno straordinario Report di Milena Gabanelli ha messo a confronto il sistema giudiziario americano e quello italiano. Alla fine il telespettatore ha capito molte cose. Primo, che cos'è l'informazione: una cosa che serve a informare il pubblico di cose che prima non sapeva, e non un salottino con due politici di destra e due di sinistra che chiacchierano del più e del meno, soprattutto del meno. Secondo, perchè la giustizia in Italia non funziona e in America sì (anche se non è certo un paradiso: vedi pena di morte, discrezionalità dell'azione penale, liberazione su cauzione per chi se la può permettere, giudici e pm nominati dal governo o elettivi con campagna elettorale incorporata). Terzo, dove sarebbe oggi Berlusconi se vivesse nell'amata America: non certo a Palazzo Chigi, ma in luoghi molto meno confortevoli.
Processo O.J. Simpson. Gli avvocati aggrediscono il giudice, ma con toni infinitamente più soavi di quelli dei legali di Berlusconi e Previti. Il giudice li zittisce: "Vi condanno a 250 dollari di multa. Fuori il libretto degli assegni, versate l'importo allo sportello lì a fianco". La voce fuori campo spiega che potevano pure essere arrestati su due piedi per oltraggio alla Corte.
Prescrizione. In America, i termini sono di 5 anni, dalla data dell'ultimo reato a quella del rinvio a giudizio. Dopodichè gli avvocati possono inventarsi tutti i cavilli che vogliono, ma il reato non si prescrive più. In Italia invece la prescrizione scatta sempre durante il processo (29 mila cause incenerite in un anno, solo a Milano, in attesa che la Cirielli mandi in fumo gran parte dei processi per reati puniti con pene massime fino a 8 anni). Ecco perchè negli Usa i processi durano così poco: il colpevole ha tutto l'interesse a patteggiare la pena (accade nel 90% dei casi) per risparmiare tempo e soprattutto la parcella dell'avvocato. Se si pensa che Berlusconi ha visto i suoi reati accertati cadere in prescrizione per ben sei volte, ben si comprende che in America sarebbe stato condannato sei volte. Se poi avesse la sfortuna di vivere in California, alla terza condanna scatta automaticamente l'ergastolo. Chem peraltro, è previsto anche per un solo grosso falso in bilancio. Per quello di Worldcom, l'ex presidente Ebbers rischia 85 anni di carcere. Per quello di Fininvest (1500 miliardi di presunti fondi neri), Berlusconi l'ha fatta franca perchè la sua legge sul falso in bilancio l'ha mandato in prescrizione. "In Italia - osserva il pm Greco - rischia più chi fa il gioco delle tre carte sotto un ponte di chi occulta miliardi nei prospetti informativi".
In Italia non si è colpevoli e non si espia la pena se non dopo la Cassazione, che tratta 40 mila processi l'anno. Negli Usa si sconta la pena subito dopo il primo grado e la Corte Suprema, su 100 mila ricorsi, ne accoglie 80 l'anno. In Italia nessuno sconta le pene inferiori ai 3 anni, negli Usa si scontano anche quelle minime. La signora Leslie, condannata a 2 giorni di lavori socialmente utili per aver minacciato il marito dopo il divorzio, viene ritratta a Riverside Park intenta a raccogliere le foglie: "Potevo appellarmi, ma l'appello costa. Mi faccio questi 2 giorni e non se ne parla più". La scrittrice Martha Steward, regina del bonton, condannata a 11 mesi per insider trading e spergiuro, è finita in carcere per 6 mesi e ai domiciliari per altri 5. "In Italia - spiega il giudice Davigo - l'imputato non giura, anzi ha il diritto di mentire ai giudici. In America,se mente, lo condannano anche per questo". Berlusconi ha mentito sia come teste (colpevole di falsa testimonianza sulla P2 dalla Corte d'appello di Venezia nel '90, si salvò per la solita amnistia) sia come imputato (85 bugie nelle dichiarazioni spontanee al processo Sme nel 2003).
In America chi costruisce una casa di tre piani quando la legge ne consente solo due, si vede abbattere il terzo piano, paga una supermulta e finisce in tribunale: rischia fino a 7 anni. In Italia, c'è sempre un condono. Ogni riferimento agli abusi di villa La Certosa è puramente casuale.
In America l'autista di Agnelli acquista sigarette via internet, all'estero, per risparmiare: dalla sua carta di credito, il fisco risale a lui: 1860 dollari di multa. Un campione di "Survivor" (l'equivalente dell'Isola dei famosi) vince un milione di dollari, ma non lo dichiara. Scoperto e processato, rischia 5 anni di carcere. "Così la gente - spiega l'avvocato generale Don Korb - penserà: se hanno beccato lui, possono beccare anche me. E pagherà le tasse. Da noi la gente considera spregevole chi froda il fisco". In Italia chi evade, magari con residenza a Montecarlo, viene invitato a Porta a Porta a beatificare il principe Ranieri. L'evasione all'italiana è reato solo sopra il milione di euro, e solo in teoria: in pratica, c'è sempre un condono. Berlusconi considera l'evasione sui grandi redditi "un diritto naturale". L'ha detto in visita alla Guardia di Finanza. Forse perchè è indagato a Milano per 180 milioni di euro evasi col trucco dei diritti tv.
In Italia si prepara la trentesima amnistia in cinquant'anni. Negli Usa non sanno che cosa sia: il termine amnistia è intraducibile. Quando Davigo tentò di spiegare il concetto a una delegazione di giudici americani, dopo mezz'ora di sforzi sovrumani, si sentì rispondere: "Abbiamo capito, lei ci sta facendo uno scherzo".

10.4.05

COLZA METTI NEL MOTORE
di Beppe Grillo

Prima di fare questo discorso occorre una piccola premessa. Quanto sto per dire danneggia gravemente il ministero delle finanze, inoltre è considerato "truffa" dallo stato. Se deciderete di mettere in atto quanto NON vi consiglio affatto di fare, quindi, sarete perseguibili e io ovviamente NON vi consiglio di farlo. VI spiego semplicemente e nel dettaglio cosa NON fare.
La premessa criminosa è la seguente: quando i motori diesel vennero ideati, non esisteva ancora il carburante che oggi noi definiamo "diesel". Non esisteva perchè non esistendo i motori diesel, nessuno (escluso il buon Diesel) si era mai chiesto con cosa farli camminare. Quindi, i primi motori diesel furono concepiti avendo come combustibile degli olii vegetali, come l'olio di semi, l'olio di soia, l'olio di girasole, l'olio di semi vari, e così via. Sì, proprio così, quelli che usate in casa per friggere.
La domanda è: e i motori di oggi? La risposta è: idem. La stragrande maggioranza dei motori diesel (credo potreste avere dei problemi con quelli turbocompressi) è capace di bruciare uno qualsiasi degli olii che si usano in cucina, con l'eccezione dell'olio di oliva (dovreste prima surriscaldarlo, aspettare che decanti il residuo, e poi ossidare alcune sostanze facendoci gorgogliare dell'aria mentre bolle. Far passare dell'ossigeno dentro un combustibile liquido che bolle non è mai saggio, quindi non lo fate se non vi chiamate Enichem di cognome. Perdipiù il numero di esano è alto, quindi il botto lo sentirebbero molto lontano).
Comunque, la notizia che il Resto del Carlino dava oggi è la seguente. La gente, a quanto sembra, sta iniziando a scoprire l'olio di colza. L'olio di colza è un oliaccio di merda che le industrie usano per friggere su larga scala, e ha due vantaggi: il primo è che rovina il fegato molto lentamente, il secondo è che costa poco. Costa poco nel senso che all'ingrosso e nei discount il suo prezzo oscilla tra il 0.45 e i 0.65 euri/litro. E quindi il Carlino dice che molta gente, "complice il tam tam su internet" inizia a prendere d'assalto i discount per comprare questo olio.
Dopodichè lo si ficca nel motore.
Problemi tecnici? L'unico problema tecnico è che l'olio vegetale è leggermente più denso degli altri, e quindi potrebbe dare dei problemi all'accensione. L'ideale sarebbe partire con il diesel petrolifero, e poi iniziare con l'olio di semi vari, o l'olio di colza.
Questo significa che la cosa migliore da fare è testare sul vostro motore quale sia la percentuale massima di olio vegetale che potrete usare. Prima ne aggiungete il 10% e vedete come va, poi il 20% e vedete come va, poi il 40% e vedete come va, eccetera. LA cosa che dovrete verificare è come si comporta in accensione. I vecchi motori diesel, quelli non common-rail, quelli con le candelette di preriscaldamento per intenderci, NON hanno alcun problema e ci potrete cacciare dentro quanto olio vegetale volete.
Quelli common rail invece vanno verificati come dicevo prima, aggiungendo lentamente percentuali sempre più alte di olio vegetale.
Non sarebbe stranissimo se riusciste anche voi, come la maggior parte, ad aggirarvi sul 75% - 80%. L'olio di semi, l'olio di colza, possono costare anche 0.45-0.50 al litro. Il diesel... Tutto qui, direte voi?
No, non è tutto qui. Perchè lo stato considera questa cosa una truffa, cioè un reato. Se voi, cioè, comprate legalissimamente un litro di olio di colza e anzichè friggerci i calamari lo infilate nel serbatoio del vostro diesel per lo stato state compiendo un reato che è truffa, perchè state evadendo la tassa che c'è sui carburanti. Non importa il fatto che l'automobile sia VOSTRA e anche l'olio sia VOSTRO e quindi ci fate quel che volete. Lo stato dice che nel momento in cui diventa carburante, qualsiasi cosa debba pagare delle accise. Quindi nel momento in cui io sbatto, che so, il resto del carlino nella stufa, sto compiendo una truffa perchè il resto del carlino NON paga l'accisa sui carburanti ad uso domestico.
Allora, qual è il problema? Il problema è che il Carlino vorrebbe dare la notizia, come la voglio dare io, mentre lo stato (che teme che la gente sappia come truffarlo) non vorrebbe. E così, i giornalisti sono minacciati di denuncia, per istigazione a delinquere, qualora dicessero che tale operazione sia possibile, e che tale operazione sia vantaggiosa.
Quindi, mi adeguo.
Allora, con questa operazione il diesel lo pagate dai 0.45 ai 0.65 euri al litro. Siccome il diesel petrolifero, come è noto, costa MENO di così, allora l'operazione è svantaggiosa.
Allo stesso modo, bruciare olio di colza inquina zero. Inquina zero perchè siccome il bilancio chimico di una pianta è nullo, il CO2 che buttate nell'atmosfera è lo stesso che la pianta ha assorbito per crescere, e il bilancio per il pianeta è nullo.
Le misurazioni poi mostrano come il tasso di zolfo sia pressochè nullo, e le polveri sottili siano la metà del diesel petrolifero. Siccome inquinare è BELLO, allora ovviamente (in ottemperanza alle leggi vigenti) devo dirvi che usare l'olio di colza è SBAGLIATO perchè rispetta l'ambiente, cosa che, come sappiamo tutti, non è giusto fare.
Come se non bastasse, l'olio di colza ha un numero di esano leggermente (il 3%) migliore rispetto al diesel petrolifero, ovvero il vostro motore non solo durerà di più, ma avrà una resa migliore e brucerà meno combustibile. E questo, come ci insegnano le vigenti leggi, è MALE, perchè dire il contrario sarebbe istigare alla truffa.
La stessa cosa vale per l'olio di canapa, che è ancora migliore rispetto ai precedenti due. Errata corrige: trattandosi di truffa contro lo stato, è ancora PEGGIORE. Sporca di meno, mentre noi tutti sappiamo che inquinare è BELLO, rende di più, e non c'è bisogno che vi elenchi le insidie del risparmo (pratica immonda e scellerata) e, come se non bastasse, è una sonora mazzata nei cosi di Siniscalco, la persona in italia le cui gonadi stanno più a cuore a tutti noi. Guardatelo: i suoi occhioni profondi, quello sguardo languido e sensuale, l'espressione viva e intelligente: come pensate di dare un dispiacere a nu' "piezz'e'core" del genere?
Quindi, vi esorto a NON piegarvi a queste diaboliche pratiche consistenti nel risparmiare (vade retro, satana!) soldi mettendo (coprite gli occhi alle vostre figlie) olio di colza nel serbatoio della vostra automobile diesel (che Siniscalco mi perdoni, l'ho detto!), risparmiando per di più di inquinare il pianeta (che come sappiamo invece necessita di dosi crescenti di inquinamento.
La colza danneggia gravemente Siniscalco. Aut min conc.
Fate finta che ci sia anche un bel rettangolo color nero "annuncio funerario" attorno, come nelle sigarette. Come mai dico questo? Dico questo non perchè sia una novità, ma perchè è una di quelle notizie che non si dovrebbero far circolare, e che sui giornali non trovano spazio. Motivo evidente: contate il numero di pubblicità di aziende che fanno carburanti, e il numero di pubblicità di aziende che fanno olio vegetale, e scoprirete il perchè. Siccome in USA c'è un dibattito sul potere dei blog, mi piacerebbe fare un test: vedere quanto si diffonde una notizia (sebbene già nota a molti) in barba alla censura industriale che vige sui giornali, e che usa il ricatto "non faccio più pubblicità sul tuo giornale se non dici cosa voglio io".
Quindi, se vi va, e avete un blog, replicate o linkate questo articolo, o dite le stesse cose con parole vostre. Non so perchè, ma a me Siniscalco non fa tanto sesso. In generale, comunque, oltre all'olio di colza e a quello di canapa che sono gli ideali, vanno bene anche l'olio di semi di girasole, quello di semi vari, quello di mais. L'unica discriminante è il costo al litro, il che esclude l'olio di oliva, oltre ai problemi legati alla densità.
DOPO BERLUSCONI - Aspetta e spera
di STEFANO BENNI

Che l'Italia non sia più berlusconiana lo scriviamo da due anni, spesso rimproverati dalla sinistra istituzionale. Ora, con l'eccezione di Giovanardi e di alcuni pastori della Sila, lo sanno tutti. L'ecumenico sorriso di Monna Lisa Prodi è giustificato, ma non deve diventare fisso, come il ghigno da piazzista del cavaliere. Perché la strada è in salita e i sondaggi mutevoli . L'Italia non è berlusconiana, ma il potere sì. E dato che questo potere non è più temperato dalle regole della democrazia, non sarà semplice scalzarlo. In ogni paese flebilmente civile chi perde quattro elezioni di fila, l'ultima con otto punti di scarto si dimette, o quanto meno presenta le dimissioni. Ma questo è un paese dove il neuropremier vittimista è stato inquisito, stralciato, prescritto, i suoi più stretti collaboratori sono stati condannati per corruzione e appoggio alla mafia, e si è fatto finta di nulla. Perciò il nanetto di minoranza vuole dimenticare in fretta la macchinazione comunista di questo voto, e si dice pronto a cambiare la Costituzione e le leggi elettorali. Lo spalleggiano Fini e Follini, giganti che in due hanno il coraggio e l'indipendenza di pensiero di mezzo doroteo anni Sessanta.

E soprattutto, il cavaliere gode dell'appoggio politico e culturale di un gruppo di picciotti padani col cinque per cento dei voti e del clan dei riformisti siciliani col cento per cento dei pizzi. Aspettiamo fiduciosi il 2006, dice una sinistra generosamente premiata dai suoi elettori. Fiduciosi in cosa? Perché il premier tricointermittente, ora che sta davvero per perdere il potere, dovrebbe cominciare a rispettare regole che ha sempre disprezzato? E soprattutto, la sinistra istituzionale ha il coraggio e la voglia di rispettare la volontà degli elettori? Che hanno detto basta a Berlusconi non dal 2006 ma da subito. Ci dicono che esiste la correttezza istituzionale (termine nobile che suona strano nel contesto di questi anni ignobili). Questa correttezza impone di mantenere il premier fallito al suo posto fino a nuove elezioni. Ma le sue menzogne, l'accaparramento di privilegi e capitali, e il suo abuso di potere maggioritario dovrebbero smettere da subito. Passeremo perciò un normale anno di confronto democratico, o un altro anno di calci in faccia alla democrazia e vittimismo da una parte e dall'altra? La sinistra, da ora in avanti, ha una responsabilità che il voto ha accresciuto. Gli scenari fino al 2006 possono essere questi.

Soluzione Ciampi

Nonno Azeglio, in un impeto di coraggio, fa il suo dovere. Depone Berlusconi per manifesta incapacità di gestire questo momento politico, abuso di potere, catastrofe economica, scempio dell'informazione, tintura prolungata. Effettua, diciamo così, un'operazione preventiva di salvataggio della democrazia. Manda Silvio in pensione prima che Silvio ci mandi lui. Augurabile ma assai improbabile, come uno scudetto al Livorno.

Soluzione rivolta alleati

Follini, Fini, Storace, persino Vito e Schifani, si ribellano. Chiedono un rimpasto. La Lega minaccia le dimissioni di tutti i suoi ministri e lo sciopero della fame di Borghezio. Volano insulti, accuse, cachinni e grida di libertà. Alla fine si trova una soluzione nuova e riformista per tutti. Castelli e Lunardi si scambiano il Ministero, e si fanno centosedici nuovi sottosegretari. Come segno di ritrovata autonomia, sarà permesso d'ora in avanti agli onorevoli di portare scarpe coi tacchi anche in presenza del leader.

Soluzione Bush

Bush non è certo venuto in Italia per il Papa. Lo ha sempre trattato come un vecchio importuno e inutile, e ha sempre sostenuto che Dio non abita tra le guardie svizzere ma tra i marines. Se fosse sincero, cederebbe il suo posto al funerale a un pellegrino, tra i milioni che non riusciranno neanche a avvicinarsi a San Pietro. Non siamo fan di miracoli, lacrimazioni, ulcere e poltergeist. Ma mentre George è in ginocchio a fingere contrizione, non ci dispiacerebbe che il bastone papale si librasse in aria e gli calasse sulla groppa. Qual è allora il vero motivo della venuta di Bush? Dato che gli Usa non trascurano mai nessuna opzione, perché non prevenire una nuova sconfitta elettorale con relativo insediamento di regime comunista? Non occorre neanche inviare le truppe, gli aerei e i sottomarini sono già qui. Basta qualche miccia della Cia e far uscire Bin Laden dalle grotte del Vesuvio, ove notoriamente vive insieme alla maga Amalia. Tutti sanno che Prodi possiede armi di sterminio, quasi cento chili di ciccioli in cantina, e la Pidue ha già i piani preparati da anni. Non c'è niente da ridere.

Soluzione vacanza.

Il premier prende l'aereo e nottetempo trasloca nelle isole esotiche dove tiene gran parte dei suoi capitali, fa rasare i capelli all'intera popolazione, incarcera tutti quelli sopra il metro e settanta e diventa imperatore col titolo di Granpeloùd, Gigante dalla lunga chioma.

Soluzione secessione.

Nasce il regno lombardo- siculo, indipendente dall'Italia. Presidente Berlusconi, imperatore Bossi. Una modernissima devolution divide il territorio in numerosi sottoregni feudali affidati a Cuffaro, Caldaroli, Formigoni, Castelli, La Loggia, Dell'Utri, Buttiglione, Dolce e Gabbana. Per l'ultimo litigano l'Opus Dei, gli Hobbit e gli elfi. Lunardi costruisce un ponte che collega Arcore a Siracusa, e dall'alto i padanosiculi dominano e bombardano di pietroni la misera Italia comunista.

Soluzione nuova legge elettorale

Vengono introdotte nuove modifiche, alcune già da me descritte due anni fa, ma ancora valide: ad esempio. Lodo firme: per presentare una nuova lista la procedura sarà snellita e occorreranno meno firme. Per l'esattezza due: Silvio e Pierslivio. Lodo Bossi: per evitare brogli, ritardi e sperperi, il governo verrà scelto votando solo a Treviso. Questa è vera deregulation. Inoltre ci sarà un fotografo in ogni cabina, perché il voto è un bel ricordo da conservare, e gli scrutatori verranno sostituiti da mucche. Lodo Pera: le schede saranno di due tipi. Quella per votare la Casa delle Libertà sarà normale. Quella per votare l'Ulivo sarà di centosei pagine, bisognerà compilare tutti i moduli, risolvere un puzzle di centosei pezzi e un gioco di parole crociate. Le sinistre sospettose e disfattiste obietteranno che questa scheda è troppo grossa per entrare nell'urna. E' un problema secondario. Lodo Previti: la Casa delle Libertà si riserva di cancellare i risultati sfavorevoli in quanto potrebbero far parte di una atteggiamento preconcetto nei confronti del suo leader. L'Emilia fa testo.

Soluzione inciucio

Accordo preventivo. Se la sinistra vince le elezioni, consegna tutte le regioni al Polo, con relativa autonomia politica e amministrativa. Se invece vince la destra, Vespa viene sostituito da Curzi o da un questionario scritto. Ipotesi ancora più audace: le elezioni vengono rinviate di cinque anni, e intanto prende vita un governo Casini con l'appoggio esterno dell'Unione. Berlusconi prende il posto di Ciampi. Unico ostacolo, il papato a Rutelli. Ma la Chiesa esaminerà la possibilità.

7.4.05

Qui Montecarlo, anzi San Pietro
"Satira preventiva di Michele Serra"

L'inquadratura dal Vaticano trasmessa dalle tv nazionali sembrava identica per tutti i canali. Invece dieci piccoli particolari distinguevano i servizi tra di loro

Apparentemente, i sei network tv italiani hanno seguito l'agonia e la morte del Papa in modo identico. In realtà, sotto la stessa inquadratura di piazza San Pietro in onda su tutte le reti, appariva spesso una scritta in sovrimpressione: "Questa immagine si distingue da quelle in onda sulle altre reti solo per dieci piccoli particolari. Sapreste dire quali?"

La risposta esatta era:

1 La guardia svizzera di spalle su Raiuno, per un errore di messa a fuoco delle telecamere, aveva le righe rosse e le righe gialle della divisa invertite rispetto alla stessa guardia svizzera in onda altrove.
2 L'inviato di Raitre era lo stesso di Raidue, ma si pettinava con la riga a destra o a sinistra a seconda del collegamento.
3 Il vaticanista di Raiuno ha sostenuto che "questo Papa era amato soprattutto dai giovani", quello di Raidue ha detto "soprattutto i giovani amavano questo Papa", quello di Raitre "amavano il Papa soprattutto i giovani", quello di Retequattro "era soprattutto il Papa amato dai giovani", quello di Canale 5 "Papa giovani amato dai soprattutto questo", quello di Italia 1 "giovani soprattutto questo Papa amato dai".
4 Subito dopo il Te Deum tutte le reti hanno fatto un primo piano del coro delle focolarine in piazza San Pietro. Solo Retequattro, per un disguido, si è collegata con l'inviato a Montecarlo per l'agonia di Ranieri. Fortunatamente il parlato era identico - "il mondo in ansia" e tutto il resto - e il collega ha avuto il sangue freddo di sostenere che la curva della Rascasse e il Casinò erano via della Conciliazione gremita di giovani. Ha anche intervistato Liz Taylor, che stava uscendo da un bar, presentandola come un compagno di seminario del Papa.
5 La frase "il mondo è in ansia per la salute del Santo Padre", ripetuta su tutte le sei reti, è stata sostituita, senza avvertire i superiori, solo dallo speaker di Italia 1, che ha detto "il mondo è preoccupato per la salute del Papa". È stato licenziato.
6 A tarda notte Raitre ha mandato in onda, in esclusiva, le immagini di una colonna di linguisti, italianisti e semplici cittadini esasperati, bloccata dalle forze di sicurezza mentre tentava di raggiungere gli inviati dei telegiornali con una scorta di dizionari dei sinonimi e dei contrari.
7 Il servizio sulla giovinezza di Karol Wojtyla a Cracovia era identico su tutte le reti, tranne Italia 1 che, avendo perso la pizza con il filmato, ha improvvisato una diretta da Cracovia, con l'inviato che fingeva di essere nella Polonia del 1949. Per rendere verosimile la scena si era vestito in bianco e nero con il bavero rialzato, ma è stato tradito dal fatto che la piazza principale della città, alle sue spalle, era a colori e gremita di rosticcerie.
8 Negli approfondimenti in studio gli ospiti erano sempre: un vescovo, uno dell'Opus Dei, un teologo svizzero, un politico democristiano (ovvero, uno qualunque dei politici italiani, di destra e di sinistra), un prete, un vaticanista, una badessa, un professore di diritto canonico e infine, per garantire la laicità, un'attrice americana che vive da molto tempo in Italia e si è convertita grazie a questo Papa. Per andare in onda sulle diverse reti gli ospiti cambiavano rapidamente di posto a ogni collegamento, divertendosi molto perché uno rimaneva sempre in piedi come nel gioco dei quattro cantoni. Su Raitre, a tardissima notte, la badessa e il teologo svizzero sono andati in onda dopo essersi scambiati gli abiti per farsi quattro risate.
9 La formula ecumenica "anche musulmani ed ebrei piangono per il Papa" dev'essere piaciuta molto ai direttori di rete, perché con il passare delle ore si è trasformata in una gara al rialzo. Di rete in rete, di speaker in speaker, si è saputo che piangono per il Papa anche buddisti, induisti, zoroastriani, testimoni di Geova, mormoni, scintoisti, taoisti, confuciani, seguaci del Dio Oberon, devoti del Tempio di Urk. Alla quarantaseiesima ora di diretta, nella speranza di aggiudicarsi la contesa, Bruno Vespa ha dichiarato che piangono per il Papa anche le sacerdotesse amazzoni del pianeta Halamal. Il teologo svizzero presente in studio non ha potuto opporsi perché si era addormentato.

2.4.05

La prolusione di Mario Tronti letta il 31 marzo 2005 alla presenza del presidente della Repubblica Ciampi e della Camera Casini in occasione della celebrazione per i novantanni di Pietro Ingrao. "Anche se Ingrao resiste al compito di vestire i panni biblici del patriarca. Potrebbe prestarsi ad essere agevolmente il patriarca della sinistra. Ma sappiamo quanto questo sia contrario alla sua indole".
Mario Tronti
Una citazione di due autori che so per certo non graditi a Pietro Ingrao. Ma so anche di certo che per lui non sarà un problema, conoscendo non tanto la sua tolleranza, quanto il suo gusto per il diverso e per il contrario. Jünger scrisse un biglietto di auguri a Schmitt per il suo novantesimo compleanno. E Schmitt rispose con un altro biglietto: "la vecchiaia è finita; adesso comincia letà dei patriarchi".
E bello poter dire in vita: la vecchiaia è finita. Si può veramente, finalmente, coltivare quella che Goethe anziano chiamava la cara dolce abitudine di vivere. Anche se Ingrao resiste al compito di vestire i panni biblici del patriarca. Potrebbe prestarsi ad essere agevolmente il patriarca della sinistra. Ma sappiamo quanto questo sia contrario alla sua indole. Alcune sue scelte recenti una soprattutto hanno voluto sottolineare la sua appartenenza di campo e, per utilizzare una formula ormai per il troppo uso diventata banale, unappartenenza di campo senza se e senza ma.
Mi colpì una frase della sua amatissima moglie Laura, pronunciata qualche tempo prima della scomparsa: dovevamo diventare vecchi per ritrovarci ad essere dei senza partito. Non cè pensiero che meglio definisca la "Stimmung", diciamo così, il senso e il tono, di questo estremo lembo dellimpegno pubblico di Ingrao.
Non voglio ripercorrere qui le fasi del suo percorso politico. Névoglio farne una biografia per consegnarlo al passato. Stiamo trasformando il Crs, questa sua creatura, inaugurato nel 1972 da un altro Presidente, Umberto Terracini, in Fondazione, raccogliendo qui lArchivio Ingrao. Abbiamo in programma una giornata di studio, per approfondire, con il contributo di storici, di politologi, di critici, i passaggi della sua presenza nella vita politica, istituzionale, culturale del paese.
Sì, anche culturale, perché un punto determinante da tenere a mente per ricostruire la personalità di Ingrao èquesto: che in lui la vocazione intellettuale precede quella politica. Solo questo spiega la sua attenzione agli strumenti del linguaggio, non in quanto comunicazione, secondo la deriva a cui è oggi sottoposta e subordinata la parola umana, ma in quanto espressione: dire di sé e del mondo lessenziale, il significato e il valore di ciò che veramente è.
Di qui la curiosità per gli strumenti nuovi del linguaggio: il cinema, questa passione giovanile, rimasta nel tempo,il cinema come forma espressiva del Novecento, limmagine del mondo per il secolo. E poi..., quella voce della maturità che è la poesia. Ingrao poeta non è un particolare della sua persona; non è un accessorio da aggiungere al resto. La poesia è costruzione di sé, momento e processo di autoconsapevolezza, memoria del passato e etica del presente.
Ieri sera, nella serata popolare in suo onore,ci ha parlato del dissidio che sente in sé, tra il limite della politica e lo smisurato dellumano.Qualcosa che nemmeno si può dire per intero.Lindicibile dei vinti, il dubbio dei vincitorie quel grido: Leva in alto la sconfitta,furono, a metà degli anni ottanta il presagio di ciò che stava per accadere.Del resto, ci sono dei titoli dei suoi libri: "Masse e potere", in mezzo agli anni settanta,"Tradizione e progetto", allinizio degli anni ottanta, "Le cose impossibili", allinizio degli anni Novanta, che perfettamente aderiscono al tempo storico che li suggeriva.
Ingrao ha riconosciuto il suo secolo, lo ha vissuto, con lalta febbre del fare, e quindi, in questi ultimi anni lo ha giudicato. Un giudizio severo, a mio parere, anche troppo severo, soprattutto quando ha coinvolto la sua stessa persona, le sue scelte e prese di posizione su eventi, che è più facile riguardareoggi di quanto non fosse allora, quando si stava nel gorgo, per usare una parola cara a Pietro.
Questo suo andare oggi elencando puntigliosamente gli errori di allora è umanamente molto bello, ma, vorrei dirgli con affetto,sembra a molti di noi anche eccessivamente autocritico.
Ci allontaniamo dal nostro secolo e forse sta maturando il momento di uno sguardo più equanime. Il Novecento è stato, sì, tragedia e violenza, ma è stato anche emancipazione, liberazione, conquiste. Il negativo delle guerre è vissuto accanto al positivo delle lotte. Intreccio, appunto, tragico tra disumani esperimenti riusciti e grandiosi tentativi falliti. Male assoluto e male necessario: questa dialettica è ancora da sciogliere ed ètremendamente complicato scioglierla. Profetiche rimangono le parole di Max Weber, pronunciate appena dopo la fine della prima grande guerra: "Non è vero che soltanto il bene possa derivare dal bene e il male dal male, bensìmolto spesso il contrario. Chi non lo capisce, in politica non è che un fanciullo".
A malo bonum: questo segno agostiniano è alla base della giusta volontà politica; dal peccato la grazia, dalla caduta la libertà del cristiano. Non è nella contrapposizione tra male e bene, ma nellintreccio tra luno e laltro che deve districarsi e motivarsi la buona politica.
Non è esattamente questo lorizzonte dellagire pubblico ingraiano,piuttosto quellaltro, più che alternativo, direi, complementare rispetto a questo: i popoli in movimento, le masse protagoniste, la storia vista e agita dal basso, il potere partecipato, quelle cose che hanno fatto di Ingrao, prima durante e dopo la sua Presidenza della Camera, il campione di quella che una volta si chiamava la centralità del Parlamento,e cioèil primato della rappresentanza sulla decisione,appunto della partecipazione democratica sulla concentrazione del potere;
Ricordo che una volta lo trascinammo, per un convegno dellIstituto Gramsci veneto, a un confronto con Gianfranco Miglio:uno scontro di civiltà!, sia pure nellagreement tra gentiluomini. Il modello Westminster non èstato mai nelle grazie di Ingrao.
Cè una figura che mi piace accostare ad Ingrao, è quella di Dag Hammarskjöld, segretario generale dellOnu tra il 1953 e il 1961. Un Quaderno della rivista "Servitium", quella di Padre Turoldo, lo ha recentemente inserito in una galleria dedicata ai Mistici doggi, accanto a Giovanni Vannucci, Edith Stein, Benedetto Calati, Teilhard de Chardin, Cristina Campo. Hammarskjöld aveva fatto predisporre allingresso del palazzo dellOnu una stanza di raccoglimento la chiamava così - dove, tra un incontro e laltro, si ritirava a meditare e a contemplare. E invitava gli altri a fare la stessa cosa prima degli incontri. E lui che ha detto quella frase splendida: "merita il potere solo chi ogni giorno lo rende giusto".
Cè un piccolo video, amatoriale, di appena qualche anno fa, che ritrae Pietro Ingrao, con gli occhi lucidi, mano nella mano, con il vecchio monaco camaldolese, impedito nella parola e alla vigilia della morte, Benedetto Calati, per chi ha avuto la fortuna di conoscerlo, persona di grande carisma spirituale. A vederli, veniva da pensare: ecco, due fratelli e compagni.
Confesso che non mi ha mai scandalizzato la pur rozza definizione del comunismo come una chiesa. In parte lo era. Perché era un orizzonte di fede per milioni e milioni di uomini e di donne semplici, come si chiamavano allora - e di speranza per chi non aveva da perdere altro che le proprie catene, e in un certo senso anche di carità, che si esprimeva nella pratica della solidarietà.
Cera quellidea-forza, passata non a caso nelle canzoni proletarie, che nominava il riscatto del lavoro. Il comunismo, non quello dello Stato ma quello del popolo, è stato una forma di attesa, della venuta di qualcosa se non di qualcuno, qualcosa che non era di questo mondo, ma di un altro, da venire. Lavvenire , lAvvento, cieli nuovi e terre nuove, è parola comune al cristianesimo e al comunismo.
La secolarizzazione è cosa bella e buona, ma va presa con saggia misura. Essa contiene dentro di sé, come pericolo, la volgarizzazione dellesistenza. Tutto ciò che laicamente passa per le compatibilitàdi sistema, va poi ad alimentare quel vizio pubblico, oggi deflagrante, che è la servitù volontaria.
Quello scrittore pessimista e al fondo nichilista che è Cioran ci ha ammonito: attenzione!, la morte del sacro ha come conseguenza non che non si crede più a niente, ma che si crede a tutto.
Le fedi non vanno soppresse, vanno civilizzate, umanizzate, tolte alluso che ne possono fare i potenti,e riconsegnate ai bisogni degli umili.
Unaltra figura con cui Ingrao è entrato in sintonia negli ultimi anni è quella di Giuseppe Dossetti, questo monaco politico, - penso che si possa dire così, anche così, per definirlo, almeno nellultima parte della sua vita. Li ha accomunati la difesa di quel bene pubblico primario che è la lettera e lo spirito della Costituzione. Anche se il loro patriottismo costituzionale al contrario di quanto si pensa - mai si èpresentato come conservazione, sempre anche come innovazione. Li ha accomunati poi anche la passione per la pace,il ripudio costituzionale della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali quellart. 11, che èdiventato un po lassillo del vecchio Ingrao.
Ma cè qualcosa di più profondo che accosta le due personalità. Il loro essere, nei diversi campi di appartenenza, non eretici, piuttosto, direi, eterodossi.E importante questa differenza. Eretico èchi rompe con il proprio mondo e vi si contrappone. Non ortodosso, o altro da ortodosso, è chi sceglie di restare dentro in posizione critica. In questo caso, si paga un prezzo, appunto, alla propria chiesa,ma si rimane in contatto con le forze che essa organizza, lievito per una trasformazione interna di essa.
Ingrao è stato interprete e rappresentante di una forma inedita di critica dentro la pur pesante ortodossia marxista. Nella storia teorica del movimento operaio il revisionismo ha avuto sempre unetichetta di destra. Quello di Ingrao è stato, ha voluto essere, un revisionismo di sinistra. Al di là dei contenuti e degli approdi, questa è fondamentalmente la forma di eredità che ci lascia. Bisogna dire che non sempre questo punto èstato tenuto fermo,in quella folla di figure che si sono dette, senza il consenso di Ingrao, "ingraiani".
Due sono le parole-chiave che per sua espressa confessione - definiscono la persona di Ingrao:il dubbio e lorganizzazione. Il dubbio come atteggiamento critico nei confronti della realtàe di se stessi. Pensiero antidogmatico e conseguentemente comportamenti autonomi. Libertà di essere, di conoscere, di dialogare e di fare.
E organizzazione come politica collettiva strutturata, preparata e guidata.Politica come fare insiemeE non come la propria faccia su un manifesto. Bisogno umano di partito. Dovremmo interrogarci tutti su che cosa abbiamo fatto per aver reso questa parola, a livello di senso comune, oggi, così dispregiativa. Il disprezzo per la parola partito trascina con sé il disprezzo per la parola politica.
Ecco. Uomini come Pietro Ingrao sono la confutazione in vita di un così diffuso pregiudizio negativo. La politica come scelta di vita unespressione che fu di Giorgio Amendola il partito, come comunità, non di destino,ma di volontà e di decisione, volontà e decisione collettive, quel noi che è più che io,oggi così fuori di moda: questa è la misura umana che per loccasione qui festeggiamo.
Ingrao appartiene a quella straordinaria generazione di uomini e di donne gettata, uso consapevolmente questo concetto della filosofia dellesistenza gettata nella politica dalla grande storia. La crisi del fascismo, la lotta contro il fascismo, la seconda grande guerra, la Resistenza, ancora la Costituzione: questo cera, intorno, negli anni di formazione.
E poi, lesperienza di costruzione di quella giraffa togliattiana,questo animale strano, che era il partito nuovo,non piùdi quadri ma di massa, popolare alla base e centrale al vertice,che ha dato molte soddisfazioni e anche qualche sofferenza a Pietro Ingrao, e non solo a lui.
Signor Presidente, perdoni il piccolo atto dorgoglio contenuto nel passaggio che adesso farò, a conclusione di questo discorso. Ho riflettuto se non fosse di cattivo gusto evocare qui questo motivo, con il rischio di urtare qualche altra sensibilità. So bene che fu unintera classe politica, trasversale, ad assolvere questo ruolo fondatore. Ne ho concluso che, stante la tonalità delle cose dette fin qui, il passaggio non poteva mancare.
Insomma. Montanelli ha detto una volta che,nella deprecata prima Repubblica, e io andrei più in là, allungherei il tiro, forse nella non esaltante storia italiana unitaria, non cera stato ceto politico migliore di quello comunista. Ingrao è prima di tutto esponente di questo ceto.Sulle radici di questo tronco, di questo ceppo,la pianta Ingrao allarga poi i suoi rami.Ha avuto la fortuna che a noi èmancata,di qui tutte le nostre insufficienze:quella di prender parte da protagonisti alletà dei costruttori, costruttori insieme del Partito e della Repubblica.
Uomini di parte, con il senso dello Stato:una combinazione difficile, una sorta di stato deccezione permanente, che ti costringe a coltivare un quotidiano equilibrio. Per reggerla, ci voleva "Beruf",weberianamente,professione e vocazione della e per la politica,etica della convinzione più etica della responsabilità,e, gramscianamente,buona cultura, molta buona cultura.
Radicare il partito nel Paese, contribuire a costruire la forma repubblicana dello Stato, con la politica fare società, attraverso la politica produrre legame sociale, preparare, educare, organizzare, i lavoratori, operai, contadini, ceti medi vecchi e nuovi,ad essere, a diventare, forza politica democratica di governo.
Unimpresa interrotta.Ci guardiamo intorno, curiosi, a volte smarriti,a cercare di capire chi può riprendere,chi puòriafferrare con le proprie mani,innovandola, ammodernandola, aggiornandola a tempi radicalmente mutati,questa impresa storica. Con chi altri, come e quando.
I novantanni di Ingrao sono da vedere proiettati verso questa ricerca. Auguriamo a lui, e a noi, che possa dire presto: ecco, ho trovato da dove ripartire.