28.12.04

Lettera di Francesco Cossiga al Corriere della Sera

Caro Mieli, per quale motivo, a differenza che nel Medioevo, non si è parlato, nel solco della tradizione ebraico-cristiana, a proposito delle immani catastrofi naturali che hanno colpito il Sud Est asiatico, di "punizione divina", non tanto e non solo di quelle popolazioni, ma dell'intera Umanità, soggetto unico del genere umano, e che proprio nella sua generalità è colpito secondo questo insegnamento religioso dal "peccato originale", non per colpa propria, ma per colpa dei nostri progenitori, colpa così grave da essere trasmissibile "senza colpa personale" e da richiedere a sua compensazione di fronte alla Divina Giustizia per la redenzione dell'uomo, la morte dell'Uomo-Dio Nostro Signore Gesù Cristo, così stringendo nella Storia temporale ed eterna l'intero genere umano in un unico vincolo di responsabilità?

E come mai non vi è stato alcun appello al pentimento ed al ravvedimento e nessuna invocazione al perdono e alla misericordia divina?
Che forse la pietà naturale ha eclissato la carità sovrannaturale e la morte è considerata più grave del peccato!

E' forse tutto questo un effetto di quella "interpretazione buonista" del messaggio del Vecchio e Nuovo Testamento, conseguenza delle riduzione "umanistica" delle Rivelazione, conseguenza di arbitrarie estensioni "naturalistiche" e "storicistiche" degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, come a suo tempo già paventato e denunciato da Papa Paolo VI?

19.12.04

PRESEPE
di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Cercando di farmi irradiare dallo spirito natalizio, come consigliato dai maggiori organi di stampa, decido di fare il presepe. Ecco la spietata cronologia di una giornata dedicata alla famiglia e ai sacri valori che ci dividono dalla suburra musulmana.
Ore 11,40 - Un comitato di pastorelli mi comunica che con la nuova finanziaria chi va in pensione non verrà rimpiazzato. Prendo atto con disappunto e valuto le alternative: fine della pastorizia nel mio presepe, oppure reperimento di nuove risorse, magari rinunciando a manutenzione strade e illuminazione pubblica.
Ore 12.07 - L'arrotino con la sua baracchetta (che di solito sistemo vicino alla grotta) aderisce al condono edilizio e si presenta con una struttura multipiano, con lago privato e approdo per i sommergibili. Non posso oppormi perché i lavori di ristrutturazione e ampliamento sono stati affidati al Sisde.
Ore 12.21 - Primi tumulti nelle zone montagnose: i forestali del presepe minacciano di incendiare il muschio e di bloccare l'autostrada.
Ore 12.25 - Renato Brunetta assicura che va tutto bene e mostra delle sue tabelle dipinte a mano e cosparse di porporina.
Ore 12.45 - I garzoni del fabbro mi comunicano che dopo le 17 devono correre a lavorare nei campi, perché con il loro contrattino co.co.pro proprio non ce la fanno e devono arrotondare.
Ore 12.50 - Mastella dà le dimissioni.
Ore 12.51 - Mastella ritira le dimissioni
Ore 13.05 - Giuseppe scopre che grazie alla revisione degli estimi catastali l'Ici sulla grotta è più che raddoppiata e che le utenze - acqua gas e luce - costano più dell'anno scorso.
Ore 13.25 - Non trovo nello scatolone la baracchetta delle operaie tessili. Eppure era qui! Cerco meglio.
Ore 14.10 - Renato Brunetta assicura che siamo in netta ripresa e mostra delle sue tabelle fatte di campanellini e trainate dalle renne.
Ore 14.37 - Un rumoroso corteo di operaie tessili mi informa che la loro baracchetta è stata delocalizzata e trasferita in Cina.
Ore 14.42 - Massimo D'Alema mette in guardia dal rischio di farsi prendere dal radicalismo, mentre è ovvio che bisogna conquistare voti al centro.
Ore 14.47 - I forestali si fanno prendere dal radicalismo e magicamente dalla finanziaria escono soldi per loro.
Ore 15.01 - I due piccoli pescatori sul lago incantato di carta stagnola fanno secco un benzinaio nella magica terra di Padania. Vengono arrestati, nonostante la spaventosa omertà che regna nella zona.
Ore 15.17 - Buone notizie. Tutte le statuine morte per esacloruro di vinile apprendono che i termini di prescrizione per chi li ha ammazzati sono dimezzati.
Ore 16.28 - Tutti i negozianti del presepe protestano contro i numerosi furti di generi alimentari da parte dei pensionati e dei disoccupati del presepe, che sono ormai moltissimi.
Ore 16.41 - Il re magio Melchiorre viene fermato alla frontiera, pestato come un tamburo, rinchiuso in un centro di prima accoglienza, poi caricato su un aereo e rispedito in Africa a bastonate.
Ore 16.50 - Renato Brunetta annuncia che la situazione tende al bello stabile e mostra certe sue tabelle fatte di marzapane con uvetta e pistacchio.
Ore 17.01 - Il re magio Baldassarre annuncia che non verrà perché la compagnia aerea low cost che lo ha portato a Porto Rico è fallita e non lo può riportare indietro. Forse si rifarà una vita da quelle parti.
Ore 17.05 - Il falegname del villaggio chiude bottega. Si trasferisce in un presepe di Timisoara dove la mano d'opera costa meno.
Ore 17.23 - Massimo D'Alema ammonisce la sinistra di non farsi male da sé e di seguire la via riformista.
Ore 17.35 - Finiti i fondi pubblici. La stella cometa è stata venduta dallo stato a un consorzio privato che chiederà un pedaggio per poterla guardare.
Ore 17.40 - Ok, vaffanculo, faccio l'albero.

18.12.04

Togliatti avvelenato da Palmiro
"Satira preventiva" di Michele Serra

Dopo l'avvelenamento di Yushenko la storiografia contemporanea sta rivedendo molti dei principali episodi della storia italiana in chiave tossicologica

Ha destato sconcerto l'avvelenamento del leader ucraino Viktor Yushenko da parte del capo dei servizi segreti russi, un andreottiano naturalizzato. Eppure il veleno è un'arma da sempre molto usata in politica, anche ai giorni nostri. Se ne sa poco perché le vittime, nel caso riescano a sopravvivere, hanno forte imbarazzo ad ammettere di essere stati così imbecilli da trangugiare una pozione fumante offerta dal loro acerrimo nemico durante un pranzo di riconciliazione, mentre le guardie del corpo si davano di gomito sogghignando.

Usatissimi i veleni che non lasciano tracce, come la misteriosa sostanza che ha trasformato Francesco Rutelli in cristiano rinato. Ma c'è chi non si fa scrupolo di adoperare veleni che lasciano tracce visibilissime, come l'intruglio che ha ridotto Piero Fassino a uno spaventoso scheletro. Ecco, comunque, i casi più eclatanti di cui si è venuti a conoscenza.

Bill Clinton rischiò seriamente la vita durante la relazione con la stagista Lewinsky, una fanatica di Gershwin che lo odiava per come scempiava al sassofono la Rapsodia in Blu. La ragazza, prima di ogni rapporto orale, si cospargeva le labbra di rossetto alla stricnina. Clinton si salvò perché, messo sul chi vive dall'intelligence, si faceva sostituire da un sosia, o dal sassofono.

Celebre il caso di Palmiro Togliatti, riportato alla luce recentemente dalla storiografia revisionista. A causa della famosa doppiezza togliattiana, Togliatti tentò più volte di avvelenarsi da solo per potere accusare Alcide De Gasperi della sua morte e fare poi bella figura lasciando una lettera ai militanti nella quale invitava alla calma mentre Gino Bartali vinceva il Tour e Nilde Iotti si risposava con Vittorio Gassman. Il dettagliato piano andò in fumo solo perché Togliatti, durante i suoi viaggi in Unione Sovietica, era diventato immune a qualunque tipo di veleno come chiunque mangi borsh con i cetrioli per due mesi consecutivi. Altri famosi casi di politici mitridatizzati sono Gianni De Michelis, che durante il periodo trascorso nelle discoteche di Riccione dopo le tre di notte arrivava a bere anche la varecchina direttamente dal secchio della donna delle pulizie pur di fare il brillante con le ragazze; e Giuseppe Saragat, il leader socialista noto per la scissione di Franciacorta, sul cui sangue nessun veleno poteva fare effetto perché, con il tempo, si era trasformato in Nebiolo. Le analisi post-mortem, sollecitate dal ministero degli Interni, rivelarono globuli rossi di eccellente retrogusto, leggermente tanninici, e globuli bianchi dal forte aroma fruttato e dalle gradevoli sfumature perlate. La storiografia contemporanea, grazie a nuovi strumenti di studio scientifico, come l'analisi comparata degli archivi e il raddoppio della dichiarazione dei redditi se si pubblicano articoli sensazionali sui quotidiani, sta comunque rivedendo molti dei principali episodi della storia italiana proprio in chiave tossicologica. Per esempio: Benito Mussolini, quando venne fucilato a Dongo dai gappisti, non è riuscito a fuggire perché era già morto avvelenato da Winston Churchill? Chi avrebbe avuto interesse a uccidere con frecce al curaro papa Montini durante l'Angelus, e perché poi non lo ha fatto? Che cosa avevano messo, i commessi del Quirinale, nella pipa di Sandro Pertini prima della finale del Bernabeu? Perché, durante le ultime riunioni del centrosinistra per decidere le liste elettorali e le candidature, sono stati visti fuggire dalla sede della riunione, terrorizzati, alcuni dei ragni più velenosi del mondo? Come mai alcuni giocatori della Juventus, durante il recente processo, per difendersi dalle accuse di avere preso anabolizzanti hanno sollevato la giuria con una mano sola tenendola sospesa in aria per una mezz'oretta?

Ma soprattutto: chi, e per quale ragione ha disseminato sui divani di 'Porta a Porta' una micidiale sostanza mutagena che fa dire spaventose stronzate a chiunque sia ospite della trasmissione?

16.12.04

TESTO INTEGRALE DEL MESSAGGIO DI CIAMPI

Onorevole Presidente, Le trasmetto il messaggio con il quale chiedo alle Camere una nuova deliberazione, ai sensi dell' articolo 74, primo comma, della Costituzione, sulla legge: Delega al Governo per la riforma dell' ordinamento giudiziario di cui al regio decreto 30 gennaio 1941, n.12, per il decentramento del Ministero della giustizia, per la modifica della disciplina concernente il Consiglio di presidenza della Corte dei conti e il Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, nonchè per l' emanazione di un testo unico«, approvata dal Senato della Repubblica il 21 gennaio 2004, modificata dalla Camera dei Deputati il 30 giugno 2004, nuovamente modificata dal Senato della Repubblica il 10 novembre 2004 e approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati il 1 dicembre 2004. Voglia gradire, Onorevole Presidente, i sensi della mia più alta considerazione.

Cio premesso, espongo qui di seguito quanto da me rilevato. 1. L' articolo 2, comma 31, lettera a), così recita: «(Relazioni sull' amministrazione della giustizia). 1. Entro il ventesimo giorno dalla data di inizio di ciascun ano giudiziario, il Ministro della giustizia rende comunicazioni alle Camere sull' amministrazione della giustizia nel precedente anno e sulle linee di politica giudiziaria per l' anno in
corso...».

Questa norma, laddove prevede che le comunicazioni del Ministro della giustizia alle Camere comprendono le «linee di politica giudiziaria per l' anno in corso», si pone in evidente contrasto con le seguenti disposizioni costituzionali: con l' articolo 101, in base al quale i giudici «sono soggetti soltanto alla legge»; con l' articolo 104, secondo cui la magistratura «costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere»; con l' articolo 110, che, nel definire le attribuzioni del Ministro della giustizia, le limita - «ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura» - alla «organizzazione» e al «funzionamento dei servizi relativi alla giustizia».

La norma approvata dalle Camere configura un potere di indirizzo in capo al Ministro della giustizia, che non trova cittadinanza nel titolo IV della Costituzione, in base al quale l' esercizio autonomo e indipendente della funzione giudiziaria è pienamente tutelato, sia nei confronti del potere esecutivo, sia rispetto alle attribuzioni dello stesso Consiglio superiore della magistratura.

Aggiungo che l' indicazione di obiettivi primari che l' attività giudiziaria dovrebbe perseguire nel corso dell' anno («linee di politica giudiziaria») determina di per sè la violazione anche dell' articolo 112 della Costituzione, in base al quale «il pubblico ministero ha l' obbligo di esercitare l' azione penale»; il carattere assolutamente generico della formulazione della norma in esame crea uno spazio di discrezionalità politica destinato ad incidere sulla giurisdizione.

2. Strettamente connessa a quella appena esaminata è la questione posta dal criterio direttivo della delega indicato dall' articolo 2, comma 14, lettera c); «istituzione presso ogni direzione generale regionale o interregionale dell' organizzazione giudiziaria dell' ufficio per il monitoraggio dell' esito dei procedimenti, in tutte le fasi o gradi del giudizio, al fine di verificare l' eventuale sussistenza di rilevanti livelli di infondatezza giudiziariamente accertata della pretesa punitiva manifestata con l' esercizio dell' azione penale o con mezzi di impugnazione ovvero di annullamento di sentenze per carenze o distorsioni della motivazione, ovvero di altre situazioni inequivocabilmente rivelatrici di carenze professionali».

Anche questa disposizione si pone in palese contrasto con gli articoli 101, 104 e 110 della Costituzione. Infatti, se si considera la finalità espressamente indicata dalla norma, risulta evidente che il monitoraggio dell' esito dei procedimenti - fase per fase, grado per grado - affidato a strutture del Ministero della giustizia, esula dalla «organizzazione» e dal «funzionamento dei servizi relativi alla giustizia», che costituiscono il contenuto e il limite costituzionale delle competenze del Ministro.

Inoltre, da questa forma di monitoraggio, avente ad oggetto il contenuto dei provvedimenti giudiziari, deriva un grave condizionamento dei magistrati nell' esercizio delle loro funzioni; in particolare, il riferimento alla possibilità di verificare livelli di infondatezza «della pretesa punitiva manifestata con l' esercizio dell' azione penale» integra una ulteriore violazione del citato articolo 112 della Costituzione.

L' assegnazione da parte del Consiglio superiore della magistratura deve avvenire «secondo l' ordine di graduatoria di cui rispettivamente al concorso per titoli ed esami, scritti ed orali, o al concorso per soli titoli, salvo che vi ostino specifiche e determinate ragioni delle quali deve fornire dettagliata motivazione e, a parità di graduatoria, secondo l' anzianità di servizio» (articolo 2, comma 1, lettera l) numero 3.5). Nello stesso senso recitano le disposizioni contenute nei numeri 4,5, 7.5 e 9.5 della lettera l) e, per le funzioni semidirettive, nel numero 2 della lettera m).

Il sistema sopra delineato sottopone sostanzialmente il Consiglio superiore della magistratura a un regime di vincolo che ne riduce notevolmente i poteri definiti nel citato articolo 105 della Costituzione. L' invasione della sfera di competenza riservata al Consiglio è particolarmente evidente nell' ipotesi in cui i candidati siano stati esclusi nell' ambito delle predette procedure. Infatti, allorchè manchino il favorevole giudizio conseguito presso la Scuola superiore o la positiva valutazione nel concorso da parte della commissione, il Consiglio non può neppure prendere in considerazione la posizione del
candidato escluso.

Per i motivi di palese incostituzionalità innanzi illustrati, chiedo alle Camere - a norma dell' articolo 74, primo comma, della Costituzione - una nuova deliberazione in ordine alla legge a me trasmessa il 3 dicembre 2004.

Con l' occasione ritengo opportuno rilevare quanto l' analisi del testo sia resa difficile da fatto che le disposizioni in esso contenute sono condensate in due soli articoli, il secondo dei quali consta di 49 comuni ed occupa 38 delle 40 pagine di cui si compone il messaggio legislativo.

A tale proposito, ritengo che questa possa essere la sede propria per richiamare l' attenzione del Parlamento su un modo di legiferare - invalso da tempo - che non appare coerente con la ratio delle norme costituzionali che disciplinano il procedimento legislativo e, segnatamente, con l' articolo 72 della Costituzione, secondo cui ogni legge deve essere approvata «articolo per articolo e con una votazione finale».
S'AVANZA UNO STRANO SOLDATO
da Peter Freeman

Caro Csf, da un po' di tempo a questa parte mi capita di imbattermi in uno strano soggetto. E' il berlusconiano pentito. Di solito si presenta cosi': "Ho votato Berlusconi e sono pentito". Oppure: "Ho creduto nelle sue promesse e mi ha preso per il culo". O ancora: "Ha badato solo agli affari suoi". In certi casi il berlusconiano pentito non si rivela direttamente ma sono altri a fare outing in sua vece. Ad esempio: "Sai, dove lavoro c'e' un sacco di gente che ha votato Berlusconi e ora e' pentita".

In politica, ma non solo, a caval donato non si guarda in bocca. E tuttavia quando li sento parlare mi incazzo un po'.
Pero' bisogna imparare a distinguere. La signora, berlusconiana pentita, che incontro al mercato imbufalita perche' non arriva a fine mese, un po' la capisco.Lei ci ha davvero creduto, al nuovo miracolo italiano (piu' soldi per tutti), e adesso se l'e' presa in quel posto. E' chiaro, trattasi di truffa a danni di incapace. E questo vale per molti lavoratori dipendenti, poveracci vari rincoglioniti dalla propaganda a reti unificate.

Ma quando incappo nel libero professionista, nel lavoratore intellettuale, nel managerino o nel commerciante - tutti berlusconiani pentiti - mi viene un attacco di itterizia. Pentiti di che cosa? Delusi da che? Che cosa esattamente si aspettavano, questi campioni della societa' civile? Ci ho pensato su un po' e sono arrivato alle seguenti conclusioni. Costoro, i berlusconiani pentiti, sono delusi perche':

a) hanno potuto condonare soltanto 120 metri quadri di abuso ma gli e' rimasta fuori la casa da 350 mq costruita in zona protetta;
b) hanno potuto evadere soltanto poche migliaia di euro mentre si attendevano una sanatoria assoluta e due sole aliquote;
c) la patente a punti e' una rottura di palle, anche se nessuno o quasi fa i controlli;
d) si aspettavano la piena liberalizzazione del lavoro in nero mentre invece hanno guai con la colf che richiede insistentemente il versamento dei contributi;
e) l'articolo 18 dello statuto dei lavoratori e' ancora in vigore;
f) le tasse esistono, compresa l'ICI e quella per lo smaltimento rifiuti;
g) la magistratura continua ad esistere;
h) in giro e' pieno di immigrati, clandestini e non, e qualcuno di loro delinque;
i) la benzina costa troppo: che cazzo ci siamo andati a fare in Iraq?

Ecco. La vedo cosi'. E gia' mi aspetto le critiche: sei troppo elitario, l'importante e' mandare a casa Silvio. Sara', ma non mi convince. Diciamo che e' un po' la storia dell'uovo e della gallina: e' nato prima Berlusconi o i berlusconiani? Non ho una risposta. Pero' sono convinto che quella italiana sia una societa' orrenda.E con questo materiale umano, civile e culturale, costruire qualcosa di buono non sara' facile. Per questo diffido assai dei delusi.

14.12.04

Chi ha paura di Giancarlo Caselli?
di Marco Travaglio (dall'Unità dell' 11 Dicembre 2004)

Per completare degnamente la campagna di intimidazione contro i giudici chiamati a giudicare Berlusconi e Dell'Utri, l'apposito Foglio di Giuliano Ferrara ha lanciato ieri un appello in prima pagina. Eccolo: «Per ragioni che discendono dall'evidenza dei fatti storici, noi sottoscritti virtuali riteniamo altamente sconsigliabile il conferimento dell'incarico di procuratore nazionale antimafia al dottor Giancarlo Caselli, procuratore generale di Torino e già procuratore capo della Repubblica di Palermo». Firmato: «Giulio Andreotti, assolto. Corrado Carnevale, assolto. Francesco Musotto, assolto. Bruno Contrada, assolto. Carmelo Canale, assolto. Giuseppe Prinzivalli, assolto. In questi processi l'accusa penale è stata portata dal dottor Caselli e sostituti».
Era difficile concentrare tante falsità in poche righe, ma Ferrara - da quel professionista della menzogna che è - ci è riuscito. L'«evidenza dei fatti storici» dice che Andreotti non è stato assolto: nella sentenza d'appello, resa definitiva lo scorso mese dalla Cassazione respingendo il ricorso dell'imputato, è scritto che Andreotti ha «commesso il reato di associazione per delinquere» con Cosa Nostra «concretamente ravvisabile a suo carico fino alla primavera del 1980», ma «estinto per prescrizione». Contrada, condannato in primo grado e assolto in appello, e tutt'ora imputato davanti alla Corte d'Appello dopo che lo scorso anno la Cassazione annullò la prima assoluzione facendola letteralmente a pezzi. Il giudice Prinzivalli non è stato processato a Palermo, ma a Caltanissetta, dunque l'accusa contro di lui non è mai stata portata né da Caselli né dai suoi sostituti. Sono stati assolti, invece, gli altri tre. Ma Canale non definitivamente: solo in primo grado, e secondo il comma 2 dell'articolo 530 del codice di Procedura Penale, che assorbe la vecchia formula dell'insufficienza di prove. Carnevale, assolto in primo grado e condannato in appello, ha ottenuto l'annullamento senza rinvio dalla Cassazione perché le gravi accuse che gli muovevano i suoi ex colleghi della Suprema Corte non potevano essere utilizzate in quanto - ha sostenuto la Cassazione stessa, con un nuovo principio giuridico - violavano il segreto della Camera di Consiglio. Musotto, assolto anche lui con il secondo comma, era accusato di avere ospitato diversi boss latitanti nella villa di famiglia a Natale di Pollina: con questa stessa accusa, è stato condannato definitivamente a quattro anni il fratello Cesare. I fatti, dunque, erano veri e provati, ma non è sufficientemente dimostrato che Francesco Musotto abbia riconosciuto quei boss che circolavano in casa sua, mentre lui stesso la frequentava. Chiunque abbia letto quelle sentenze, sa bene che i processi si basavano non su teoremi, ma su fatti gravissimi e inoppugnabili, che secondo la legge (obbligatorietà dell'azione penale) non solo potevano, ma dovevano essere portati davanti al giudice per essere valutati. Fatti riconosciuti quasi sempre come reali anche nelle sentenze di assoluzione.
Manca, naturalmente, nell'elenco del Foglio il nome di altri personaggi eccellenti processati e condannati nell'era Caselli: il poliziotto D'Antona (dieci anni definitivi), l'ex ministro dc Calogero Mannino (assolto in primo grado e condannato a 5 anni in appello), l'ex deputato dc Franz Gorgone (condanna definitiva).
Ma mancano, soprattutto, le centinaia di boss mafiosi condannati grazie alle indagini condotte dalla Procura di Caselli fra il 1993 e il '99: gli ergastoli di quella stagione sono oggi complessivamente 650. Mancano soprattutto i nomi dei mandanti e degli esecutori materiali delle stragi del 1992 (Capaci e Via D'Amelio) e del 1993 (Milano, Firenze, Roma), smascherati e arrestati dopo anni di latitanza dalla Procura di Palermo negli anni di Caselli e poi condannati a Caltanissetta e a Firenze, grazie alle confessioni di numerosi pentiti, a cominciare da quelle - davanti a Caselli - di Santino Di Matteo. Per citare soltanto i boss più noti catturati in quella stagione: Riina, Bagarella, Ganci, Graviano, Brusca, Aglieri, Vitale, Madonia. Mancano, ancora, i beni per diecimila miliardi di lire sequestrati a Cosa Nostra in quei sette anni, che corrispondono all'importo della recente riduzione fiscale del governo Berlusconi.
Volendo poi andare indietro nel tempo, si potrebbero elencare le centinaia di brigatisti rossi che Caselli fece arrestare, processare e condannare quando combatteva il terrorismo a Torino e quando, per la sinistra estremista, era una «toga nera», un «servo del generale Dalla Chiesa», un «fascista».
Ma il padre nobile di questo appello, il primo firmatario virtuale, dovrebbe essere un altro imputato eccellente. Il più eccellente, forse, di tutti. Uno che non ha atteso la candidatura di Caselli alla Procura nazionale antimafia per mettere in guardia il governo e il mondo politico tutto. Uno che il 25 maggio 1994, agli albori del primo governo Berlusconi, ebbe a dichiarare solennemente alla stampa: «C'è uno strumento politico, ed è il partito comunista. Ci sono i Caselli, i Violante, poi questo Arlacchi che scrive libri. Ecco, secondo me, il nuovo governo si deve guardare dagli attacchi di questi comunisti». Quell'uomo, un vero precursore, si chiama Totò Riina. È altamente consigliabile, in calce all'appello inserire anche il suo nome. Ad honorem.
Interfaccia di bronzo
"Contrordine" di Alessandro Robechi

Tutta la notte davanti al computer. Una faticaccia, ma necessaria: se vuoi stare al passo coi tempi devi aggiornare il sistema operativo. Quindi ho installato Silvio Uomo Onesto 1.0 sui vecchi programmi ormai obsoleti, come Silvio Corruttore 2.0 o Silvio Compragiudici 2.3. Con questo importante aggiornamento - mi dicono i tecnici della sinistra riformista - dovrebbe filare tutto liscio: niente più sospetti, niente più rischi di bloccare Silvio con la legge che, come sapete, è una cosa che rallenta la velocità del sistema e riduce le prestazioni. Con il nuovo programma, dunque, tutto dovrebbe funzionare alla perfezione, è molto più snello dei precedenti e soprattutto è stata completamente disabilitata la funzione Questione morale, ormai superata dagli sviluppi tecnologici. Tutto bene, dunque, anche se mi permetto di consigliarvi alcuni trucchetti per rendere più gradevole tutta l'interfaccia. Primo: disattivate l'opzione Dichiarazione di Cicchitto dal menù Cazzate. Questo vecchio file, dimenticato dai programmatori dai tempi di Bettino, apre spesso un pop-up con la faccia di Cicchitto che dice quanto è infallibile il nuovo sistema operativo. Diceva le stesse cose ai tempi di Craxi (sui programmi Bettino pigliatutto 1.0 e poi sugli aggiornamenti Hammamet 2.0 e 2.1, roba del decennio passato) quindi non è una funzione utile ed eliminandola non perderete nulla. Secondo: attivate l'opzione Chiedi la fiducia, che trovate nel menù Mai fidarsi. E' un'opzione molto utile, perché anche se il sistema ha una maggioranza spaventosa sia alla Camera che al Senato, qualche democristiano di ritorno o qualche gerarca della destra sociale potrebbero ostacolarlo creando conflitti mentre votano la finanziaria e questo non è bello perché toccherebbe rifare tutti i conti.
Rimane qualche problema sulle molte utility fornite da Silvio Uomo Onesto 1.0. C'è per esempio un'utility abbastanza insidiosa che si chiama Help from D'Alema, che - pur essendo inserita nel menu Aiuto - compare da sola quando meno te lo aspetti. Se per esempio il sistema vuole una nuova legge elettorale ma non ha risorse sufficienti per imporla, ecco che compare a sorpresa questa utilità e Massimo D'Alema propone una revisione della legge elettorale. Comodo, no? Per quanto abbia provato e riprovato, niente da fare, questa insidiosa utility non si riesce a eliminare, se ne sta lì pronta a entrare in funzione quando il sistema è in difficoltà, proprio come faceva quel vecchio programma ormai dimenticato, il Bicamerale 2.0, che qualcuno forse ricorderà. Non mi è chiaro (e la guida in linea non lo dice) se questo Help from D'Alema è uno strumento utile (a Silvio) oppure un virus di cui non riusciamo a liberarci. Terminata l'installazione di Silvio Uomo Onesto 1.0, eliminati il files inutili e disattivate le opzioni più fastidiose, consigliamo di attivare le periferiche di comunicazione: Tg1, Tg2, Tg4, Tg5 e telegiornale dei puffi di Italia Uno, che confermeranno passo-passo con entusiasmo tutte le scelte operate dal sistema, a volte con toni trionfalistici (da qui però, purtroppo, l'applicazione Dichiarazione di Cicchitto non può essere rimossa). Dal menu Servizi attivate in modo permanente l'opzione Bruno Vespa, un programmino molto costoso (per il servizio pubblico) che svolge però funzioni molto utili al programma privato (di Silvio).

Ora dovrebbe essere tutto a posto: il vostro nuovo sistema operativo funziona alla perfezione in ambiente liberista. Si presenta con una nuova interfaccia moderna e accattivante da cui sono scomparsi vecchi cascami tecnologici che non servono più a nessuno, come il menu Diritti. La nuova funzionalità Taglia le tasse (dal menù Propaganda) si attiva con un semplice clic del mouse, molto comoda, ma ricordatevi che per farla funzionare dovete prima attivare le funzioni Aumenta le tariffe e Peggiora i Servizi.

Ecco, compiute queste semplici operazioni, siete pronti per un anno e mezzo di campagna elettorale, finalmente al passo coi tempi e tecnologicamente avanzati. Ora che il computer funziona come si deve potrete finalmente dedicarvi al lavoro vero, alle vere priorità e alle emergenze del Paese, come per esempio vendere armi alla Cina per rilanciare l'economia o prorogare il condono edilizio per fare cassa. Buon lavoro, ma non rilassatevi troppo. La tecnologia corre, bisogna aggiornarsi continuamente. Ho appena finito di installare Silvio Uomo Onesto 1.0, ed ecco che esce Don Marcello 9.0. Uffa, non si finisce mai!

13.12.04

No Mafia Day
"Bananas" di Marco Travaglio

Il più spiritoso è Dell'Utri: "La mia difesa ha funzionato". E meno male, visto che gli han dato 9 anni: che s'aspettava, l'ergastolo? Il più ridicolo è il sottosegretario Vietti (Udc): "Va ripristinata l'immunità parlamentare, prevista saggiamente dai padri costituenti". Ma i padri costituenti non avevano previsto nessuna immunità: bensì l'autorizzazione a procedere, per consentire al Parlamento di bloccare eventuali indagini di magistrati troppo collusi col governo contro i reati "politici" degli oppositori: reati di opinione, blocchi stradali, e così via. Non certo per impedire ai giudici di giudicare politici per reati comuni, tipo mafia o corruzione, commessi prima di darsi alla politica. L'autorizzazione a procedere, vigente dal 1946 al 1993, poteva essere negata solo in casi eccezionali: quelli, appunto, di un eventuale "fumus persecutionis" di tipo politico per reati politici. Poi il Parlamento ne abusò facendone la regola. Ma, anche se ne avesse abusato, non avrebbe potuto far nulla per bloccare il processo a Dell'Utri, iniziato nel '94, due anni prima che Dell'Utri si candidasse per la prima volta in Parlamento.
Il Dattero d'Oro della comicità involontaria spetta, di diritto, al duo Stefano Folli-Piero Ostellino, autori degli editoriali del Corriere della sera sulle sentenze di Milano e Palermo. Folli annuncia che "ora la stagione processuale è alla fine".Notiziona: non si fanno più processi. E questo vale solo per i politici, o anche per i (presunti) terroristi, i (presunti) mafiosi, i (presunti) rapinatori e così via? Chissà. Spiega Ostellino: "Poiché la certezza del giudizio è pur sempre una certezza relativa, l'ombra della prescrizione non autorizza la convocazione di processi di piazza che puntino alla delegittimazione politica dell' avversario". Giusto: poiché la certezza del giudizio è pur sempre una certezza relativa, smettiamo pure di convocare i processi in tribunale. Lo dice anche Dell'Utri: "La giustizia non è di questo mondo". Facciamo un bel Lodo San Pietro e rinviamo tutti gli imputati al Giudizio Universale. Così si risparmia.
Folli parla di "assoluzione ottenuta da Berlusconi (sia pure macchiata da una prescrizione)". Tra parentesi, così, fra le minuzie. Per fortuna ci sono i giornali stranieri, che le notizie sanno ancora riconoscerle. Badano al sodo: l'Italia è governata da un signore che,secondo una sentenza lodata da lui medesimo, ha corrotto un giudice. D'altra parte, se uno viene processato per tre rapine e ritenuto colpevole, ma prescritto, solo per la prima, nessuno scriverà che non è un rapinatore. Tutti scriveranno che ha rapinato una banca e l'ha fatta franca. Basta una rapina per fare un rapinatore. E per augurarsi che, possibilmente, costui non diventi presidente del Consiglio. Ma, se c'è di mezzo Berlusconi, il normale buon senso non vale più. Su tre corruzioni, ne hanno accertata solo una. Dunque, come han detto i suoi, "cade l'ultimo ostacolo sulla strada per il Quirinale".
Folli si felicita con Berlusconi per aver "evitato di attaccare i giudici". Par di sognare: in quale paese il direttore del quotidiano più diffuso farebbe i complimenti al premier perchè non ha attaccato un altro potere dello Stato? La cosa, oltretutto, non è vera: Berlusconi ha parlato di "uso politico della giustizia" e di pentiti manipolati "con scambi di celle", poi ha detto che i magistrati che han condannato Dell'Utri ("uomo dalla cultura impareggiabile, esemplare per senso della religione e della famiglia") "stanno giocando col fuoco". Peggio di un attacco: una minaccia. Come quella del sottosegretario Mantovano, che ha paragonato la sentenza di Palermo (An) alle "rappresaglie dei nazisti in fuga". Ma di questo commento eversivo di un membro del governo, quelli che alzano il ditino appena Prodi chiama "mercenari" i mercenari, non si sono curati.
Chi non l'ha presa bene è il Giornale. In prima pagina, Massimo Teodori scrive che Mani Pulite colpì solo "i democratici non comunisti" (balle: colpì decine di comunisti) e che una "toga eccitata dichiarò che avrebbe rivoltato l'Italia come un calzino" (balle: era Giuliano Ferrara). Poi c'è un paginone del vedovo inconsolabile Lino Jannuzzi, ma con un tale numero di frottole da meritare una rubrica a parte. E infine ci sono gli avvocati di Dell'Utri, Enzo Trantino e Roberto Tricoli. Prima di parlare non si sono messi d'accordo. Con risultati esilaranti. Dice Trantino: "Hanno vinto i pentiti, i malfattori". Dice Tricoli: "Non hanno creduto ai pentiti, che scagionavano Dell'Utri". Ma allora hanno i pentiti vinto o hanno perso? Ci sono pentiti buoni e pentiti cattivi? O l'unico pentito buono è Igor Marini, il calunniatore che piaceva tanto all'avvocato Trantino?
Intanto, nel mondo libero, il neosegretario alla Sicurezza nazionale di Bush, Bernard Kerik, si dimette perchè non pagava i contributi alla bambinaia, per giunta clandestina. Gravissimo. Oddìo: saranno in regola le bambinaie di Berlusconi e Dell'Utri?

12.12.04

In questo mondo di brogli
"Satira preventiva" di Michele Serra

I sistemi elettorali di quasi tutto il mondo sembrano non funzionare ma i veri limiti della democraiza risiedono nel basso livello dei suoi utenti

I fatti dell'Ucraina hanno confermato la crisi mondiale dei sistemi elettorali, nessuno dei quali, ormai, è al riparo da critiche e sospetti di brogli. A Kiev si votava con il sistema uninominale prediletto da Putin (si può indicare nella scheda un solo nome, quello di Putin), mentre gli elettori dell'opposizione avevano scelto il sistema americano, con le primarie, le precongressuali, le preparatorie, le elezioni di mezzo e infine il calcolo logaritmico dei grandi elettori, e al momento di andare alle urne molti erano ancora a casa che stavano ripassando ad alta voce, aiutati dalla moglie. Di qui l'esigenza di ripetere il voto.

Ugualmente in discussione quasi tutti gli altri metodi, da quello afgano, che prevede una sparatoria davanti alle urne non sempre effettuabile a causa dell'estrema povertà del paese, a quello cinese, dove si vota con le bacchette e spesso la scheda risulta indecifrabile. Criticatissimo il sistema birmano, dove il dittatore viene eletto per acclamazione nel suo bar preferito, e giudicato ormai obsoleto perfino quello svizzero, dove un solo cantone, quello di Obershwarzpfen (4 mila abitanti, tutti in baite e fienili sopra i 2.500 metri), in base a un'antica concessione di Carlo V ha il diritto di annullare le elezioni europee e di costringere il presidente francese a sposare, per ragioni dinastiche, una ragazza di Obershwarzpfen.

Scontata la preoccupazione per l'imminente voto iracheno, con gli osservatori dell'Onu impossibilitati a controllare le schede, troppo difficili da afferrare estraendole dal rogo delle urne, e comunque illeggibili a causa del fittissimo fumo che grava sull'intera regione. Del tutto esclusa qualsiasi forma di controllo anche in Bielorussia, dove il candidato, Bieloputin, pur avendo solo il 7 per cento dei voti, resterà in carica anche per la prossima legislatura perché, essendo morto dal giugno scorso, non è in grado di dimettersi come prescriverebbe la Costituzione.

Ma il vero problema è che ovunque, anche dove il sistema elettorale sembra funzionare, i politologi sono comunque preoccupati dalla diffusione di studi approfonditi dai quali emerge una realtà sconvolgente: almeno un 30-40 per cento del corpo elettorale, in ogni paese del mondo, è composto da perfetti imbecilli, che non hanno la più pallida idea di chi stanno eleggendo, e per fare che cosa. Molti entrano nelle urne convinti che si tratti dei bagni diurni, o di nuove ricevitorie del Bingo, e ne escono avendo eletto involontariamente il nuovo capo di Stato, o avendo promosso il referendum che introduce nelle scuole l'insegnamento del karate.

I limiti della democrazia, dunque, starebbero soprattutto nel livello estremamente basso dei suoi utenti. Recenti esempi parrebbero confermare questa desolante situazione. In Belgio un numero significativo di cittadini è ancora convinto che il Congo sia una loro colonia e votano solo per candidati favorevoli al mantenimento della caccia al leone. In Russia è molto diffusa la convinzione che sia tornato lo zar, e molti cittadini, il giorno delle elezioni, lanciano il colbacco in aria, gridano tre volte "Lunga vita ai Romanov" e si ammassano lungo il fronte prussiano armati di baionetta. Nelle zone rurali degli Stati Uniti intere famiglie ritengono che il nome del presidente sia già indicato nella Genesi, e che si tratti di un tale Joshua Smith, inventore della lapidazione delle adultere e di un particolare tipo di ripieno penitenziale per tacchini, a base di ghiaia e segatura.

Particolarmente controversa la situazione in Italia, dove la privatizzazione del voto ha permesso a un miliardario squilibrato di trasformare le elezioni in una Spa, da lui controllata con l'acquisto di un pacchetto di schede inferiore al 20 per cento. Grazie ad accorte speculazioni di Borsa questi stessi voti, depositati all'estero, possono valere anche il doppio. Al posto delle votazioni, nel 2006 si svolgerà un Consiglio di amministrazione. All'ordine del giorno la ratifica dei provvedimenti già presi dal Presidente, una proiezione di diapositive sulla sua vita e l'esibizione del prestigioso Balletto del Palazzo di Vetro, formato dagli osservatori dell'Onu nel frattempo assunti da Mediaset. Come omaggio al bipolarismo, presentano le gemelle Lecciso.
Denise Pardo per L'espresso


Praticamente, un derby. Per la prima volta in 13 anni, sulle poltrone dei tigì più importanti del paese siedono due direttori molto amati da Silvio Berlusconi. Al Tg1 c'è Clemente Mimun, che dopo aver diretto il Tg2, è stato promosso con il felice imprimatur di Palazzo Chigi. Al Tg5, da poco, c'è Carlo Rossella, fidato ex direttore di "Panorama", al posto di Enrico Mentana, poco affidabile politicamente per il Cavaliere.

Insieme, alle 20, controllano quasi il 60 per cento di share. A "L'espresso" Mimun, racconta la sfida («Rossella non va tanto per il sottile»), la sua opinione sull'Usigrai («Dietro c'è quel geniaccio di Beppe Giulietti»), i suoi rapporti con Bruno Vespa («Me ne andai quando era il mio direttore al Tg1»). E poi il sogno: «Prendermi al tigì Mentana e Sposini.

Come combatterà il Tg5 di Carlo Rossella?
«Nello stesso modo in cui ho trattato il suo predecessore Enrico Mentana, mio carissimo amico: battendolo sempre».

Mentana è una vittima?
«Non attribuiamogli cose che lui stesso nega. Io sono consapevole di essere il migliore. A essere sincero, lo è anche Mentana. A volte, a tu per tu con me stesso, gli passo lo scettro. E ora, Mentana "a piede libero" è un pericolo pubblico per tutti i direttori che tremano sapendolo quasi disoccupato. È uno dei pochi giornalisti con una fortissima immagine personale».

Cosa pensa della sua rimozione?
«Non mi riguarda».

Rossella è un amico?
«Se si aspetta un panegirico su di lui, non lo avrà. La fenomenologia dell'uomo narra di un amante della vita elegante, capace di frequentare nemici e amici dello stesso giro, che racconta la barzelletta giusta all'ambasciatore giusto. Per me sarebbe una vita terribile. Ma è il ritratto che si è divertito a farsi cucire addosso. In realtà, Rossella è altro, è uno che quando si pone un obiettivo non va tanto per il sottile, come si è visto».

Ha diretto il Tg1 nel 1994. E ha raggiunto picchi di share superiori ai suoi.
«Erano altri tempi. Non c'era la fuga del 6 per cento del pubblico verso le tv a pagamento e il Tg5 era più debole. Rossella, in dieci anni, ha collezionato cinque direzioni. Il Tg1. "La Stampa", uno dei giornali del sistema, e quando c'era l'Avvocato. Poi "Verissimo", "Panorama". Un tempo, tante liquidazione avrebbero prodotto una bella ricchezza. Ma intanto ora, grazie al lavoro di Mentana e Lamberto Sposini, eredita un tg fortissimo».

Ha un editore che è presidente del Consiglio.
«Che bella fortuna! Io ne ho almeno duecentocinquanta».

Insomma, non è preoccupato.
«No. Mi preoccupa il Tg1. C'è chi dice che lo sto tarando per inseguire il tasso di cronaca del 5. Non è vero. Il Tg1 non lo cambi. È un giornale che ha cinquant'anni, ha avuto fior fiore di direttori. Il suo pubblico lo conosce così bene da sapere persino che è da sempre vicino al Palazzo, è filo-istituzionale. Ogni tanto mi dicono: "Quanto Quirinale!"».

Quanto Polo, piuttosto. E quanto Berlusconi: dossier con gli elenchi delle censure sul premier, quel sonoro del Parlamento europeo evitato per non infastidirlo...
«Non nego gli errori. Chi manda in onda 14 edizioni fa moltissimo e sbaglia anche molto. Ma segnalo a tutti i bacchettatori delle vicende della maggioranza, che sono molto distratti: non si accorgono mai di quello che succede nel centro-sinistra. Per esempio, un buon servizio sul casino della scelta del nome a sinistra l'ho potuto vedere solo a "Le iene"».

C'è censura protettiva sulla sinistra e anche lei fa la sua parte?
«Osservo che le "distrazioni" che riguardano il centro-destra sono sempre vergognose manipolazioni della verità. Mentre nei confronti dell'altro schieramento c'è molta, molta più indulgenza».

Per alcuni il suo Tg1 è uno scandalo.
«Mi permetto di sospettare che dal '96 al 2002 la sinistra abbia esercitato qualche pressione su Rai e sul Tg1. Intanto la redazione, con la quale, per carità, lavoro bene, non me la sono scelta. L'ho trovata. Dal 1995, il Tg1 è stato diretto da Albino Longhi, Nuccio Fava, Giulio Borrelli, Rodolfo Brancoli, che è scappato, Marcello Sorgi, Gad Lerner. Maître à penser, naturalmente distinti e distanti dalla politica, vero? Io non ho fatto lo spin doctor di nessuno. Mai visto una capriolona come il passaggio di Lerner da Lotta continua al professor Prodi».

Pensa di non essere fazioso?
«Non mi considero completamente obiettivo. Però, mi creda, i telegiornali smaccatamente faziosi non li guarda nessuno. Ci sono fior di esempi in giro».

Non le sembra che il pastone politico del Tg1 sia jurassico? È servizio pubblico?
«È servizio pubblico. Ma non mi pare che l'abbiano oscurato i direttori di qualità miei predecessori, personalità effervescenti come Lerner... Pionati racconta bene la giornata politica. E a proposito del "panino" inventato dal professor Zaccaria - governo, opposizione e maggioranza ? Vorrei segnalare che c'è anche il Big Mac: opposizione, governo, maggioranza e opposizione. Si può vedere al Tg3».

Abolizione della par condicio: concorda?
«È una legge molto limitativa. Sarebbe bello lavorare in un clima di minor sospetto. Ma tutto quello che succede in Rai, non al Tg1, diventa dinamite. C'è un sindacato, parlo dell'Usigrai, che a seconda di chi governa, o fiancheggia il potere, o si oppone a esso per diventare motore di dossier, iniziative parlamentari».

L'Usigrai è stato un baluardo in Rai...
«Dietro c'è ancora quel geniaccio di Beppe Giulietti: è stato un leader, e, lo dico con rispetto, ha continuato a essere un motore in Rai pur non standoci più. Gente capace, che sa come tener calda la temperatura. Ma io, in dieci anni di direzioni, ho assunto 39 precari e un disoccupato».

È democratico un cda senza un presidente e un rappresentante dell'opposizione?
«È legittimato dal codice. Ma è sempre meglio un plenum con tutte le voci».

Carta bianca al Tg1: cosa farebbe?
«Chiamerei Enrico Mentana. Ora il Tg1 è imbattibile. Con lui diventerebbe invincibile. E a dirla tutta, se Lamberto Sposini fosse su piazza, prenderei anche lui».

Che rapporto ha con il direttore generale della Rai Flavio Cattaneo?
«È bravo, sa far quadrare i conti, come direttore c'è. Ho avuto una stima assoluta per Pier Luigi Celli. Il peggior presidente è stato Enzo Siciliano».

Perché?
«Mi capitava di partecipare a delle riunioni aziendali con lui. Quando finivano, mi accorgevo di aver dimenticato gli occhiali. Tornavo e tutti gli altri erano ancora lì. La vera riunione era iniziata non appena mi ero tolto dai piedi».

In questi anni ha sentito spesso Romano Prodi?
«Tre volte. Da Palazzo Chigi si lamentò di un servizio sui commercianti: molto garbato, nessuna pressione insopportabile. Poi, ci siamo fatti gli auguri: siamo nati lo stesso giorno. Giorni fa, mi arriva un messaggino, 20 minuti prima della fine del suo mandato europeo: "Io Prodi, nuovo numero di cell.". Ho pensato a uno scherzo e ho chiamato. "Pronto sciono Prodi, grassie per avermi richiamato". Era proprio lui».

Con Berlusconi il legame sarà ben più stretto.
«Ci siamo parlati una decina di volte. L'ultima quest'estate. Nulla di particolarmente affettuoso».

E il suo rapporto con Gianni Letta?
«Eccellente come per tutti gli italiani. Su di lui, ho sentito una storia divertente. Qualcuno diceva che, visto l'alto grado dei problemi italiani, ci vorrebbe un governo di unità familiare. Premier, Gianni Letta; sottosegretario alle Riforme, Maddalena Letta; ministro dell'Economia, Enrico Letta; e a tanti altri ministeri, Giampaolo Letta. Sottosegretario alla presidenza, la signora Lina Coletta, segretaria di Gianni. Prenderebbe l'84 per cento dei voti».

Meglio di Berlusconi?
«Ma è una battuta».

Con Bruno Vespa corre buon sangue?
«Lui è la dimostrazione che un grande solista non deve essere un grande direttore d'orchestra. L'ho avuto come direttore quando ero un giornalista del Tg1. Me ne sono andato: l'andazzo non mi piaceva. Nessuna ragione politica, una diversa mentalità».

Le è dispiaciuto di non essere stato scelto al posto di Rossella?
«Dirigo il Tg1. Ce n'è abbastanza per essere felici, no? Il cambio al Tg5 mi ha dato solo adrenalina. Per ora, noi e loro, ci misuriamo. Ma non sto lì a vedere come finisce. L'epilogo è già scritto».

Ah, sì? Può anticiparlo?
«Rossella ha detto che il suo obiettivo è farne il primo tigì del paese. Sarà molto difficile. Ma dipende. Dipende da quanti decenni gli hanno dato per farcela».

11.12.04

IL VERO DEBITO PUBBLICO

Così sono qua, io, Guaicaipuro Cuatemoc, sono venuto a incontrare i partecipanti a questo incontro. Così sono qua, io, discendente di coloro che popolarono l’America quarantamila anni fa, sono venuto a trovare coloro che la trovarono cinquecento anni fa.

Così ci troviamo tutti: sappiamo chi siamo, ed è già abbastanza. Non abbiamo bisogno di altro.

Il fratello doganiere europeo mi chiede carta scritta con visto per scoprire coloro che mi scoprirono.

Il fratello usuraio europeo mi chiede di pagare un debito contratto da traditori che non ho mai autorizzato a vendermi.

Il fratello leguleio europeo mi spiega che ogni debito si paga con gli interessi, anche fosse vendendo esseri umani e paesi interi senza chiedere il loro consenso.

Questo è quello che sto scoprendo.

Anch’io posso pretendere pagamenti. Anch’io posso reclamare interessi. Fa fede l’Archivio delle Indie. Foglio dopo foglio, ricevuta dopo ricevuta, firma dopo firma, risulta che solamente tra il 1503 ed il 1660 sono arrivati a San Lucar de Barrameda 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento provenienti dall’America.

Saccheggio? Non ci penso nemmeno!! Perché pensare che i fratelli cristiani disobbediscano al loro settimo comandamento.

Spoliazione? Tanatzin mi guardi dall’immaginare che gli europei, come Caino, uccidano e poi neghino il sangue del fratello!

Genocidio? Sarebbe dar credito a calunniatori come Bartolomeo della Casa che considerarono quella scoperta come la distruzione delle Indie, o ad oltraggiosi come il dottor Arturo Pietri che sostiene che lo sviluppo del capitalismo e dell’attuale civiltà europea sia dovuto all’inondazione di metalli preziosi1

No! Questi 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento devono essere considerati come il primo dei vari prestiti amichevoli dell’America per lo sviluppo dell’Europa. Pensare il contrario vorrebbe dire supporre crimini di guerra, il che darebbe diritto non solo a chiedere la restituzione immediata ma anche l’indennizzo per danni e truffa. Io, Guaicaipuro Cuatemoc, preferisco credere alla meno offensiva delle ipotesi. Una così favolosa esportazione di capitali non fu altro che l’inizio del piano Mershalltezuma teso a garantire la ricostruzione della barbara Europa, rovinata dalle sue deplorabili guerre contro i culti musulmani, difensori dell’algebra, della poligamia, dell’igiene quotidiana e di altre superiori conquiste della civiltà.

Per questo, avvicinandosi il Quinto Centenario del Prestito, possiamo chiederci: i fratelli europei hanno fatto un uso razionale, responsabile, o perlomeno produttivo delle risorse così generosamente anticipate dal Fondo Indoamericano Internazionale?

Ci rincresce di dover dire di no. Dal punto di vista strategico le dilapidarono nelle battaglie di Lepanto, nelle armate invincibili, nei terzi Reich ed in altre forme di reciproco sterminio, per poi finire occupati dalle truppe yankee della Nato, come Panama (ma senza canale).

Dal punto di vista finanziario sono stati incapaci – dopo una moratoria di 500 anni – sia di restituire capitale ed interessi che di rendersi indipendenti dalle rendite liquide, dalle materie prime e dall’energia a basso costo che gli esporta il Terzo Mondo. Questo deplorevole quadro conferma l’affermazione di Milton Friedman secondo il quale un’economia assistita non potrà mai funzionare e ci obbliga a chiedere – per il loro stesso bene – la restituzione del capitale e degli interessi che abbiamo così generosamente aspettato a richiedere per tutti questi secoli.

Detto questo, vorremmo precisare che non ci abbasseremo a chiedere ai fratelli europei quei vili e sanguinari tassi d’interesse variabile del 20 fino al 30% che i fratelli europei chiedono ai paesi del Terzo Mondo. Ci limiteremo a esigere la restituzione dei materiali preziosi prestati, più il modico interesse fisso del 10% annuale accumulato negli ultimi trecento anni. Su questa base, applicando la formula europea dell’interesse composto, informiamo gli scopritori che ci devono, come primo pagamento del loro debito, soltanto 185mila chili di oro e 16 milioni di chili di argento ambedue elevati alla potenza di trecento. Come dire, un numero per la cui espressione sarebbero necessarie più di trecento cifre, e il cui peso supera ampiamente quello della terra.

Com’è pesante questa mole d’oro e d’argento! Quanto peserebbe calcolata in sangue? Addurre che l’Europa in mezzo millennio non ha saputo generare ricchezze sufficienti a cancellare questo modico interesse sarebbe come ammettere il suo assoluto disastro finanziario e/o la demenziale irrazionalità delle basi del capitalismo.

Tuttavia queste questioni metafisiche non affliggono noi indoamericani. Però chiediamo la firma immediata di una carta d’intenti che disciplini i popoli debitori del vecchio continente e li obblighi a far fede al loro impegno tramite un’immediata privatizzazione o riconversione dell’Europa perché ci venga consegnata per intero come primo pagamento di questo debito storico.

Dicono i pessimisti del Vecchio Mondo che la loro civiltà versa in una bancarotta tale che gli impedisce di tener fede ai loro impegni finanziari o morali. In tal caso ci accontenteremo che ci paghino con la pallottola che uccise il poeta.

Ma non potranno. Perché quella pallottola è il cuore dell’Europa.

10.12.04

VOCABOLARIO POLITICO
Berlusconismo, le parole giuste per dirlo

di ANTONIO TABUCCHI

L'Italia è un paese di anime belle. Prodi chiama con la parola più appropriata di cui dispone la lingua italiana uno stuolo di ragazzotti che Berlusconi riceve alla Camera (non ad Arcore, alla Camera) e che faranno servizio di propaganda a pagamento porta a porta, e il tenero Follini sviene. Come si devono chiamare delle Camicie Azzurre che fanno un lavoro di propaganda a pagamento, se non mercenari? Forse Follini preferiva «volontari retribuiti», o ancor meglio «eroi», come chi fa questo mestiere in Iraq, e riceverli sulla soglia del Parlamento con il tricolore e la banda delle Forze Armate che suonava l'inno nazionale? Quando l'opposizione chiama le cose con il loro nome, la maggioranza protesta che «la si delegittima». Il lapsus linguistico di Follini è sintomatico della mentalità in cui si è adagiata la destra in questi anni, una mentalità che la sinistra le ha offerto su un piatto d'argento. Tale mentalità consiste in questo: una politica che sfascia l'Italia deve essere «legittimata». Se la sinistra non approva la terra bruciata dell'armata di Berlusconi, la destra se ne ha a male. Piange.
Credo che la sinistra si sia fatta rubare la politica anche perché si è fatta rubare le parole della sinistra. Berlusconi ha usurpato il paese, la televisione, il Parlamento anche perché ha usurpato (con la quiescenza della sinistra e con l'aiuto della stampa che gli ha fatto da megafono) le parole che appartengono alla sinistra e soprattutto al sistema democratico al quale egli per natura è estraneo. Ha cominciato l'esproprio linguistico nel battezzare la sua alleanza «Casa delle libertà», lo ha continuato autodefinendosi «il buon governo». Ciò lasciava implicitamente intendere che fuori dal suo schieramento non c'era libertà e fuori dal suo governo c'era solo il malgoverno. Questa oscenità linguistica doveva essere subito rintuzzata dalla sinistra, che invece non solo si è lasciata scippare parole che appartengono alla sua cultura e alla sua tradizione, ma l'ha assecondata in modo prono. Sentire senatori del centrosinistra che in un salotto della televisione di stato occupato da Berlusconi, davanti a un fascistello che bestemmiava la democrazia, dicevano rispettosamente «voi del Polo delle libertà», era una delle cose più umilianti che si potessero sentire in questa Italia violentata dalle leggi Cirami, dai licenziamenti di Enzo Biagi e di Santoro e dai lodi Schifani. E avrete notato intanto lo slittamento semantico con cui la stampa (anche quella cosiddetta liberale) ha accompagnato l'ascesa del berlusconismo: Maroni diventava «ministro del welfare»; quando Ciampi firmava le leggi più indecorose lo faceva dopo aver esercitato una «moral suasion»; Berlusconi non era più semplicemente il primo ministro, come si dice in tutti i paesi europei per chi è primo ministro. No: Berlusconi è il premier, oppure il Cavaliere: due epiteti che evocano il condottiero, il capo di un'intera nazione, non di una risicata maggioranza tenuta insieme da scambi di favori e di poltrone.
Berlusconi, accusato di corruzione di tribunali e di reati economici che niente hanno a che fare con la politica, da anni chiama i giudici «toghe rosse». Ha aggiunto che chi sceglie di fare il giudice o è un poveraccio o un malato di mente. A Follini pare una «legittimazione» della magistratura? E che ne dice Ilvo Diamanti, imparziale osservatore di un quotidiano liberale, che ieri ha rimproverato a Prodi troppa asprezza verbale? E perché la sinistra ha permesso che questo miliardario della cui fortuna nessuno conosce l'origine usasse la parola «comunista» come se fosse un marchio d'infamia? Perché non gli ha replicato che il Partito comunista in Italia ha salvato le istituzioni repubblicane in più di un'occasione, e che se un marchio d'infamia l'Italia lo ha verso se stessa e con tutta l'Europa è il fascismo mussoliniano che si alleò con i nazisti portando l'Italia al macello e morte e distruzione nel mondo? Perché la sinistra ha lasciato che i nazifascisti di Salò, mercenari anch'essi al soldo di fascisti stagionati, fossero graziosamente rivalutati col nome di «ragazzi di Salò»?
Il tenero Follini è male abituato. E abituato ad un'opposizione alla quale viene l'orticaria se sente parlare di regime. Ce lo trova, l'on. Follini, un paese europeo dove il capo di un governo possegga la quasi totalità dell'informazione? E che non solo la possegga, ma che la produca. Perché Berlusconi non solo controlla l'informazione, egli è proprietario di una possente macchina, Mediaset, che produce informazione. Neanche a Ceaucescu era riuscito tanto. E che dire di quando Berlusconi, alla vigilia della grande manifestazione a Roma della Cgil contro l'abrogazione dell'art. 18, a reti unificate lanciò un messaggio televisivo al paese e insinuò che l'assassinio del prof. Biagi era la conseguenza dell'istigazione del sindacato? A Follini questa trovata pare una legittimazione del movimento sindacale, uno dei pilastri di ogni democrazia moderna? Berlusconi definì la Costituzione repubblicana una «costituzione sovietica». La frase è palesemente fascista ma la sinistra non ebbe il coraggio di dirlo. A Follini piace? Berlusconi ha, fra le altre cose, devastato la lingua italiana. E' tempo di ripristinarla, di sottrargli le parole che ha rubato, di restaurare gli sfregi che ha fatto alle parole, perché le parole sono le cose. E' tempo che la sinistra gli ribatta che se vuole ancora affermare che Mussolini mandava gli oppositore in villeggiatura, prima quella villeggiatura la deve fare lui. Il giorno che Gianfranco Fini veniva nominato ministro degli esteri, il giornale di Paolo Berlusconi, il fratellino con condanna passata in giudicato, titolava a tutta pagina: «Dopo Fiuggi il fascismo non è più tabù». Se lo dicono loro, che la sinistra ne approfitti e si riappropri delle parole per dirlo: chiami fascisti i fascisti.
Il potere e il codice: la lezione francese
Caso Mitterand e altri scandali

di ERNESTO GALLI DELLA LOGGIA - Corriere della Sera

Che la politica non possa essere ridotta all'etica né giudicata principalmente sulla base del codice penale (a dispetto di ciò che ne pensano i moralisti di tutti i tempi e di tutti i Paesi), lo mostra a chiare lettere un episodio non proprio irrilevante di queste settimane che ha per teatro la Francia. Sì, proprio quella Francia che forse un po' troppo spesso ama impartire lezioni di correttezza e di civismo "repubblicano" all'universo mondo e a noi poveri italiani in specie. A Parigi, infatti, si è aperto il mese scorso - mi pare nel silenzio assoluto della stampa nostrana - un processo penale che di fatto è un processo nientemeno che a François Mitterrand e al modo di intendere il potere di quell'importante rappresentante della sinistra europea.
Naturalmente, essendo Mitterrand morto da tempo, a rispondere in giudizio sono in realtà un pugno di alti funzionari del suo gabinetto, dei servizi segreti e di un paio di ministeri accusati di avere organizzato per suo ordine una vera e propria centrale illegale di spionaggio telefonico a uso privato ed esclusivo del presidente della Repubblica. Tra il 1983 e il 1986 (cioè fino alla vittoria elettorale della destra, il cui arrivo al governo rendeva il gioco troppo pericoloso), servendosi di ben venti linee di ascolto, l'Eliseo intercettò centinaia di conversazioni telefoniche (sono state ritrovate oltre cinquemila pagine di verbali di ascolto) di politici, avvocati, scrittori, giornalisti (come l'ex direttore della redazione di Le Monde: infatti il giornale si è costituito parte civile) e naturalmente di loro congiunti, mogli, amanti. Il tutto al fine ovvio di fornire al presidente francese informazioni utili a prevenire eventuali pericoli e a convincere eventuali avversari con la minaccia di rivelazioni sgradevoli carpite grazie alle intercettazioni.
A completamento del quadro, il solito corredo di episodi e di figure che si ritrova in faccende del genere: l'archivio illegale ritrovato in un garage, il generale pusillanime che obbedisce a ordini illegali senza fare domande, l'alto ufficiale che in tribunale balbetta giustificazioni pietose e si impappina, lo scaricabarile di tutti, e così via seguitando secondo un copione scontatissimo.
Ma come mai questo stesso copione che a qualsiasi politico italiano costerebbe all'istante le accuse più feroci di golpismo e di tradimento, che a Richard Nixon è costato la fama imperitura di prototipo degli imbroglioni, invece a François Mitterrand sembra in pratica non costare nulla, non macchiandone più di tanto il nome? La risposta è, per l'appunto, che in politica non valgono il codice penale né la sua massima suprema della legge uguale per tutti. In politica pesano in misura determinante i motivi, le circostanze, i contesti. Conta ad esempio che ci sia un quadro politico divisivo e lacerato - come è da sempre quello italiano o come era quello dell'America di Nixon - ovvero improntato tradizionalmente all'ossequio istituzionale e alla compattezza nazionale come quello francese. Soprattutto in politica non conta tanto che cosa si fa ma chi si è. Contano cioè le scelte passate e presenti, la tradizione che si rappresenta e il modo di farlo, conta infine la personalità. In politica insomma conta alla fine solo la politica. A differenza di Nixon (e ancor più dei nostri poveri democristiani o socialisti) Mitterrand aveva lo charme, il tratto, lo stile, la retorica del grande uomo di Stato: o almeno riusciva a fare mostra di averli. Cosa volete che importi allora - concludendo con un paradosso - se poi registrava di nascosto le telefonate altrui e le usava per mantenere il potere?
Qua la mano Mascalzone Bavoso
di Marco Travaglio (Dall'Unità del 07 Dicembre 2004)

Bisogna ringraziare Romano Prodi per aver chiamato mercenari i mercenari di Berlusconi, detti anche "guardia azzurra", "camicie azzurre" o Silvien Jugend. E' stato Berlusconi, non Prodi, ad annunciare che avrebbe reclutato mille giovani da sguinzagliare per l'Italia, pagandoli di tasca sua come un tempo faceva con Craxi e certi giudici. Dunque, tecnicamente, costoro si chiamano mercenari. Uno più spiritoso li avrebbe definiti camerieri, maggiordomi, colf, badanti, volontari a pie' di lista. Ma anche mercenari rende l'idea. Peraltro quello stesso termine l'aveva abbondantemente usato Berlusconi per definire i suoi oppositori tutti, con una certa dose di ingratitudine visto quel che han fatto per lui. Il 19 gennaio 2000, a Studio Aperto, intervistato dal sottostante Paolo Liguori, dichiarò: "Al congresso Ds è caduta la maschera. Sono un esercito di mercenari, di opportunisti, pronti a combattere per la causa che di volta in volta gli conviene... Non importa sotto quale bandiera combattano... L'importante è fare l'unica cosa che sanno fare, il mestiere della politica, i profittatori della cosa pubblica". Seguirono un paio di reazioni risentite, e morta lì. Il 24 agosto 2000, parlando al Meeting dell'Amicizia, si sintonizzò col titolo della manifestazione e sparò: "Quelli della sinistra sono mercenari, mercenari! Non gli importa per quale cosa, per quale ideale, per quale bandiera si battono: gli importa solo di fare la guerra al nemico che oggi individuano nel sottoscritto!". Un altro paio di repliche un po' stanche, e morta lì.
Eppure Berlusconi si riferiva ai militanti (volontari non pagati) di tutta l'opposizione, mentre Prodi parlava esplicitamente dei mille giovani che Berlusconi ha promesso di assoldare (anche se Tg1 e Tg5 facevano i furbi, dicendo che parlava di tutti i militanti del centrodestra). Perché allora gl'insulti gratuiti di Berlusconi non sortirono reazioni apprezzabili, non innescarono dibattiti, non suscitarono richieste di scuse, mentre la banale constatazione di Prodi è da quattro giorni al centro del dibattito politico, su tutti i telegiornali e i giornali, con la partecipazione straordinaria di terzisti, "riformisti" e Pigi Cerchiobattisti? Perché Berlusconi può atteggiarsi, con vasta corte di corifei al seguito, a vittima della "demonizzazione", lui che da quando è sceso in campo non fa che insultare, calunniare, diffamare e minacciare - personalmente o tramite i suoi killer a mezzo stampa e tv - chiunque si metta di traverso sulla sua strada: politici d'opposizione ("comunisti, stalinisti") e alleati dissenzienti (Bossi "giuda, traditore, personalità doppia e tripla, ladro e ricettatore di voti" nel '94, Fini "fascista" e Follini "professionista della vecchia politica" fino all'altroieri), eurodeputati (il tedesco Shulz paragonato a un "kapò nazista"), intellettuali e sindacalisti (Cofferati "mandante morale del delitto Biagi"), pm e giudici ("toghe rosse", "eversori", "golpisti", "comunisti", "fascisti", "come la banda della Uno Bianca", "criminali", "matti", comprese la Corte Costituzionale e le Sezioni Unite della Cassazione), giornalisti e attori (Biagi, Santoro e Luttazzi "criminosi"), capi dello Stato (Scalfaro "golpista e ribaltonista") e semplici cittadini ("faccia da stronza", alla signora di Rimini che lo invitava a tornare a casa)?
La risposta è semplice, perfino banale, almeno per chi ha occhi per vedere: il più indomito demonizzatore che esista al mondo può passare addirittura a vittima della demonizzazione perché possiede o controlla tutte le televisioni, grazie alle quali è in grado di imporre a tutti l'agenda politica che vuole lui. Costringe tutti a parlare di ciò che vuole lui, a preoccuparsi di ciò che vuole lui, a ignorare ciò che vuole lui. E visto che ha instaurato un regime mediatico, ma non vuole che si dica, riesce pure a imporre che non se ne parli. Anzi, che lo si neghi.
Ieri, sul suo Giornale, celebre per aver inventato una tangente inesistente di 5 miliardi su un conto austriaco inesistente di Di Pietro, calunniato la Ariosto e la Boccassini con accuse false, amplificato per mesi i delirii dei falsari Marini e Volpe su Telekom Serbia, è comparso un sereno editoriale di Paolo Guzzanti, noto per aver intervistato un altro peracottaro, tal Zagami, che diceva di aver assistito al trasporto dei miliardi in sacchi di juta destinati da Milosevic ai leader dell¹Ulivo. Stigmatizzando il malvezzo prodiano di chiamare mercenari i mercenari, il condirettore-senatore Guzzanti definisce Prodi, nell¹ordine: "leader rottamato", "fior di mascalzone", "uomo dal passato cupo di ombre", "amico dei comunisti golpisti", "bavoso", "vergognoso", uno che "svendeva la Sme" e "ha fatto a pezzi il Paese", "santa mortadella", "salame", come chi "in America Latina adorava il mitra", "disastro", "medium da retrobottega", capo di una "sinistra demenziale e violenta" fatta di "poveracci" e "squadristi da far
valere alle manifestazioni", "canagliesco", "attrezzo per disperati", "figura indegna", uno che "è entrato in una cabina telefonica, s¹è tolto il liso panciotto, si è spolverato la forfora, si è spogliato ed è rimasto nel costume con mantellina con la grande "M" di Mascalzone". Perchè, spiega Guzzanti, la sinistra è "odio e agguato". Mentre il Polo, com'è noto, è amore. E lui, modestamente, lo nacque.

9.12.04

Massimo Mucchetti per il Corriere della Sera

Il 28 settembre 1943, quando l'Italia democratica era ancora un sogno, Luigi Einaudi scriveva: «E' legittimo che ogni partito abbia i suoi organi; ma questi debbono essere dichiarati tali e debbono essere mantenuti a spese del partito». Sessant'anni dopo, i giornali di partito quadrano i loro conti grazie ai contributi a fondo perduto della presidenza del Consiglio. Probabilmente Einaudi avrebbe capito: una volta deciso il finanziamento pubblico delle forze politiche parlamentari, l'aiuto ai loro quotidiani è solo una conseguenza.
Quello che l'economista liberale, primo presidente eletto della Repubblica, difficilmente avrebbe compreso è il resto. Che «l'Unità» o il «Secolo d'Italia» abbiano un aiuto può andare. Magari ne registriamo la consistenza - la prima prende contributi per 6,8 milioni contro 21 milioni di ricavi editoriali, il secondo per 3,1 milioni contro ricavi di 1,2 milioni - per osservare come il quotidiano fondato da Antonio Gramsci sia più radicato di quello di An, e dunque, in proporzione, meno dipendente dall'obolo di Palazzo Chigi.
Lo stesso metro di giudizio può essere applicato alla «Padania», voce della Lega: 4 milioni di aiuti dal governo centrale contro 3,3 portati da lettori e inserzionisti. E a «Liberazione», testata di Rifondazione comunista: 3,7 milioni di aiuti contro 3,2 venuti dal pubblico. Ma alla fine diremo che la democrazia ha i suoi costi, e pazienza. Qualche buona ragione potrà pure essere riconosciuta ad «Avvenire», il quotidiano della Conferenza episcopale italiana che, peraltro, gode già dell'8 per mille, o alle cooperative storiche che editano in modo spartano il «Corriere mercantile» di Genova o «il manifesto». Più arduo, invece, è apprezzare la posizione di testate che rappresentano intraprese commerciali sostenibili solo grazie allo Stato.
Tanto più se le stesse testate fanno del taglio della spesa pubblica il proprio cavallo di battaglia.
In quest'editoria parastatale, spiccano «Il Foglio», che perde 336 mila euro nonostante 3,5 milioni di aiuti, pari al 71% dei ricavi ordinari, e «Libero» di Vittorio Feltri, che pareggia con 5 milioni di contributi e 17,5 di fatturato. Il quotidiano diretto da Giuliano Ferrara si è affiliato alla Convenzione per la giustizia, movimento politico con 2 parlamentari, per avere i contributi della legge 250. Lo stesso ha fatto il giornale guidato da Vittorio Feltri, che si dice, con una scritta quasi invisibile, organo del Movimento monarchico italiano.

Poiché il giochetto venne replicato da molti, talvolta a meri scopi speculativi, il Parlamento chiuse la porta, ma non fece uscire chi era entrato. Con voto trasversale, agli "imprenditori" più svelti sono stati confermati i pubblici soccorsi a patto che trasformassero le società editrici in cooperative. Ed ecco apparire la coop Libero formata dagli Angelucci, i re delle cliniche romane, e dai loro professionisti, con 50 mila euro di capitale, un centesimo del contributo che lo Stato dà ogni anno al giornale. Anche l'ultima nata, la cooperativa del Riformista, organo del Movimento per le ragioni del socialismo diretto da Antonio Polito, ha chiesto 2 milioni che, assieme a 3 milioni di ricavi, le consentono il miglior profitto del settore: 474 mila euro.
L'anno scorso furono 93 le testate a dividersi 120 milioni. Adesso, il Dipartimento per l'editoria decide analoghe assegnazioni a valere sui conti 2003. L'intera editoria, invece, riceve crediti d'imposta del 3% per cinque anni sugli investimenti e contributi pari alla metà del servizio del debito relativo (92 milioni per l'ultimo triennio). Anche questo in linea di principio è un aiuto, ma è legato allo sviluppo e non alla copertura delle perdite. Non a caso il commissario Ue, Mario Monti, non l'ha considerato aiuto di Stato.
(con la consulenza tecnica di Miraquota)

7.12.04

Le spie che vengono da Arcore
"Contrordine" di Alessandro Robecchi

Per una volta, niente politica. Cerchiamo di cogliere il lato umano della vita. I sentimenti, le passioni, le infinite tristezze del nostro percorso terreno. Tutte quelle cose che a voi - essendo comunisti - vi fanno venire la pellagra e lo scorbuto, che cominciate a grattarvi e non la smettete più. Facciamo un sforzo. Scendiamo un po' nella profondità dei sentimenti della gente, come fossimo una puntata della Vita in diretta, o un reality qualunque, o un surreality come il Tg5 di Carlo Rossella. Insomma, quella fuffa lì. Mandiamo per un attimo un pensiero a quei giovani volenterosi di Forza Italia che hanno bussato alle federazioni del partito di Silvio per «rendersi utili». Essi, questi bravi giovani animati da una forte passione e «tutte persone molto credibili», in preda a una sincera febbre liberale, hanno alzato il telefono, chiamato la più vicina federazione di Forza Italia e si sono offerti volontari per aiutare il partito. In essi batteva un cuore indomito, ma i risultati sono stati assai deludenti. Sì, giovanotto, ci lasci il suo numero, le faremo sapere. Sì, sì, vabbé, mi lasci il nome. Sì, certo, capisco l'entusiasmo, ci faremo vivi noi, d'accordo? Insomma, il corpaccione del partito di maggioranza relativa, se mi scusate il francesismo, ha scacazzato proprio male i nuovi aspiranti impolitici che vogliono fare la politica di Silvio. Essi andarono per modernizzare, baldi, giovani e forti, e vennero rapidamente modernizzati: grazie, non compriamo niente, ragazzino ci lasci lavorare. E' quando la vita dà colpi simili che si finisce nel tunnel della droga, o si diventa comunisti.

Non so se riuscite a immaginare la tristezza della situazione: un giovane che si offre volontario a Forza Italia è già una cosa parecchio strappalacrime. Ne immaginiamo le profonde motivazioni morali, tipo trovare i soldi per l'ultima rata del gippone. E' triste, sì. Ma un plotone di tromboncini medi e piccoli, notabili di paese, minuscoli apparatniki di provincia che dicono «no grazie», timorosi di perdere qualche posizione in una macchina di sottopotere decorativa come il partito di Silvio, è ancora più triste. Se unite queste due profonde tristezze forse riuscirete ad avvicinarvi all'essenza delle cose.

E qui entrerebbe il lato umano della faccenda: tutte quelle speranze infrante, tutti quegli entusiasmi frustrati. Stavamo per cascarci, ma qui... colpo di scena! Già. Si scopre che i giovani burbanzosi volontari vogliosi di «inseguire un sogno» li aveva mandati lui, Silvio in persona. Cioè Egli, astuto come una faina, aveva mandato qualche aitante spia giovanile per verificare il comportamento dei suoi sergentelli sul territorio. Ed essendo state le piccole spie in erba respinte con perdite, sbertucciate e irrise, trattate come la piccola fiammiferaia o anche peggio, presi a male parole, Egli si è adontato parecchio.

Questo, inutile che ve lo dica io, apre nuove incredibili prospettive alla sinistra. Ora, ogni federazione, sezione, cellula e tavolo da bridge di Forza Italia sa che se un giovane si offre volontario e chiede di portare il suo entusiasmo per procurare al paese nuovi danni e lutti e disastri, potrebbe essere mandato da Silvio in persona. Ora tutti verranno accettati, purché particolarmente fessi, cialtroni e fiduciosi nelle tabelle taroccate del professor Brunetta, il professore delle patacche. Ora Silvio comincerà con assumerne mille. Mille nuovi dipendenti, che verranno inviati (a coppie, una lui e una lei, chissà perché siano arrivati ai Ken e alle Barbie di Forza Italia) a fare proselitismo sul territorio e a «svecchiare» il partito, magari a portare il verbo di Silvio nei mini-potentati locali che si servono del bandierone di Forza Italia per farsi i loro eterni privatissimi cazzetti propri (e non quelli di Silvio, reato federale). Saranno selezionati, addestrati e mandati al fronte. Avranno sedi luminose ed eleganti. Probabilmente belle cravatte e girocollo di cachemire. Lavoreranno sul territorio, convincendo la gente e raccogliendo fondi, perché Silvio non vorrebbe pagare di tasca sua, ci mancherebbe! Lo scenario è di una tristezza quasi insopportabile: mille nuovi precari gettati senza rete su un terreno scivoloso. Speriamo che nessuno di loro cada da un'impalcatura o si chiuda un dito nella fotocopiatrice, perché i caporali del partito sarebbero pronti ad abbandonarli feriti sul ciglio di una strada provinciale come si fa nel migliori cantieri edili del regno. Il tutto mentre il Capo prepara una fiction sul suo buon governo e dice agli amici: «gli sceneggiatori sono già al lavoro». Come vedete, non è questione di politica, ma soltanto di infinita tristezza. Aspetto con ansia che Ken e Barbie vengano a bussare, a farmi visita, a chiedere soldi, a stupirmi con il loro credo liberale. Dopo di che, temo, mi metterò a piangere.
PRECISAZIONI
da Alberto Arienti

Questa comunicazione supererà abbondantemente gli spazi consentiti. Caro subcomandante, ho sempre accettato come parte del giochi la tua "censura" e non ho mai giudicato il tuo atteggiamento sulla questione israelo-palestinese, che si risolve in un gran cestinare "perchè il problema è troppo" complesso.
Dopo questo intervento di Goldoni: "Una vera Germania democratica nacque solo dopo il tribunale di Norimberga; così successe nel Giappone post-bellico. Una nuova Palestina deve liberarsi dei terroristi che la hanno ridotta allo stato attuale: i vari Abu Mazen, Abu Ala', Dahlan, Rajoub rappresentano il problema e non la soluzione. La loro continua legimittazione impedirà una futura democratizzazione e regolarizzazione del paese. La stessa denominazione dei quattro come "moderati" è ridicola (...)"
mi ero permesso questo: "Molti terroristi israeliani sono arrivati a governare e nessuno ha detto nulla. Il nostro Cossiga ha raccontato un gustoso dialogo avvenuto ad un ricevimento ufficiale tra un diplomatico inglese ed uno israeliano. Il secondo chiese al primo: "Dov'è la vostra ambasciata a Roma?". "Sempre allo stesso posto. Perchè?". "Perchè io ero uno di quelli che l'ha fatta saltare" rispose il diplomatico israeliano." che non è stato pubblicato.

Oggi però pubblichi:
"SARA' UN CASO? da Giorgio Guiotto: Da quando Arafat ha levato le tende (finalmente) in Israele non è più scoppiato neanche un petardo..."

quindi la tua famosa equidistanza rispetto al problema è andata a farsi benedire.

Chiudo con l'intervista a Cossiga che aveva generato la storiella:
"Presidente, lei in seguito ha incontrato altre volte Arafat. Lo considera uno statista o un leader corrotto, protettore del terrorismo e con un passato, lui stesso, da terrorista?

«Lo considero uno statista e la sua scomparsa costituirà un grave problema per tutta l’area mediorientale. I passati da terrorista non contano. Dietro il Risorgimento italiano c’è stato il terrorismo, come dietro la nascita dello Stato d’Israele ci sono stati la “Banda Stern”, l’attentato all’Hotel King David e quello all’ambasciata inglese a Roma, quando alcuni giovani ebrei fecero esplodere l’edificio travestiti da camerieri durante un cocktail, pur senza mietere vittime. La verità è che il terrorismo è la febbre iniziale e maligna di ogni movimento di resistenza nazionale. Le racconterò un episodio: qualche anno fa, a una cena, ero seduto fra un diplomatico israeliano di alto rango e un politico inglese. A un certo punto, il primo chiese all’altro: “Dove avete adesso la vostra ambasciata a Roma?”. E l’inglese rispose: “Sempre lì, a via XX settembre. Perchè le interessa?”. “Perchè io sono uno di quelli che ve l’ha fatta saltare in aria”. Il che dimostra una cosa».

Che cosa?
«Che non tutti i terrorismi sono cattivi»." Umberto La Rocca per La Stamp
Il silenzio non è innocente
Lettera a L'Unita' di Marco Bertotto, Presidente Amnesty International Italia

Caro Direttore,
proprio mentre è in corso in Cina la visita di Stato del presidente Ciampi e di una nutrita schiera di ministri, un imbarazzante silenzio è calato sulle sistematiche violazioni dei diritti umani di cui è responsabile il governo di Pechino.
Nonostante i timidi tentativi che la nuova leadership cinese ha compiuto per far intendere la sua volontà di modernizzare il paese, non si sono registrati significativi passi avanti per introdurre quelle riforme legislative e istituzionali necessarie a garantire l’esercizio delle libertà fondamentali.
Al contrario, negli ultimi anni abbiamo osservato un nuovo giro di vite nei confronti della libertà di espressione e decine di migliaia di persone, tra cui attivisti politici e navigatori di Internet continuano ad essere arbitrariamente detenuti e condannati dopo processi sommari. Oltre 250mila persone sono state costrette a seguire un programma di «rieducazione attraverso il lavoro» a seguito di procedimenti che violano tutti gli standard internazionali sul giusto processo.
Continuano gli arresti e le intimidazioni contro gli aderenti al movimento spirituale dei Falun Gong e la repressione dei cosiddetti “estremisti religiosi” della comunità uigura dello Xinjang così come dei dissidenti tibetani. La tortura è pratica corrente in un sistema di amministrazione della giustizia a dir poco indecoroso, mentre ogni anno le condanne a morte in Cina superano quelle eseguite complessivamente in tutti gli altri paesi del mondo.
Di questo volto della Cina, purtroppo, si discute assai poco sui mezzi di informazione e nel dibattito parlamentare odierno. Ben più grave è tuttavia il fatto che non se ne sia parlato nemmeno nei colloqui che la delegazione italiana ha avuto con il presidente Hu Jintao e il premier Web Jibao.
Ci diranno che l'argomento è senz'altro scabroso e ingombrante. Se si inserisse il tema dei diritti umani nell'agenda dei colloqui ufficiali con le autorità cinesi, tra un accordo commerciale e un programma di cooperazione bilaterale in ambito culturale, si correrebbe il rischio di compromettere i nostri rapporti con un partner economico importante e in piena espansione. Con buona pace delle Madri di Tiananmen e delle altre centinaia di attivisti che, come denuncia il rapporto odierno di Amnesty International, vanno incontro al carcere e alla tortura per difendere i diritti umani dei propri concittadini.
Secondo questa cinica visione della politica estera, i diritti umani sono un lusso che ci si può permettere solo quando non sono in gioco gli interessi strategici del paese. E, dovremmo aggiungere in questo caso, i profitti economici delle circa 200 imprese italiane che accompagnano la delegazione ufficiale a Pechino in cerca di investimenti e opportunità di nuovo mercato.
“Il business prima di tutto”: concordano su questo slogan sia i rappresentanti delle nostre istituzioni che gli amministratori delle loro imprese, rafforzando la convinzione del governo cinese secondo cui i paesi occidentali, in cambio di adeguati tornaconto sul piano economico, sono disposti a chiudere tutti e due gli occhi sul mancato rispetto dei diritti umani.
Eppure, la progressiva apertura internazionale della Cina sul piano del commercio, degli affari e addirittura dello sport, come evidenzia l'assegnazione dei Giochi Olimpici per il 2008, comporta per la dirigenza di Pechino una sempre maggiore sensibilità ed attenzione all'immagine all'estero del paese. Allora occorrerebbe un po' di coraggio in più, per interrompere finalmente quella indecorosa politica dello struzzo che il nostro paese sta conducendo nei confronti della Cina.
Il presidente della Repubblica Ciampi dica pubblicamente che per l'Italia i diritti umani non possono in alcun modo essere merce di scambio e chieda ai rappresentanti del governo cinese impegni e tempi precisi nel campo delle riforme legali.
Il presidente di Confindustria Cordero di Montezemolo dia sostanza alle sue recenti dichiarazioni sul tema della responsabilità sociale delle imprese: convinca i suoi colleghi, italiani e cinesi, che un paese in cui i diritti umani e le regole del diritto sono riconosciuti a tutti i cittadini è anche un paese in cui gli investimenti sono più garantiti e gli affari più redditizi.

6.12.04

Da destra a sinistra, l’insulto è bipartisan
di Gian Antonio Stella (Corriere della Sera)

«Disgustoso», ha tuonato Fabrizio Cicchitto, ostentando il suo schifo per come Prodi ha chiamato «mercenari» i mille ragazzi che Berlusconi vuole sparpagliare per l'Italia alle Regionali. E ha aggiunto sarcastico: «Lo ringraziamo per il contributo dato alla civiltà e alla serenità del confronto politico». Vista la rissa che si è scatenata, è difficile su questo dargli torto: benzina sul fuoco. Il sanguinoso insulto, però, non è affatto al debutto, nel pollaio italiano.
E tra quanti l'hanno usato per sfregiare l'avversario, a sinistra e a destra, c'è anche l'uomo di cui Cicchitto è il devoto scudiero, cioè il Cavaliere.
Miracoli del nostro dibattito fra partiti e coalizioni, ministri e portaborse: nel diluvio quotidiano di parole, nessuno ricorda il mercoledì ciò che ha detto il martedì. Molto prima che il leader ulivista facesse ieri quella sortita sui «volontari» che, dice l'Ansa, «saranno selezionati su un modello manageriale e aziendale», «stipendiati» e mandati a «contattare capillarmente gli elettori» alle dipendenze di Dell'Utri che vorrebbe ripetere il miracolo del '94 quando costruì una «macchina-azienda, sulla falsariga di Publitalia», l'accusa agli avversari di essere «venduti» o «prezzolati» o «a libro paga» è stata usata ad esempio, più volte, da Bossi.
Una volta contro «i roghi predisposti dai mercenari del Cavaliere piduista». Un'altra contro Fini: «Sono sempre più numerosi gli italiani che, nonostante i sondaggi manipolati, gli spot illegittimi della Fininvest e i tentativi di drogare l'opinione pubblica, sono disposti ad accettare passivamente a scatola chiusa il nuovo "manuale Cencelli" di Berlusconi e la sua entrata trionfale nella stanza dei bottoni assieme ai miracolati missini e ai loro mercenari».
E ancora contro gli eredi della Dc: «Tra i mercenari del Polo, specialmente da parte della "centuria" Casini..». Contro i sindacati: «Vedo marciare una truppaglia mercenaria. Esibisce strane insegne, sigle come Cgil, Cisl, Uil...». Contro i leghisti che si erano opposti al ribaltone contro il primo governo del Polo: «Berlusconi sta cercando di corrompere, con soldi e con minacce qualcuno dei miei, qualcuno che era già nel suo libro paga».
Franco Rocchetta lo ripagò con la stessa pasta: «Bossi, ma anche i suoi lacché e mercenari, hanno accumulato errori per avidità e miopia...».
Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano per conto di Alleanza Nazionale, lo accusò addirittura di alto tradimento: «Bossi oggi a Milano ha di fatto invitato gli italiani a investire in titoli di Stato tedeschi, con lo scopo di inferire un nuovo colpo alla già precaria situazione economica del nostro Paese, dimostrando così di essere un vero e proprio mercenario degli interessi economici tedeschi in Italia».
Pochi insulti sono stati tanto usati. Lo scagliò Bobo Maroni contro Vittorio Sgarbi: «Non ci lasceremo sfuggire occasione per seguire questa strada nei confronti suoi e degli altri mercenari della diffamazione». Emilio Fede contro i partecipanti al convegno sulla libertà di stampa promosso da Montanelli: «C'erano anche mercenari a caccia di una poltrona». Cesare Previti contro coloro che avevano criticato la sua scelta ostruzionistica ai processi milanesi: «Mercenari della comunicazione».
L'allora forzista Cristina Matranga contro i «traditori» del Polo che avevano permesso in Sicilia l'elezione a presidente del diessino Angelo Capodicasa: «Si è materializzato il golpe politico organizzato nei palazzi romani da mercenari assetati di potere». Da Rocco Buttiglione contro Vittorio Feltri e i cronisti rei di avere fatto scoppiare lo scandalo di Affittopoli tirando in ballo lui e Casini e dunque accusati di fare «un lavoro da mercenari» per colpire il progetto di ricostruire il centro.
Intendiamoci: la parola infamante che oggi fa insorgere la destra era già stata usata anche dalla sinistra. Per esempio dallo stesso Prodi. Nel '95: «Sono contento di poter contare su un esercito di volontari e non di mercenari come quello berlusconiano». E poi nel '96, alla vigilia della vittoria: chi distribuisce i "santini" dei candidati dell'Ulivo sono amici o volontari, chi distribuisce quelli del Polo sono persone pagate. Ma non era stato da meno Vittorio Emiliani, durissimo contro «coloro che strillano contro la par condicio e sono in realtà a libro paga del Cavaliere». E Massimo D'Alema, nell'appello di quattro anni fa contro «un Berlusconi che sta reclutando un'armata pericolosa e mercenaria». Poca cosa, però, rispetto alla destra.
Basti ricordare il giudizio di Antonio Leone, vice-capogruppo di Forza Italia: «Si chiama Margherita ma è un gruppo di mercenari della politica». O la grandinata di invettive rovesciate, in Parlamento e fuori, contro gli «straccioni di Valmy» guidati da Cossiga che, eletti dalla destra, avevano deciso d'appoggiare il governo D'Alema. «Puttani!», urlò Fini, spiegando che erano «solo dei mercenari». «Avete inserito nella vostra compagine i viados della politica italiana», ringhiò Manlio Contento, lui pure di An. Quello, insistette Francesco D'Onofrio prendendo spunto da un titolo del «manifesto», era il "Governo dei trenta denari". Tutti mercenari.
E Silvio Berlusconi, che ogni tanto insiste a dire che lui rappresenta «il partito dell'amore contro il partito dell'odio» e che «non ha mai insultato nessuno»? Eccolo a «Studio aperto» nel gennaio 2000: «Al congresso Ds è caduta la maschera e si sono rivelati per quello che sono: un esercito di mercenari, di opportunisti pronti a combattere per la causa che di volta in volta gli conviene». Pochi mesi dopo, a Rimini, rincarava: «Sono mercenari, mercenari cui non importa per quale cosa, per quale ideale, per quale bandiera si battono...». Dice oggi l'azzurro Martuscello che la sparata prodiana di ieri è «un linguaggio da trivio».
Può darsi. Ma vale solo per Prodi o finalmente, dopo anni di reciproci insulti, la facciamo valere per tutti?

4.12.04

La Brunetta dalle cinque vite
"Satira preventiva" di Michele Serra

Il professor Brunetta simula sulla propria pelle gli effetti della riforma fiscale. E diventa medico, casalinga, vedova, professoressa di educazione fisica e proprietaria di ristoranti di lusso+

Con il taglio delle tasse l'Italia è cambiata. Il professor Renato Brunetta (un nome d'arte da economista classico, ispirato alla Brunetta dei Ricchi e Poveri) ha voluto simulare personalmente gli effetti della riforma fiscale.

Reddito minimo Brunetta ha finto di essere una vedova con la pensione minima. Recatosi alle Poste, avrebbe dovuto riscuotere la stessa cifra di sempre, esentasse come prima.
Ma grazie all'assenza degli impiegati postali, licenziati per ridurre la spesa pubblica, ha potuto agevolmente scavalcare il bancone e afferrare parecchie manciate di banconote, dopo una breve colluttazione con altri anziani dai riflessi meno pronti. Bilancio altamente positivo: si introduce tra i pensionati il concetto di concorrenza, vero motore dell'economia. I più meritevoli possono riuscire a prelevare dalle casse delle poste fino al quadruplo della loro pensione.
I soccombenti impareranno la lezione e prenderanno il porto d'armi.

Reddito medio-basso Travestito da casalinga, Brunetta ha deciso di investire il suo sgravio fiscale (114 euro all'anno) dando la scalata alla Telecom, secondo i sani principi del capitalismo diffuso. Acquistate dieci azioni, con il resto si è comperato due etti di taleggio e si è recato all'assemblea annuale degli azionisti. Tronchetti Provera, dopo avere chiesto come mai c'era quel disgustoso odore di formaggio, si è complimentato con la nuova socia e le ha comunicato che le sue dieci azioni, assieme a quelle di altri due milioni di gonzi, avrebbero fatto parte del portfolio di 20 milioni di azioni che gli servivano per accaparrarsi anche la Omnitel, far fuori Moratti dall'Inter e comperare una Aston Martin col cambio sequenziale. Nei suoi appunti, raccolti frettolosamente da terra mentre Tronchetti lo faceva malmenare e umiliare dalle guardie del corpo, Brunetta sottolinea l'importanza della partecipazione dal basso.

Reddito medio Qui il calo delle aliquote comincia a farsi consistente. Brunetta ha vissuto per una settimana come una professoressa di educazione fisica che incrementa il bilancio familiare dando ripetizioni private di piegamenti. A parte le incomprensioni classiche con il marito (un netto calo del desiderio nella seconda parte della settimana), Brunetta ha potuto constatare che la diminuita pressione fiscale poteva permettergli di acquistare un paio di scarpe da ginnastica sostitutive (anche se le precedenti, vecchie di sei anni, avevano un gradevolissimo aroma di taleggio) e di fare la spesa al supermercato con due carrelli anziché uno, grazie alla maggiore disponibilità di monete da un euro. Incredulo, Brunetta ha valutato che l'aumento della liquidità gli consentiva di acquistare sette chili di taleggio. Tornato a casa e mostrata con orgoglio la spesa al marito, veniva picchiato da quest'ultimo e si recava alla più vicina Asl, trovandola non solo chiusa, ma rasa al suolo per diminuire la spesa pubblica. Medicatosi da solo con impacchi di ghiaccio, l'economista poteva constatare, con soddisfazione, un forte risparmio delle spese mediche.

Reddito medio-alto Per questa simulazione Brunetta si è sostituito a un medico specialista che lavorava nella Asl rasa al suolo. Ritirati gli effetti personali tra le macerie, Brunetta ha aperto una clinica privata nei pressi (usando le stesse suppellettili e gli stessi macchinari della Asl, acquistati a prezzo di rottamazione) e ha potuto notare che il suo reddito raddoppiava grazie agli ex clienti della Asl costretti a ricorrere alla sua clinica anche per misurare la febbre.

Reddito alto Qui il risparmio è molto ingente. Migliaia di euro all'anno. Calatosi nei panni della proprietaria di una catena di ristoranti di lusso, famosi per lo sformato di taleggio tartufato, Brunetta si è subito sentito pervadere da una incontenibile euforia. Acquistati una pelliccia di lapin e un cappellino di raso nero, ha percorso più volte i portici della sua città prelevando denaro da ogni Bancomat, vantandosi per l'abbigliamento sfarzoso e deridendo i passanti meno abbienti. Duramente percosso, ha steso un rapporto, su carta intestata di una clinica lussemburghese, nel quale denuncia l'odio sociale come unica controindicazione a una riforma fiscale geniale.