27.1.03

Nervi scoperti e piccola tv


di Tobias Jones

Tobias Jones risponde alle critiche dopo il suo articolo sulla televisione italiana uscito sul Financial Times

Negli ultimi quattro giorni ho ricevuto qualcosa come 500 email. Tutte dicevano esattamente la stessa cosa. In sostanza: “Grazie mille per aver finalmente scritto sul Financial Times quello che tutti pensiamo. La tv italiana è terribile, ha distrutto le basi culturali del nostro meraviglioso paese. È dominata da persone insulse e prive di talento che per giunta sono presuntuose e volgari”.
Gratitudine a parte, la reazione degli schiavi della macchina propagandistica del primo ministro è stata stizzita e chiassosa: Maurizio Gasparri crede che io sia un trotzkista e che il Financial Times somigli al Manifesto (come no!); per Maurizio Costanzo sono soltanto un “giovanotto” che vuol fare scalpore. Gerry Scotti pensa che dovrei andare a lavare i miei panni nel Tamigi. Ovviamente, nessuno di loro ha letto l’articolo in originale. Non erano in grado!

Forse dovrei accennare alla sua genesi. Il Financial Times mi ha chiesto di scrivere un pezzo per spiegare una cosa semplicissima: come mai il popolo più intelligente, cordiale e creativo del pianeta (gli italiani) ha la televisione più patetica del mondo occidentale. È un’ottima questione. L’ho trovata interessante e ho accettato di scrivere l’articolo.
Ho guardato la televisione senza interruzione per un mese. Ed è vero: fatta eccezione per qualche programma (Geo&Geo, Blob, Quark), fatta eccezione per Rai3, La 7, qualche canale locale e alcuni programmi trasmessi a tarda notte, la televisione italiana è semplicemente pessima. È spaventosamente sessista, volgare e ossessionata da se stessa. Chiunque dica, come il povero Gerry Scotti, che la Bbc è altrettanto pessima dice una sciocchezza. La Bbc non ha neppure la pubblicità, altro che letterine. Non lo dico perché sono patriottico. So che gli inglesi hanno una cucina terribile, un’igiene discutibile e un bruttissimo rapporto con l’abbigliamento. Ma la loro televisione è, mi spiace dirlo, infinitamente superiore. E – questo è il punto – il loro primo ministro non possiede tre reti nazionali.

A proposito, ho aperto il mio articolo citando Karl Popper: “Una democrazia non può esistere se non ha il controllo della televisione”. In Italia è vero il contrario. La televisione ha messo in scacco la democrazia. Lo dico non per fare dell’allarmismo sullo stato della democrazia (che è abbastanza preoccupante), ma per sottolineare le terribili conseguenze sulla televisione. E malgrado quello che dice Costanzo, so perfettamente di cosa sto parlando. Nel mio libro The dark heart of Italy (Il cuore tenebroso dell’Italia) ho scritto un capitolo molto lungo sulla televisione intitolato “I mezzi di seduzione”. È sul culto di Berlusconi. Domenica scorsa Costanzo mi ha lanciato sgarbatamente una sfida. La mia risposta è: “Verrò al suo show quando lei non sarà più un dipendente del presidente del consiglio”.
Un altro tema importante del mio lungo saggio era che fortunatamente gli italiani sono meno supini, meno creduloni dei britannici. Ho sostenuto che, in un certo senso, è meno grave che la tv italiana sia terribile perché l’altro termine dell’equazione televisiva – lo spettatore – è molto diverso. Gli italiani sono di gran lunga troppo intelligenti per farsi irretire dalla propaganda politica diffusa ogni sera sugli schermi delle loro tv da gente come Emilio Fede.

Di fatto, l’unica cosa di tutto questo polverone che mi ha veramente intristito è vedermi raffigurato come qualcuno che critica l’Italia e la sua città, Parma. Io adoro l’Italia. Vivo qui da quattro anni. Mia moglie è italiana. Parma è la città più bella, più straordinaria del mondo. I parmigiani sono, come ha scritto Giovanni Guareschi, la gente più divertente e più generosa del pianeta. L’idea che io critichi la cultura italiana è assurda. Io l’ammiro enormemente. Critico solo la tv italiana perché è quasi completamente priva di cultura: tutte le cose che rendono gli italiani così nobili – l’intelligenza e la generosità, il cattolicesimo e la creatività – sono assenti dai nostri schermi televisivi. Perciò, per favore, dateci più Gad Lerner e meno letterine.

24.1.03

LA GRANDE RIFORMA ORTOGRAFICA NAZIONALE


inviata da Saverio Luzzi

Il Ministero della Pubblica Istruzione, per voce del Ministro Letizia Moratti, ha diramato un comunicato nel quale si rende noto che - dopo la doverosa presa di posizione sui manuali scolastici di storia - il Governo intende proseguire nella sua benefica azione di rinnovamento anche attraverso una riforma dell'ortografia della lingua italiana. La riforma entrera in vigore per gradi, per non creare confusione e per dare il tempo agli italiani di abituarsi alle nuove norme, e seguira il calendario che viene esposto nel presente documento.

La Grande Riforma Ortografica Nazionale ha lo scopo di riavvicinare il popolo italiano alla scrittura e alla lettura, eliminando quegli ostacoli di natura grammaticale, sintattica, glottologica o politica che ancora impediscono a gran parte della popolazione del Paese di scrivere SMS e leggere la schedina senza commettere errori. Detti ostacoli sono naturalmente da imputarsi al precedente governo di centrosinistra e all'egemonia culturale comunista che ha tenuto vigliaccamente in pugno la cultura italiana pur senza aver mai avuto un mandato in questo senso da parte degli elettori. E a questa situazione vergognosa che la presente Grande Riforma Ortografica Nazionale intende porre rimedio.


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Articolo 1.
A partire dal gennaio del 2003 viene eliminata la lettera "h" dopo la "c", inutile e fuorviante a tutti gli effetti. Il suono "ch" verra quindi reso con la lettera "k", gia kara ai nostri antenati latini. La lettera "c" restera in vigore solo nei suoni dolci e privata della "i", ke non si kapisce mai se va messa o no. Non si skrivera quindi piu "cielo" ma "celo" e i non vedenti verranno kiamati "ceki".

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Artikolo 2.
In febbraio la stessa sorte tokkera alla "q", sopravvissuta nella nostra lingua solo in quanto presente nei "Quaderni del carcere", un libello insurrezionalista no-global skritto da un galeotto nemiko dello Stato. D'ora in avanti si skrivera "kuadro", "kuesto", "kuello" ecc., in linea con la tradizione della lingua patria, kodifikata una volta e per sempre dall'antiko testo "sao ko kelle terre per kelli fini...". Gli italiani devono imparare in kuesto modo ad apprezzare le proprie origini kulturali.

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Artikolo 3.
Tenuto konto ke da Roma in giu non c'e italiano ke azzekki una doppia, e sentito il parere del Ministro Bossi, il kuale non ne azzekka poi molte di piu di un trasteverino, si delibera ke a partire dal marzo del 2003 le dopie siano abolite. Ogni italiano potra d'ora in avanti inserirle nela parlata a suo piacimento, ma la parola skrita non ne rekera traca.

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Artikolo 4.
Per evitare inutili segni blu sui kompiti in klase dela magior parte degli studenti, si delibera ke il verbo avere vera, da aprile in avanti, skrito sempre kon la letera "h" iniziale, in kualsiasi sua forma: "io ho, tu hai, egli ha, noi habiamo, voi havete, esi hano".
Kuesto provedimento si e reso necesario per evitare spiacevoli inkonvenienti derivati dala konfusione tra la terza persona plurale del'indikativo e una certa parte anatomika portatrice di sgradevoli odori.

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Artikolo 5.
A magio del 2003, paralelamente a kuanto gia avenuto per il mese di genaio, si separera il suono guturale dela letera "g" dal suo suono
dolce, ke vera reso kon la letera "j", la kuale letera e kara ala patria esendo presente nei nomi di grandi personaji dela nostra kultura, kuali Julius Cesare, Julius Evola e Jo Skuilo.

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Artikolo 6.
A jugno gli italiani sarano pronti ad afrontare il problema dei ditongi; verano kuindi stabilite tre facili regole da rikordare: il ditongo "sc" vera sostituito kon la letera "x" (ja kara ala patria nei nomi indimentikabili di Bixio e Craxi, nel'obelisko di Axum e nele graziose skrite inejanti al Dux ke adornano le nostre cita); il ditongo "gn" fara uso dela tilde spagnola ("n"), jenerosamente koncesa al nostro Presidente del Konsiglio dal suo amiko personale Aznar, al kuale andrano pagate le royalties per l'utilizo di deta letera in kambio del'espulsione dala Spana del judice Garzon; infine il ditongo "gl" vera abolito e sostituito kon la letera "y", kome ja da tempo aviene nei telejornali dela Rai: "un mayone a kolo alto", "kuel koyone komunista di Benini", "la neve si xoye al sole" ecc.

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Artikolo 7.
A partire da luyo vera abolito il modo konjuntivo, inutile e frankamente tropo komplikato da usare nele aule parlamentari per yi onorevoli deputati e senatori del Polo dele Liberta. In deroga al presente artikolo, si koncede, poiké ormai invalso nel'uso, l'utilizo dela sola espresione "mi konsenta".

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Artikolo 8.
Aprofitando dela pausa estiva, ad agosto vera abolita la silaba "kom", ke tanti dani ha fato al Paese e al mondo intero a kausa del
komploto komunista internazionale. Al suo posto si usera la silaba "imp", ke sta per "impresa", il vero motore dela politika e solo arjine kontro la rivolta impunista. Nesuno potra dire, d'ora in avanti, ke il programa dele tre I non e stato atuato. Il presente artikolo havra infati riperkusioni anke nel'uso di Internet, dal momento ke tuti i domini ". com" dovrano esere rinominati ". imp".
Yi italiani havrano finalmente la posibilita di impunikare kon tuto il mondo senza xendere a pati kon il impunismo e la sua diabolika rete glotolojiko-mediatika.

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Artikolo 9.
Nel kuadro delo spirito riformatore ke informa il presente projeto, ala riapertura dele skuole, a setembre, si deliberera l'abolizione deyi acenti e deyi apostrofi, sostituiti da semplici spazi. D ora in poi sara kiaro fin dala prima pajina ke jornali kuotidiani tendenziosi e bujardi kuali "l unita" sono di fato ilejibili.

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Artikolo 10.
Alo skopo di armonizare tra loro tute le ativita dei citadini italiani, tenuto konto dela konfusione derivante dal uso di termini diferenti per indikare lo steso konceto, si delibera, in okasione del avio del kampionato di kalco 2003/04, ke il nome dela soceta kalcistika deve koincidere kon kuelo dela cita in kui deta skuadra ha la sede. Il impune di Bergamo sara denominato Atalanta, Ferara si kiamera Spal, Busto Arsizio si kiamera Pro Patria. Yi impuni nei kuali joka piu di una skuadra sarano divisi ekuamente a meta, perke noi siamo bipartisan. In partikolare a Milan e ja stata individuata un area industriale dismesa dale parti dela diskarika impunale ke vera ribatezata Inter.

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Artikolo 11.
Prendendo spunto dala jeniale soluzione del problema FIAT indikata dal Presidente del Konsiyo, a novembre entrera in vigore la ridenominazione deyi enti, dele industrie e dele dite perdenti e imprenditorialmente inadeguati, ke asumerano il nome dele loro konkorenti piu prestijose seguito dala parola "Junior". Oltre a "Ferari Junior" si dovra parlare kuindi di "Mediaset Junior" per la Rai, di "Mondadori Junior" per Feltrineli, di "Polo dele Liberta Junior" per L Ulivo, di "Arkore Junior" per Versailles, di "Governo de la Republika Junior" per la Majistratura e di "Berluskoni Junior" per Napoleone e numerosi altri personaji. Bush Junior non kambia.
Grazie a kuesto artikolo si konkludera finalmente la krudele lota intestina ke ajita il nostro Paese da tropo tempo e ke la sinistra non e stata in grado di afrontare: lo Stato italiano vera finalmente denominato "Mafia Junior".

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Artikolo 12.
A konklusione del projeto, a dicembre 2003 vera infine portato a termine il programa dele tre I, denominando "inglese" la nuova lingua kosi deliberata. La lingua di kuel riformista smidolato di Blair si kiamera d ora in avanti "amerikano". Dal 31 dicembre kuindi tuti yi italiani parlerano uficalmente inglese, per dekreto. La prosima volta ke un primo ministro straniero viene in visita in Italia, sara bene ke impari l inglese, altrimenti riskia di non capire le spiritose batute su Masimo Kacari e Dona Veronika.

Leje aprovata e kontrofirmata, in Lazio, adi 31 dicembre 2002, dal Presidente del Konsiyo Silvio Berluskoni, dal Presidente del Konsiyo Junior Silvio Berluskoni Junior e dal Presidente del Konsiyo Junior Junior Silvio Berluskoni Junior Junior. Kuanto ai fondi necesari per garantire l atuazione dela leje in ojeto, non e stato posibile reperirli a causa del buco di svariati miliardi di euro laxatoci in eredita dal precedente governo e ke kontinua inspiegabilmente a ingrandirsi kon valore retroativo. Dev esere un impploto neoimpunista! Viene pertanto istituita una tasa per l atuazione dela Grande Riforma Ortografika Nazionale, ke potrete konkordare diretamente kol vostro operatore Fininvest di fiduca.

17.1.03

COSE CHE ACCADONO QUANDO SI CAMBIA UN PANNOLINO



1. Il pannolino può essere cambiato per tre ragioni:
a) perché lo dice la mamma; b) perché lo dice la suocera; c) perché il bimbo ha cagato.

Naturalmente il gesto perde, nei primi due casi, gran parte della sua drammaticità. Il vero, autentico, cambio di pannolino prevede la presenza della merda. Di solito accade così. La mamma prende in braccio il bambino, lo annusa un po' e dice, con voce gaia e piuttosto cretina: 'E qui cosa abbiamo fatto, eh? Sento un certo odorino? cosa ha fatto l'angioletto?'. Poi la mamma va di la e vomita. A questo punto si riconosce il padre di destra e il padre di sinistra. Il padre di destra dice: 'Che schifo!' e chiama la tata. Il padre di sinistra prende il bambino e lo va a cambiare.

2. Il pannolino si cambia, rigorosamente, sul fasciatoio. Il fasciatoio e' un mobile che quando lo vedi a casa tua, capisci che un sacco di cose sono finite per sempre, tra le quali la giovinezza. Comunque é studiato bene: ha dei cassettini vari e un piano su cui appoggiare il bambino. Far star fermo il bambino su quel piano é come far stare una trota in bilico sul bordo del lavandino. E' fondamentale non distrarsi mai. Il neonato medio non é in grado quasi di girarsi sul fianco, ma é perfettamente in grado, appena ti volti, di buttarsi giù dal fasciatoio facendoti il gesto dell'ombrello: pare che si allenino nella placenta, in quei nove mesi che passano sott'acqua. Dunque: tenere ben ferma la trota e sperare in bene.

3. Una volta spogliato il bambino, appare il pannolino contenente quello che Gadda chiamava "l'estruso". E' il momento della verita'. Si staccano due pezzi di scotch ai lati e il pannolino si apre. La zaffata é impressionante. E' singolare cosa riesca a produrre un intestino tutto sommato vergine: cose del genere te le aspetteresti dall'intestino di Bukowski, non di tuo figlio. Ma tant'é: non c'é niente da fare. O meglio: si inventano tecniche di sopravvivenza. Io, ad esempio, mi son convinto che tutto sommato la merda dei bambini profuma di yogurt. Fateci caso: se non guardate potrebbe anche sembrare che vostro figlio si sia seduto su una confezione famiglia di Yomo doppia panna. Se guardate é piu difficile. Ma senza guardare? Io con questo sistema sono riuscito ad ottenere ottimi risultati: adesso quando apro uno yogurt sento odor di merda.

4. Impugnare con la mano sinistra le caviglie del bambino e tirarlo su come una gallina. Con la destra aprire la confezione di salviettine profumate e prenderne una. Neanche il mago Silvan ci riuscirebbe: le salviettine vengono via solo a gruppi di ottanta. Scuotete allora il blocchetto fino a rimanere con tra le dita un numero inferiore a cinque salviette. A quel punto, di solito, la gallina-trota, stufa di stare appesa come un idiota, da uno strattone: se non vi cade, riuscira' comunque a spargere un po' di cacca in giro. Tamponate ovunque con le salviettine profumate. Ritirate su il pollo e con gesto rapinoso pulite il sedere del bambino. Posate le salviettine usate nel pannolino e richiudetelo. A quel punto la vostra situazione e: nella mano sinistra un pollo-trota coi lineamenti di vostro figlio. Nella mano destra, una bomba chimica.

5. NON andate a buttare la bomba chimica: la trota scivolerebbe per terra. Quindi, posatela nei paraggi (la bomba, non la trota) registrando il curioso profumo di yogurt che si spande per l'aria. Senza mollare la presa con la mano sinistra, usate la destra per detergere a fondo e poi passate all'olio. Ve ne versate alcune gocce sulla mano. Esse scivoleranno immediatamente giù verso il polso, valicheranno il confine dei polsini, e da li spariranno nell'underground dei vostri vestiti. La sera ne troverete traccia nei calzini. Completamente lubrificati, passate alla Pasta di Fissan, un singolare prodotto nato da un amplesso tra la maionese Calvè e del gesso liquido, ne riempite il sedere del pollo e naturalmente ve ne distribuite variamente in giro per giacche, pantaloni, ecc. A quel punto avete praticamente finito. A quel punto il bambino fa pipi.

6. Il bambino non fa pipi a caso. La fa sul vostro maglione. Voi fate un istintivo salto indietro. Errore. La trota, finalmente libera, si butta giù dal fasciatoio. Ritirate su la trota e non raccontate mai alla mamma l'accaduto.

7. Prendere il pannolino nuovo. Capire qual'e' il lato davanti (di solito c'é una greca colorata che aiuta, facendovi sentire imbecilli). Inserire il pannolino tra le gambe del bambino e chiudere. Il sistema è stato studiato bene: due specie di pezzi di scotch e il pannolino si chiude. Si, ma quanto si chiude? Cosi é troppo stretto, cosi é troppo largo, cosi é troppo stretto, cosi é troppo largo. Si può arrivare anche ad una ventina di tentativi. E' in quel momento che il bambino comincia ad intuire di avere un padre scemo: giustamente manifesta una certa delusione, cioé inizia gridare come un martire. Da qui in poi si fa tutto in apnea e in un bagno di sudore.

8. Nonostante i decibel espressi dal bambino, mantenere la calma e provare a rivestire il bambino. E' questo il momento dei poussoir. Quando Dio caccio' gli uomini dal paradiso terrestre disse: partorirete con dolore e dovrete chiudere le tutine dei vostri figli con i poussoir. Per chiudere un poussoir bisogna avere: grandissimo sangue freddo, mira eccezionale, culo della madonna. Il numero di poussoir presente in una tutina è sorprendente e, perfidamente, dispari.

9. Se nonostante tutto riuscite a rivestire il bambino, avete praticamente finito. Vi ricordate che avete dimenticato il borotalco: il culetto si arrossirà. Pensate ai bambini in Africa e concludete: si arrossira, e che sarà mai. Quindi prendete il bambino e lo riconsegnate alla mamma. Lei chiederà: 'L'hai messo il borotalco?'. Voi direte: 'Si'. Con convinzione.

10. Ripercussioni fisiche e psichiche. Fisicamente, cambiare un pannolino, brucia le stesse calorie di una partita di tennis. Psichicamente il padre post-pannolino tende a sentirsi spaventosamente buono e in pace con se stesso. Per almeno tre ore e' convinto di avere la nobiltà d'animo di Madre Teresa di Calcutta. Quando l'effetto svanisce, subentra un irresistibile desiderio di essere single, giovane, cretino e un po' di destra. Alcuni si spingono fino a consultare il settore 'Decappottabili' su Gente & Motori. Altri telefonano ad una ex-fidanzata e quando lei risponde mettono giu'. Pochi dicono che devono andare a comprare le sigarette, escono e poi, tragicamente, ritornano. In casa li avvolge la sicurezza del focolare, il tepore dei sentimenti sicuri, e un singolare, acutissimo profumo di yogurt.

16.1.03

VECCHI


da Roberto Bernabei, del Dipartimento di Scienze Gerontologiche, Geriatriche e Fisiatriche-Centro Medicina dell' Invecchiamento (Ce.M.I.)

Un paio di mesi fa lo US Census Bureau riporta che l' Italia e' il paese piu' vecchio del mondo con il 18.1% di ultrasessantacinquenni. In pratica un italiano su cinque e' ufficialmente vecchio. Vedo la notizia sulla Reuters e chiamo una giornalista che si occupa di salute su un importante quotidiano nazionale. Questa volta -ragiono- la notizia c'e' e si parlera' di invecchiamento, si aprira' il dibattito, si allerteranno responsabili, si promuoveranno iniziative...Vengo invece richiamato dalla giornalista che mi riferisce della mancanza di spazio e che purtroppo...Io sbaccalisco e comincio a chiedermi in quale paese vivo perche' ne' i quotidiani ne' le televisioni riportarono nei giorni a seguire la notizia! Sponsor, i media, di una gigantesca rimozione collettiva. La stessa domanda me la rifaccio oggi ad una settimana dalla conclusione dell' assemblea mondiale sull' Invecchiamento di Madrid. Infatti, a parte un' articolo sul Corriere della Sera ed un paio di pezzi di commento sul Messaggero, non ho visto altro e certamente non ho visto un pezzo di telegiornale o uno degli approfondimenti televisivi di seconda serata. Mi rispondo che vivo allora in un paese che discute solo di Di Bella e Cogne, per capirci, perche' solo quello passa il convento mediatico nostrano. Pagine su pagine sull' invecchiamento del globo, invece, nei giornali europei. La "catastrofe demografica" hanno titolato per giorni El Pais e The Times, e spagnoli ed inglesi ad invecchiamento stanno messi meglio di noi. Televisioni di tutto il mondo presenti (non quelle italiane, ripeto) anche perche' il problema e' enorme per i paesi sviluppati ma e' oramai sentito dai paesi in via di sviluppo, con la piccola differenza che noi siamo prima diventati "ricchi" e poi vecchi, loro sono diventati vecchi senza esserdiventati "ricchi". Pensate, ad esempio, che la Cina si avvia ad avere oltre 300 milioni di vecchi. Provo allora io a raccontare cosa succede ad essere vecchi augurandomi che si parli meno, molto, molto meno di Cogne per mettere il cervello di tutti a cambiare noi ed il paese. Perche' invecchiare tocca, grazie a Dio, a tutti e quindi c'e' da affrontare il fatto individualmente e come popolo. Individualmente una donna su cinque già oggi arriva a 90 anni, ma come? Acciaccata. E sempre di piu' lo sara' se non comincia da giovane e continua per sempre (vale ovviamente anche per i maschi che campano un po' meno) a fare movimento e ad avere una dieta appropriata. Quello che ha interessato ad oggi fasce particolari di popolazione (giovani, atleti, gente dello spettacolo, maniaci della fitness) diventa obbligatorio ed a tutte le eta'. Il rischio infatti e' quello si' di esser vivi fino ad una ragguardevole eta' perche' i farmaci e le conquiste della medicina ci mantengono vivi...ma disabili. E disabili magari per un mucchio di anni. Solo un radicale e nuovo stile di vita garantisce non solo la vita ma la qualita' della stessa. E questo deve penetrare a scuola, nell' ambulatorio del medico di medicina generale, e nei giornali e nelle televisioni per penetrare nelle case! Ad oggi questa penetrazione e' modesta ed infatti la disabilita', cioe' il funzionare male nel fisico, e' in aumento in modo significativo. Piu' vecchi e piu' malati, insomma. Come popolo anche si deve far diversamente. Non mi addentro nel problema pensioni perche' non e' mestier mio ma oggi un pensionato viene pagato da nove lavoratori, domani ce ne saranno solo quattro a pagare quella singola pensione. C'e' da "ridisegnare" un intero paese appunto disegnato per il giovane adulto, e per nulla per il vecchio. Banalmente (ma non tanto) togliere i predellini dei treni, abbassare le leve dei cassonetti della spazzatura, mettere gli scivoli per far passare le sedie a rotelle per le strade, posizionare corrimano strategici, dotare gli autobus di sollevatori. E poi ci vorra' un' automobile dove si entra e si esce con facilita' estrema, una cucina ad altezza ed utilizzo comodo, un corso per insegnare ad utilizzare internet o il forno a micro onde, un seggiolino nella doccia con maniglia di sostegno. E per la salute un' assistenza domiciliare integrata e sempre meno ospedale. Sappiate che ad oggi abbiamo in Italia intorno all' 1% degli ultrasessantacinquenni forniti di qualche tipo di assistenza domiciliare quando la Danimarca e' al 16%, la Finlandia al 13% etc. Insomma non c'e' da "dire" cose di sinistra come suggeriva qualcuno a D'Alema. Altro che dire. C'e' da fare cose importanti, ne' di destra ne' di sinistra. Semplicemente cose necessarie se vogliamo tenere botta al mondo che cambia. E in Italia piu' velocemente e quantitativamente che in tutto il resto del pianeta. Allora oggi a Madrid e nel futuro sempre di piu', non gliene frega nulla di Cogne o del conflitto di interessi ai 160 paesi presenti. Vogliono semmai "bere" informazioni su quello che facciamo e faremo noi italiani nel nostro incredibile laboratorio naturale di paese piu' vecchio del mondo. Media, se ci siete, battete un colpo ed aiutateci a raccontare cose serie.

15.1.03

LETTERA APERTA AGLI ELETTORI ISRAELIANI



Dopo alcuni anni di continue lotte nei territori della Palestina, dobbiamo amaramente constatare che la situazione nell'area è drammaticamente peggiorata, dimostrando ancora una volta che la violenza non può che alimentare altra violenza, lasciandosi appresso una scia di morte, sofferenza e dolore.
Ora, dinanzi al desolante spettacolo di due popoli che continuano a combattersi con tutti i mezzi senza intravedere una via d'uscita, noi, cittadini di molte altre nazioni del mondo, riteniamo nostro dovere, anzi imperativo obbligo, intervenire, facendo pressione sulle vostre coscienze affinché cerchiate una via alternativa alla lotta senza quartiere.
L'occasione per un cambiamento radicale vi è offerta dalle prossime elezioni, nelle quali, come tutti possono constatare, si fronteggiano due candidati con programmi opposti.
Da un lato il premier uscente, con la sua politica di repressione violenta, che ha scatenato una reazione suicida da parte dei palestinesi e vi ha procurato la totale insicurezza nelle vostre stesse città, dove, ognuno di voi, o dei vostri famigliari, può cadere vittima di un attentato, in qualsiasi momento e senza la minima avvisaglia preventiva.
Il candidato dell'opposizione viceversa si presenta con il programma di ritiro unilaterale dai territori occupati al fine di arrivare ad una trattativa di pace e di convivenza civile.
E' evidente ormai che la politica seguita finora non può avere altro sbocco che il terrore per i palestinesi e l'insicurezza quotidiana per voi, perciò l'unica alternativa seria sta nel mutamento di governo e di linea politica.
A nostro giudizio l'occasione delle elezioni israeliane è un'occasione storica, che sarebbe drammatico perdere nell'illusione che la vostra forza sia sufficiente a garantire una qualsiasi forma di pacificazione in tutta l'area.
In considerazione di quanto esposto vi invitiamo, con tutte le forze della nostra solidarietà e della nostra passione civile, a votare per il candidato Mitzna appoggiando il suo programma di pace.
Solo così le nazioni di tutto il mondo pacifico e civile potranno unire i loro sforzi ai vostri per far si che si crei un clima favorevole alla trattativa e si possa arrivare ad un giusto compromesso che è l'unico cammino serio verso la pace.

Primi firmatari:
Gianni Vattimo, Giorgio Rosental, Luciano Segre, Cornelio Valetto, Franco Debenedetti, Pasqualina Napoletano, Brunello Mantelli, Mario Cedrini, Giuseppe Iannantuono

COME SOMMINISTRARE UNA PILLOLA AD UN GATTO





Prendete il gatto e sistematelo in grembo tenendolo col braccio sinistro come se fosse un neonato.

Posizionate pollice e indice sui rispettivi lati della bocca del gatto ed esercitate una pressione delicata ma decisa finché il gatto apre la bocca.

Appena il gatto apre la bocca, inserite la pillola in bocca.

Consentite al gatto di chiudere la bocca, tenetela chiusa e con la mano destra massaggiate la gola per invogliare la deglutizione.

Cercate la pillola in terra, recuperate il gatto da dietro il divano e ripetete il punto n. 1.

Recuperate il gatto dalla camera da letto e buttate la pillola ormai molliccia.

Prendete una nuova pillola dalla confezione, sistemate il gatto in grembo tenendo le zampe anteriori ben salde nella mano sinistre.

Forzate l'apertura delle fauci e spingete la pillola in bocca con il dito indice della mano destra.

Tenetegli la bocca chiusa e contate fino a dieci.

Recuperate la pillola dalla boccia del pesce rosso e cercate il gatto nel guardaroba.

Chiamate qualcuno ad aiutarvi.

Inginocchiatevi a terra con il gatto ben incastrato tra le gambe, tenete ben salde le zampe anteriori e posteriori.

Ignorate il leggero ringhiare del gatto.

Dite al vostro aiutante di tenere ben salda la testa con una mano mentre inserisce un abbassalingua di legno in bocca.
Inserite la pillola, togliete l'abbassalingua e sfregate vigorosamente la gola del gatto.

Convincete il gatto a scendere dalle tende.
Annotate di farle riparare.
Scopate con attenzione i cocci di statuine e vasi rotti cercando di trovare la pillola.
Mettete da parte i cocci con la nota di re-incollarli più tardi e, se non avete trovato la pillola, prendete un'altra pillola dalla confezione.

Avvolgete il gatto in un lenzuolo e chiedete al vostro aiutante di tenerlo fermo usando il proprio corpo in modo che si veda solo la testa del gatto.
Mettete la pillola in una cannuccia, forzate l'apertura delle fauci del gatto aiutandovi con una matita e usando la cannuccia come cerbottana posizionate la pillola in bocca al gatto.

Leggete il foglietto illustrativo del farmaco per controllare che non sia dannoso per gli esseri umani.
Bevete un succo di frutta per mandare via il saporaccio.
Medicate il braccio del vostro aiutante e lavate il sangue dal tappeto usando acqua fredda e sapone.

Recuperate il gatto dal garage dei vicini.
Prendete un'altra pillola.
Incastrate il gatto nell'anta dell'armadio in modo che si veda solo la testa.

Forzate l'apertura delle fauci con un cucchiaino.
Ficcategli la pillola in gola usando un elastico a mo' di fionda.

Cercate un giravite nella vostra cassetta degli attrezzi e rimettete a posto l'anta dell'armadio.
Medicatevi la faccia e controllate quando avete fatto l'ultima antitetanica.
Buttate la maglietta e indossatene una pulita e intatta.

Telefonate ai pompieri per recuperare il gatto dall'albero del dirimpettaio.
Chiedete scusa al vostro vicino di casa che rincasando ha sbandato e ha fracassato la macchina contro il muro per evitare di investire il vostro gatto impazzito che attraversava la strada di corsa.
Prendete l'ultima pillola dalla confezione.

Legate le zampe anteriori e le zampe posteriori del gatto con un corda e legatelo al piede del tavolo.
Cercate i guanti da lavoro e indossateli.
Inserite la pillola nella bocca del gatto facendola seguire da un grosso pezzo di filetto di manzo.
Tenete la testa del gatto in posizione verticale e inserite 2 bicchieri di acqua in modo da assicurarvi che abbia ingoiato la pillola.

Dite al vostro aiutante di portarvi al pronto soccorso, restate seduti pazientemente mentre i dottori ricuciono le vostre dita alla mano ed estraggono i frammenti di pillola dall'occhio destro.

Sulla strada per tornare a casa fermatevi al negozio di arredamento per comprare un nuovo tavolo.

Telefonate alla Protezione Animali per vedere se possono prendersi cura di un gatto mutante.

Telefonate al più vicino negozio di animali per vedere se ci sono in vendita dei criceti.



COME SOMMINISTRARE UNA PILLOLA AD UN CANE



1. Avvolgetela in un pezzo di carne e dateglielo da mangiare.



Verso il Kurdistan




Resoconto del viaggio degli affidatari alessandrini a Istanbul


15.11.02 - 19.11.02


Hanno partecipato:


Franco Casagrande, Mara Mayer, Lucia Giusti, Paolo Nano, Antonio Olivieri


Rapporto da Istanbul


Il viaggio in Turchia della delegazione di ?affidatari?, organizzata dall?associazione
"Verso il
Kurdistan", si è svolto come previsto dal 15 al 19 novembre. La delegazione, composta da
Franco
Casagrande, Lucia Giusti, Mara Mayer, Paolo Nano e Antonio Olivieri, si è incontrata con
le famiglie
?in affido? e con varie organizzazioni democratiche, raccogliendo molte drammatiche
testimonianze
sulla situazione attuale e una ricca documentazione fotografica.


In queste pagine il loro resoconto dell?esperienza vissuta.


??I militari volevano che diventassimo 'guardiani del villaggio' (cioè kurdi
collaborazionisti), ma noi
non abbiamo accettato - ci racconta Muhsine Ozhan, una rifugiata che incontriamo al
Göç-Der,
l'Associazione profughi di Istanbul. - Allora l'esercito ha occupato il villaggio per
quindici giorni, ha
evacuato la popolazione e ha incominciato a bruciare case, animali, alberi da frutto...
Abbiamo perso
tutto. Durante l'incendio della nostra casa, siamo scappati e siamo venuti qui a Istanbul:
in una grande
metropoli è più facile nascondersi".


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"Dopo la distruzione del nostro villaggio siamo scappati nella città di Mardin, con i
nostri tre bambini
- racconta Hamdiye Belge sempre al Göç-Der. - Mio marito è stato arrestato e trattenuto in
carcere per
7 anni, perché accusato di essere un simpatizzante del Pkk. Per tutti questi anni ho
pulito case e fatto
piccoli lavori negli atelier. Ora mio marito è fuori dal carcere, ma è molto ammalato e
non riesce a
trovare lavoro. In primavera torneremo al nostro villaggio, anche se è ridotto a un
ammasso di
macerie. Siccome il governo non fa la ricostruzione e neppure ci aiuta economicamente, ci
accampiamo
nel villaggio con le tende: così possiamo fare i lavori nella campagna e allevare il
bestiame. Ma i
terreni intorno sono pieni di mine e di bombe messe dall'esercito. Abbiamo inoltrato un
appello
affinché il governo ripulisca almeno la zona dalle mine, ma non siamo stati ascoltati".


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Kotranis è un villaggio distrutto in provincia di Hakkari: qui insieme alle case sono
bruciati anche 148
cavalli e 48.000 pecore. Tayyar Yasar del Göç-Der è stato arrestato ed è in prigione per
aver dichiarato
che quelle distruzioni erano opera dei soldati.


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Eva è una giovane e bella ragazza, bruna,con gli occhi neri. E' uscita di recente dal
carcere femminile di
Sivas. La incontriamo nella sede del Tuad, l'associazione dei familiari dei detenuti
politici di Istanbul
attiva dal 1996. Ci dice: "Ho scontato 9 anni e 6 mesi di carcere, con l'accusa di essere
simpatizzante
del Pkk. In quella prigione erano rinchiuse anche molte minorenni". E parla del dramma dei
prigionieri
politici: il governo sta trasformando le carceri tipo E in carceri tipo F, con celle da
uno a tre detenuti,
con l'obiettivo di isolare i carcerati. Nello sciopero della fame contro le carceri tipo F
sono già morti
101 detenuti della sinistra turca, nella quasi totale indifferenza del mondo."Le luci in
cella sono sempre
accese, ci sono irruzioni continue della polizia - racconta Mustafà Caliskan, presidente
del Tuad di
Istanbul. Suo fratello è stato condannato a 18 anni e mezzo di carcere per motivi
politici, torturato più
volte, è tuttora rinchiuso nella prigione di Umranye.


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Hanin Sen di Mersin, una bella donna vestita nel suo abito tradizionale, ha fatto venti
ore di viaggio in
pullman per incontrarci. Ha un marito in carcere, condannato a 36 anni per motivi
politici, che soffre di
una rara malattia della pelle che gli copre il corpo di piaghe, ma non riceve le cure di
cui ha bisogno.
Hanin ha due figli. L'ultima si chiama Newroz, perché è nata il 21 marzo di 10 anni fa, il
primo è
Ismail di 13 anni. Vive a Mersin in una casa d'affitto e lavora saltuariamente nella
coltivazione e
raccolta delle arance. "La vita è molto difficile, ma siamo obbligati a vivere" conclude
rassegnata.


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Un ragazzo si fa avanti e ci mostra l'orecchio tumefatto per una bastonata ricevuta dai
guardiani del
carcere di Diyarbakir: da allora non sente più nulla e sta sempre male. Dopo il carcere
avrebbe dovuto
svolgere il servizio obbligatorio di leva per 18 mesi in Kurdistan, ma ha fatto obiezione
di coscienza.
Sono numerosi in Turchia gli obiettori che sfidano repressione e carcere rifiutando il
servizio militare.


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Queste e altre storie drammatiche, di prigioni e di pulizia etnica, hanno ascoltato le
famiglie
alessandrine della nostra delegazione incontrando le famiglie dei profughi e dei detenuti
politici in
affido, ma anche le associazioni della società civile e i partiti democratici.E' stata
raccolta una ricca
documentazione fotografica su come i profughi, accampati in tende tra le rovine della case
bombardate,
riprendono a coltivare la terra e ad allevare il bestiame nei villaggi distrutti e
disseminati di mine e
bombe inesplose (che loro raccolgono tanto che ci hanno portato un vasto campionario da
vedere e
toccare con mano!...). Nell'incontro tenuto nella sede del Göç-Der, abbiamo appreso che la
direttrice
dell'associazione, Sefika Gorbuz, insieme a Mehmet Baruf, sociologo dell'Università di
Cukurova, è
stata denunciata con l'accusa di separatismo, per la ricerca effettuata sulla migrazione
forzata in
Turchia, una ricerca finanziata dalla Provincia di Alessandria, il cui testo tradotto in
italiano sta per
essere pubblicato a cura dell'Ics (Istituto per la cooperazione allo sviluppo) pure di
Alessandria.Cattive
nuove anche dalla Ihd, l'Associazione per i diritti umani: Eren Keskin, l'avvocata che
dirige
l'associazione, sta subendo una valanga di procedimenti e di attacchi personali per le sue
divulgazioni
in Europa in ordine ai diritti umani e alle violenze sulle donne in Turchia: è stata
sospesa dalle sue
funzioni di avvocato per un anno, e interdetta dall'incontrare i propri assistiti in
carcere. Inoltre, Kiraz
Bicici, attuale presidente Ihd di Istanbul, è stata denunciata con l'accusa di vilipendio
allo stato, per
un'intervista rilasciata su Media Tv.Altri incontri sono avvenuti con il segretario
generale del Kesk
(sindacato a base kurda), Mustafà Avci, con Sevgi Gögçe, segretaria delle donne del Kesk,
che fra
l'altro aveva partecipato al congresso Cgil di Rimini, e con il presidente del partito
filokurdo Hadep di
Istanbul, l'avvocato Dogan Erbas, membro del collegio difensivo di Oçalan. Con loro gli
argomenti
sono stati: le recenti elezioni vinte dal partito islamista Akp, una sorta di Dc turca con
tendenze
fortemente neoliberiste; le prospettive di ingresso della Turchia nell'Unione europea; e
la preparazione
della guerra anglo-americana contro l'Iraq nella quale la Turchia dovrebbe svolgere il
ruolo di testa di
ponte.


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Concludiamo con il commento di una di noi, la fotografa Mara Mayer, che ha visitato la
baraccopoli di
Ayalma: "Ma come fa un paese del genere ad aspirare a entrare in Europa? Ho visto il campo
profughi
di Ayalma, alla periferia di Istanbul, dove vivono rifugiati e profughi kurdi in
condizioni di estrema
povertà e precarietà, 1500-2000 persone senz'acqua potabile, senza cibo né medicine, con i
bambini
che non vanno a scuola per fare i lustrascarpe e gli ambulanti per le strade di Istanbul.
Hanno solo
tanta dignità che a noi, che abbiamo decisamente molto, dovrebbe insegnare qualcosa".


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a cura dell?associazione Verso il Kurdistanversoilkurdistan@libero.it


Per informazioni: 335/7564743 (Antonio)


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Allegato 1


IL SINDACATO KESK


Incontro con Mustafà Avci, segretario generale del Kesk e Sevgi Gögce, segretaria donne
Kesk


Il sindacato Kesk, sindacato dei dipendenti pubblici, è nato in Turchia nel 1995, ha
100.000 iscritti ed
è suddiviso in 11 categorie.


Le donne rappresentano il 44% degli iscritti e il 28% della sua base è di etnia kurda.
Il kesk mantiene rapporti con tutti i sindacati europei.


La crisi economica


Le cause della grave crisi economica che ha investito il Paese sono state dettate dalle
politiche del
Fondo Monetario Internazionale, dal costo della guerra civile sopportato nel Sud-Est
anatolico e dalla
Guerra del Golfo del ?91, a cui ha fatto seguito l?embargo.


Per far fronte alla crisi, il Governo ha richiesto un ulteriore prestito di 16 miliardi di
$ al F.M.I., che
però sta ponendo condizioni capestro.


I costi della crisi si sono così tradotti in aumento del numero dei disoccupati che oggi
sono 9 milioni
(più 2 milioni all?inizio della crisi), i salari sono praticamente bloccati contro un
aumento costante dei
prezzi di beni e servizi (se prima uno stipendio di un impiegato valeva 400$, oggi ne vale
250).


La guerra


C?è il rischio di una nuova devastante guerra in Iraq, contro la quale il sindacato Kesk
si oppone
fermamente.


Il primo dicembre, a Istanbul, si è tenuta una grande manifestazione contro la guerra.


Le organizzazioni sindacali in Turchia


Quattro sono le organizzazioni sindacali in Turchia:


KESK (dipendenti pubblici) Iscritti dichiarati 400.000
TURK-IS (nazionalista) Iscritti dichiarati 600.000
HAK-IS (islamista) Iscritti dichiarati 300.000
DISK (sinistra moderata) Iscritti dichiarati 150.000


Solo con il Disk esistono rapporti comuni.
Gli impiegati in Turchia sono 1.500.000, ma in questa cifra sono compresi poliziotti e
militari. Se
calcoliamo che per 300.000 di loro è vietata l?iscrizione al sindacato (militari e
poliziotti), se ne deduce
che il Kesk, nel settore pubblico, rappresenta, in termini di iscritti, il 30% degli
addetti. Per il futuro
Kesk si pone l?obiettivo di raggiungere i 700.000 iscritti, ovvero il 60% della forza
lavoro del
pubblico.


La confederazione Kesk è divisa in 11 categorie:


- EGITIM-SEN (sindacato insegnanti) 200.000 iscritti. Tra gli insegnanti non è presente il
sindacato
nazionalista, né quello islamista
- SES (sindacato della sanità): 50.000 iscritti
- BES (sindacato della stampa) : 40.000 iscritti
- TUM BEL SEN (sindacato dei dipendenti pubblici): 28.000 iscritti
- YAPI YOL SEN (sind. addetti alla costruzione di strade): 11000 iscritti
- HABER SEN (sindacato dei giornalisti): 8. 000 iscritti
- ESM: dati iscritti non disponibili
- KULTUR SEN (sindacato cultura e spettacolo): dati iscritti non disponibili
- DIVES: (dati iscritti non disponibili)
- BTS: (dati iscritti non disponibili)
- TAR IM ORIC SEN (sindacato addetti all?agricoltura): dati iscritti non disponibili


Il finanziamento al sindacato avviene con il sistema della trattenuta percentuale in busta
paga che si
aggira intorno ai 4 milioni di Lire turche (2.5 _). Lo stipendio di un insegnante è di 600
milioni di lire
turche mensili (350 _), ma l?affitto si porta via oltre un terzo dello stesso (si aggira
intorno a 250
milioni di lire turche, pari a 156 _).


A differenza dei settori privati, per i dipendenti pubblici, non esiste in Turchia il
diritto di sciopero.
Nonostante ciò, si fanno rivendicazioni e si organizzano grandi manifestazioni: Kesk ha
richiesto al
Governo un aumento del 40% dei salari (raggiungimento di un miliardo di lire turche), ma
la risposta è
stata negativa.


Il 17 ottobre 2002 c?è stata una grande astensione dal lavoro (seppur illegale), con
cortei e
manifestazioni in tutta la Turchia: ci sono stati 20.000 arresti, tra cui il segretario
generale del Kesk,
che ci sta parlando.
Il sindacato Kesk è sottoposto a continue repressioni, incarceramenti, chiusura di sedi.
Questo è
dovuto al fatto che nel Kesk sono organizzati molti kurdi, per cui la repressione contro
le
manifestazioni è più forte.


Il Kesk ha un motto che è così riassumibile:
lottare-lottare-lottare/resistere-resistere-resistere.


I progetti


I sindacalisti del Kesk hanno avviato dei progetti di collaborazione con altri sindacati
europei. Ad
esempio, insieme al sindacato tedesco DGB, è stata avviata una ricerca sulle condizioni
dei giovani
lavoratori in Turchia.


Un altro progetto riguarda l?avvio di corsi di lingua kurda, autorizzati dal Parlamento
con le riforme
del 3 agosto, i cui costi sono però totalmente a carico dei partecipanti. Cinque sono le
città individuate
per l?apertura dei corsi: Diyarbakir, Mersin, Urfa, Istanbul, Izmir. Per l?avvio di tali
corsi sono
richiesti finanziamenti e sottoscrizioni alla solidarietà internazionale.


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Allegato 2


IL PARTITO HADEP (Partito della Democrazia del Popolo)


incontro con Erbas Dogan, presidente di Hadep - Istanbul


L?Hadep è l?unico partito legale filo-kurdo che alle recenti elezioni in Turchia ha
raccolto il 6,2% dei
voti. Il partito è composto, per il 90% da kurdi.


Negli ultimi anni molti kurdi sono immigrati ad Istanbul: si ipotizzano cifre di
1.500.000-2.000.000,
forse 3.000.000 di profughi. A Istanbul, la formazione Dehap (nata dalla fusione di Hadep,
Enep e
Sdp) ha ricevuto il 6% dei consensi (alle precedenti elezioni l?Hadep avevav totalizzato
il 4% dei voti).
C?è da calcolare che molti kurdi non hanno potuto votare perché non hanno un indirizzo
fisso, cioè si
spostano continuamente.


C?è una grande burocrazia che sovrintende ogni cosa: per poter votare i cittadini
residenti devono
risultare iscritti alle liste elettorali delle proprie circoscrizioni. C?è un tempo
limitato, pari a 20 giorni,
per effettuare tale verifica ed, eventualmente, per iscriversi. C?è poi un altro problema:
la gente che ha
lo stesso indirizzo da dieci anni non ha controllato se i propri nomi sono iscritti
regolarmente
nell?elenco circoscrizionale e così si sono trovate delle sorprese!


Fino all?ultimo il Governo ha sostenuto che Dehap non poteva partecipare alle elezioni:
l?autorizzazione è arrivata a sole due settimane dal voto! La stampa e i media hanno molto


propagandato il partito islamista AKP, ma non si è scritto quasi nulla su Dehap.
L?immagine di Hadep è di un partito separatista e kurdo. Anche per questo l?Hadep ha
costruito la
coalizione tra Dehap con gli altri due partiti turchi, per rompere l?isolamento.
Inoltre, il Governo ha disposto il finanziamento pubblico per la campagna elettorale di
quei partiti che
alle passate elezioni avevano superato la soglia del 7%: nulla pertanto è stato
riconosciuto ad Hadep.


Il successo dell?islamista AKP è dovuto al fatto che si è presentato sulla scena politica
come una
nuova speranza per il popolo. Per alcuni versi è stato anche fortunato: si è trovato una
soluzione già
pronta sul problema di Cipro; ora intravede qualche speranza di risolvere pacificamente la
questione
della guerra all?IRAQ; infine si profila la possibilità di entrare in Europa.


In questa formazione politica ci sono molti punti di vista diversi. Non si tratta di un
vero e proprio
partito islamico: è un po? come è stata da noi la vecchia Democrazia Cristiana, che
cercava di
comprendere tutto. L?islam è solo una facciata; il partito rappresenta un?anima islamista
moderata che
gli U.S.A. utilizzano contro l?integralismo. Al fondo, c?è un programma economico
fortemente
neo-liberista.
Non si prevede, invece, nessuna apertura per quanto riguarda amnistia, ritorno dei
profughi e
democratizzazione del paese.


ABDULLAH OCALAN


?Di recente alcuni passi sono stati fatti: l?abolizione della pena di morte è stata un
passo gigantesco,
insperato e inspiegabile fino a pochi anni fa? ? ci dice Erbas Dogan ? ?Si aprirà una
grande
campagna a livello mondiale per la liberazione di Ocalan, il ?nostro Mandela Kurdo?.
?Ma in Turchia bisogna aspettare un po?. Noi abbiamo bisogno di tempo? ? conclude ?
?perché il
tempo fa la gente più saggia?.


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Allegato 3


PROGETTO IHD


Per la prima volta in Turchia c?è una biblioteca sui Diritti Umani aperta al pubblico. Si
trova nel locale
sottostante l?attuale sede di IHD.
Il progetto deve essere ampliato: l?IHD ha acquistato uno stabile in una zona centrale di
Istanbul per
realizzare, su più piani, biblioteca, caffetteria, luogo d?incontro e centro di
documentazione sui Diritti
Umani.
E? certamente un progetto valido, ma anche molto ambizioso: per farlo vivere c?è bisogno
di materiali
di documentazione, ma soprattutto servono soldi per completarne la realizzazione.
A questo progetto hanno già dato l?adesione molte associazioni europee, per l?Italia,
anche la nostra.

13.1.03

"Lo sciopero generale? Ce ne vorrebbero due"


intervista a Sergio Cofferati di MASSIMO GIANNINI per la Repubblica

ROMA - "La regola delle decisioni a maggioranza è un suicidio, un atto di autolesionismo". "Il centrosinistra si auto-infligge il centralismo democratico, e così si condanna all'asfissia". "L'opposizione è debole su tutto, sulla pace, sui diritti, sulla politica economica, sulla giustizia: semplicemente non c'è, non sta in campo con la sua proposta alternativa". "Non condivido le scelte del gruppo dirigente dell'Ulivo: l'unica cosa che sanno fare è polemizzare con i movimenti". "Dico no alla guerra, sempre e comunque". "Rivendico lo sciopero generale: ce ne vorrebbero altri due". Da bravo impiegato, Sergio Cofferati è appena uscito dal suo ufficio della Pirelli. Ha aspettato un mese esatto, dopo il suo addio alla Cgil. Ma oggi torna a parlare. Lo fa nel giorno in cui si riunisce l'assemblea dei parlamentari dell'Ulivo. Lo fa per dire: "State sbagliando tutto".

Cofferati, cosa c'è che non va? Oggi l'Ulivo può rinascere con l'assemblea dei suoi parlamentari.
"Con l'assemblea dei parlamentari non rinasce proprio niente. L'Ulivo, o quella cosa che si va formando oggi, rischia un suicidio politico. Accade una cosa che non avevo mai visto: si decide a maggioranza di decidere a maggioranza su temi fondamentali, che marcano l'identità di uno schieramento politico".

Che ci trova di tanto scandaloso?
"Non capisco a quale modello di organizzazione risponda un sistema in cui, tra forze politiche diverse per storia e cultura, si decida a maggioranza. E' un inedito, che fa parte della vocazione autolesionista dell'opposizione: il gruppo dirigente risolve drasticamente la disputa di queste settimane, tra "grande Ulivo" e "Ulivo ristretto". Decide di ridurre il perimetro dello schieramento futuro, rinunciando in partenza al progetto di un'alleanza allargata. E' un'idea distruttiva. Ma non dubito che incontrerà il plauso dei "veri riformisti" che diranno: bravi, avete fatto la scelta giusta".

Lei è libero di ironizzare. Ma non è che finora, con l'anarchia creativa di questi mesi, il centrosinistra abbia funzionato a meraviglia, sa?
"E' fuor di dubbio che finora è stato un disastro. Ma adesso l'operazione politica che va fatta è esattamente opposta a quella che si vuole fare. Per cementare un'alleanza bisogna cominciare sempre dal merito, mai dal metodo. Loro sfuggono al merito perché su questo sono divisi. Ma questo è un rovesciamento logico dannoso e pericoloso: determina le condizioni che renderanno difficilissima la vita della coalizione. Non trovo elementi logici e razionali, in questa scelta. E questo alimenta i peggiori sospetti".

Cioè? Rutelli, Fassino e D'Alema vogliono spingere l'ala radicale fuori dall'alleanza? Vogliono costringere il correntone alla scissione nei Ds?
"No, non arrivo a pensare a tanto. Ma c'è l'idea di relegare una minoranza in una riserva indiana, che con la sua presenza testimoniale legittima le scelte della maggioranza, che avvengono al di fuori del confronto preventivo. Ho letto cose incredibili: persino il richiamo alla "disciplina" dei gruppi parlamentari. Provo tristezza e anche un po' di pena, soprattutto per quelli che nel mio partito, ai tempi del vecchio Pci, sono stati più volte umiliati proprio in nome della "disciplina"".

Allora, per dire no alle decisioni a maggioranza è preferibile lo spettacolo vergognoso di un'opposizione che vota in ordine sparso sugli alpini in Afghanistan?
"Se non c'è un programma comune, è inevitabile che il voto sia distinto. L'alternativa che ci propongono è il "centralismo democratico". Ma dico: su temi fondamentali come la guerra si può arrivare a decisioni così semplificate?".

Certo, per i pacifisti è tutto più facile: basta andare in piazza a gridare no alla guerra, e il problema è risolto.
"Io lo dico e lo ripeterò fino alla fine: alla guerra all'Iraq sono e sarà sempre contrario".

E va a braccetto con Gino Strada, a dire che Bush è un terrorista come Saddam.
"Non ho mai condiviso questa affermazione. E non sono mai stato anti-americano".

Allora è incoerente.
"Niente affatto. L'iniziativa di Emergency ha coinvolto tante persone diverse, oltre a me: da don Ciotti a Tiziano Terzani. Accomunate dalla convinzione che un attacco all'Iraq sarebbe un errore inaccettabile. E comunque distinguo sempre i popoli dai loro governi, e questo vale tanto per Israele che per gli Stati Uniti. Ma dire che chi è contro la guerra è anti-americano è diventato ormai un modo furbesco per aggirare il problema".

Cofferati, il problema è che c'è un terrorismo che minaccia le democrazie occidentali. E queste si devono difendere. E il corteo non basta a difenderle.
"Invece la guerra all'Iraq le difende? Le bombe sugli inermi che non hanno responsabilità né colpa le difende? Il terrorismo si combatte con operazioni selettive di polizia preventiva, non attaccando un intero Paese. Ora per molti sono diventate dirimenti le decisioni dell'Onu. Eppure non dimentico l'afasia e l'inefficienza dell'Onu, che fu alla base degli argomenti con cui si giustificò l'intervento militare nei Balcani. Alloa si disse: così l'Onu non serve più a nulla, e va riformato. E poi basta guardare a quello che è accaduto in Afghanistan: c'è stata la guerra, ma Al Qaeda e Bin Laden sono ancora lì".

Ma intanto oggi l'Afghanistan è un Paese in cui le donne possono dismettere il burqa, i bambini non saltano più sulle mine, negli stadi si gioca a calcio invece di giustiziare gli infedeli. E' un passo avanti o nega anche questo?
"Lo nego eccome. Ero contrario allora, resto contrario oggi all'intervento a Kabul: il terrorismo non è debellato, si continua a morire come prima e le vittime dei bombardamenti sono state tante, ma non ce le hanno fatte vedere in tv".

Se questa è la linea della sinistra, anche se tornate al governo cadete al primo voto in Parlamento.
"Su un tema fondamentale come la guerra si può anche cadere. Non stiamo parlando di tasse, ma della questione più importante che esista, che riguarda la politica estera, i rapporti politici, quelli economici e soprattutto la coscienza delle persone: un tema che non si risolve a colpi di maggioranza".

Ma se non si dà un nuovo assetto l'Ulivo è morto.
"Oggi l'Ulivo è di fronte a un bivio: o si dà un progetto visibile e un programma condiviso, per poi scegliere regole e leader, oppure si condanna all'asfissia tattica di queste settimane. Il paradosso è che questo accade nel momento di massima difficoltà del governo. Quello che sta avvenendo sull'economia è preoccupante: i la caduta del fatturato industriale di agosto, quel meno 5,5%, precede gli effetti della crisi Fiat. Settembre e ottobre, quindi saranno mesi drammatici. C'è il rischio di una caduta dell'occupazione. Si realizza quello che avevamo previsto: l'assenza di politica industriale, l'abbandono della via alta alla competitività. E l'opposizione che fa? Innesca una polemica personale contro Tremonti, senza capire che quello a cui stiamo assistendo è il fallimento di una politica, non di un singolo ministro. Il fallimento di quella politica sta nel Patto per l'Italia, che minaccia i diritti e non dà sviluppo. E sta nella Finanziaria, che non produce crescita, e toglie solo risorse agli enti locali".

Stiamo parlando di misere cose. Meritavano uno sciopero generale?
"Assolutamente sì. Anzi, le ragioni di quella protesta sono aumentate. E' tutto l'impianto della politica economica che non va, dal pacchetto dei 100 giorni in poi. Di fronte a questo sfacelo, l'opposizione dovrebbe stare in campo con le sue proposte, a sostenerle e difenderle con forza in Parlamento. E invece siamo arrivati al punto che un gruppo di parlamentari dell'opposizione ha diffuso un documento, poi penosamente smentito, per sostenere le ragioni contrarie allo sciopero della Cgil".

E' il bello dell'"Ulivo plurale" che piace a lei, no?
"Ma io pretendo anche un po' di coerenza. Quei parlamentari appartengono a un'opposizione che ha definito la Finanziaria "una stangata". Se è così, allora di sciopero generale non ne basta uno, ma ne servono altri due".

Ma intanto con questa linea è andata a pezzi l'unità sindacale. Le pare sensato, proprio nel momento del dramma Fiat?
"L'unità sindacale sta a cuore a tutti. Ma anche quella si misura dal merito. Se Cisl e Uil pensano che non siano necessarie forme di lotta contro l'azione del governo, le condizioni per iniziative unitarie non ci sono, punto e basta. Questo è un problema, ma si deve sapere che la Cgil non sta ferma, ha la forza per stare in campo da sola. Quanto alla Fiat, è un dramma che tutti hanno colpevolmente trascurato. Ma anche qui, le ricordo che la Fiom a luglio è stata l'unica organizzazione a dire no al piano industriale dell'azienda giudicato "non credibile", e a non firmare un accordo che mandava via 3 mila persone e che Fim e Uilm invece hanno sottoscritto. E allora, si può dire sommessamente che la Fiom ha avuto ragione?. E si può dire che l'opposizione continua ad essere confusa e disattenta anche sul tema dell'unità sindacale?".

Lei vorrebbe solo che il centrosinistra sostenesse compatto la Cgil.
"Non è così. Io vorrei che nell'opposizione non ci fosse tanto scarto tra le parole e i comportamenti. Meno male che ci sono i movimenti, che si mobilitano e tengono alta l'attenzione su certi temi".

Ecco il Cofferati girotondino.
"Dai girotondi arrivano input che la classe politica non sembra capace di raccogliere. Al contrario, di fronte ai movimenti l'opposizione ha un atteggiamento schizofrenico: c'è un fastidio e un'ostilità di fondo, salvo poi accodarsi quando li scopre consistenti. E' un comportamento ancillare, che alla fine si trasforma in un danno per la politica".

In realtà sono i girotondi che sono partiti all'attacco dei leader dell'Ulivo, con Moretti che disse "con questi non vinceremo mai".
"Il problema non può essere il radicalismo dei movimenti, che sono radicali per definizione. E poi alla distanza i movimenti hanno dimostrato di non nutrire nessuna propensione per l'antipolitica. Il vero guaio è che l'opposizione non sa rispondere alle istanze della società e arriva sempre dopo i girotondi. Su tutti i grandi temi: dalla globalizzazione alla pace, dall'economia alla giustizia".

Cofferati, dopo questa intervista nessuno penserà più che lei è un riformista.
"Riformista è una parola malata. Persino Berlusconi e Fini si sono dichiarati riformisti. Quanto a me, il riformismo si misura sui fatti. Parla la mia storia. Quanto agli altri, non vedo in giro veri progetti riformisti, ma solo leader che parlano d'altro, alludendo di volta in volta a posizioni sempre più moderate".

Lei parla bene. Sta fuori da tutto, e mena fendenti. Perché ha rifiutato la presidenza dei Ds che D'Alema le aveva offerto?
"Avevo promesso che non sarei entrato in politica. Mantengo la mia promessa. E certi incarichi così delicati non si offrono così, uno lo dà all'altro, come fosse una trattativa privata".

Ma così è troppo comodo: lei "etero-dirige" un pezzo di opposizione.
"No. Io non dirigo niente. Parlo da militante. E vorrei un'opposizione più forte, più battagliera. Sono convinto che come me la pensi tanta, tanta gente".

(La Repubblica, 23 ottobre 2002)

Com'era caldo quel gelido Palasport


di Lidia Ravera


Sprigionava un grande calore il Palasport di Firenze, e non solo per la
folla compostamente seduta o compattamente in piedi a coprire ogni minimo
spazio, non solo per la frequenza degli applausi, che interrompevano i
monologhi dal palco imponendo la cadenza affettuosa di una specie di festa
della partecipazione, non solo per quello scalpitare a ritmo quando gli
applausi parevano insufficienti, ma per l’attenzione, visibile, quasi
palpabile, con cui chi parlava veniva seguito. Guardare diecimila persone
che ascoltano un discorso politico alla una dopo mezzanotte, mentre il
freddo si infiltra dalle porte aperte, immobili sulla sedia scomoda che
hanno conquistato alle sette di sera prima che il «tutto esaurito»
rimandasse a casa due mila persone, è una bella esperienza. Rassicurante e
commovente. Commovente perché riporta ai tempi in cui «fare politica» era un
modo di stare al mondo, con le sue feste, i suoi rituali, le sue collettive
celebrazioni. Rassicurante perché dissolve il fantasma della rissa a
sinistra: con un materiale umano così pregiato a disposizione, ogni
contrapposizione può e deve essere superata, ogni dissenso metabolizzato,
ogni perplessità o paura ridotta a pensiero notturno, cui non dare peso.


Si leggeva su un lenzuolo-vessillo: «Il popolo di sinistra ha un sogno:
uscire dall’incubo. Cofferati guidaci tu». Accanto, sventolava una bandiera
con la A dell’anarchia. Qualcuno, nei momenti di massima allegria,
sventolava una copia de L’Unità, con la striscia rossa a favore del palco.
La grande platea dei movimenti che hanno fatto del 2002 una sorta di anno
santo della sinistra, non è omogenea né per età né per provenienza. La
uniforma un comune progetto per il futuro, non un comune passato. Meglio
così, più igienico. Nel passato si annidano, talvolta, fastidiosi animaletti
capaci di ridurre in segatura, rosicchiando nell’ombra, anche i legni più
robusti. Il futuro è un terreno aperto, mette voglia di correre, è
energetico. Un comune progetto per il futuro: mandare a casa il governo
Berlusconi, imparare a governare secondo alcuni irrinunciabili principi,
questo paese sbandato e declassato, in crisi di democrazia. Un comune
progetto per il presente: fiera incondizionata opposizione alla guerra,
riqualificazione morale della politica, consumi critici, riflessione
coerente sul modello di sviluppo, responsabilità verso i disequilibrii del
mondo. Un comune progetto per rendere utile e spendibile la voglia di
ribellione, il fastidio, l’ansia, l’irritazione, l’incertezza, il leggero
persistente disgusto che ha colpito una parte consistente di italiani. Come
una malattia.


È questo comune progetto (futuro, presente, ideale) che consente a un
ragazzo della rete Lilliput, a una sindacalista dei lavoratori degli
autogrill, all’ex segretario generale della Cgil, a un regista progressista,
a un deputato democratico di sinistra, a una docente universitaria, a un
dirigente dell’Arci, a un sindaco, al presidente di una associazione
politico culturale (nata da una costola dei Ds, ma, grazie al cielo, non
morta lì), a una ex ministra democristiana, a un deputato comunista, a un
militante pacifista di alternarsi sullo stesso palco, di condividere una
quota possente di approvazione, di tessere insieme una trama di sentimenti e
parole d’ordine e analisi e proposizioni. «Ciascuno resterà sé stesso, tutti
lavoreremo insieme». «Dobbiamo imparare dai ragazzi del social forum a stare
uniti essendo diversi» . Sarà «un grande partecipato cantiere». Sarà un
corpo con almeno quattro anime, forse cinque, sei, sette...


Sarà comunque meglio di un corpo senz’anima. «Il nostro scopo principale è
unire». Non c’è nulla di minaccioso, nella forza tranquilla che ronza dal
palco. Non c’è alcun appetito polemico fra gli attenti e le attente in
platea. Se ci fosse una macchina che quantifica gli applausi, Rosy Bindi
vincerebbe a pari merito con Sergio Cofferati. Una che dice: «Non ho bisogno
di essere comunista per essere di sinistra», uno che dice: «Quando ho
cominciato, sul far dell’età della ragione, a occuparmi degli altri...». La
cattolica e il cinese. Una bella coppia. Tutti e due impegnati a «ridare
dignità alla politica» (lei) «ritrovare le ragioni ideali» (lui). Tutti e
due formati nelle grandi chiese del nostro passato migliore: la solidarietà
cattolica, il movimento operaio. I diecimila attenti, che non sono certo un
popolo di sprovveduti, già mormorano sognando: « Sono loro due il nostro
ticket». «E Prodi?». «Imbarchiamo anche lui». «Già, così poi siamo due a
uno».


«Ma la Bindi è femmina, così abbiamo anche la coppia». Risatine. «Però a me
Prodi non mi dispiace...». «Però la Bindi è più simpatica...». Davvero, a
passeggiare fra la folla silenziosa, non si ha la sensazione di trovarsi fra
congiurati, semmai fra compagni (di scuola, di fede, di galera...), fra
gente che non ha ambizioni personali di carriera, ma non sopporta più le
ambizioni altrui, non sopporta che la fame individuale di contare,
comandare, affermarsi metta in ombra altre più autentiche motivazioni, quali
rappresentare, servire, combattere. Non è un piccolo aggiustamento quello
che si chiede a chi ha scelto di fare della politica la propria professione
e che spesso svolge il suo lavoro con competenza e faticosamente. Si chiede
di capire che decine di migliaia di persone premono contro le porte del
Palazzo non per farvi irruzione e occupare scranni resi vacanti dalle
contestazioni, bensì per essere ascoltata, considerata, rappresentata e
difesa.


Anime e corpi, qui, cercano una o più teste. Forse, poiché da parecchio
tempo non si facevano vedere, è difficile riconoscerle, ma è questa, la
«base di massa», di cui si chiacchierava tanto. Non firmano più «deleghe in
bianco». Ma questo è un vantaggio per tutti. O no?

NARCISI O VANITOSI


di Vittorio Zincone per Sette


Una donna intelligente può anche essere bella o è intelligente solo perchè è bella? Domande del genere, fino a ieri, erano riservate solo all'universo femminile. Adesso entrano a far parte anche di quello maschile. Da una questione apparentemente futile, innescata da una lettera risentita di Luisella Costamagna al Foglio, si è scatenata una polemica etico/estetica. Giuliano Ferrara ha innalzato il tono della querelle spostandola sul dilemma se gli uomini potenti siano narcisi o vanitosi. E Sette ha deciso di riunire intorno a un tavolo tre donne diversissime per storia, cultura e mestiere e le ha fatte discutere «senza rete», contaminando temi seriosissimi, riferimenti colti e boutades paragoliardiche. Ne è uscito fuori un dialogo semiserio sulla classe dirigente e i canoni estetici dei tempi correnti, una sorta di «trattatello» a sei mani che tocca anche la natura del narcisismo e della vanità.

Luisella Costamagna, fascinosa musa della sinistra santoriana, sviluppa le provocazioni che ha lanciato sul Foglio.

Daniela Santanchè, «front lady» di Alleanza nazionale, recita il ruolo della cattivista bella e spregiudicata.

Marina Valensise, che cura la sezione culturale del quotidiano di Giuliano Ferrara, cuce il dibattito cerchiobottando tra i due estremi.

Si parla di tutto: se la vanità sia «democratica» e il narcisismo aristocratico o addirittura «autoritario». E a ruota libera: se il potere sia parte della bellezza, se sia possibile per una donna bella ricoprire incarichi importanti, se il baffo latino di D'Alema sia affascinante, se le palpebre del Cinese siano un richiamo sessuale per il gentil sesso, se Ferrara sia effettivamente «un bell'uomo».

Il tutto, visto che sono donne senza complessi, condito con riferimenti al proprio corpo e al proprio vissuto. Un esempio? Il dibattito potrebbe aprirsi con il ruvido botta e risposta tra Santanchè e Costamagna sulla propria formazione sentimentale. Si parte da un nodo decisivo con Marina Valensise che sostiene...

SCOLLATURE NARCISISMI & DEMOCRAZIA…
Valensise: «La teoria di Ferrara è che il vanitoso sia democratico e il narcisista no. Io non la penso così. Il narcisista è uno che ama se stesso. Anche lui è democratico, nel senso che vive in funzione del suo egocentrismo. Io, io, io».
Costamagna: «Permettimi, ma secondo me ti sbagli. Il vanitoso è democratico perché presuppone la necessità del giudizio altrui. Il narcisista può piacersi talmente tanto da raggiungere il delirio di onnipotenza. Che idea hai della democrazia, scusa?».
Valensise: «Liberale. Quella che mette al centro l'individuo. La vanità... è rappresentazione. Una passione aristocratica più che autoritaria. E la tua immagine riflessa negli occhi degli altri: un rito di corte che presuppone un pubblico e il suo giudizio. Ma non è detto che sia un pubblico costituito da individui liberi e uguali».
Santanchè: «Ma come siete intellettuali! Vorrei essere più concreta: io mi sento bella perché agli altri piaccio da bestia. Ma se mi guardo allo specchio, dico ammazza che schifo».

Costamagna: «Quindi non sei narcisista, ma vanitosa?».
Santanchè: «Direi di sì. Voglio piacere. Ma non saprei di essere bella se non fossero gli altri a ricordarmelo. Io mi sento forte e sicura perché da venti anni ho conferme di essere bella».
Valensise: «Allora stai messa malissimo, cara. Non hai autostima».
Santanchè: «Ce l'ho, ma non sulla bellezza. Da bambina se c'era da esibire una figlia, era mia sorella. Lei è proprio bella».
Costamagna: «Io non ho mai vissuto bene la bellezza. Ho scoperto tardi il mio corpo».
Santanchè: «Vedendoti in televisione non sembrerebbe».
Costamagna: «Sai, a me non piace avere gli occhi addosso...».
Santanchè: «No, scusami: ma se a una non piace essere osservata, non va in giro con una scollatura come la tua. Se non vuoi gli occhi addosso devi tirar su questa cernierina».
Costamagna: «Mica devo fare Maria Goretti».
Santanchè: «Senti, ma te ne accorgi che ti guardano il seno o no?».
Costamagna: «Sì. E infatti pian piano, mi sto abituando. Ma in televisione non mi vedrai mai scosciata. Di sicuro non sono narcisa».
Valensise: «Io un po' sì. E mi rendo conto che essere narcisi nel 2003 è quasi inevitabile. Viviamo in un mondo autoreferenziale. Atomizzato. La cosa più importante è essere se stessi, vivere le proprie ambizioni. È un discorso che vale anche per gli uomini».
Santanchè: «Sempre più vanitosi e narcisi».
Valensise: «Il massimo del narcisismo è Eugenio Scalfari, che dialoga con io».
Santanchè: «Anche Vittorio Feltri non scherza. Nei modi, nel vestire, si piace da morire».
Valensise: «Pensa che secondo me lui è vanitoso. Carlo De Benedetti è narciso. Rondolino poi... ha appena scoperto il suo fisico e ci fa sapere che fa palestra. Un vanitoso classico invece è Berlusconi».
Costamagna: «Non scherziamo. Berlusconi è chiaramente un narciso, uno che si piace molto. Invece Francesco Rutelli mi sembra un vanitoso: si preoccupa di piacere agli altri».

Valensise: «A me, lui sembra più narciso».
Santanché: «E il tuo direttore, Ferrara, è vanitoso o narciso?».
Valensise: «Nei limiti del giusto ambedue le cose».
Costamagna: «Diplomatica. Secondo me invece è proprio un narciso. Si piace molto e non sente il bisogno di piacere agli altri».
Santanchè: «È il contrario. Ferrara è un vanitoso. Gli piace piacere. Non si accontenta di piacersi. In ogni caso è incredibile come anche gli uomini abbiano iniziato a preoccuparsi della bellezza. Basta vedere come hanno reagito quando Luisella ha scritto al Foglio per dire che Ferrara è brutto».
Valensise: «Li hai spiazzati, anche perché gli uomini reputati brutti, soffrono più delle donne».
Costamagna: «Già. Di solito sono gli uomini a dare giudizi estetici. Il fatto che lo abbia fatto io, ha causato una valanga di reazioni. Ironiche, ma tutte maschili».
Santanchè: «Bella provocazione. Dopodiché io non condivido il tuo giudizio. Per me Ferrara è un figo pazzesco».
Costamagna: «Non mi potete dire che sia bello».
Valensise: «E invece a modo suo lo è di certo».
Santanchè: «Ha due occhi che sembra un gatto. Gli uomini con la pancetta sono di peso, in tutti i sensi».
Costamagna: «Chiamala pancetta!».
Valensise: «La bellezza si fonda sulla singolarità della percezione. Non c'è più il kouros greco: il bello ideale di Fidia. La modernità predilige modelli diversi, a volte malati, spesso pure perversi».
Costamagna: «Non ci credo e non ci ho mai creduto».
Valensise: «Non è questione di crederci. Tutta l'estetica moderna, da Kant in poi, ha smesso di fondarsi su criteri oggettivi».
Costamagna: «È il contrario. I canoni estetici esistono. Poi, capisco che Ferrara possa piacere perché intelligente. È la stessa bellezza che si può attribuire a Berlusconi perché potente. Ma non confondiamo i piani: non si può dire che siano oggettivamente belli».
Santanchè: «Io li vedo belli. Ferrara è meglio di Brad Pitt. Noi donne giustamente abbiamo imparato a valutare gli uomini per la ricchezza e la potenza. Quelle che guardano alla bellezza estetica forse sono malate».

Costamagna e Valensise sgranano gli occhi.

Santanchè: «Dopodiché Berlusconi non lo trovo brutto. Trovo più brutto Cacciari».
Costamagna: «Il potente non mi affascina. Mi piace l'uomo colto e intelligente».
Santanchè: «Anche l'intelligenza è potere».
Valensise: «Il potere numero uno. Ma vogliamo parlare di D'Alema? La redazione del Foglio è divisa tra chi lo ritiene un bel tipo latino e chi lo considera insignificante».
Costamagna: «Il giudizio sulle persone non può prescindere dai contenuti che le contraddistinguono. C'è una sorta di trasfigurazione».
Valensise: «Quindi?».
Costamagna: «Beh, non si può dire che sia brutto».
Santanchè: «Cofferati sì, invece. Non sopporto quegli occhi orientali. Mi piacciono gli occhi belli aperti».
Valensise: «Come quelli di Socci, che sono due fanali, anzi due tizzoni ardenti?».

Santanchè: «No. I suoi mi inquietano un po'».
Costamagna: «Socci, come Ferrara, ha caratteri somatici incisivi, che in Tv servono più della bellezza».
Santanchè: «Del tuo Santoro cosa pensi? Lo trovi bello?».
Costamagna: «Forse no. Ma è affascinante».
Santanchè: «Ma è uno che becca? Rimorchia?».
Costamagna: «Credo che abbia altro a cui pensare».
Santanchè: «Che sia bello o che sia brutto, comunque l'uomo se è potente si salva. La donna, no».
Valensise: «Mai come oggi per una donna bella è stato difficile fare una professione come la politica o il giornalismo. Forse perché gli uomini e le donne non dimenticano mai di essere tali, di attrarsi e piacersi. Una bella donna rappresenta un ostacolo, un intralcio nel mondo spassionato del lavoro. Per questo sarà sempre bersaglio di villanie e doppi sensi da parte degli uomini».

Costamagna: «A me hanno dato della valletta, appunto. E io non ho niente contro le vallette, solo che sono una giornalista».
Santanchè: «La fate troppo complicata. Credo che le peggiori nemiche delle donne siamo noi stesse. La donna bella ha difficoltà a raggiungere il potere perché ci sono gelosie mostruose e perché moltissime donne non hanno ancora capito l'importanza della seduzione. Ci sono alcune signore, soprattutto quelle di sinistra, che si castigano: Melandri e Berlinguer sembrano vergognarsi di essere belle».
Valensise: «Forse più semplicemente non amano sottolineare questo aspetto».
Santanchè: «E allora bisogna fargli un corso accelerato. Siamo nel 2003. Non devo essere Rosy Bindi per fare politica. Io sono orgogliosa dei miei tacchi a spillo e non mi vergogno di essere sfrenatamente ambiziosa».
Valensise: «Il problema è che poi raramente un uomo si innamora di una donna bella, intelligente e potente. Sempre di più si vedono belle trentenni in carriera, ma sole».

Costamagna: «Effettivamente la donna bella e forte imbarazza gli uomini».
Santanchè: «Che rimangono tramortiti dal fatto che siamo diventate uomini con il corpo delle donne. Il mio compagno (odio questa espressione) diventa pazzo quando arriva l'invito per il teatro e c'è scritto Daniela Santanchè + ospite».

All'ospite suggeriamo una piccola vendetta. Alla prossima occasione mondana provi a presentare l'onorevole Santanchè come la sua valletta.

9.1.03

"L'Occidente crea mostri e poi si indigna. Vi spiego perché la pace conviene"


intrevista a Gino Strada di Piero Sansonetti (dall'Unità)

Gino Strada in questi giorni è a Milano, in partenza per Kabul. Intanto sta trattando con le autorità irachene per trasferirsi a Baghdad e allestire rapidamente un ospedale di guerra. Strada non crede alla possibilità che la guerra non ci sia. Dice che gli interessi americani sono troppo grandi e che nessuna argomentazione politica o di buon senso può convincere Washington a rinunciare all’attacco all’Iraq. Strada dice che la guerra è in programma da tempo, e che è un grande affare.
Gino Strada in Italia ormai è diventato il simbolo vivente del pacifismo.
Ogni tanto qualcuno dice: "io sono pacifista, ma non sono pacifista alla Gino Strada". Com’è il pacifismo di Strada?
Non saprei, bisogna chiedere a loro cosa intendono.
D’accordo, ma per lei cos’è il pacifismo?
La scelta della pace per me è una scelta etica e politica. Si basa sui valori e sul buonsenso, sulla pratica, cioè sulle cose che ho visto nella mia vita. Io sono convinto che la guerra non sia mai un modo per risolvere i problemi ma sia un modo per ingrandirli. E che la guerra inneschi una spirale che nessuno poi riesce a spezzare. La politica internazionale dell’ultimo anno lo dimostra. Mi chiedo: dove ci porta questa spirale? Vorrei che ce lo chiedessimo tutti. La pace, secondo me, non è solo un dovere, un imperativo morale: la pace è una necessità. Se non riusciamo ad affermare un cultura di pace e una politica di pace, sono convinto che andiamo verso un’avventura il cui punto finale è l’autodistruzione. Non sono un catastrofista, non esagero: è così. L’autodistruzione è la conclusione logica della cultura della guerra. Io pongo questa domanda semplicissima: e se il conflitto tra Usa e Iraq si trasformasse in conflitto nucleare, cosa succederebbe del mondo?
È un’ipotesi estrema, abbastanza irreale...
No, non credo che sia irreale. Gli americani hanno già dichiarato in modo abbastanza esplicito che sono pronti a valutare l’ipotesi di usare bombe atomiche tattiche. E a quel punto non è da escludere una reazione devastante del mondo islamico fondamentalista, e l’uso di strumenti nucleari anche da parte loro.
Queste sono le ragioni "politiche" del pacifismo integrale, alla "Strada". E le ragioni etiche?
Sono i miei princìpi. I princìpi che nascono da quello che ho fatto in questi anni. Io lavoro per provare a salvare vite umane: sarebbe per me un controsenso essere favorevole a pratiche politiche e militari che hanno come obiettivo fondamentale quello di annientare vite umane. La mia etica nasce dalle cose che vedo.
Lei non è religioso, se non sbaglio...
No, da quando sono adulto non lo sono mai stato. Sono assolutamente un laico. Però il mio punto di vista etico si incontra spesso con quello di tanta gente che ha un profondo senso religioso. Oggi per esempio torno da Jesi, dove abbiamo creato un centro di "Emergency" in un istituto di monache clarisse...
Faccio un’obiezione che le avranno fatto spesso. Se si esclude la guerra come "estrema ratio", se si esclude in via di principio l'uso della forza, non c’è il pericolo che il mondo cada in mano ai prepotenti?
Ho già detto che le mie posizioni sono ispirate al buon senso e alle cose che vedo e che so. Non è giusto semplificarle. È del tutto evidente che se l’Italia fosse invasa da un esercito straniero che ruba, stupra, uccide e prende a mitragliate la gente, io reagirei. Mi ribellerei. Va bene? Però non mi sembra che questo scenario sia all'orizzonte, giusto? E allora perché discuterne? Discutiamo dei fatti reali, che succedono, che si profilano all’orizzonte. Il problema casomai è il seguente: come si evita che i cosiddetti "mostri" - diciamo i dittatori - salgano al potere e poi diventino potentissimi? Io credo che la risposta sia molto semplice: si evita di costruirli. Una volta che sono stati costruiti, appoggiati, coperti, foraggiati, e che questi dittatori sono diventati molto forti, certo, a quel punto è difficile liberarsene con mezzi pacifici. L’occidente, in genere, non si preoccupa di questo. Crea mostri e poi si indigna per il fatto che ci sono. Oggi tutti dicono che Saddam è uno spietato dittatore. Giustissimo. E ricordano le sue nefandezze, soprattutto lo sterminio di 5000 curdi. Benissimo. Quando avvenne lo sterminio? Nell’88. Allora le autorità americane sai come chiamavano Saddam? Lo chiamavano il presidente, ne erano amici, lo aiutavano, lo armavano. Oggi lo chiamano il dittatore. E invece chiamano presidente il signor Musharraf, il pachistano, che pure ha svariate bombe atomiche. Vedrai un giorno ci ripenseranno, si accorgeranno che è un dittatore...
Recentemente lei ha detto che i paesi che fanno uso delle mine, e che le producono (quindi anche l’Italia) sono paesi che praticano il terrorismo. Le mine sono terrorismo. Mi sembra che su questo c’è poco da obiettare. Però ha anche detto che le sanzioni contro l’Iraq (cioè l’embargo) è terrorismo. Non è un’esagerazione? Le sanzioni spesso sono l’alternativa alla guerra. Sono l’unica possibilità di fare politica sul piano internazionale senza ricorrere alle armi. Non è così? E non furono giuste le sanzioni contro Mussolini, negli anni 30, o quelle contro il Sudafrica di Botha, negli anni della apartheid?
Proviamo ad esaminare la questione ponendoci dal punto di vista delle persone che vivono lì. Cioè in alcuni paesi concreti, reali, dove sono in atto le sanzioni. Per esempio l’Iraq (era dell’embargo contro l’Iraq che io parlavo quando ho usato il termine terrorismo). L’embargo funziona da 12 anni. Se io e te ci chiamassimo Mohamed e avessimo un figlio, un ragazzo, malato di leucemia, e non potessimo avere le medicine che ci servono per curarlo perché così hanno deciso le nazioni dell’occidente e gli americani, e vedessimo il nostro bambino morire per questo, coda credi che penseremmo di quelli che ci impediscono di curarlo? Penseremmo: sono terroristi. Qui da noi invece invertiamo tutte le logiche. Siamo abituati a chiamare "Opinione Pubblica" l’opinione di un gruppetto di governati e commentatori, siamo abituati a chiamare "Legalità Internazionale" la prepotenza degli stati più forti, e a chiamare "diritti umani" i nostri privilegi. Noi viviamo in una parte del mondo che ospita il 20 per cento della popolazione e consuma l’85 per cento della ricchezza, e siamo convinti che i diritti umani siano i diritti di questo 20 per cento di mantenere o aumentare le proprie ricchezze a danno degli altri...
Lei non fa nessuna distinzione tra uso della forza e terrorismo?
Il terrorismo è la forma moderna della guerra. È stato terrorismo l’uso dei gas in Russia, che ha ucciso gente inerme in un teatro, lo è stato l’uso del napalm, i bombardamenti contro i nicaraguensi, le bombe a Tel Aviv dei palestinesi e le rappresaglie israeliane. È terrorismo anche l’embargo contro l’Iraq. La guerra, fino al primo conflitto mondiale, produceva l’85% delle vittime tra i militari. Nella seconda guerra mondiale cambiò tutto: il 65% delle vittime fu tra i civili. Ora siamo arrivati a percentuali ancora più alte: 9 morti su dieci sono tra la popolazione civile. In Afghanistan, nei bombardamenti americani, secondo le stime più ottimiste sono morti cinquemila civili. Le vittime tra i soldati saranno state alcune decine, al massimo qualche centinaia. Noi non possiamo sapere cos’è il terrorismo. Per capirlo bisogna conoscerlo, averlo sperimentato. Quando vedi che uccidono i tuoi parenti, i tuoi vicini, e sai che non hanno fatto niente, mai un reato, mai un delitto, mai un atto di violenza, che non hanno mai tenuto in mano un fucile, allora capisci che quelli che li hanno uccisi sono terroristi.
Si ma lei parla di terrorismo per l’embargo contro l’Iraq....
Un milione e mezzo di morti in dodici anni di embargo. Come dobbiamo valutarli, come opera di bene? Quando si attua una politica che uccide i civili e mantiene in vita i regimi, anzi li rafforza, cosa si sta facendo? Io sono medico, sarebbe come se decidessi di usare per il mio lavoro delle medicine che rafforzano i batteri e indeboliscono l’organismo da curare. Come mi considereresti? Un delinquente...
Non mi ha risposto però all’obiezione sulle sanzioni a Mussolini o quelle a Botha...
Io non sono contrario in via di principio alle sanzioni. Sono contrario alle sanzioni che uccidono la gente per bene e rafforzano i dittatori. Tutto qui. Sono favorevole, eventualmente, a sanzioni che non uccidono gli innocenti....
Conosce anche l’altra obiezione al pacifismo. Quella, diciamo così, storica: cosa sarebbe successo se le potenze europee avessero lasciato fare Hitler?
Le potenze occidentali hanno lasciato fare Hitler. La guerra è scoppiata nel ‘39. Precedentemente Hitler aveva annesso l’Austria, la Renania, era entrato nelle zone smilitarizzate, aveva riarmato la Germania violando l’armistizio, aveva negli anni venti tentato un colpo di Stato, eccetera eccetera. C’erano state mille occasioni per fermarlo, ma non conveniva a nessuno. Il riarmo della Germania fu una grande affare per tutti...
Dunque se Saddam è come Hitler, prima si interviene per fermarlo e meglio è. Saddam Hussein è come Hitler?
Guarda, se si facesse un referendum mondiale, e si chiedesse ai sei miliardi di cittadini che popolano il mondo in chi vedono il pericolo di un nuovo Hitler, so con certezza chi vincerebbe il referendum: lo vincerebbe George W. Bush. Non è così? del resto chi è che oggi più di chiunque altro al mondo mette a rischio la sicurezza internazionale? Quel guerrafondaio, petroliere, figlio di petroliere guerrafondaio, che è George W. Bush. I paesi più pericolosi per il mondo, in questo momento sono tre: al primo posto gli Stati Uniti, al secondo Israele, al terzo la Russia.
Strada, perché il pacifismo è filopalestinese? Non sarebbe giusto mettere sullo stesso piano il terrorismo palestinese e le rappresaglie di Sharon?
Noi di "Emergency" mettiamo sullo stesso piano il terrorismo di frange palestinesi e quello del governo israeliano. Recentemente ci siamo offerti per realizzare un servizio di ambulanze che intervenisse sia per le vittime palestinesi che per quelle israeliane. Trattammo con l’ambasciatore di Israele a Roma, studiammo tutti i dettagli per dare al governo israeliano ogni garanzia possibile. L’autorità palestinese ha subito accettato la nostra offerta, il governo israeliano neanche ci ha risposto. Detto ciò, noi non abbiamo sposato la causa palestinese, nel senso che non abbiamo sposato i metodi di lotta che stanno usando (difendiamo invece il diritto di avere una terra, una patria e la pace). L’autorità palestinese ci ha invitato per una manifestazione di solidarietà politica: non ci siamo andati, noi non facciamo testimonianza, lavoriamo come medici per salvare delle vite.
La sinistra italiana, per la prima volta nel dopoguerra, sembra finalmente unita nel no alla guerra. È un fatto importante, non crede?
Io spererei che tutto il Parlamento italiano sia unito contro la guerra. La pace non è un valore di sinistra o di destra, è di tutti gli uomini. Dopodiché, vedremo cosa succederà. L’Ulivo sarà unito nel no alla guerra? Ne sarei felice. Anche se alcuni dirigenti dell’Ulivo non mi sembrano molto convinti. Fassino molte volte ha polemizzato con me...
Se però, pur polemizzando, si ritrovasse nel no alla guerra...
Ne sarei molto contento, figurati. Però non sono sicurissimo di come andranno le cose. Ho visto che molti dicono: " no alla guerra, a meno ché l’Onu non l’autorizzi...". Per Onu si intende Consiglio di sicurezza dell’Onu. I cinque stati membri permanenti del Consiglio di sicurezza e con diritto di veto sono i produttori dell’85 per cento degli armamenti che esistono al mondo. Cioè sono quelli che alimentano i 50 conflitti attualmente aperti nel mondo (e ci guadagnano sopra).
Strada, secondo lei la guerra in Iraq è inevitabile o ci sono ancora speranze di evitarla?
Non credo che ci siano speranze di evitarla. Alcuni studi dicono che l'America nei prossimi diciassette anni prevede di aumentare dal 50 al 65 per cento la quota di petrolio che importa per coprire il proprio fabbisogno nazionale. Dove andrà a trovare tutto quel petrolio, e in che modo potrà controllarne il prezzo e dunque governare la propria economia? Te lo dico io: nei cinque paesi del centro-Asia, a partire dall’Afghanistan, e in Iraq che è il paese al mondo che ha più riserve petrolifere. Chi controlla i pozzi dell'Iraq (che è fuori dall’Opec) è colui che fa il prezzo del petrolio nel mondo. Per questo l’America farà la guerra. E spenderà, per fare la guerra - dicono gli esperti- non meno di 200 miliardi di dollari. Pensa che il Wto ha stimato che con 13 miliardi di dollari si può battere per un anno la fame in tutto il mondo. Vuol dire che coi soldi che si spenderanno per la guerra si fa sparire la fame per una quindicina d’anni. Gliene frega niente a nessuno? No, tutti dicono: be, la guerra... io sono contrario per carità... però l’estrema ratio....". Mentono: non è l'estrema ratio, è la prima scelta. E sai perché? Perché la politica oggi, in molti paesi, è nelle mani di gruppi di gangster.

6.1.03

Riforme insieme, esserci o non esserci


di Furio Colombo


Prendiamo una notizia a caso, fra le tante che arrivano a un giornale. E’ dall’Agenzia giornalistica AGI e dice che Governo e maggioranza si preparano a rilanciare (relatore l’avvocato-deputato Ghedini) una proposta di legge che praticamente abolisce il reato di bancarotta fraudolenta (quando un imprenditore in cattive acque fa sparire i fondi che spettano a creditori e dipendenti).
La notizia di agenzia - che non è l’Unità e non è un girotondo - dice esattamente così: "Dopo la legge sulle rogatorie internazionali e il falso in bilancio, si preparano a de-penalizzare la bancarotta fraudolenta". Infatti la pena, che per un reato così grave adesso è "fino a dieci anni", con la nuova legge sarà "non più di tre" in modo che, con qualche attenuante e un buon avvocato, ci sia una comoda via d’uscita per la più grave truffa che può essere compiuta da chi conduce imprese.
Abbiamo fatto le nostre ricerche. Deputati della Commissione Giustizia ci hanno detto: sì, è vero, c’è la proposta di legge del deputato An Sergio Cola. Sì, è vero, l’avvocato-deputato Ghedini, relatore della legge (e difensore, insieme con l’avvocato-deputato Pecorella, presidente della Commissione Giustizia, dell’imputato presidente del Consiglio Silvio Berlusconi) ha detto che la proposta gli piace. No, non è vero, che la discussione di questa legge sia imminente. Al momento - ci rassicurano - non è all’ordine del giorno.
Ma attenzione. Che cosa succede se questa proposta di legge - che segue varie leggi dello stesso tipo, già promulgate, tutte rivolte a "depenalizzare" certi reati e dunque a screditare l’immagine del Paese - ricompare all’improvviso all’ordine del giorno mentre maggioranza e opposizione sono intente a discutere insieme dei poteri del presidente del Consiglio?
D’accordo, questa potrebbe essere una ipotesi azzardata e malevola. Ma per prudenza, per scaramanzia, vi consigliamo di ritagliare e conservare questo articolo. Da rileggere entro tre mesi. Se abbiamo sbagliato, ecco qui, sarà facile dimostrarlo.
* * *
Ho fatto un esempio, solo uno, dei tanti eventi legislativi che potranno accadere in questa Italia. Per prevedere un comportamento è utile rivedere il passato. Nei primi seicento giorni della maggioranza Berlusconi, non una sola legge approvata avrebbe potuto essere "bipartisan", non una avrebbe potuto essere accettata con onore dall’opposizione. Tutte (tutte) sono una offesa alla Costituzione, al funzionamento delle istituzioni (un particolare accanimento è dedicato alla giustizia), introducono privilegi giudiziari per poche persone, prevedono effetti retroattivi che hanno già scandalizzato l’opinione pubblica del mondo, cancellano reati o impediscono che reati anche gravi possano essere puniti.
E’ una legislazione strana, stravolta. Niente di essa è nata davvero nelle due Camere, niente è frutto del lavoro legislativo in aula e nelle commissioni. Tutto è stato disegnato e concordato fuori dal Parlamento, fra il Governo, i consulenti del Governo, che sono anche i consulenti privati del cittadino che è il capo del Governo, sono anche i suoi difensori in vari processi penali. Ma - negli stessi giorni, nelle stesse ore - sono relatori delle leggi che poi invocano in tribunale per lo stesso committente-imputato che presiede il Governo e comanda fino al dettaglio la maggioranza delle due Camere.
Del resto non ci sono misteri. Il cittadino in questione, che - dimenticavo - ha anche il controllo diretto e personale di tutta l’informazione italiana, e potrà dunque far raccontare quello che vuole di ciò che accade a lui, intorno a lui e in Parlamento, ha già annunciato di che cosa vorrebbe legiferare insieme con l’opposizione, dopo la Cirami: i poteri. I poteri di chi? Prima ha detto "presidenziali", e ci ha spiegato chiaramente che pensava a se stesso. Poi ha detto "i poteri del primo ministro". E questa volta si tratta proprio di lui, della carica che adesso riveste e che gli consente, come ci spiega più volte al giorno, di essere il più bravo ed efficiente di tutti, anche a costo di sacrificare se stesso e danneggiare le sue aziende, come lui ama benevolmente ripetere.
Dunque, se questo è il contesto (ed è difficile negare che lo sia), non c’è dubbio che il sedersi allo stesso tavolo per discutere insieme di riforme comporterà qualche difficoltà, qualche fastidio ed espone (Dio sa se il passato insegna)a brutte sorprese. - Non stare a rispondere a questi coglioni - ha sussurrato il vice primo ministro Fini a un suo collega di Governo che era stato sorpreso da una domanda imbarazzante dell’opposizione. Grosso modo, questo è lo spirito della gita costituzionale a cui adesso l’Ulivo dovrebbe partecipare. In Parlamento, certo, in Parlamento. E’ lì, dal banco del Governo che Fini ha espresso il suo giudizio sull’opposizione. Adesso, all’improvviso, ti dicono che non bisogna farci caso.
E ti viene in mente il tormento di Charlie Brown, nell’indimenticabile fumetto "Linus". Ogni volta credeva alla perfida Lucy, si apprestava a calciare il pallone, prendeva la rincorsa, e sempre Lucy gli toglieva il pallone all’ultimo istante, facendolo scivolare e lasciandolo ogni volta a terra, stordito e incredulo.
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"E’ un dilemma sciocco" ci ammonisce qualcuno da sinistra, stesso linguaggio, stesso tratto di Fini, Vito e Schifani. Sentirtelo dire dalla porta accanto sorprende. Ma, con un eccesso di buona volontà, ti dici: "Sarà maleducata questa voce, ma forse è la voce dell’esperienza". Questa esperienza certo consente una auscultazione continua dell’opinione pubblica, fra i molti che non amano Berlusconi e non credono nella sua grandezza, mettiamo i seicentomila della manifestazione Ds a piazza San Giovanni a Roma (3 marzo 2002), i tre milioni della manifestazione Cgil al Circo Massimo (16 aprile) il milione di "girotondini" del 14 settembre. E poi le signore i e signori del Palavobis (40mila, 10 gennaio, Milano) i milioni di cittadini che passano dalle feste dell’Unità, i 10mila professori che hanno marciato a Firenze in gennaio, i ragazzi (almeno un milione) che hanno festosamente riempito le strade di Firenze in novembre.
Che cosa fa pensare, ci permettiamo di chiedere anche a costo di essere chiamati sciocchi - che tutta questa gente e quella che statisticamente essa rappresenta (altri milioni) sia in ansiosa e sfibrante attesa del momento in cui finalmente tutto l’Ulivo si siederà a conversare serenamente con Berlusconi e i suoi avvocati sui poteri di Berlusconi, nei giorni in cui Berlusconi fa il primo ministro con poteri che non ha (fin da quando ha apposto illegalmente il suo nome sulla scheda elettorale benché la Costituzione non preveda un simile tipo di elezione) e spavaldamente occupa anche lo spazio del presidente della Repubblica (con un discorso-evento che dura due ore e mezzo e attraversa cinque telegiornali subito prima del discorso del capo dello Stato) e quello del Parlamento, che manovra con la stessa mano ferma che gli ha dato tanta fortuna nelle sue aziende?
Che cosa induce questi nostri saggi della politica, inclini a liquidare con poche, efficaci battute gli inesperti, a ritenere che tutto il Paese attenda questa svolta e apprezzi l’improvviso galoppo verso una ridefinizione del premierato, mentre la Fiat è in pericolo, l’economia cede, i prezzi subiscono una impennata paurosa, i conti pubblici sono o pericolosi o falsi e il Paese scende in tutte le classifiche internazionali molto al di sotto del punto rispettabile in cui era stato lasciato dai governi dell’Ulivo, posizionandosi fra il ridicolo, il servile e l’inaffidabile?
Ci viene detto che il dibattito si svolgerà in Parlamento. Certo. Anche il dibattito sulla Cirami si è svolto in Parlamento, siglato alla fine dalla nobile frase del senatore Schifani: "Vi abbiamo fregato". La frase non ha certo screditato il Parlamento. Ma è un buon ritratto della parte di chi l’ha detta. Ci viene ripetuto che occorre legittimazione reciproca. Vero. Nessuno ha mai detto che la maggioranza, che ha eseguito senza battere ciglio le istruzioni di alcuni avvocati e ha votato compatta la legge Cirami, era una maggioranza illegittima. E’ stato detto che era fuori dalla Costituzione, fuori dalla decenza e fuori dall’Europa.
Ma indiscutibilmente eletta da una parte degli italiani.
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Non tutti hanno saputo di quei giudizi aspri e della ferma e accanita opposizione di tutto il centro sinistra al trionfo di illegalità che è stata, che è la legge Cirami. I telegiornali di regime, ad ogni manifestazione di dissenso, hanno parlato di "rissa alle Camere", in modo da far fascisticamente coincidere opposizione e disordine.
Infatti il presidente del Consiglio, attraverso proprietà personale, controllo politico e intimidazione, è in grado di bloccare tutte le vie d’uscita dell’informazione. Scrive Umberto Eco su "L’Espresso" del 1 gennaio: "Quello che caratterizza una democrazia non è la rappresentatività bensì la libertà di espressione e di pressione". (pag. 32) Questa frase è difficile da smentire e ci porta al cuore del problema: il conflitto di interessi. E’ gigantesco. Unico al mondo. Illegale. E’ una emergenza che è diventata il nostro ritratto nel mondo. Serve far finta di dimenticarlo mentre tanti, nella comunità internazionale, continuano a interrogarsi su questa nostra mostruosità e si domandano come ne usciremo? Davvero vogliamo credere - specialmente se siamo all’opposizione - alla favola del sette per cento degli italiani, unico sparuto drappello che da solo giudica il conflitto di interessi un fatto incivile, grave, imperdonabile? Qualcuno ricorda una statistica a favore di Mani pulite prima di Mani pulite? Saremo sciocchi, ci mancherà il deposito di saggezza ed esperienza che sembra illuminare altri. Ma noi pensiamo che non sia bene farsi trovare con quella compagnia quando tanta gente, che è in ansia per il lavoro, per l’economia, per la pace, per la libertà di informazione, per il declino dell’Italia - e forse non per il premierato - passerà alle urne a dire ciò che pensa di questa storia.