30.4.06

BANANAS: VESTIVAMO ALLA MARINARA

di marco travaglio per l'Unità

Ora che Marini è passato al Senato, resta da capire quante cadreghe occorrono per insegnare ai clementi tiratori a chiamarlo Franco. Ora che Berty è passato alla Camera, resta da capire quanto impiegheranno i massimi tiratori per rassegnarsi allidea che Fausto è sinonimo di letizia e che Romano deve restare a Roma almeno un mese, fino alla battaglia del Quirinale. Probabilmente gli elettori dellUnione (la metà deglitaliani più 24.755) avevano sperato di godere di più, ma non si può avere tutto dalla vita. Inizia lèra del menopeggismo. E poi, via, dopo settimane di allenamento Bellachioma ha pronunciato la parola dimissioni, e chissà quanto gli è costato. E poi Porompompera e Piercasinando non presiederanno più nulla, cioè se stessi. E poi Andreotti ha gettato la maschera (mancava solo qualche voto per Francesco Marino Mannoia): cè pure il caso che perda qualche fan nellUnione. E poi la corsa alle due Camere è stata molto più facile della prossima scalata al Colle. A questo proposito, DAlema dovrebbe far causa a chi ha lanciato la sua candidatura: sponsor come Lanfranco Pace, Oreste Scalzone, Giuliano Ferrara, Piero Ostellino, Giano Accame e Carlo Rossella non sono proprio il massimo della vita.
Certo, quel viavai di imputati di mafia in Senato, da Andreotti a DellUtri, da Mannino a Cuffaro, proprio mentre la parola pizzino faceva il suo ingresso trionfale in Parlamento, era uno spettacolo niente male. Avvincente come Bruno Vespa avvistato in piazza del Pantheon che inseguiva trafelato Marini allora del pranzo, attratto come una calamita dal nuovo potente e ansioso di carpirgli menu da rivelare in esclusiva nel suo prossimo libro. Come Schifani che nel cuore della notte insegna la sacralità delle regolea Scalfaro.Come il ragionier Pera in lacrime dinanzi alla dipartita della poltrona. O come la triste fine di Tremonti, ministro fortunatamente uscente, ridotto a mendicare uno strapuntino da capogruppo e trombato da un Vito qualunque (me lavevano promesso, piagnucola inconsolabile minacciando la fuga nel gruppo misto come un Udeur qualsiasi).
Quadretti da fine impero, come quello di Silviolo Augustolo - da molti scambiato per il padre del bipolarismo e il fondatore della Seconda Repubblica - costretto a riesumare il simbolo peggiore della Prima per mancanza di uno straccio di candidato. E, al seguito, gli ex nemici della Prima Repubblica come la Lega e An ridotti a votare Andreotti perché il boss voleva così. Alla fine tutti i tasselli sono andati a posto: lex muratorino di Gelli alleato con lex confratello di Bontate e Badalamenti,allinsegna del nuovo che avanza o del vecchio che è avanzato. Sfogliando i giornali di ieri, per trovare un titolo su Bellachioma, bisognava andare a pagina 12 o 13, il che non accadeva dal 1993. Sotto la sua ultima foto dal balcone, insieme alle consuete molestie alle neoelette in Forza Italia (Qui vige lo jus primae noctis, noi le donne le preferiamo di facili costumi...), erano annotate le sue penose profferte allUnione perché gli lasci tenere almeno un gomito sul tavolo: Se il centrosinistra rinuncia a Prodi, siamo disposti a votare il nuovo governo, anche guidato da un altro esponente del centrosinistra. Limportante è che Prodi non si insedi al posto mio. Poveretto, come soffre. Non possiamo dice- esporre il Paese a queste figuracce indegne. Peggio delle sue, sarà difficile. Comunque lUnione al Senato non ha la maggioranza e dipende dai senatori a vita. Esattamente come il Polo che nel 94 elesse Scognamiglio per un voto, e solo dopo aver comprato un paio di senatori dellopposizione. Il pover uomoricorda il protagonista di Polvere di stelle con Alberto Sordi, il vecchio guitto bollito che tenta di strappare lultimo applauso replicando le gag dei bei tempi. Ormai lo prende per i fondelli persino un Pomicino che, sentendosi chiamare vecchio leone, lo fulmina: Guarda presidente che son più giovane di te.Nellora del menopeggismo,anche queste sono soddisfazioni.

22.4.06

Onore al pollo Spartacus

Satira preventiva di Michele Serra (L'Espresso)

Il triste anonimato di polli, cigni e cutrettole, guest star del kolossal horror sull'influenza aviaria. Un tempo protagonista, lo stesso virus è ridotto a una particina da comprimario nella nuova serie di Medici in prima linea

Il pubblico è davvero ingrato. Nessuno si ricorda più del clamoroso successo planetario del kolossal horror 'Influenza aviaria', che solo pochi mesi fa ha tenuto inchiodati alle poltrone di casa, in tutto il mondo, miliardi di teleutenti agghiacciati. Ma che fine ha fatto il cast, dove sono finiti protagonisti e comprimari? Si sono rassegnati all'anonimato? Oppure progettano nuove, spettacolari avventure?

Il virus
Ormai retrocesso al duecentosettantaduesimo posto nella classifica mondiale delle cause di morte (è stato scavalcato anche dagli incidenti di elicottero e dall'indigestione di budino), il virus dell'aviaria gode di qualche credito solo presso gli strati meno istruiti delle popolazioni di tacchini. Negli allevamenti più moderni, le classi dirigenti illuminate sono riuscite a spiegare agli altri tacchini che il vero pericolo non è l'aviaria, ma il Thanks Givin' Day. Altrove, specialmente nelle stie di campagna, i volatili anziani, reduci dalla profilassi, raccontano ai pulcini la favola nera del Grande Raffreddore, arricchendola di particolari splatter (tacchini esplosi in volo, faraone morte tossendo come le eroine del melodramma). Ma non vengono creduti. In seguito alla caduta di popolarità, il virus ha perso un contratto per un nuovo film con Freddy Krueger e al massimo può puntare su una particina da comprimario nella nuova serie di 'Medici in prima linea'.

Le cosce di pollo
È il caso più straziante. Milioni di cosce di pollo, espulse dai supermercati, schifate dai consumatori, abbandonate anche dalla Corte dell'Aia, hanno dato vita a un interminabile esodo, ancora senza approdo. Dapprima segnalate su un cargo disperso nell'Atlantico, stipate in condizioni inumane nei congelatori, pare abbiano tentato un ammutinamento al largo delle Canarie. Il loro leader, Spartacus Arena, è stato lanciato ai gabbiani ancora congelato. Le sue memorie, 'Il sogno di un tegame', hanno venduto poche decine di copie a causa della trama troppo monocorde (secondo altri critici, troppo cruda). Ma dall'epopea dei quarti di pollo scacciati dall'Italia verrà probabilmente tratto un film con Mel Gibson, 'La passione in brodo'. Molto impressionante la scena del martirio di un pollo trafitto da chiodi di garofano tra le risate ciniche dei cuochi romani.

Il caporedattore
Ugo Spaventa, il caporedattore del telegiornale che si è maggiormente battuto, a suo tempo, per la diffusione della psicosi da aviaria, è stato licenziato mesi fa dopo avere minacciato di suicidarsi in diretta inghiottendo un uovo di quaglia crudo. Indomito, sta progettando la sua rivincita con nuove clamorose campagne mediatiche. Ha già proposto a diverse testate un'Emergenza Cicoria, un Panico da Stracchino e un'Allarme Mutande, incentrato su studi coreani che denunciano l'esplosione improvvisa degli elastici con lesioni mortali all'apparato genitale. Per adesso, solo 'Studio aperto' ha aperto trattative con lui.

Il pappagallo inglese
C'è anche una storia a lieto fine. Il pappagallo inglese che finì nei tigì di tutto il mondo come primo europeo affetto da aviaria, è guarito con l'omeopatia e la meditazione, e si è rifatto una vita come guru della medicina alternativa. Nominato baronetto per meriti sanitari, ha una rubrica fissa su Channel Four, dove consiglia ai telespettatori come smettere di fumare con i semi di zucca e come curare il cancro rosicchiando ossi di seppia.

Cigni
Braccati e strangolati nei laghetti di tutta Italia, per mesi, dalla popolazione inferocita, su istigazione delle troupe televisive, i pochi cigni scampati al genocidio hanno chiesto i danni di guerra al Parlamento europeo. Chiedono anche una degna sepoltura per i loro colleghi ficcati a decine in bidoni di plastica, senza neanche un prete per chiacchierare.

Cutrettole
Il sindacato delle cutrettole, inspiegabilmente escluse dal cast dell'aviaria, chiede ragione dell'odiosa discriminazione televisiva nei loro confronti. Per rimediare, una cutrettola giovane e avvenente potrebbe essere inserita tra i concorrenti del prossimo 'Grande Fratello', anche se la produzione teme di elevare troppo il livello culturale della trasmissione.

21.4.06

Sull´Espresso dialogo con lo scienziato bioeticista Ignazio Marino, neosenatore dei Ds

"Aids, sì al profilattico adozioni anche per i single"

Il cardinale Martini apre. Aiuti: che dice il Vaticano?
prevenzione Bisogna fare di tutto per contrastare la malattia. In certe occasioni l´uso del profilattico può rappresentare il male minore
embrioni congelati É eticamente più significativo propendere per la soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire
fecondazione eterologa Giusto vietarla per legge? Sarei prudente, specie se penso alle coppie che non possono ricorrere a fecondazione artificiale normale
aborto Va rispettata la persona che dopo riflessione e sofferenza in casi estremi segue la coscienza, anche se decide qualcosa che non approvo
L´insigne biblista, ex arcivescovo di Milano, dà risposte inedite sui temi dell´etica
"Eutanasia, non si può approvare ma non condannerei chi agisce per altruismo"


ORAZIO LA ROCCA per Repubblica

ROMA - Fecondazione assistita, aborto, cellule staminali, adozioni e lotta all´aids, donazione di organi, eutanasia, confini e limiti della ricerca. Ne discutono in un confronto ampio, serrato e profondo un grande biblista, il cardinale Carlo Maria Martini, e uno scienziato bioeticista, Ignazio Marino, neo senatore dei Ds. Il "luogo" dell´incontro è il nuovo numero del settimanale "L´espresso", che pubblica un colloquio-intervista condotto dal professor Marino intitolato, non a caso, "Dialogo sulla vita". Un confronto inedito e per molti aspetti anche sorprendente, in particolar modo nelle risposte del cardinale: specie in materia di uso del condom come strumento di lotta all´aids e di fecondazione artificiale, ma poi con aperture sull´adozione consentita anche ai single e, persino, sul ricorso all´interruzione di gravidanza in determinate situazioni. Martini risponde a tutti i quesiti posti da Marino, in una sorta di dialogo tra Scienza e Fede, fornendo un quadro destinato a far discutere dentro e fuori la Chiesa cattolica.
Embrioni ed inizio della vita. La contrarietà della Chiesa all´uso degli embrioni per la ricerca scientifica è sempre netta, ricorda il cardinale, "anche per le staminali". "Ma ciò non vuol dire che non si possano individuare momenti in cui non appare ancora alcun segno di vita umana singolarmente definibile, come l´ovocita allo stadio di due protonuclei. In questo caso mi sembra che la regola del rispetto può coniugarsi con il trattamento tecnico", come il congelamento.
Fecondazione eterologa e fecondazione per single. E´ giusto vietarla per legge? "Sarei prudente, specialmente se penso alle coppie che non possono ricorrere alla fecondazione artificiale normale", spiega il cardinale, che a supporto del suo ragionamento porta ad esempio anche "le varie forme di adozione e di affido dove al di là del patrimonio genetico è possibile instaurare un vero rapporto affettivo ed educativo con chi non è genitore nel senso fisico del termine". Una scelta ancora più comprensibile, "là dove si tratta di decidere della sorte di embrioni destinati a perire e la cui inserzione nel seno di una donna, anche single, sembrerebbe preferibile alla pura e semplice distruzione".
Embrioni congelati esistenti. Cosa fare? E´ giusto abbandonarli e condannarli a morte sicura? "E´ eticamente più significativo propendere per quella soluzione che permette a una vita di espandersi piuttosto che lasciarla morire. Ma comprendo che non tutti saranno di questo parere. Solamente vorrei evitare che ci si scontrasse sulla base di principi astratti e generali".
Adozioni per single. I bambini abbandonati hanno diritto ad una famiglia composta da un uomo e da una donna. "Ma è chiaro che anche altre persone - puntualizza Martini - al limite anche i single, potrebbero dare di fatto alcune garanzie essenziali. Non mi chiuderei perciò ad una sola possibilità, ma lascerei ai responsabili vedere qual è la migliore soluzione per un bambino o una bambina".
Aborto. "Bisogna fare tutto quanto è possibile e ragionevole per difendere la vita umana, ma ciò non toglie che si possa e si debba riflettere sulle situazioni molto complesse e diversificate. Ma è anche importante riconoscere che la prosecuzione della vita umana fisica non è di per sé il principio primo e assoluto. L´aborto è sempre qualcosa di drammatico che non può in nessun modo essere considerato come un rimedio per la sovrappopolazione come avviene in certi paesi. Naturalmente non intendo comprendere in questo giudizio anche quelle situazioni limite, dolorosissime anch´esse e forse rare, ma che possono presentarsi di fatto nel caso in cui un feto minaccia gravemente la vita della madre... ma in ogni caso va rispettata ogni persona che, magari dopo molta riflessione e sofferenza, in casi estremi segue la sua coscienza, anche se si decide per qualche cosa che io non mi sento di approvare".
Aids. "Bisogna fare tutto per contrastare l´aids. In certe situazioni l´uso del profilattico può costituire il male minore. C´è poi la situazione particolare di sposi uno dei quali è affetto da aids. Costui è obbligato a proteggere l´altro partner e questi pure deve potersi proteggere".
Eutanasia. "Non si può mai approvare il gesto di chi induce la morte di altri, in particolare se è un medico. Neppure io, tuttavia, vorrei condannare le persone che compiono un simile gesto su richiesta di una persona ridotta agli estremi e per puro sentimento di altruismo, come pure quelli che in condizioni fisiche e psichiche disastrose lo chiedono per sé".
Tra le prime reazioni positive alle posizioni del cardinale Martini, gli apprezzamenti di due addetti ai lavori, l´immunologo Fernando Aiuti e il presidente del comitato nazionale di bioetica Francesco D´Agostino. Per Aiuti, "l´apertura al condom è un importante passo per la lotta all´aids, ma vorrei conoscere la posizione del Vaticano su questo tema". D´Agostino apprezza, invece, "il discorso dell´adottabilità aperto anche alle donne single".

La leggenda della «maggioranza assoluta al Senato»

di Gian Antonio Stella - Corsera

Dopo quella del purosangue Cigar che fece cilecca con 31 cavalle o di J.L. Roundtree che rapinò la National Bank di Pensacola a 88 anni di età, è nata un'altra leggenda: la destra ha preso la maggioranza assoluta dei voti al Senato con milioni di voti in più.
Come sia germogliata, la notte di lunedì 10 aprile, si sa. A un certo punto, nel caos di exit-polls travolti dai numeri veri, arrivò una notizia che pareva certa: alla faccia delle prime proiezioni, il Polo a Palazzo Madama aveva fatto il sorpasso. «La Cdl contesta che il centrosinistra abbia vinto le elezioni», tuonò trionfante Paolo Bonaiuti, «Abbiamo il Senato con oltre il 50% e 350 mila voti di differenza». Mancavano 4 minuti alle tre di mattina, il mondo della politica era stravolto, i rovesciamenti d'umore si abbattevano ora sugli uni, ora sugli altri.
Fin qui, ok: in quel casino... Il giorno dopo, però, è già tutto chiaro: basta andare sul sito del Viminale (http://politiche.interno.it) dove, ai piedi della schermata sul Palazzo Madama, dove spicca la vittoria della destra per un totale di 17.153.256 voti (pari al 50,21%) contro i 16.725.077 della sinistra, sta vistosamente scritto: «Sono escluse dal riepilogo le regioni Valle d'Aosta e Trentino Alto Adige». Contate le quali il totale dei voti della CdL sale, con le liste minori collegate, a 17.367.081 ma il vantaggio sull'Unione cala da 428 a 225 mila voti e la percentuale scende al 49,89%. Non basta: contando anche gli italiani all'estero, il margine sulla sinistra cala ancora fino a 141.116 voti (0,39% di distacco) e la percentuale al 49,62%.
Una vittoria non nettissima, ma più larga di quella parallela dell'Unione alla Camera. Più che sufficiente, tra persone serie, per consentire alla destra di dire: fatti salvi i meccanismi elettorali, voi avete più voti da una parte e noi dall'altra.
Macché, qui viene il bello: la destra sceglie, a dispetto dei numeri del «suo» ministro degli Interni, di insistere, insistere, insistere. E creare su questa «maggioranza assoluta» un mito che ha lo spessore della bolla di sapone da 32 metri gonfiata nell'agosto 1996 da Alan McKey a Wellington, in Nuova Zelanda.
A dare il via è Berlusconi. Che convoca i giornalisti il giorno dopo lo spoglio e denunciando «brogli assolutamente unidirezionali», sentenzia: «Oggi nessuno può dire di avere vinto. Al Senato abbiamo la maggioranza assoluta dei voti». Va da sé che da quel momento parte la corsa a dar ragione al capo. Per giorni e giorni. Fino a far dubitare che si tratti solo di un candido errore dovuto a un'informazione sbagliata.
«Non si può non tener conto del fatto che al Senato abbiamo la maggioranza assoluta dei voti», spiega Maurizio Gasparri. «Alla luce dei dati ufficiali avremmo al governo una Unione che non ha la maggioranza del 50% in nessuno dei rami del Parlamento, mentre paradossalmente all'opposizione ci sarebbe una coalizione che invece ha al Senato la maggioranza assoluta dei voti. Un dato che dimostra in maniera palese che la maggioranza degli italiani vuole a palazzo Chigi ancora Berlusconi, autentico vincitore morale», concorda Renato Schifani.
«Più della metà del Paese al Senato ha votato per Berlusconi e la CdL», ammonisce Sandro Bondi. «Doveva essere la Caporetto di Berlusconi e se, al fotofinish, non è divenuta la sua Vittorio Veneto, poco ci è mancato», gongola Cesare Campa: «La CdL ha avuto la maggioranza assoluta dei voti al Senato». Emiddio Novi, della Commissione di Vigilanza, è furente: «È incomprensibile perché la Rai e tutto il sistema mediatico non abbiano preso atto di un dato inconfutabile: l'unica coalizione che ha ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi in queste elezioni è la Cdl, che al Senato ha superato lo sbarramento del 50%». Antonio Tomassini s'indigna per «la sfrontatezza di chi, con arroganza, millanta di aver vinto ed una piccola manciata di voti di differenza generata da brogli, imbrogli e irregolarità» quando «la somma totale dei voti data da oltre metà dei cittadini sancisce la nostra vittoria che, ancora una volta, cercano di rubare». «L'Italia è un Paese spaccato in due», spiega Isabella Bertolini, «Anzi: più del 50% dei cittadini ha scelto Berlusconi presidente e la Cdl, come dimostrano gli oltre 400mila voti in più per il centrodestra ottenuti al Senato».
Macché 400 mila: «430», scrive Campa. No: «450», rialza Bondi. Di più, lo corregge a «Matrix» Niccolò Ghedini: «Quasi mezzo milione». E no, precisa Ignazio La Russa togliendo il "quasi": «La sinistra al Senato ha mezzo milione di voti in meno». E la leggenda cresce e cresce manco fosse quella che, di steppa in steppa, creò il mito del Prete Gianni. Fino a far dire a Letizia Moratti, ospite di Daria Bignardi, una cosa ancora più gonfia della sua nuova cotonata: «Due milioni di voti in più!». Al che, in un vecchio carosello, entrava una voce fuori campo: cala cala Trinchetto!

19.4.06

Le larghe offese di Berlusconi
di Marco Travaglio (L'Unità)

Ma certo, le «larghe intese»: come non averci pensato prima? Un «governissimo», o almeno un «tavolo» per «dialogare su tutto». Dal Quirinale all’economia, dalla politica estera alle riforme, a cominciare -si capisce- dalla giustizia e dal conflitto d’interessi. L’idea, lanciata dal Cavaliere un minuto dopo aver perso le elezioni (senza mai riconoscerlo), è eccellente. Lui ci lavora da tempo. Sono anni che il premier uscente (si spera) si produce in sforzi immani per riportare un po’ di balsamica concordia nell’arroventato clima politico.
Già il 25 marzo ’94, vigilia delle sue prime elezioni, rassicurava: «Se la sinistra andrà al governo controllerà la stampa, la tv e l'economia attraverso i processi, le prigioni e l’esilio». Quando poi Bossi rovesciò il suo governo, pretendeva le elezioni anticipate anche se in Parlamento la maggioranza era contraria. E, visto che Scalfaro obbediva al Parlamento, gli diede del «golpista». Nel 1995, quando a dispetto degli exit poll dell'amico Luigi Crespi perse le elezioni regionali, riconobbe sportivamente la sconfitta: «Gli elettori si sono sbagliati: erano giusti gli exit poll». E, per le politiche del ‘96, rilasciò una dichiarazione distensiva: «Siamo sicuri che, se vince l’Ulivo, ci faranno ancora votare?». Anche Previti rassicurò gl’italiani: «Stavolta non faremo prigionieri». Non bastò. E il Cavaliere, con squisito spirito istituzionale, si congratulò con Romano Prodi: «I professionisti della sinistra ci han sottratto un milione e 171 mila schede. La sinistra ha una lunga tradizione di brogli» (col tempo i «voti rubati» divennero «1 milione e 700 mila», ad abundantiam).
Antesignano delle larghe intese, Berlusconi sosteneva che «il governo Prodi si comporta come il governo Mussolini quando chiese i pieni poteri nel 1926, e fu dittatura per vent’anni. L'Italia non è uno Stato democratico, ma uno Stato poliziesco, l'unico in Occidente il cui governo è appoggiato da un partito di estrema sinistra che crede ancora in Marx ed Engels», tant'è che «l’opposizione sta diventando non più un diritto democratico, ma un rischio personale: io rischio la mia vita». Infatti di lì a poco, nell'ottobre ‘98, il partito di Marx ed Engels rovesciò Prodi e al governo arrivò D’Alema con Cossiga e Mastella. E Berlusconi ancora lì a chiedere grandi intese: «Siamo al regime. Una democrazia ferita, senza vera libertà, con l’occupazione dei posti di potere, delle tv, delle aziende del parastato, con i posti di lavoro usati per attirare nuove clientele e l’uso politico della giustizia, le visite della Guardia di Finanza per spaventare chi non accetta di chinare la testa, il controllo della vita privata nostra e dei nostri cari». Nel 2000 D'Alema, novello Stalin, si dimise per aver perso le elezioni regionali. Arrivò il terzo premier rosso, Giuliano Amato. E Berlusconi sempre lì con la mano tesa: «Chiameremo tutti i giorni Amato l’utile idiota a Palazzo Chigi».
Nel 2001, fortunatamente, tornò la democrazia con la vittoria berlusconiana. Ma per poco, perché i brogli delle sinistre ripresero a dopare le elezioni comunali, provinciali, regionali, europee e suppletive, tutte vinte dall’Ulivo. Ma il Cavaliere, stoico, sopportò cristianamente i soprusi e seguitò a invocare il dialogo: «Se la sinistra andasse al governo, questo sarebbe l’esito: miseria, terrore, morte. Come avviene ovunque governi il comunismo» (17-1-05). «In Italia c'è uno Stato parallelo: quello organizzato dalla sinistra nelle scuole e nelle università, nel giornalismo e nelle tv, nei sindacati e nella magistratura, nel Csm e nei Tar, fino alla Consulta. Se si consentirà a questo Stato occulto di unirsi allo Stato palese, avremo in Italia un regime vendicativo e giustizialista» (5-4-05). Una campagna elettorale distensiva quant’altre mai: «La democrazia e la libertà nel nostro Paese non sono ancora garantite perché c’è un’opposizione che ancora sventola nelle sue bandiere i simboli del terrorismo e della tirannide sovietica» (21-11-2005). «C'è un’opposizione illiberale che vorrebbe che noi non votassimo» (22-11-2005). «Dobbiamo fare una colossale operazione verità: spiegare che quelli della sinistra, se andassero al governo, porterebbero il Paese al fallimento, costringerebbero i piccoli imprenditori a chiudere, i produttori di vino a non vendere più bottiglie, almeno negli Stati Uniti, gli industriali della moda alla crisi, il made in Italy a non essere più apprezzato sui mercati... Questa sinistra vorrebbe tanto ricoverarmi: li vedo come si voltano alla Camera per non salutarmi» (25-11-2005). «Quelli della sinistra restano comunisti. Sono da eliminare, se non fisicamente, politicamente» (26-11-05). «Se vince la sinistra, addio democrazia» (13-12-05). «Se vince la sinistra, è per i suoi brogli» (4-4-2006).
Con queste premesse, è naturale che si inizi a lavorare intorno a un governo di larghe intese. Non si contano i leader dell'Unione che il Cavaliere ha gratificato in questi anni della sua stima e del suo apprezzamento. Prodi: «leader d’accatto», «maschera dei comunisti», «utile idiota», «bollito», «poveraccio» che «passava il tempo a svendere aziende pubbliche ai suoi amici». Rosi Bindi: «Lei e Prodi sono come i ladri di Pisa: litigano di giorno per rubare insieme di notte». Francesco Rutelli: «In vita sua, non ha mai varcato la soglia di un posto di lavoro». Walter Veltroni: «coglione» e «miserabile». Fabio Mussi: «un sosia di Hitler». Armando Cossutta: «uno che gestiva bande armate negli anni non lontani del dopoguerra e ha continuato fino a pochi anni fa». E poi D’Alema: «comunista», «stalinista», uno che «non riesce nemmeno a dire il suo nome e cognome per intero, perché due verità di fila lo ucciderebbero» e «usa lo Stato come il garage di sua zia, non è laureato, è stato a Mosca 33 volte e lanciava le molotov», insomma «mi ricorda Benito Mussolini». Per non parlare di Piero Fassino: «complice morale del compagno Pol Pot» e «testimonial ideale delle pompe funebri».
Ecco, come stupirsi per la proposta di un governissimo con i rappresentanti di «milioni di coglioni che votano contro il proprio interesse»? Con gli eredi-complici di chi «nella Cina di Mao bolliva i bambini per concimare le campagne»? Se il Cavaliere non vede l’ora di governare con quei «Prodi, Bertinotti e Rutelli» che solo il 6 aprile, sulla rivista «Pocket», definiva «come la gramigna che infesta tutto ed è difficile da estirpare», come dubitare della sua buona fede? Se Giulio Tremonti non sta più nella pelle di collaborare con Visco e Amato che chiamava «gangster» e con Fassino («aviaria dell’economia» e «uccellaccio del malaugurio»), e se Antonio Martino agogna un dialogo con quell’Unione che un mese fa dipingeva come «una congrega di mascalzoni», come non prenderli sul serio? È una questione di coerenza. «Non si può consentire a chi è stato comunista di andare al governo», aveva giurato il Cavaliere l’11 maggio 2003. Infatti, coerentemente, non glielo consente.

12.4.06

Saving private Prodi

di Vittorio Zucconi - Repubblica.it

Perché gli italiani all'estero non sono più quelli di un tempo

Se tradizione italiana vuole che dopo le elezioni anche il più minuscolo dei partiti ci venga a raccontare che "ha vinto", questa volta possiamo dire con certezza matematica che un partito ha vinto di certo. E questo partito siamo noi, gli Italiani che vivono fuori d'Italia. Con quel voto che ha sorpreso tutti, me compreso che pure dall'estero ho votato, la Sinistra italiana ha avuto la maggioranza al Senato, così garantendo che Silvio Berlusconi e la Destra non potranno, in ogni caso, più essere chiamati a guidare il governo, anche se una verifica delle schede rovesciasse, cosa tecnicamente assai improbabile, quella paper thin majority di voti conquistati da Romano Prodi e dalla Sinistra alla Camera.

Siamo stati noi, dall'estero, a "Save Private Prodi" e se questo sia stato un merito o un disastro dirà il futuro incerto di un'Italia che oggi di tutto ha bisogno altro che di un calvario Florida style, di schede "incinta" o "vergini" come si diceva durante la riconta Bush-Gore. La certezza è la scoperta, sbalorditiva per gli Italiani in Italia e un poco sorprendente anche per noi Italiani fuori d'Italia, che i luoghi comuni su di noi sono antiquati come i servizi delle tv che ancora vanno a cercare gli italiani nelle Little Italys dove non vivono più da tempo e ci allietano con processioni e sagre paesane alla Mario Puzo.

L'Italia oltre l'Italia non è più, e da tempo, quella che Mirko Tremaglia immaginava, sfilando nel giorno di Colombo lungo la Quinta Strada di Manhattan. L'idea che il nostro emigrato e le sue famiglie siano ancora lacrimevoli figure di nostalgici disposti a svenire alla vista dei tre colori e votare chiunque glieli agiti in faccia, si è dimostrata falsa, oppure, per dirla con Mark Twain, grandemente esagerata. L'Italia fuori dall'Italia è, piuttosto, una comunità più raffinata ed evoluta dell'Italia stessa in Italia, perché esposta al confronto con mondi, culture e media diversi. Ci sono tra noi, naturalmente, i nostalgici, i nazionalisti che confondono le apparenze con la sostanza, i prigionieri della guerra fredda, i "rimpiantisti" e hanno il diritto di essere e pensare quello che vogliono.

Ma c'è una nuova Italia, fatta di ricercatori universitari, di piccoli e grandi businessmen, di professionals, di pendolari della nazionalità, di donne che vivono nelle carriere o nelle loro famiglie la coscienza dei propri diritti di cittadine. Queste persone leggono i giornali tedeschi, inglesi, francesi, australiani, giapponesi e americani e per avere notizie dall'Italia si collegano molto più a siti Internet come repubblica. it (grazie a tutti voi che ci avete scritto per ringraziarci) che non alla voce del padrone di turno, a quella Rai International che li offende con una programmazione imbarazzante e paternalistica. Uno strumento così rozzo, antiquato e controproducente da mandare in diretta e poi in differita tutte, dico tutte!, le serate dello straziante Festival di Sanremo, ma incapace di proporre in diretta i dibattiti Prodi-Berlusconi. Quella Rai che posiziona Vespa e Porta a Porta negli orari migliori, sapendo di poter contare sul fido portiere, ma condanna Ballarò, considerata un empio nido di leninisti no global, alla diretta, dunque al primo pomeriggio sul mercato americano, quando gli ascolti sono minimi.

A questa Italia che non vive di sagre di San Gennaro e di sole partite di calcio dal campionato di serie A, delle imposte sulla casa a Milano o sulla garbage collection a Roma, dei Bot, che nessun Italiano all'estero possiede, della Tirsu, la tasse sulla spazzatura, nulla o pochissimo importa. E l'assenza di quel bombardamento televisivo "shock and awe" scatenato dalle reti private dell'ex presidente del Consiglio (suona bene, dirlo, l'ex presidente del Consiglio) non è arrivato nulla, se non di rimbalzo, attraverso i pochi e sempre sarcastici servizi dei grandi media internazionali che ormai trattavano "Don Coglioni", come titolò il Wall Street Journal, con dileggio e aperto disprezzo.

A loro, a noi che abbiamo votato due settimane prima del 9 aprile dunque abbiamo evitato l'assedio finale e spasmodico del Cavaliere "imbavagliato" e dunque ventriloquo visto che parlava comunque dappertutto e sempre, dell'Ici importa poco e quelle leve azionate dalla destra per restare in quota di volo non funzionano. Importa invece lo stato della cultura, della università che ha disseminato i nostri cervelli in giro per il mondo impoverendo l'Italia e arricchendo le nazioni che astutamente li accolgono spesso con belle borse di studio e non li trattano da precari o carne da cannone nella salumeria dei lauree. Importano l'immagine del nostro governo, la dignità di una nazione che vorrebbero, almeno, poter indicare ai propri figli o ai propri nipotini come qualcosa di cui essere orgogliosi per i successi concreti, per la sua civiltà politica, non per le "trasvolate di Balbo" o per la pacche di un Bush talmente impopolare negli Usa da essere ormai evitato come la peste dai suoi stessi colleghi repubblicani in vista delle elezioni 2006. Gente stanca dispiegare ai bambini come di debba tradurre "testicles" nella loro lingua, quando i media citano non un clown un po' grossier, ma un Presidente del Consiglio.

Questi sono emigrati temporanei o definitivi che non hanno paura dei comunisti, ma hanno paura dei consolati, nei quali entrano tremando al pensiero dell'incubo burocratico che li aspetta per le pensioni, le eredità, le procure, i passaporti. Trattati troppo spesso non come ospiti graditi, come padroni di casa quali sono, ma come rompicoglioni (cito un altro nostro ex ministro, Scajola): i maltollerati da funzionari overworked and understaffed, dotati di attrezzature tecnologiche da Regno Sabaudo, con fondi tagliati da un governo che non esita a spendere centinaia di migliaia di euro per un'inutile missione elettorale di Berlusconi a Washington, ma non trova i soldi per un cancelliere, un computer, un impiegato di concetto, una linea telefonica in più.

Non credo che l'Italia fuori dall'Italia sia di sinistra. Il primo voto degli italiani all'estero è stato un voto contro il governo, qualsiasi governo gli fosse capitato tra le dita ed è patetico dire oggi che la destra ha perso perché si sono presentati con manciate di simboli mentre l'Unione era, almeno in Nord America, sola. Se la Destra si è sminuzzata è perché la sua arroganza, la sua certezza, erano totali e credevano di giocarsi tra di loro la partita.

Il voto è stato un grido di rabbia che tanti hanno accumulato contro chi li ha sempre ignorati, al massimo trattati con condiscendenza, con una visita pastorale tra marcette, coccarde, pizze e retorica da "mamma luntana". Se il povero ministro Tremaglia che si aspettava una messe di deputati e senatori di destra e passerà invece alla storia come l'artefice della strombatura di Berlusconi, è un segnale di quanto profonda sia la loro insoddisfazione per il Paese che hanno lasciato, per libera decisione o per necessità e nel quale molti di loro, medici, biologi, fisici, chimici, specialisti di informatica vorrebbero anche tornare, se non temessero di essere trattati da idioti.

Spero che un nuovo governo, quando ci sarà e qualunque esso sia, cambi questa legge elettorale pessima per tutti e francamente ridicola nella suddivisione di collegi che avrebbero, per la loro vastità oceanica e dispersione, spaventato anche italiani come Verazzano o Colombo.

Per adesso, mi accontento di osservare con immensa gioia che il paternalismo alla Mirko Tremaglia e alla sua Rai International è fallito miserevolmente perché non siamo quello credevano che fossimo. E' toccato ancora una volta alla gente venuta dal mare il compito di salvare, se non la democrazia, almeno la faccia dell'Italia.
LA MORTE SI ONORA CON IL SILENZIO
di Massimo Fini
(da "Il gazzettino" del 09/04/2006)

No, non mi convincono affatto le commozioni collettive pubbliche, esibite in diretta Tv, come quelle che si son viste ieri nel Duomo di Parma per i funerali di Tommaso Onofri. Certamente il delitto è stato orrendo, per le modalità e perché non c'è niente di più crudele della violenza fatta su un bambino, innocente per definizione perché non ha avuto ancora il tempo di diventare un uomo. Ma la stragrande maggioranza della gente che affollava ieri il Duomo di Parma e la sua piazza, persone del luogo o venute da fuori, da altre regioni d'Italia, dalla Sicilia e persino dall'estero, non conosceva Tommaso né i suoi genitori né i suoi familiari e non aveva nessuna ragione d'esser lì, invece di raccogliersi, semmai, per un momento, in casa o in ufficio, se non quella di esibire la propria commozione. C'era qualcosa di narcisistico, di esibizionistico, di necroforo e di orribile in quella folla. Conosciamo troppo bene il gusto sottile, morboso e perverso di commuoverci per qualcosa che non ci ha colpiti direttamente per poterci autocompiacere della nostra commozione, per sentirci buoni, puliti, immacolati, diversi. Ma così non è. Come dimostra il fatto che a commuoversi di più, e in modo più plateale, per la morte di Tommaso, sono stati i detenuti di varie carceri d'Italia, cioè dei delinquenti, solo un po' meno delinquenti di Alessi.
Noi siamo molto più vicini al "cuore nero" di Mario Alessi che all'innocenza di Tommaso, come ci piace invece credere esibendo il nostro dolore. Se così non fosse, la vita, soprattutto nella modernità, non sarebbe quella che è. Certo, nessuno di noi - o pochi - ha lo stomaco per uccidere un bambino, ma ha pelo a sufficienza per esercitare, ogni giorno, il proprio egoismo, le proprie piccole violenze e soperchierie quotidiane che, anche se meno efferate, non sono meno vili di quella di Mario Alessi, perché non ci implicano e non ci compromettono in modo evidente, perché sono violenze sotterranee, al dettaglio invece che all'ingrosso come quella fatta in un colpo solo da Alessi. Poi si va al Duomo di Parma per sentirsi puri, buoni, diversi, per identificarsi arbitrariamente con l'innocenza necessitata di Tommaso. Se invece volessimo che la morte di questo bambino abbia un senso è con l'Alessi che è in noi che dovremmo fare i conti, piuttosto che con un'innocenza che è fuori di noi e che è così comodo, così confortevole, così consolante e così smisuratamente ipocrita fare nostra.
Mi è parso troppo dolciastro anche quel passaggio dell'omelia del vescovo di Parma, Cesare Bonicelli, quando, facendo riferimento al sepolcro vuoto di Cristo risorto, ha detto che «la vita vince la morte». Non è così. Per la semplice ragione che la morte è necessaria alla vita, ne è la precondizione. Senza la morte non ci sarebbe nemmeno la vita. Anche se, certamente, a un bambino di diciotto mesi è stato sottratto, dalla brutalità umana, quel tratto di esistenza che i suoi genitori, i soli legittimati al dolore, potevano ragionevolmente attendersi.
Eppoi, quegli applausi. Ripetuti, lunghi, interminabili, autocompiaciuti. La morte si onora col silenzio. Come fece la folla che assistette ai funerali di Fausto Coppi, nel 1960. Una folla modestamente vestita, ma dignitosa, composta, silenziosa, pudica, che interiorizzava le proprie emozioni. Ma quella era un'Italia più semplice, più autentica, più vera, più umana. Quella di oggi, corrotta dalla Televisione e dalla perdita di ogni valore, della compostezza, della dignità, della capacità del silenzio, sa solo esibire ipocrite e autocompiacenti emozioni pubbliche, per poter meglio coltivare, con tranquilla coscienza, i propri vizi privati.

6.4.06

Sparate della Croce Rossa

E' vero che in Afghanistan non c'è la guerra e che gli ospedali di Emergency sono inutili?
Afghanistan - Kabul - 06.4.2006
[da Peacereporter]

Caro Dottor Strada,
Leggo, ieri sul Corriere della Sera e oggi sul magazine, i pensieri di Alberto Cairo, che a Kabul gestisce per conto della Croce Rossa Internazionale un centro protesi, rispetto ad Emergency e alla situazione afgana.
Cairo, dopo aver sparato ad alzo zero contro i progetti di cooperazione internazionale (in particolare italiana) afferma che Emergency ha ospedali chirurgici che curano le ferite di guerra. Ma la guerra è finita, e di ospedali che curano le stesse cose ce ne sono altri quindici.
Ora, visto che ho sempre pensato che il dottor Cairo fosse persona sensata, vorrei sapere che cosa lei abbia da dire: la guerra è finita? Leggendo PeaceReporter e anche altri giornali non parrebbe.
E' vero che ci sono tanti altri ospedali come quello di Emergency che dunque sarebbe inutile?
La ringrazio per l'attenzione e per il tempo che vorrà concedermi.
Francesca


Abbiamo ricevuto alcune lettere simili sulla questione, abbiamo scelto Francesca in rappresentanza dei lettori che ci hanno scritto. La risposta di Gino Strada, che sappiamo essere stata mandata anche al Corriere della Sera, è arrivata stamane, molto lunga e molto comprensibilmente arrabbiata. E vista l'urgenza della questione, data tra l'altro dal fatto che la lettera è stata mandata ad altri giornali che ne pubblicheranno solo stralci, abbiamo deciso di uscire oggi e non di aspettare martedì

(Maso Notarianni)


Mi fanno conoscere da Milano, la sorprendente intervista ad Alberto Cairo, «il medico italiano da 16 anni in Afganistan», uscita su Magazine.
Chissà perché i giornali si ostinano a definire Alberto Cairo un medico, e chissà perché Alberto Cairo regolarmente non smentisce? Sa anche lui di non esserlo, è dottore in legge, di professione fisioterapista.
Così, dopo aver appreso che l’oppio-2006 «sarà una grande annata, senz’altro il migliore raccolto dal ’99», il fisioterapista italiano spazia sul mondo: dalla droga a Karzaj, dagli aiuti umanitari a Maurizio Scelli. Ne ha per tutti.
«La gente comincia a non fidarsi più del simbolo della Croce Rossa». Che scoop! Se ne è accorto, con anni di ritardo, anche Alberto Cairo, che tra l’altro per la Croce Rossa lavora, anzi per l’Icrc, il nucleo originario ginevrino del movimento della Croce Rossa.

Noi, sfortunatamente, ce ne rendiamo conto da molto tempo. E ci rendiamo conto che «la gente», anche qui in Afganistan e non solo in Iraq, ha perfettamente ragione a non fidarsi.
Ai tempi della occupazione sovietica, i responsabili dell’Icrc definivano i mujaheddin «la resistenza afgana» (vi sono centinaia di rapporti e documenti con questa definizione), ma ai tempi della occupazione americana (e italiana!) quelli che combattono le forze occupanti sono tutti chiamati da Cairo «talebani», semplicemente. Alla faccia della «neutralità», uno dei sacri e sbandierati principi dell’Icrc. «E gli americani sono cinque anni che li combattono» precisa il fisioterapista.
Verissimo. Da cinque anni in Afganistan vi sono scontri, attentati, assassinii, rapimenti, sparizioni, torture, bombardamenti. Direi che la parola «guerra» descriva bene la situazione.

Invece no, almeno secondo Cairo, che non perde l’occasione – per lui un vero hobby – di lanciare frecciate ad Emergency. Io sarei «bravissimo a farmi pubblicità»: grazie, me ne compiaccio.
Ma poi, per dare sostanza alla calunnia, precisa «i suoi ospedali curano le ferite di guerra. Ma la guerra è finita».
Gli ospedali, naturalmente sono quelli di Emergency e non i miei. Strana però questa guerra, nella visione di Cairo: un po’ c’è, un po’ no, si combatte ma è finita, si spara ma non ci sono feriti... Ho l’impressione che se Emergency decidesse di aprire un reparto ustionati il dottor Cairo direbbe che il fuoco non scotta. Problemi suoi.

Quando nel 2000 Emergency decise di aprire il Centro di Kabul per curare le vittime di guerra, l’Icrc insorse. Protestarono con l’ambasciata italiana a Islamabad (quella di Kabul era chiusa), con il Ministero della sanità a Kabul (talebano), con la delegazione italiana all’Onu a Ginevra.
Protestarono perché si apriva un ospedale: perché pensano di detenere in esclusiva - lo pensano davvero! – il diritto di decidere quando un ospedale serve e quando no, se è bene o male che ci sia.
In quella occasione, e fu anche l’ultima, Alberto Cairo visitò la sede di Emergency a Milano.
Venne a spiegarci che «quell’ospedale per vittime di guerra non serviva», che i bisogni erano «coperti da loro», cioè dall’Icrc.
Intendeva ben altro, ma non poteva dirlo.
Avrebbe dovuto dire che il Comitato Internazionale della Croce Rossa aveva ricevuto in passato, e continuava a ricevere, una grande quantità di milioni di dollari all’anno – soprattutto da vari governi – per curare i feriti di guerra in Afganistan. Voleva dire che chiunque avesse aperto un nuovo Centro – magari un ospedale pulito, efficiente, di alto livello – poteva fare ombra (e far calare i dollari e gli yen) alla mitica Icrc e al «suo ospedale» a Kabul: quello di Karteh-Seh, che ben conosco.
Lo visitai nell’aprile del 2000: una sorta di immondezzaio dove le pazienti-donne stavano chiuse in una prigione con un chiavistello e la guardia davanti, a impedire visite a chiunque, medici compresi.
Chiuse a chiave e guardate (non a vista, naturalmente) dai talebani, in un ospedale sostenuto dalla Croce Rossa. In questo modo erano «coperti» i bisogni. Da loro.

Emergency ha aperto il Centro di Kabul (che ha fatto seguito al Centro di Anabah e ha preceduto quello di Lashkargah) perché ce n’era bisogno. Nel 2001, epoca talebana.
L’ unico ospedale nel Paese, ancora oggi, dove i feriti non spendono nulla per essere curati.
In cinque anni, quell’ospedale «inutile» ha curato 40.890 pazienti, ricoverati o trattati ambulatorialmente, ed eseguito 12.173 interventi chirurgici. Senza distinzione, neanche di genere. Le donne hanno potuto essere curate e hanno potuto lavorare, curare altri, senza chiavistelli né burqa, in un ambiente ospitale non discriminante.
Quell’ospedale «inutile» è riconosciuto ufficialmente dal Ministero della Sanità afgano come il Centro di eccellenza nazionale per la chirurgia di guerra e traumatologica.
In quel Centro – dotato tra l’altro dell’unico reparto di Rianimazione di tutto il Paese e dell’ unica tomografia computerizzata gratuita per la popolazione - c’è un alto standard di cura e di passione nel lavoro. Anche per questo, oltre che per la sua igiene e in qualche modo la sua “bellezza”, questo ospedale è considerato da tutti il migliore in Afganistan.
Non da Alberto Cairo, ovviamente, che senza averlo mai visitato può comunque proclamare che «di ospedali così ce ne sono almeno altri 15».
Mi piacerebbe davvero.
Avanzerei una proposta, a giornalisti del Corriere o di altre testate. Andate a vederli, gli ospedali segnalati da Alberto Cairo, e scriveteci su, magari immaginandovi di essere voi i pazienti.
Poi, se ne avete voglia, passate a visitare il «Centro Chirurgico per vittime di guerra di Kabul». Qui lo chiamano «Emergency Hospital», qualsiasi cittadino di Kabul ve lo saprebbe indicare. Non servono appuntamenti né preavviso, non abbiamo bisogno di passare un po’ di vernice fresca...
E già che ci siete, chiedete ad Alberto Cairo di farvi visitare, essendone direttore, i «6 ospedali ortopedici della Croce Rossa Internazionale sparsi in tutto l’Afganistan».
Ospedali ortopedici? Neanche l’ombra!
Laboratori per la produzione di protesi sì. Ma che c’entrano con gli ospedali? Se un fisioterapista (con tutto l’affetto per la categoria) diventa “medico”, un centro protesi diventa poi un ospedale ortopedico? Non è “creativa” solo la finanza!
Dimenticavo. Ogni anno, dall’ «ospedale ortopedico» dell’Icrc di Kabul numerosi pazienti, vittime di guerra “a guerra finita”, sono stati inviati al Centro di Emergency perché bisognosi di interventi ortopedici.
Feriti immaginari i nostri o ospedali fantasma i loro?


Finale a sorpresa.
Ho finito da poco di scrivere queste note in risposta ai reiterati attacchi giornalistici (non provocati, come si usa dire) di Alberto Cairo contro Emergency e contro di me, e mi accingo a gustare la pastasciutta serale con il resto del team di Emergency, quando riceviamo la visita - alle venti e trenta di mercoledi 5 aprile - del Capo Delegazione dell’Icrc.
Il numero uno della Croce Rossa Internazionale in Afganistan, Reto Stocker, viene a casa nostra accompagnato dal dottor Alberto Cairo.
Ci spiega che «it has been a big fuck-up», espressione grassoccia equivalente a «una gran stronzata».
Il dottor Cairo ci dice d’essere stato a cena in Italia con amici, tra i quali la giornalista Camilla Baresani, autrice del “servizio”. Chiacchierando nel dopocena – quando, si sa, la lingua è più sciolta... - si spazia da Karzaj a Scelli, dalla droga alle Ong e gli sono scappati quei commenti su Emergency.
Spiega anche, molto dispiaciuto, di avere detto sul nostro lavoro anche altre cose molto carine che la giornalista cattivona e faziosa ha poi «tagliato» dall’intervista travisandone il senso. Che peccato!
Il Capo Delegazione dichiara che questa vicenda è stata un grave errore da parte di Alberto Cairo, e che dall’Icrc hanno anche protestato con la giornalista, oltre che pesantemente redarguito il loro dipendente.
«Sono venuto per porgere ufficialmente le scuse dell’Icrc e per assicurare a Emergency che una cosa del genere non si ripeterà» ha detto Reto Stocker, in presenza di testimoni.
Bene. Ma le calunnie e il danno sono pubblici.
Perché non scrivere queste cose al Corriere, chiedendo una rettifica? Lo abbiamo chiesto ufficialmente. «Io non sono disposto a farlo» ha risposto Cairo.
Prima getta fango su Emergency in centinaia di migliaia di copie – ma le sue parole sono state fraintese, d’altra parte capita anche ai Presidenti del Consiglio! -, poi si rifiuta di scrivere una lettera al giornale per dire come stanno le cose.

Sono in ritardo per la cena. Arrivederci alla prossima.

Gino Strada

5.4.06

Silvio, l'«adorabile gaffeur»

di Gian Antonio Stella - Corriere della Sera

Maledette telecamere. È dura stavolta, per il Cavaliere che sulle telecamere ha costruito una fortuna, smentire d'aver chiamato «coglioni» quelli di sinistra. Ed è dura raccontare di aver parlato «con il sorriso sulle labbra», di averci «scherzato sopra», di aver fatto solo dell’«ironia». Il filmato che lo mostra serio e teso è lì, online, alla portata di tutti gli internauti, al punto da aver costretto anche i tigì più ossequiosi a lasciar perdere l'oscuramento. Ahi ahi, sul più bello che era riuscito a piazzare con l'abolizione dell'Ici un nuovo sogno azzurro...

È la terza volta in pochi mesi, che viene chiamato a spiegare una sortita sbagliata da chi lo accusa di non avere capito la lezione di Strasburgo, quando gli scappò quella sventurata sciocchezza del «kapò» al tedesco Martin Schulz, aggravata dalla spiegazione che «era solo una battuta ironica» dovuta al fatto che «in Italia girano da anni storielle sull’Olocausto perché gli italiani sanno ridere anche di una tragedia». La prima volta spinse 170 mila produttori finlandesi riuniti nell'Mtk a dire che non avrebbero «più comprato vini e olii italiani» perché aveva fatto lo spiritoso dicendo: «Per portare l'authority alimentare a Parma ho rispolverato le mie doti di playboy col presidente finlandese Tarja Halonen». La seconda irritò Pechino dicendo che «nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi». «Purtroppo c’è una generale mancanza di umorismo», sospirò dopo le prime proteste. «Ho fatto una battuta, una ironia discutibile, non ho saputo trattenermi, ma su fatti veri», disse dopo le seconde.

Giuliano Ferrara, che lo vezzeggia come «un adorabile gaffeur », un giorno glielo ha spiegato: «Il fatto è che non vuole proprio imparare il " wording ", l’arte di scegliere le parole giuste, quella parola e nessun’altra, per esprimere nel modo dovuto alla comunità politica le sue intenzioni, le sue idee, le sue decisioni. Per un certo periodo questa è stata anche una sua forza, il crisma dell’antipolitica e della spontaneità contro il gergo professionale della classe dirigente più tradizionale, ma alla lunga, come abbiamo cercato di spiegargli con franchezza ormai fino alla noia, il gioco si fa perverso». Bacchettata finale: «Leggere un testo è meglio che straparlare». Ed è lì che anche gli amici più indulgenti sono perplessi: sarà anche vero, come dice Bonaiuti, che la stessa invettiva incriminata ieri viene quotidianamente scagliata contro il Cavaliere mille volte, su Internet e nelle piazze. Ma lui, come ha ricordato personalmente invitando Diego Della Valle a dargli del «lei» e non del «tu», è il capo del governo. E come ha scritto Ferrara, «più si è importanti, più le parole hanno un peso».

Questo è il punto. Le intercettazioni compiute per i motivi più diversi prima che Berlusconi entrasse in politica sono affari suoi. E la confidenza a Dell’Utri del capodanno 1986 sul bidone tirato a lui e a Craxi da due ragazze del «Drive In» («Poi finisce che non scopiamo più!»), lo sfogo contro i giornalisti del Giornale rei di aver attaccato Nicolazzi («son proprio dei figli di troia») o la promessa all’amico Bettino di mettere in riga Montanelli («se fa le bizze lo prendo a calci in culo») possono al massimo aiutare a capire che privatamente il Cavaliere è meno compunto di come voglia apparire. Niente scandali, per favore: alzi la mano chi con amici al telefono non si è mai fatto scappare una parolaccia o una barzelletta un po’ spinta.

Ma è nella veste di leader della destra italiana che il Cavaliere ha già dato più volte, ahinoi, il cattivo esempio. Come quando alla Camera, negli anni di veleni con la Lega, dopo un voto del Carroccio contro la missione in Albania, sibilò a Luigi Roscia che l’accusava di essere un «inciucione»: «Bravo tu, furbacchione. Bravi tutti. Votare con Rifondazione. Avete proprio delle facce di cazzo!». Per non dire di quando liquidò un giudizio su di lui («dà il meglio solo quando ha un avversario») di Veltroni come «una coglionata». O quando, a Prodi che accusava le sue tivù di proporre modelli di comportamento «agli antipodi dei principi cristiani», rispose: «Mi sono stancato di rispondere alle stronzate».

Su tutto però, nelle cronache birichine di questi anni, resteranno tre momenti. Il primo fu raccontato da un giornalista certo non ostile al Cavaliere, Vittorio Feltri, e confermato parola per parola («Mi risulta sia andata esattamente così») da Cossiga.

Eravamo nel febbraio del 2004, quelli dell’Udc erano incontentabili e lui sbottò con Luca Volonté: «Voi ex democristiani mi avete rotto il cazzo, me lo hai rotto tu e il tuo segretario Follini. Basta con la vecchia politica. Conosco i vostri metodi da irresponsabili. Fate favori di qua e di là e poi raccogliete voti, ma io vi denuncio, non ve la caverete a buon mercato, vi faccio a pezzi. Io le televisioni le so usare e le userò. Chiaro? Mi avete rotto i coglioni».

Altrettanto elegante fu il modo in cui rispose, in una giornata di luglio, alla signora Anna Galli a Rimini. Lei, in mezzo a una piccola folla osannante, lo aveva invitato a «tornarsene a casa», lui ricambiò così: «Lei ha una bella faccia da stronza».

Parole non proprio ortodosse, in bocca a un premier. Come quelle sibilate, pochi giorni fa, a Genova, in risposta a un giovane che urlava «viva Mangano!» con riferimento allo stalliere mafioso di Arcore. Una provocazione che aveva spinto il Cavaliere a tornare sui suoi passi e affrontare il giovanotto così: «Non ti permettere. Io sono una persona perbene. E tu sei solo un coglione». Una volta, a chi gli tirava le orecchie, rispose allargando le braccia: «Lo dico alla romana: quanno ce vo’ ce vo’»

4.4.06

La legge di Silvio (molto ma molto liberamente ispirata alla legge di Murphy)

di Elle Kappa - MicroMega la primavera n.1 marzo 2006

*Silviologia della comunicazione*

*La legge di Silvio*
Se Berlusconi può andare in tv lo farà.

*Osservazione dell'Authority*
Se Berlusconi non può andare in tv, lo farà lo stesso.

*Postilla di Confalonieri*
Se Berlusconi non può andare in tv e ci va lo stesso voglio vedere chi può impedirglielo!

*Postilla di Schifani alla postilla di Confalonieri*
Se Berlusconi non può andare in tv e ci va lo stesso voglio vedere chi è quel comunista che può impedirglielo!

*Corollario di Orwell alla terza legge di Silvio*
Del resto tutte le tv sono sue.

*Puntualizzazione di Bondi*
Anche i giornalisti.

*Principio di Mimun*
Io di più.

*Assioma di Collodi*
Berlusconi andrà in tv tutti i giorni su tutte le reti a tutte le ore per dire che lui odia stare in tv.

*Regola di Bersani sulla tv*
Se le tv andassero a gas, in Italia non ci sarebbero problemi di approvvigionamento.

*Previsione di Schulz*
Quando Berlusconi andrà in tv insulterà tutti.

*Consiglio di Elle*
Prima di insultare qualcuno conta fino a dieci, ti verranno in mente molti più insulti.

*Legge di Fassino sulla numerologia*
Berlusconi deve aver contato fino a mille.

*Legge di Mimun sulle sinergie*
Una falsità ripetuta infinite volte nel corso di un telegiornale diventa una verità.

*Chiosa di Geppetto alla Legge di Mimun sulle sinergie*
Una falsità ripetuta infinite volte nel corso di un telegiornale, diventa il Tg1

*Elogio di McDonald's*
Anch'io mi sono fatto una posizione facendo panini.

*Legge di D'Annunzio*
Memento Auditel Semper

*Regola di Castelli sulla Par Condicio*
La par condicio è una legge come tutte le altre. Dunque perché mai Berlusconi non dovrebbe violarla?

*Legge di McLuhan sui programmi*
Non è necessario avere un programma quando si ha a disposizione l'intero palinsesto.

*Legge di Silvio sui sondaggi*
A mali estremi estreme bugie.

*Teorema cristologico di Pippo Franco*
Berlusconi è uno e trivio.

*Regola di Storace sulla RU-486*
Nel segreto dell'urna Ruini ti assiste

*Principio di funzionamento della legge elettorale*
Chi prende più voti perché ha più soldi per fare spot vince.

*Legge della separazioni delle funzioni*
Ai nemici ci pensa Bush, agli amici ci pensa Cheney.

*Regola di Luntz*
Mente, ed è questo il motivo per cui perderà: gli italiani vogliono un leader che dica la verità.

*Considerazione di Mannheimer*
Qualcuno non ha detto a Luntz la verità sugli italiani.

*Massima aggiornata di Laffitte*
Un malvivente povero è un malvivente, un malvivente premier è un premier.

*Legge di Pareto*
La storia non si ripete mai.

*Estensione di Leopardi*
Gli italiani sì.

*Massima di Tilgher sulle alleanze*
Quando hai finito di raschiare il fondo del barile, inizia con quello delle fogne.

*Legge del Polo sull'impresentabilità*
Se sei impresentabile l'alleanza con qualcuno più impresentabile di te ti renderà presentabile.

*Fenomenologia dell'impresentabilità*
Qualcuno peggio di Berlusconi e Previti non è impresentabile, è un fenomeno.

*Principio di Rasmussen*
La libertà di espressione è sacra.

*Precisazione di Silvio*
In Danimarca.

*Principio di bin Laden sul risparmio energetico*
Limitiamo il consumo dell'illuminismo.

*Seconda legge di Mimun sulle sinergie*
Non basta Calderoli da solo per provocare una strage in Libia.

*Legge di Silvio sulla presa di distanza*
Gli imbecilli, gli ignoranti e gli irresponsabili che mettono a rischio il governo verranno confinati a Lorenzago a riscrivere la Costituzione.

*Principio di Rice*
La tortura non è degna di un paese civile. Per questo Guantanamo sta a Guantanamo.

3.4.06

Arsenio e vecchi merletti

Bananas di Marco Travaglio

Mentre il centrosinistra tafazzeggia fra cunei fiscali e Bot da orbi, il Caimòna escogita quotidianamente, insieme alla consueta raffica di balle, una serie di slogan facili facili, elementari, quasi primordiali, che si conficcano immediatamente nella testa della gente. Lavora giorno e notte. Infaticabile, titanico, onnipresente a raccattare uno per uno i voti che gentilmente i suoi avversari gli regalano, occupa militarmente tutti gli spazi di terra, di mare e di aria. Le tv locali dei posti più sperduti sfornano sue interviste a getto continuo. E così i giornali, dai samiszdat come "Liberal" e "Tempi" (hanno un paio di lettori ciascuno, ma bùttali via) alle riviste ben più diffuse come il mensile "Ricamo Italiano", che nel numero di aprile gli dedica due pagine dense di spunti. Anzitutto una dichiarazione di grande apertura sul ruolo delle donne, dopo le ultime gaffes sulle quote rosa: "La gestualità e il prodotto finito - filosofeggia il Presidente Ricamatore - hanno un sapore di cose antiche perché antica è questa occupazione tutta femminile. Non a caso i romani ripetevano 'donne alla maglia, uomini alla battaglia'". Chissà la Prestigiacomo, che gioia. Ma, più delle risposte, sono notevoli le domande dell'intervistatrice Anna Condemi, al cui confronto La Rosa, Armeni e Palombelli sono tre iene. La più ficcante è questa: "Che lei fosse un collezionista d'arte, un esperto di parchi e un arredatore per hobby lo sapevamo, ma che s'intendesse anche di quest'arte cosiddetta minore e femminilissima è per noi una sorpresa a dir poco entusiasmante! E', questa sua, una sensibilità innata o un gusto forgiato dalla cultura?". Il Caimòna, pur alle corde, non si sottrae: "La cultura del bello è innata. Fa parte delle sensibilità primordiali dell'uomo". Ma la Condemi lo incalza: "L'Italia, in questi ultimi anni, ha fatto molto in tema di 'gusto', con ottimi risultati sia sul fronte dell'occupazione che dell'economia. Non crede che si possa fare un'operazione simile con il ricamo, magari partendo dall'arte della tavola di cui i tovagliati sono un indispensabile e raffinato complemento?". Il premier, molto preparato, estrae il Contratto con le Ricamatrici: "La bontà dei nostri piatti tipici ben si esalta se coniugata con la bellezza dei nostri tovagliati. Non a caso, in occasione di importanti visite ufficiali, ho seguito personalmente i preparativi prestando grande attenzione ai particolari". Segue una lunga dissertazione sull'arte del ricamo, in cui il nostro premier ovviamente eccelle: "Oggi il merletto viene spesso sapientemente accompagnato da un ricamo. E nella bellezza del lenzuolo o della tovaglia da tavola, l'uno non può fare a meno dell'altro. Ecco, mi piace il merletto, ma anche il ricamo". Poi, spiritosone, si concede una battuta delle sue: "Fa eccezione, se mi consente, il punto a croce. Sa, in questi cinque anni ho portato la croce e non ho potuto cantare, nè comunicare le tante riforme varate dal mio governo per migliorare la vita degli italiani. Abbiamo fatto tanto, ma c'è ancora molto da fare, per questo i moderati sceglieranno di andare avanti, verso il futuro".
Ah, i bei tempi in cui lui, Previti e Squillante, fra una causa vinta e un conto in Svizzera, stemperavano la tensione davanti al caminetto con l'ago, il filo e l'uncinetto, mentre nel parco Dell'Utri e Mangano si rilassavano con un po' di sana equitazione! A questo proposito, fra il lusco e il brusco, l'intervistatrice evoca lo "sfilato siciliano",un ricamo particolare con "più di 80 i punti nati dalle mani e dal cuore di molte generazioni di donne", conterranee di ricamatori d'eccezione come Vittorio e Marcello. Bellachioma è commosso, quasi alle lacrime: "Sappiamo bene che molti turisti ripartono dall'Italia portando in valigia un merletto fatto all'uncinetto o al tombolo, o una tovaglia ricamata a mano... La descrizione che lei fa di tante amiche dedite all'arte del ricamo fa venir voglia di saperne di più". A questo punto la giornalista propone di istituzionalizzare per legge la figura delle "maestre d'arte, di ricamo, tombolo e pizzo" con un "titolo ufficiale per poter insegnare la professione ai nostri giovani". Alla parola "pizzo", il Caimòna s'illumina d'immenso: bisogna -dice, tutto emozionato- "tramandare quest' attività di generazione in generazione", agevolando "l'insegnamento di quest'arte antica per evitare che si disperda". Si sa come sono questi giovani senza valori che, in balia del relativismo etico, stanno abbandonando il caro vecchio pizzo. Parole sagge, da pelle d'oca. L'amico stalliere, prematuramente scomparso, sarebbe orgoglioso di lui.

1.4.06

Scudi disumani

Bananas di Marco Travaglio

"Su questi bambini (bolliti in Cina, ndr) ci si scherza su. Come se fosse una barzelletta.Siccome la frase è di Berlusconi, diventa una battuta… Altro che balle. Balle una sega… Berlusconi - ribadisco - ha assolutamente ragione". Queste misurate parole sono tratte dall'editoriale di uno storico prestigioso, che è anche vicedirettore di Libero: Renato Farina. L'editoriale promette bene fin dal titolo: "Ecco le prove: mangiavano i bimbi. Un libro conferma la verità di Berlusconi. E la sinistra, negando, uccide un'altra volta". Lo svolgimento non è da meno. Purtroppo, però, non contiene nemmeno l'ombra di una prova di quel che il Caimòna aveva dichiarato domenica nei suoi delirii napoletani: "Nella Cina di Mao i comunisti non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi". Sul punto, Farina appare un po' confuso. Citando Vasilij Grossman, Roberto Conquest e Martin Amis scrive che sì,è vero quel che dicono alcuni storici sul Corriere: "in Cina ci furono episodi di cannibalismo, ma li causò la carestia". Ma "la carestia fu voluta da Stalin". Ora, per carità, va bene tutto: ma che c'entra la carestia in Cina con Stalin, che al massimo poteva provocare carestie in Urss? E che c'entra il cannibalismo in Cina con i comunisti che, secondo Bellachioma, "non mangiavano i bambini, ma li bollivano per concimare i campi"? O li mangiavano o ne facevano concime: son due cose diverse, bisogna scegliere, o l'una o l'altra. Farina tira fuori dall'archivio la lettera di un missionario su un missionario che morì perseguitato in Cina nel 1951 e fu sepolto nel cimitero cristiano di Huize; poi il cimitero "fu distrutto dai comunisti per avere più spazio da coltivare. Tipico: il terreno risulta così più fertile, concimato dai morti". Davvero terribile. Ma che c'entra con i "bambini bolliti per concimare i campi"?
Anche Filippo Facci, sul Giornale della ditta, insiste. Titolo: "Li mangiano ancora".Svolgimento:"In Corea del Nord ultimamente si sono perpetuati cannibalismi e assassini a scopo alimentare" a causa di "carestie, inondazioni e disperazione". Tutto molto commovente, ma la domanda è sempre quella: che c'entra la Corea con i "bambini bolliti per concimare i campi" in Cina?
Ieri segnalavamo una nuova professione, nata e prosperata in questi ultimi anni all'ombra del Caimòna: quella dello scudo umano a mezzo stampa, sempre pronto a gettarsi a corpo morto sul premier per proteggerlo dalle conseguenze dei suoi delirii. Dimenticavamo Farina e Facci, oggi facciamo ammenda. Anche perché quello dello scudo umano è un mestiere ingrato, pieno di insidie e avaro di gratificazioni. Soprattutto quando il bersaglio da proteggere è il Caimòna, che non sta mai fermo un attimo. Se si accontentasse di dire la sua stronzata quotidiana, lasciando poi fare agli scudi umani, tutto ok. Invece no. Lui cambia idea. Corregge. Rettifica. Smentisce. Fa lo gnorri. Si fraintende. Dice che scherzava. E lo fa sempre un istante dopo che le lingue di corte si son messe in moto: quando gli scudi umani sono già in volo, lanciati a petto nudo al salvamento del capo. Si dimentica sempre di avvertirli. E non è bello. Non è rispettoso del lavoro altrui. L'altroieri, ad esempio, mentre Farina e Facci sudavano le sette camicie ravanando rispettivamente in sacrestia e su Google alla ricerca di qualcosina che giustificasse la supercazzola dei bambini bolliti, lui se n'è uscito tomo tomo cacchio cacchio con una ritrattazione in piena regola: "Beh, sì, ho fatto un'ironia discutibile, non mi sono trattenuto…". Come sarebbe a dire "un' ironia discutibile"? Ma non s'era detto che la sua era una denuncia da storico? Si metta per un attimo nei panni di uno scudo umano. Farina è lì che zampetta sui tasti, tutto sudato ma felice, fulminando la sinistra che "scherza sui bambini bolliti come se fosse una battuta". Poi, la sera, se ne torna a casa tutto contento. Ma mentre il giornale è in stampa, zac!, il Caimòna dice che lui scherzava, per giunta in modo "discutibile". A quel punto lo scudo umano tenta disperatamente di riparare, ma ormai è tardi. Il giornale è già in edicola. Ed è così da anni. Dai tempi del kapò, quando tutti gli scudi umani a disposizione si affannarono a dimostrare che Schulz è il tipico nazista, a intervistare storici pret à porter, a riesumare reduci dei lager cercandone almeno uno che avesse visto il crucco all'opera ad Auschwitz o a Mauthausen; dopodichè un giorno scoprirono dalla sua viva voce che "scherzavo", "non volevo offendere nessuno". Un po' di rispetto per gli scudi umani, cribbio.Sarebbe ora di sincronizzare gli orologi. E,possibilmente,anche le lingue.