26.9.02

VENTI DI GUERRA CONTRO L'IRAQ...



Siamo venuti in possesso del carteggio tra Berlusconi e Bush mentre soffiano i venti di guerra contro l'Iraq.



Caro George,

com'è nel mio costume faccio una precisa scelta di campo e mi schiero al tuo fianco. Hai un nuovo, grande alleato nella difficile guerra contro i terroristi dell'Ira. Fammi sapere quando si comincia e cosa devo portare.
Ciao.

Silvio B.



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Caro Silvio,

grazie per la tua offerta. Purtroppo l'Ira non è tra gli obiettivi: l'Irlanda del Nord è troppo piccola e più di duemila bombe non riusciamo proprio a farcele stare. Ne ho settantacinquemila da smaltire! Sarà per la prossima volta.

George



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Amico George,

ti chiedo scusa, ho fatto confusione coi nomi. È che qua devo fare tutto io: governo, esteri, sport, giustizia, fiori, cucinare...
Volevo dire Iran! Per questa importante battaglia di libertà consentimi di offrirti Esercito, Marina, Aviazione e Guardia di Finanza. Anzi, comincerei da questi ultimi, anche in prima linea. Che ne dici?

Silvio B.



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Caro Silvio,

cos'è questa storia dell'Iran? La C.I.A., che legge tutte le mie lettere prima di me, è andata su tutte le furie. Dice che l'Iran è un obiettivo così segreto che ne sono a conoscenza solo quelli che contano davvero.
Io infatti non ne sapevo niente! Credevo stessimo per attaccare l'Iraq. Attendo spiegazioni.

George



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Giorgino, Giorgetto, Giorgiuzzo,

perdonami ancora. Iran, Iraq, Irac o Irak, di geografia non ci capisco un cazzo. Attacca quello che vuoi, a me preme solo esserti amico. Se non vuoi soldati, meglio. Sai com'è, gli italiani odiano morire in battaglia, preferiscono schiantarsi in autostrada. Ma ti propongo i più entusiasti anchor man per aiutarti a convincere il paese: Mike Bongiorno (che presto farò senatore a vita), Iva Zanicchi, Raimondo Vianello... Scegli chi vuoi.

Silvio B.



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Caro Silvio

lascia perdere. Purtroppo neanch'io di geografia capisco granché. È un'ora che cerco il tuo paese sulla carta geografica e non trovo niente. Sarà che è un po' imprecisa (sono quelle che usiamo per bombardare) ma non mi raccapezzo proprio. Insomma, chi cazzo siete?

George



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Giorgio,

permettimi di colmare questa tua lacuna. Ho già provveduto a inviarti (e già che c'ero anche a tutto il popolo americano) il mio libro "L'Italia che ho in mente", con tanto di carta geografica grande grande, di quelle che usavo da Vespa. Scoprirete che non siamo solo pizza e mafia: oggi siamo pizza, mafia e risotto alla milanese.

P.S.: Sulla cartina vedrai strade, autostrade e ponti bellissimi che purtroppo non ho ancora completato. È che sono incasinato: Nobel, Cirami, Nesta...

A presto

Silvio B.



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Caro Silvio,

questa è l'ultima lettera che ti scrivo. La C.I.A. mi invita a non perdere più tempo con te. Dice che non abbiamo bisogno di niente, né di soldati, né di enciclopedie, né di aspirapolveri. Mi spiace, perché eri simpatico.

P.S.: Scusami anche per non aver capito subito dov'è il tuo importante paese. È che lo cercavo in Sudamerica. Non so perché, ma conoscendoti avevo avuto questa impressione.

George

25.9.02

APPELLO PER LA PACE


"La guerra non ha più senso per il semplice fatto che non si vince più. Per il semplice fatto che anche una guerra vinta non chiude il conflitto che voleva chiudere: lo riapre in forme più nuove e terribili". Padre Ernesto Balducci


Nonostante le numerose contrarietà, dubbi e perplessità espresse anche da importanti alleati, il governo degli Stati Uniti minaccia di attaccare e invadere l¹Iraq - anche in assenza di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell¹Onu- costringendo il mondo intero ad affrontare una nuova durissima crisi. La determinazione dell¹Amministrazione Bush a proseguire sulla via della guerra nonostante il successo diplomatico delle Nazioni Unite che hanno spinto Saddam Hussein ad accettare il ritorno incondizionato degli ispettori, sta seminando inquietudine e insicurezza in tutto il mondo.


Noi sottoscritti, fedeli alla Costituzione Italiana, alla Carta delle Nazioni Unite e al diritto internazionale dei diritti umani che essa ha generato, allarmati per questa terribile prospettiva, chiediamo all¹Italia, all¹Unione Europea, all¹Organizzazione delle Nazioni Unite, a tutte le donne e gli uomini di buona volontà di agire insieme, con determinazione, per scongiurare una nuova devastante carneficina.


La guerra ­e ancor di più la guerra preventiva- è categoricamente vietata dalla Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale. La guerra all¹Iraq sarebbe solo il primo test della nuova dottrina di "guerra preventiva" che prevede azioni militari unilaterali contro tutti coloro, paesi e singoli, che sono sospettati di minacciare gli Stati Uniti e i loro interessi. Il fatto che l¹Amministrazione Bush abbia deciso di abbandonare la dottrina della legittima difesa -prevista dal diritto internazionale- per adottare una strategia così destabilizzante infligge un colpo mortale al diritto, alla pace e alla sicurezza nel mondo. In questo modo, chiunque potrebbe sentirsi autorizzato ad attaccare "preventivamente" un proprio nemico gettando il mondo nell¹anarchia e nel caos. Nessuna risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell¹Onu potrà legittimare una guerra preventiva.


Dobbiamo impedire la guerra contro l¹Iraq perché provocherà molti più problemi di quanti ne vuole risolvere, allontanerà ancora di più la possibilità di mettere fine al drammatico conflitto arabo-israeliano e di costruire una pace giusta e duratura in Medio Oriente che è la vera priorità dell¹Onu e dell¹Europa, indebolirà i cosiddetti regimi arabi moderati bloccandone ogni possibile evoluzione democratica, accrescerà il risentimento contro gli americani e i loro alleati allargando il fossato che separa l¹occidente e il mondo islamico e ci esporrà tutti ­e ancor più noi che viviamo in Italia e in Europa- al rischio di violenze e sconsiderate azioni terroristiche.


Gli attentati dell¹11 settembre 2001 hanno colpito ogni coscienza democratica provocando la condanna ferma, netta e unanime di tutte le donne e gli uomini amanti della pace. Quei drammatici eventi hanno reso ancora più evidente al mondo intero quanto sia diventato urgente mettere un freno al disordine internazionale, rafforzare e non demolire l¹Organizzazione delle Nazioni Unite (unica ³casa comune² di tutti i popoli del mondo), rafforzare la cooperazione internazionale e non l¹unilateralismo dei potenti, promuovere e non ostacolare la nascita della Corte Penale Internazionale, ridurre e non aumentare l¹ingiustizia economica e sociale planetaria, affrontare e non ignorare tutte le minacce globali (ambientali, sociali, alimentari) che incombono sull¹umanità e costruire un nuovo ordine mondiale democratico fondato sul rispetto della vita e sul ripudio della violenza, della guerra e del terrorismo.


Anche per questo noi diciamo che il terrorismo -minaccia per la pace, la libertà e la democrazia- si deve combattere e si può sconfiggere. Anche per questo noi diciamo che il terrorismo si vince promuovendo non la guerra infinita ma la globalizzazione della giustizia, della democrazia e dei diritti umani. Anche per questo noi diciamo no ad una nuova guerra contro l¹Iraq.


Il regime di Saddam Hussein ­come tutti i sistemi dittatoriali- va contrastato dalle Nazioni Unite e dall¹intera comunità internazionale con i numerosi strumenti del diritto, della legalità e della giustizia penale internazionale di cui disponiamo. Basta con le crociate ideologiche. Siamo realisti! In Medio Oriente ci sono già troppe tensioni e conflitti che attendono da lungo tempo di essere sanati.


Guerra vuol dire altre vittime innocenti, stragi, terrore, sangue, sofferenza, angoscia, disperazione, disordine, violenza infinita. Per questo, contro i dispensatori di odio e i predicatori della guerra inevitabile noi ci uniamo a tutti coloro che sono impegnati, dentro e fuori le istituzioni, nella difesa dei diritti umani, nella costruzione della pace e della giustizia nel mondo, nella promozione di un nuovo ordine internazionale democratico per dire: non distruggete l¹Onu! non stracciate la Carta delle Nazioni Unite!


Insieme a tutti coloro che sono impegnati nella costruzione della grande Europa diciamo: questa guerra è un pericolo anche per noi e per i nostri interessi, pone serie minacce alla nostra vita e al nostro futuro immediato. L¹Europa è un progetto di pace e non uno strumento di guerra. Se sarà unita riuscirà a impedire questa nuova tragedia.



Insieme a tutti gli italiani, amanti della pace e della legalità, rispettosi dei valori posti a fondamento della Repubblica diciamo: non stracciate la Costituzione italiana! Non lasciate che il nostro paese venga coinvolto in alcun modo in questa terribile avventura militare.


Insieme al Papa, Giovanni Paolo II, e ai capi di tutte le religioni, rinnoviamo il solenne impegno di pace pronunciato ad Assisi lo scorso 24 gennaio: Mai più violenza! Mai più guerra! Mai più terrorismo!


I tempi sono difficili, ma non ci lasceremo vincere dalla paura, dall¹impotenza o dalla rassegnazione. Riportiamo la pace al centro della politica. Mettiamoci sul piede di pace. Difendiamo insieme i diritti umani e la legalità internazionale.


* * *


Nel rispetto della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale dei diritti umani, garante dei diritti e dei doveri di tutte le persone, i popoli e gli Stati della terra;



nel rispetto della Costituzione che impegna il nostro paese e tutte le sue istituzioni ad operare per la pace e la giustizia nel mondo ("L'Italia ripudia la guerra come mezzo di soluzione delle controversie internazionali"),


chiediamo al Parlamento e al Governo italiano, all'Europa, all'Onu e a tutti i responsabili della politica nazionale e internazionale di:


1. svolgere una incessante opera di mediazione, dialogo e persuasione tesa ad scongiurare l¹avvio di questa nuova disastrosa guerra, senza cedere alla logica dell'ultimatum;

2. negare ogni forma di assenso e di coinvolgimento militare nell'organizzazione di un possibile attacco armato contro l'Iraq;

3. esercitare la necessaria pressione politica sul governo iracheno affinchè non ponga ostacoli alla missione degli ispettori dell'Onu che deve essere altamente rappresentativa e imparziale;

4. mettere fine all'embargo che da dodici anni colpisce mortalmente la popolazione irachena;

5. mettere fine all¹occupazione israeliana dei territori palestinesi, assumere tutte le misure di pressione e sanzione diplomatica ed economica necessarie per fermare l¹escalation della violenza, assicurare la protezione delle popolazioni civili e riavviare il processo di pace (due popoli, due Stati);

6. promuovere la giustizia penale internazionale accelerando l¹insediamento della Corte Penale Internazionale;

7. convocare una Conferenza Onu per l'eliminazione di tutte le armi di distruzione di massa a partire dal Medio Oriente e dal Mediterraneo;

8. affrontare i conflitti e le gravi tensioni che si concentrano in particolar modo nel Mediterraneo con una coerente iniziativa politica, economica e culturale;

9. dare all'Organizzazione delle Nazioni Unite, debitamente democratizzata, gli strumenti necessari per garantire l¹applicazione di tutte le risoluzioni approvate nel rispetto della Carta e del Diritto internazionale dei diritti umani.



Perugia, venerdì 19 settembre ¹02



Prime adesioni: Associazione per la Pace, Francescani del Sacro Convento di Assisi, Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la pace, CGIL, CISL, UIL, ARCI, ACLI, Pax Christi, Emmaus Italia, AGESCI, CIPSI, Legambiente, Lega per i Diritti e la Liberazione dei Popoli, Centro per la pace Forlì/Cesena, Planet, Sondagenova, FIVOL-Fondazione Italiana Volontariato, ICS, Banca Etica, Focsiv, Manitese, Peacelink, Forum permanente del 3° settore, Agenzia per la pace.



Per adesioni: Tavola della Pace, via della Viola 1 (06100) Perugia

Tel. 075/5736890 - fax 075/5739337

e mail: info@perlapace.it - www.tavoladellapace.it

24.9.02

FATEVI UN'OPINIONE SUI PROCESSI DI MILANO


da Il Barbiere della Sera



SPECIALE Pubblichiamo i documenti che la Procura della Repubblica di Milano considera fonti di prova contro Silvio Berlusconi e Cesare Previti. Cosi', tanto per farsi un'idea della questione. Prima parte: da All Iberian al conto Master



L'avvocato di Berlusconi Cesare Previti



Questo pezzo va letto con un po’ di pazienza perche’ è legato ad alcuni documenti che Il Barbiere della Sera pubblica per la prima volta su Internet.



E’ un pezzo che riguarda i processi in corso a Milano nei confronti di Silvio Berlusconi e Cesare Previti, nonché la legge Cirami in discussione in questi giorni alla Camera dei Deputati.



Come sapete, il presidente del Consiglio ha detto che la legge Cirami è una priorità del governo.



La legge, se approvata, consentirebbe all’imputato in un processo, di chiederne lo spostamento di sede, nel caso in cui esista il legittimo sospetto di non serenità d’animo da parte del collegio giudicante.



Presentata la richiesta di trasferimento del processo, il processo medesimo dovrebbe fermarsi in attesa che la Corte di Cassazione emetta il suo giudizio sull’opportunità o meno di spostarlo in un’altra città.



La maggioranza di governo sostiene che si tratta di un elementare principio garantista di civiltà giuridica. L’opposizione ribatte che questa legge serve solo a Silvio Berlusconi e a Cesare Previti per ostacolare i processi di Milano che li vedono imputati.



Per la verità, anche all’interno della maggioranza, piu’ d’ uno (lo stesso senatore Cirami, per esempio) ha ammesso che i processi milanesi non sono estranei alla genesi della sua proposta legislativa.



E’ bene dunque capire con chiarezza di cosa si discute a Milano e quali sono gli elementi che permettono alla Procura della Repubblica di muovere contro Berlusconi e Previti le loro accuse. Capire dunque, quali sono gli indizi che la pubblica accusa considera prove, anzi “fonti di prova”.



Non vorremmo essere importuni, ma crediamo di far cosa utile ai nostri lettori pubblicando i documenti in questione e tentando di ricostruire, con la massima semplicità, la storia.



Va da se’, com’è tradizione al Barbiere della Sera, che chiunque puo’ riprendere i documenti e pubblicarli. Non c’è mica il copyright. Sarebbe carino, da parte di chi riterrà di approfittare dell’occasione, citare la fonte.



Buona lettura.




*****



1) Vediamo un po’. Negli anni ’80, viene fondata una società “off shore” di nome All Iberian. Di chi è questa società? La procura di Milano pensa che appartenga al Gruppo Fininvest di Silvio Berlusconi.



E come fa a dirlo? Bè, qualche indizio effettivamente c’è. La società All Iberian, apre infatti un conto bancario in Svizzera. Berlusconi ha sempre negato di aver a che fare con la All Iberian. Anzi, una volta ha detto anche che il nome della società faceva schifo e che con il suo buon gusto non avrebbe mai accettato di chiamarla cosi’.



Ma nell’atto di apertura del conto, la legge svizzera, in caso di conti fiduciari, richiede che venga dichiarato il vero titolare del conto.



E infatti, proprio in questo documento bancario, si legge che la società All Iberian, fa riferimento al Gruppo Fininvest. A questo punto, date un’occhiata al DOCUMENTO 1



In Inghilterra, poi, il pool dei magistrati milanesi ha sequestrato anche l’atto di fondazione della All Iberian. Il “beneficial owner”, ovvero il proprietario, risulta essere Giancarlo Foscale (che ha firmato i pezzi di carta), cugino di Silvio Berlusconi e allora amministratore delegato della Fininvest.




2) Vabbe’, uno dice, e che c’è di male a fondare una società all’estero? Niente, infatti. Ma ecco che succede qualcosa. Arriva infatti una disposizione alla banca svizzera. Dal conto della All Iberian, dice l’ordine, bisogna spostare un miliardo e 800 milioni di lire su un altro conto, intestato a un certo Polifemo, sulla SBS di Lugano.



La banca risponde: “Cuccurucu’, e chi ce li dà un miliardo e 800 milioni da passare a Polifemo?”.



Nessun problema, risponde l’autore dell’ordine. I fondi saranno messi a disposizione dalla società SILVIO BERLUSCONI FINANZIARIA con sede in Lussemburgo. Ah, be’, in questo caso… La banca esegue, e gira un miliardo e 800 milioni al conto Polifemo.



Conviene qui dare un’occhiata al In Inghilterra, poi, il pool dei magistrati milanesi ha sequestrato anche l’atto di fondazione della All Iberian. Il “beneficial owner”, ovvero il proprietario, risulta essere Giancarlo Foscale (che ha firmato i pezzi di carta), cugino di Silvio Berlusconi e allora amministratore delegato della Fininvest.




2) Vabbe’, uno dice, e che c’è di male a fondare una società all’estero? Niente, infatti. Ma ecco che succede qualcosa. Arriva infatti una disposizione alla banca svizzera. Dal conto della All Iberian, dice l’ordine, bisogna spostare un miliardo e 800 milioni di lire su un altro conto, intestato a un certo Polifemo, sulla SBS di Lugano.



La banca risponde: “Cuccurucu’, e chi ce li dà un miliardo e 800 milioni da passare a Polifemo?”.



Nessun problema, risponde l’autore dell’ordine. I fondi saranno messi a disposizione dalla società SILVIO BERLUSCONI FINANZIARIA con sede in Lussemburgo. Ah, be’, in questo caso… La banca esegue, e gira un miliardo e 800 milioni al conto Polifemo.



Conviene qui dare un’occhiata al DOCUMENTO 2



3) A questo punto dobbiamo capire di chi cavolo è questo conto Polifemo.



La procura di Milano sostiene che anche questo è un conto riconducibile alla Fininvest di Silvio Berlusconi. Ad aprirlo è stato infatti Giuseppino Scabini, allora dirigente della tesoreria del Gruppo Fininvest. Lo conferma lo stesso Scabini nella sua testimonianza. Scabini dice di aver aperto il conto Polifemo su indicazione del suo capo, Gironi. Se lo dice lui, c’è da credergli. Anche perché ha firmato il verbale della sua deposizione.



4) Be’, finora i soldi se la sono cantata e suonata dalla Silvio Berlusconi Finanziaria al conto Polifemo, sempre in qualche modo (almeno cosi’ pare) nell’universo Fininvest.
Ma ecco che d’improvviso, il miliardo e 800 milioni (sempre lo stesso) prende un’altra direzione.



Dal conto Polifemo, le cucuzze, fino all’ultima lira, vengono trasferite su un altro conto. Per la precisione il conto numero H8545 – Mercier, presso la banca Hentsch.



Il conto appartiene all’avvocato Cesare Previti, come egli stesso ha confermato. Aprite qui il DOCUMENTO 3



dove troverete la conferma del trasferimento di denaro.



Breve riepilogo: c’è un miliardo e 800 milioni di lire che dalla Silvio Berlusconi Finanziaria, passando per la All Iberian e per il conto Polifemo, arrivano nella disponibilità di Cesare Previti.



Beato lui, ce ne dava metà a noi e sai che Barbiere facevamo!!!.



Inutile recriminare sul passato. Andiamo avanti.




5) Che ci fa Previti con tutta questa grana?



Con un po’ di soldi si sara’ pagato una pizza e una birra. Ma una parte, 500 milioni, li gira a qualcun altro. Trasferisce infatti questa somma, mezzo miliardo di lire, su un altro conto denominato “PAVONE” con riferimento“Oceano” .



Certo che bisogna spremersi bene la zucca per inventare questi nomi.Aprite pure il DOCUMENTO 4.



Vabbe’. E dunque dal conto Mercier (Previti) mezzo miliardo passa al conto Pavone. E chi è ‘sto Oceano? Oceano è la parolina che viene concordata con la banca per determinare il destinatario dei quattrini.



Grazie allo zelo bancario svizzero si scopre che l’avvocato Attilio Pacifico, amicone di Previti, è il titolare di quel conto.



Anzi, Pacifico chiama in anticipo la banca per annunciare l’arrivo del malloppo. E un funzionario annota diligente: “ha telefonato il signor Pacifico. Dice che sta per arrivare mezzo miliardo sul suo conto Pavone-Oceano: “Mi raccomando!!!”. Aprite il DOCUMENTO 5.



6) Tirate il fiato perche’ siamo alla fine della prima corsa. Dal DOCUMENTO 6, si ricava che i 500 milioni passano dal “Pavone-Oceano” (Attilio Pacifico) al conto Master, che, secondo l’accusa (e secondo la banca SbS) appartiene al giudice romano Filippo Verde.



Per maggior sicurezza controllare il DOCUMENTO 6 Bis



SPECIALE 2. Vi siete ripresi dalla prima puntata? Un bel giro di soldi no? Anzi, un girotondo, si potrebbe dire. Ecco la seconda puntata. La passeggiata di 434.404 dollari dal conto Ferrido al conto Rowena del giudice Renato Squillante



Vi siete ripresi dalla prima puntata? Un bel giro di soldi no? Anzi, un girotondo, si potrebbe dire.



Passiamo alla seconda razione.



Come avete visto “per tabulas”, come direbbe un buon avvocato come Cesare Previti, la Procura della Repubblica di Milano ritiene di poter provare un flusso di soldi che parte dalla società ALL IBERIAN e sarebbe finito su un conto bancario del giudice romano Filippo Verde.



Ma ora esaminiamo altri documenti.



Essi dimostrerebbero, sempre secondo la Procura di Milano, il viaggio di 434.404 dollari americani dalla All Iberian (Gruppo Fininvest) a un conto di un altro giudice romano, Renato Squillante.



Vediamo come.



1) Nella puntata precedente abbiamo raccontato di un conto corrente, denominato Polifemo, aperto in Svizzera (per sua stessa ammissione) dall’allora dirigente della tesoreria Fininvest Giuseppino Scabini. Siamo alla fine degli anni ’80.



Bene, Scabini ha ammesso, nella sua testimonianza, di aver aperto anche un altro conto denominato “Ferrido” . Che sia stato lui ad accendere il conto Ferrido lo afferma anche la banca, il Credito Svizzero di Chiasso. Aprite il DOCUMENTO 7.



Ricorderemo ancora che Giuseppino Scabini ha testimoniato di aver aperto il conto su invito del suo capo in Fininvest, Gironi.



2) “Ferrido” è un conto bello cicciotto.



Tanto da trasferire la simpatica somma di 434 mila 404 dollari sul conto Mercier che già conosciamo. Appartiene a Cesare Previti, avvocato ed ex ministro della Difesa del primo governo Berlusconi.



Lo ha ammesso egli stesso e quindi su questo non c’è discussione. Previti, dunque, incamera 434.404 dollari dal conto Ferrido. Aprite il DOCUMENTO 8.



3) Sono un bel po’ di soldi. Anche qui possiamo chiederci che ci fa Cesare Previti con questa grana sonante.La risposta è: “la gira”.



A chi la gira? Su un altro conto, naturalmente. Qua se non si rimbalzano i quattrini da banca a banca non si divertono. I soldi vanno a finire su un conto che si chiama Rowena (della Società Bancaria Ticinese).



Aprite il DOCUMENTO 9.



Si tratta della lettera con cui al titolare del conto Rowena viene comunicato l’accredito dei dollaroni. Il particolare gustoso, in una vicenda per molti versi disgustosa, e' che partono 434.404 dollari e ne arrivano a destinazione 434.404. Precisi come svizzeri. Neanche mezzo si è perso per strada. Quando si dice uomini pieni di scrupolo.



4) Naturalmente, l’ultimo tassello è: di chi è il conto Rowena? La banca presso la quale il conto è stato acceso ha spiegato che apparteneva all’allora capo dell’ufficio istruzione del Tribunale di Roma Renato Squillante.



Alla vigilia dell’intervento della magistratura il conto Rowena registrava un attivo di circa 9 miliardi di lire. Ma subito, uno dei figli di Squillante si è presentato agli sportelli della banca, e se n’è andato con il malloppo in contanti.



Squillante ha sempre dichiarato che i soldi sono frutto di azzeccate speculazioni di borsa. Il giudice è stato in passato membro della Consob, la commissione di controllo sulle attività borsistiche, quella, per capirsi, che vigila contro l’insider trading.



Roba da pazzi.



Cari amici, grazie di aver letto fin qui. Crediamo di aver reso un servizio utile a tutti coloro che desiderano farsi un’opinione sui processi di Milano che vedono alla sbarra Silvio Berlusconi e Cesare Previti.



E anche a quei parlamentari che si accingono a votare la proposta di legge del senatore Melchiorre Cirami.

9.9.02

DIFENDIAMO IL DIRITTO DI DISSENTIRE


di Marco Tarchi




Cari amici,
alcuni di voi avranno letto l'editoriale del "Corriere della Sera" di ieri in cui Piero Ostellino, con toni di un'insultante grossolanità di cui sino a qualche mese fa non lo avrei creduto capace e con l'uso di accenni psicologico/psichiatrici che non dispiacerebbero ai nostalgici dei regimi totalitari, ha dato un ulteriore giro di vite alla censura verso chiunque non sottoscriva i dogmi dell'ideologia occidentalista che domina nei sedicenti "paesi liberi".

Oggi Pierluigi Battista, sul "Foglio", si pone in scia (rincarare la dose sarebbe stato piuttosto difficile), con un duro attacco al libro La paura e l'arroganza curato da Franco Cardini, appena uscito per i tipi di Laterza, in cui, come sapete, sono inclusi anche un intervento a mia firma e uno di Alain de Benoist.

Gli argomenti polemici non hanno niente di nuovo, sono gli stessi con cui la quasi totalità dei media ci bombarda da anni, e soprattutto da un anno; quello che colpisce è, anche questo caso, il tono, di assoluta insensibilità al dubbio, alle ragioni altrui, alla riflessione critica.


Come potete immaginare, non me ne stupisco affatto: ho denunciato già nel 1996 l'incombente rischio di una dittatura del pensiero di segno ideologico liberale; non faccio altro, ora, che constatare che non mi ero sbagliato. Dovrei, anzi, assieme a tutti coloro che conservano il gusto dell'indipendenza mentale, rallegrarmi delle prove che questi custodi della nuova ortodossia ci offrono per renderci conto che il fanatismo liberale ha davvero ben poco da invidiare agli integralismi di altro segno.

Non posso però non considerare con tristezza che oggi nessun quotidiano "indipendente", nessuna rete televisiva o radiofonica, consente a chi ha idee diverse dai guru dell'American Dream di replicare argomentatamente ai loro punti di vista.

L'allineamento dei mezzi di comunicazione alle parole d'ordine degli ambienti "che contano" è arrivato a punte esasperanti. Si può tutt'al più mandare in circolazione una rivista o un libro destinati a capitare fra le mani di pochissime migliaia di persone, ma oltre è vietato andare. Sì, a qualche esemplare di una specie di cani sciolti in via di estinzione, tipo Massimo Fini, è consentito sporgersi un po' dalla gabbia, ma il coro del conformismo è assordante.
Per decenni gli adepti dell'ideologia liberale hanno predicato e inveito contro l'esistenza dei tabù; oggi se ne fanno scudo e ne menano vanto.


Va da sé che, davanti alle obiezioni, costoro usano alternativamente due strategie: la manipolazione o l'insulto. A me è capitato di sperimentarle, di recente, entrambe. Quando ho espresso a Paolo Mieli indignazione perché ogni critica alle politiche dello stato di Israele veniva bollata come atto antisemita, ignorandone la sostanza, mi sono visto rimproverare... di dimostrare, con quella mia protesta, un pregiudizio antisemita.

Quando ho pubblicato su "MondOperaio" (grazie a una coraggiosa apertura di Luciano Pellicani) una replica alla propaganda degli "anti-antiamericani" basata su riflessioni e non su slogans, l'ho vista ignorata da tutti, salvo Emanuele Macaluso in un dibattito trasmesso nottetempo da Radio Radicale. Ora, non pretendo certo che a concedere diritto di replica ai dissidenti sia il Corriere della Sera, ormai penosamente avviato a diventare una replica in versione liberalconservatrice de "L'Unità" degli anni Cinquanta (chi pensa che esagero, si faccia una bella collezione degli scritti di certi editorialisti e poi ci rifletta su...); ma che l'intero apparato informativo agisca su questa falsariga, è desolante.


Questo, tuttavia, non vuole essere solo uno sfogo. E' anche un invito a non cedere, comunque. E' ovvio che le sfuriate dei fanatici dell'occidentalismo liberale faranno danni, intimidiranno, indurranno chi ha meno difese psicologiche a zittirsi. Ma tenere in vita voci libere è, oggi, un dovere morale. Non credo di avere mai abusato di questa espressione; ma mai come adesso la sento adatta ai tempi.


Per questo, invito tutti voi a leggere e far leggere un libro come La paura e l'arroganza. Impediamo almeno, a chi vince, di stravincere. Rafforziamo il nostro diritto di minoranza discriminata e diffamata a far sentire una voce difforme. Non alziamo bandiera bianca. Non siamo fatti per questo.

Zimbabwe, nell' ex granaio d' Africa l' unica speranza è il treno degli aiuti



Lo Zimbabwe: un Paese fino a cinque anni fa florido, ora rischia di essere distrutto dalla corruzione e dalla carestia




Il supermercato nel centro di Harare è misero. Molti banchi sono vuoti. Non c'è zucchero, non c'è farina, manca il latte.
Nel frigorifero della carne quattro pezzi sembrano in stato di avanzata decomposizione. I prezzi, al contrario, sono altissimi.


Un chilo di pomodori raggrinziti poco più di 2 euro. Jonas, uno dei cassieri, non potrebbe accettare i dollari. Ma fa un cenno con
la bocca,apre un cassetto lentamente mentre con la coda dell'occhio sorveglia i movimenti della guardia sulla porta d'entrata. Afferra con abilità e senza farsi vedere il pezzo da cento, lo nasconde tra le pagine di un vecchio giornale e sorride compiaciuto. Si sente fortunato. In Zimbabwe la moneta americana è rarissima e al mercato nero il pezzo da uno viene pagato 500 dollari locali. In banca per la stesso biglietto verde ti danno quasi dieci volte di meno, 52 zimdollars. Le transazioni private sono vietatissime e le spie sono sempre in agguato. Oggi Jonas ha comprato i dollari a 300.

Un ottimo affare per lui. L'inflazione galoppante sta distruggendo un Paese che fino a 5 anni fa era florido e considerato il granaio della regione. Oggi le cose sono cambiate e l'Onu stima che 600 mila dei 12 milioni di abitanti rischino di morire di fame.

Certo l' anno scorso ci sono state alluvioni seguite da siccità, ma il problema della penuria di cibo - mais bianco, soprattutto, l' alimento più popolare - non è dovuto alle bizze climatiche, ma piuttosto a una gestione scellerata del regime guidato da Robert Mugabe, un uomo che da combattente per la libertà si è trasformato in dispotico tiranno.


Il presidente, violando la costituzione, ha sottratto i latifondi ai bianchi che con 3500 fattorie controllavano il 78 per cento delle terre coltivabili. Una riforma forse comprensibile sul piano della giustizia sociale ma adottata con voracità, violando i diritti umani e nel segno della corruzione più sfrenata. I possidenti, cacciati con prepotenza, non sono stati risarciti e le campagne confiscate sono finite in mano a notabili del regime che le hanno occupate ma non coltivate: non sanno neppure come si fa. L'anno scorso erano state prodotte 330 mila tonnellate di grano.

Quest'anno il raccolto scenderà a 120 mila a causa degli espropri.


In Zimbabwe la carestia non è dunque solo un'emergenza umanitaria, ma un disastro politico esplosivo. Ogni giorno arrivano 6000 tonnellate di mais dal Sudafrica Ma l'Onu ne sta cercando 1,4 milioni entro settembre. L'allarme cibo ha messo ancora di più in evidenza il cinismo del regime. La gente sta per morire ma Mugabe, ha rifiutato il mais americano: «E' trasgenico», ha urlato alla radio.

La crisi alimentare, tra l'altro, è stata causata anche dalla cessione incontrollata delle riserve:
«Avevamo 2 milioni di chili di provviste di mais. Vendute e i soldi spariti - racconta Sam, un ex coltivatore la cui terra è stata confiscata -. Kangai, ex ministro dell'agricoltura, è stato inquisito , ma solo per salvare la faccia: il processo è stato rinviato sine die e lui è libero». Secondo Sam la situazione in Zimbabwe è gravissima anche per il crollo delle strutture, una volta efficientissime: «Nel 1992 c'è stata una seria carestia - denuncia -. Ma le terre dove la produzione era stata normale hanno provveduto a nutrire quelle colpite. Gli aiuti erano portati con sette treni al giorno.

Ora il cibo arriva dall'estero ma ci sono solo sette treni al mese per trasferirlo nelle zone più compromesse».

Secondo alcuni diplomatici ad Harare, un dato significativo prova che l' emergenza è stata provocata dalla cattiva gestione politica (comprese la malversazione e la corruzione). Nell'Africa australe, Sudafrica e Botswana hanno avuto alluvioni e siccità, ma i loro raccolti sono stati eccellenti. Ma sono Paesi gestiti in un modo diverso, dove nessuno si permette di espropriare, senza una politica alternativa, fattorie che vanno a gonfie vele.



Massimo A. Alberizzi malberizzi@corriere. it



Il Paese ZIMBABWE Lo Zimbabwe ha 11 milioni di abitanti: il reddito medio pro capite è di appena 630 dollari all'anno. Quasi un bambino su 10 (8,9%) muore prima di aver compiuto 5 anni e la speranza di vita media è 44 anni. Secondo le stime ufficiali, l'85% della popolazione sa scrivere, ma solo un bambino su due (52%) va oltre l'istruzione elementare

8.9.02

INTERNET VIA RADIO
da Marco Falcone

A qualcuno bene informato lo devo chiedere e, visto che sulla rete non trovo notizie soddisfacenti e/o aggiornate, vediamo se riuscite a darmele voi. Ha che punto è in italia la sperimentazione sull'internet via radio (quella gratis, superveloce, e comletamente free). Dive posso trovare notizie?
MARCO VALSECCHI: UNA NUOVA CORRENTE LETTERARIA
da Alessandro Ceratti

O c'è un grossolano errore o abbiamo individuato in anteprima il precursore di una modernissima corrente letteraria, che, abbandonata carta e penna, fa dell'uso del computer un imprescindile strumento di scrittura. Abbiamo tra noi il primo autore della corrente "Copia e Incolla". E' un giudizio sarcastico e negativo? Non saprei, forse no. Però è vero. Comunque auguro molta fortuna al giovane scrittore, ne avrà bisogno (come sempre accade) molto più che del talento.
P.S. Un'attenta analisi filologica mi ha portato a concludere che il racconto autobiografico è il secondo e non il primo, diversamente da quanto affermato con lo scopo di disorientare il lettore.

7.9.02

Se Son Rose Pungeranno


di Marco Valsecchi



Sintomi unici, la diagnosi è immediata: languore da innamoramento. Uno stato assolutamente incomprensibile, un inciampo improvviso e imprevisto, proprio un attimo prima di fermarsi ad allacciare le scarpe. E’ come il singhiozzo, un mezzo mistero che proviamo a interpretare alla luce dei consigli della nonna.
Prendiamo un soggetto a caso, osserviamolo da vicino, sezioniamo il ticchettio del suo cuore. Camminiamo sulle sue impronte fresche, per gustarci il balletto di chi da un giorno all’altro si trova a piangere sorridendo mentre spinge il suo carrello al supermercato.


La nostra attenzione si avvolgerà intorno a questo bizzarro esemplare d’uomo, che si troverà a lambire un precipizio senza mai staccare la sua testa dalle nuvole.



Chiamiamolo Simone e osserviamone l’aspetto: un’altezza considerevole, abbastanza da farlo considerare temibile se incontrato sulla poltroncina davanti alla nostra in un cinema, un cranio accuratamente rasato coperto da un cappello amichevole, occhiali geometrici, sorriso leggermente arricciato, vestiti comodi e colorati, che ogni mattina salutano con buon umore la signora del secondo piano. Nel complesso un single tardo ventenne, forse un artista, con una pace nello stomaco quasi inattaccabile; uno che può permettersi di entrare in un’edicola fischiettando per comprare l’ultimo volume dei Capolavori della letteratura Universale, un musicista abbastanza bravo da non venirtelo a raccontare.


Ma oggi non riuscirà a suonare, e il suo fischiettare ha lasciato posto a un respiro corto e nervoso mentre passeggia per i giardini pubblici, guardando in trasparenza qualche vecchietto che pastura piccioni. Perché da alcune ore (precisamente quante ne può contenere una notte insonne) nella sua testa (liscia) è entrata Lei, quindi non c’è più posto per altro. Perché Lei è il ricordo di ieri, il desiderio di adesso, la speranza di poi; perché è chiaro che se Lei ha sorriso un motivo deve esserci stato, e il futuro è scoprire quale motivo fosse. Osserviamo che in questo momento la strada perde ogni significato: questi pensieri si possono fare solo girando in tondo. Simone lo sa, e passa per la quarta volta davanti al laghetto delle anatre, parzialmente ghiacciato.


E Lei riappare sulla superficie degli alberi, dell’acqua, delle panchine. Ogni volta è una lieve deformazione della stessa immagine, dello stesso sorriso che sembra possedere più sfumature di quante ne abbia il verde del prato: un momento sembra innamorato, ma poi è subito cinico, imbarazzato, sarcastico, distratto.
Povero Simone, che a ogni passo immagina un diverso futuro, e a ogni sobbalzo gli lancia un urlo il cuore.



E poi è solo un attimo. Giriamo una pagina della vita, niente di più, e Simone cammina ancora sull’erba, ma ora stringe nella sua mano la mano di Lei.
Il futuro è arrivato prima di noi, sorprendendoli abbracciati a cercarsi vicendevolmente conferme negli occhi e a impacchettare sorrisi da regalare agli amici.
E’ una situazione che può farci sorridere, noi che guardiamo questo mondo da dietro un finestrino elettrico, per quanto riesce a essere noiosa: un batti e ribatti di carezze e cenni d’assenso, sguardi d’intesa e parole bisbigliate all’ombra di un orecchio. Ogni scusa è buona per tuffarsi in un mare di zucchero, in un iddilio che solo chi ha dichiarato il suo amore entrando in casa con le pattine può provare a descrivere. Lei parla, Simone conferma, Lei sorride, Simone propone, Lei accetta, Simone è felice, Lei se ne rallegra.


Guardiamoli ancora un po’, come pesci rossi nella boccia sopra alla lavatrice, mentre riservano attenzioni quasi maniacali a questioni che, in un altro momento, in un altro posto, con un’altra persona, scavalcherebbero con un salto a piedi pari. Sono così teneri, mentre ognuno dei due getta sul cammino dell’altro petali di rosa che l’altro non avrà mai l’indelicatezza di calpestare.


Poi, una volta sazi di questo spettacolo, lasciamo che passi del tempo. Quanto? Non importa fintanto che i nostri soggetti rimangono immobili in questo modo. Che sia una settimana o forse sei anni, per noi è uguale: il penultimo giorno non si discosta per nulla dal primo, e la coppia che ci piace osservare sarà ancora lì dove l’avevamo lasciata.



E’ l’ultimo giorno che deve farci paura, quello in cui un vento cattivo soffia via il castello di carte.


E’ come un temporale, ma dall’esito incerto, è un cielo da bordo nero che comincia a brontolare e, prima che si possa trovare un riparo, le spesse gocce fredde sferzano la maglietta troppo leggera che indossavamo con noncuranza. Forse Simone lo sa, ma questo non può aiutarlo; le avvisaglie arrivano troppo rapide e poche parole scatenano un finimondo.


Non sappiamo come sia cominciata, e comunque non ce ne importa molto, fatto sta che ora vediamo il nostro Simone nell’occhio del ciclone. Eccolo lì, impietrito sulla sedia, mentre gli battono addosso violente le parole sovraeccitate di Lei; non fiata, troppo sorpreso e sconvolto, mentre l’inverno, con le tonalità violacee dell’azzurro, si sostituisce all’estate gialla in cui ci eravamo adagiati osservando la coppia e la sua favola.


Lei è un torrente turbinoso di accuse, lui muove le labbra senza emettere suono udibile, tutt’attorno compaiono gli amici, che prima sedevano acquattati come gomitoli di ombre ai bordi della scena, e che ora si affacciano alla ribalta.


E il dramma è un magico, spettacolare ballo circense: l’occhio di bue illumina un Simone rilucente al centro della scena, sbattuto a terra e risollevato come un foglio stropicciato del giornale di ieri dalla voce distorta di Lei, sempre più amara e incomprensibile, ornata con piume di uccello di fuoco; parenti & conoscenti piroettano coreografici scandendo slogan altisonanti: “Non siete fatti l’uno per l’altro” , “Vi state solo facendo del male”, “Bisogna avere il coraggio di dirsi addio”. Il ritmo è coinvolgente, i colori sfrigolano pazzi, odore di frittelle, zucchero filato e calci alla schiena. Povero ragazzo, che sul palco viaggia in controtempo, incapace di stare sulle punte.


L’ultimo passaggio è un fuoco d’artificio, un climax lanciato nel cosmo, che esplode nella luce e poi scompare senza lasciare traccia.



Tutto quello che rimane è Simone, come un appartamento dopo uno sfratto.


Sui suoi occhiali si riflettono diapositive che non ha mai scattato: un concerto di venerdì, un paesaggio visto dal balcone, la verdura che stava ordinata nel frigo, una grigliata assolata. Immagini che sfumano, si confondono, diventano liquide. Squilla il telefono, Simone non risponde, alza lo stereo per coprire i propri pensieri; poi si pente e prepara un’insalata in religioso silenzio. Ancora una volta il tempo è diventato inutile, ha lo stesso suono circolare della marea, rifluisce su se stesso, si attacca alle lancette letargiche della sveglia sul comodino. Comunque passa.



Una mattina Simone si sveglia e la sua vita ricomincia da capo, più o meno da dove l’aveva lasciata quel giorno che era uscito per passeggiare in tondo intorno al laghetto ghiacciato.


Il nostro amico scopre di essere ancora capace di fischiettare, di non volere alcuna sigaretta e di avere parecchie videocassette interessanti impilate sul televisore (e qualche amico con cui guardarle). Esce, gettandosi tra le fauci di una giornata di sole.


Chi lo conosce noterebbe sicuramente che il suo modo di camminare è diventato un po’ più quadrato negli ultimi tempi, meno sincopato, comunque tutti sarebbero concordi nel definirlo in buona forma. Cammina tra tombini e bidoni (al parco preferisce non tornarci subito) con sufficiente sicurezza, sorride al postino in motorino e al dottore con la ventiquattrore; annusa l’aria e si perde un po’. Nei momenti in cui si cresce è necessario sentirsi bambini; l’odore che lo raggiunge scivolando tra i palazzi sembra volerlo riportare indietro di molti dei suoi anni: è uguale a quello che traspirava dalla pineta in riva al mare sul finire di un’estate della sua infanzia. Il buon Simone si rivede adagiato sul sedile posteriore della vecchia auto dei suoi, mentre il mare corre lontano. E’ un momento agrodolce, un clarinetto che fraseggia malinconico tra i chioschi e le zanzare.



Simone entra in un bar, ordina un caffè, scuote la bustina, versa lo zucchero nella tazzina, mescola con il cucchiaino e beve. Con estrema pacatezza.









Se Son Rose Pungeranno

Sintomi unici, la diagnosi è immediata: languore da innamoramento. Uno stato assolutamente incomprensibile, un inciampo improvviso e imprevisto, proprio un attimo prima di fermarsi ad allacciare le scarpe. E’ come il singhiozzo, un mezzo mistero che proviamo a interpretare alla luce dei consigli della nonna.
Prendiamo un soggetto a caso, osserviamolo da vicino, sezioniamo il ticchettio del suo cuore. Camminiamo sulle sue impronte fresche, per gustarci il balletto di chi da un giorno all’altro si trova a piangere sorridendo mentre spinge il suo carrello al supermercato.
La nostra attenzione si avvolgerà intorno a questo bizzarro esemplare d’uomo, che si troverà a lambire un precipizio senza mai staccare la sua testa dalle nuvole.

Chiamiamolo Simone e osserviamone l’aspetto: un’altezza considerevole, abbastanza da farlo considerare temibile se incontrato sulla poltroncina davanti alla nostra in un cinema, un cranio accuratamente rasato coperto da un cappello amichevole, occhiali geometrici, sorriso leggermente arricciato, vestiti comodi e colorati, che ogni mattina salutano con buon umore la signora del secondo piano. Nel complesso un single tardo ventenne, forse un artista, con una pace nello stomaco quasi inattaccabile; uno che può permettersi di entrare in un’edicola fischiettando per comprare l’ultimo volume dei Capolavori della letteratura Universale, un musicista abbastanza bravo da non venirtelo a raccontare.
Ma oggi non riuscirà a suonare, e il suo fischiettare ha lasciato posto a un respiro corto e nervoso mentre passeggia per i giardini pubblici, guardando in trasparenza qualche vecchietto che pastura piccioni. Perché da alcune ore (precisamente quante ne può contenere una notte insonne) nella sua testa (liscia) è entrata Lei, quindi non c’è più posto per altro. Perché Lei è il ricordo di ieri, il desiderio di adesso, la speranza di poi; perché è chiaro che se Lei ha sorriso un motivo deve esserci stato, e il futuro è scoprire quale motivo fosse. Osserviamo che in questo momento la strada perde ogni significato: questi pensieri si possono fare solo girando in tondo. Simone lo sa, e passa per la quarta volta davanti al laghetto delle anatre, parzialmente ghiacciato.
E Lei riappare sulla superficie degli alberi, dell’acqua, delle panchine. Ogni volta è una lieve deformazione della stessa immagine, dello stesso sorriso che sembra possedere più sfumature di quante ne abbia il verde del prato: un momento sembra innamorato, ma poi è subito cinico, imbarazzato, sarcastico, distratto.
Povero Simone, che a ogni passo immagina un diverso futuro, e a ogni sobbalzo gli lancia un urlo il cuore.

E poi è solo un attimo. Giriamo una pagina della vita, niente di più, e Simone cammina ancora sull’erba, ma ora stringe nella sua mano la mano di Lei.
Il futuro è arrivato prima di noi, sorprendendoli abbracciati a cercarsi vicendevolmente conferme negli occhi e a impacchettare sorrisi da regalare agli amici.
E’ una situazione che può farci sorridere, noi che guardiamo questo mondo da dietro un finestrino elettrico, per quanto riesce a essere noiosa: un batti e ribatti di carezze e cenni d’assenso, sguardi d’intesa e parole bisbigliate all’ombra di un orecchio. Ogni scusa è buona per tuffarsi in un mare di zucchero, in un iddilio che solo chi ha dichiarato il suo amore entrando in casa con le pattine può provare a descrivere. Lei parla, Simone conferma, Lei sorride, Simone propone, Lei accetta, Simone è felice, Lei se ne rallegra.
Guardiamoli ancora un po’, come pesci rossi nella boccia sopra alla lavatrice, mentre riservano attenzioni quasi maniacali a questioni che, in un altro momento, in un altro posto, con un’altra persona, scavalcherebbero con un salto a piedi pari. Sono così teneri, mentre ognuno dei due getta sul cammino dell’altro petali di rosa che l’altro non avrà mai l’indelicatezza di calpestare.
Poi, una volta sazi di questo spettacolo, lasciamo che passi del tempo. Quanto? Non importa fintanto che i nostri soggetti rimangono immobili in questo modo. Che sia una settimana o forse sei anni, per noi è uguale: il penultimo giorno non si discosta per nulla dal primo, e la coppia che ci piace osservare sarà ancora lì dove l’avevamo lasciata.

E’ l’ultimo giorno che deve farci paura, quello in cui un vento cattivo soffia via il castello di carte.
E’ come un temporale, ma dall’esito incerto, è un cielo da bordo nero che comincia a brontolare e, prima che si possa trovare un riparo, le spesse gocce fredde sferzano la maglietta troppo leggera che indossavamo con noncuranza. Forse Simone lo sa, ma questo non può aiutarlo; le avvisaglie arrivano troppo rapide e poche parole scatenano un finimondo.
Non sappiamo come sia cominciata, e comunque non ce ne importa molto, fatto sta che ora vediamo il nostro Simone nell’occhio del ciclone. Eccolo lì, impietrito sulla sedia, mentre gli battono addosso violente le parole sovraeccitate di Lei; non fiata, troppo sorpreso e sconvolto, mentre l’inverno, con le tonalità violacee dell’azzurro, si sostituisce all’estate gialla in cui ci eravamo adagiati osservando la coppia e la sua favola.
Lei è un torrente turbinoso di accuse, lui muove le labbra senza emettere suono udibile, tutt’attorno compaiono gli amici, che prima sedevano acquattati come gomitoli di ombre ai bordi della scena, e che ora si affacciano alla ribalta.
E il dramma è un magico, spettacolare ballo circense: l’occhio di bue illumina un Simone rilucente al centro della scena, sbattuto a terra e risollevato come un foglio stropicciato del giornale di ieri dalla voce distorta di Lei, sempre più amara e incomprensibile, ornata con piume di uccello di fuoco; parenti & conoscenti piroettano coreografici scandendo slogan altisonanti: “Non siete fatti l’uno per l’altro” , “Vi state solo facendo del male”, “Bisogna avere il coraggio di dirsi addio”. Il ritmo è coinvolgente, i colori sfrigolano pazzi, odore di frittelle, zucchero filato e calci alla schiena. Povero ragazzo, che sul palco viaggia in controtempo, incapace di stare sulle punte.
L’ultimo passaggio è un fuoco d’artificio, un climax lanciato nel cosmo, che esplode nella luce e poi scompare senza lasciare traccia.

Tutto quello che rimane è Simone, come un appartamento dopo uno sfratto.
Sui suoi occhiali si riflettono diapositive che non ha mai scattato: un concerto di venerdì, un paesaggio visto dal balcone, la verdura che stava ordinata nel frigo, una grigliata assolata. Immagini che sfumano, si confondono, diventano liquide. Squilla il telefono, Simone non risponde, alza lo stereo per coprire i propri pensieri; poi si pente e prepara un’insalata in religioso silenzio. Ancora una volta il tempo è diventato inutile, ha lo stesso suono circolare della marea, rifluisce su se stesso, si attacca alle lancette letargiche della sveglia sul comodino. Comunque passa.

Una mattina Simone si sveglia e la sua vita ricomincia da capo, più o meno da dove l’aveva lasciata quel giorno che era uscito per passeggiare in tondo intorno al laghetto ghiacciato.
Il nostro amico scopre di essere ancora capace di fischiettare, di non volere alcuna sigaretta e di avere parecchie videocassette interessanti impilate sul televisore (e qualche amico con cui guardarle). Esce, gettandosi tra le fauci di una giornata di sole.
Chi lo conosce noterebbe sicuramente che il suo modo di camminare è diventato un po’ più quadrato negli ultimi tempi, meno sincopato, comunque tutti sarebbero concordi nel definirlo in buona forma. Cammina tra tombini e bidoni (al parco preferisce non tornarci subito) con sufficiente sicurezza, sorride al postino in motorino e al dottore con la ventiquattrore; annusa l’aria e si perde un po’. Nei momenti in cui si cresce è necessario sentirsi bambini; l’odore che lo raggiunge scivolando tra i palazzi sembra volerlo riportare indietro di molti dei suoi anni: è uguale a quello che traspirava dalla pineta in riva al mare sul finire di un’estate della sua infanzia. Il buon Simone si rivede adagiato sul sedile posteriore della vecchia auto dei suoi, mentre il mare corre lontano. E’ un momento agrodolce, un clarinetto che fraseggia malinconico tra i chioschi e le zanzare.

Simone entra in un bar, ordina un caffè, scuote la bustina, versa lo zucchero nella tazzina, mescola con il cucchiaino e beve. Con estrema pacatezza.



























Al bar dell’università


di Marco Valsecchi



Facciamo il nostro ingresso, meno trionfale di quello che vorrei. In effetti non c’è alcun motivo per cui il nostro ingresso dovrebbe suscitare particolare attenzione, ma in un bar universitario frequentato principalmente da ragazze non riesco ad entrarci senza desiderare segretamente che tutte inizino a bisbigliare apprezzamenti sulla mia prestanza e sul fascino irresistibile che promana dal mio incedere. E’ semplice masturbazione.



Lo scaffale a specchio dietro il bancone mi riporta alla realtà: due studentacci piegati dalle ore di sonno in costante deficit e da un esame troppo vicino.
Quello con i capelli lunghi e il maglione nepalese sono io: Marco Valsecchi da Lecco (purtroppo residente in un orrido paesino brianzolo di cui non voglio neanche fare il nome), conosciuto ai più (che non sono poi così tanti) come Asse. Aspirante musicista famoso, aspirante poeta, aspirante scrittore, aspirante giornalista, aspirante lìder maximo della Repubblica Comunista di Tobago (un vecchio sogno: tipo rivoluzione cubana ma con molto più sesso). Attualmente studente di Comunicazione, percussionista part-time per un paio di gruppi di belle speranze e single per disperazione.



Quello con la testa rasata e tracce di barba sfatta è Giu (seppe) da Catanzaro, anche lui studente di Comunicazione ma con ambizioni leggermente diverse, probabilmente qualcosa che ha a che fare con il segnare una tripletta contro il Brasile o forse passare i prossimi anni dedicandosi solo a sonno, cibo e perversioni con giovani vergini indifese. E’ il più classico compagno di bevute, di campeggi gastronomici e, in periodi come questo, di angosce pre-esame.



L’attuale conformazione delle nostre occhiaie, il colorito rubizzo dei nostri occhi gentilmente offerto da una tre ore di Economia Politica e il leggero filo di bava da ora di pranzo ci rendono leggermente meno desiderabili di due comparse in un film di Ciprì e Maresco. Veniamo da una mattinata al cui confronto le Malebolge dantesche sembrano un circo –camping per saccopelisti: abbiamo appena abbandonato una lotta impari con un capitolo sulle economie di scala, vessati dai morsi dell’appetito e da uno spleen che solo un ventenne in un freddissimo giorno di primavera può capire.



In effetti ho una fame boia, ordino i panini e mi guardo intorno. Meglio occupare un tavolino prima che arrivi un orda di laureandi affamati come lioncelli. Lascio Giu ad attendere che il tostapane faccia il suo dovere e parto alla conquista dell’agognato bene nell’indifferenza delle graziose compagne sgranocchianti.




La situazione mi appare chiara dopo due secondi, il tempo di focalizzare la topografia della zona e i personaggi che mi circondano. Mi sono seduto su un tavolino che sta attaccato a un suo simile (entrambi liberi), nella parte del bar più lontana dal bancone. Di fronte a me un altro posto-pranzo occupato da una bionda e da uno con la faccia da pirla (vista la mia attuale condizione di uomo solo e frustrato, chiunque sieda con una bionda, fosse anche Rupert Everett, per me ha una faccia da pirla) che fissano con interesse il mio tavolo, dietro di loro ampie finestre danno sul cortile del campus; intorno a noi gente che si fa i beatissimi suoi.



L’elemento chiave si trova davanti a me, leggermente spostato sulla sinistra, circondato da briciole di focaccia: un cellulare che a occhio e croce vale dei bei soldi.
L’arrivo di Giu (con gustose piade vegetariane) completa il quadro: anche lui nota la pietra dello scandalo e assume la più tipica espressione ingolosita, affine a quella della bionda alle sue spalle.



<< Ok, Giu, la situazione è chiara: qualcuno lo ha dimenticato e io mi sono seduto qua mentre i due lì dietro valutavano su come tirarlo su senza attirare l’attenzione>>.
Giu continua a fissarlo, con l’occhio del cobra che striscia alle spalle del sorcio. <>. Mi vedo costretto a farlo riflettere << Aspetta, uno che spende quei soldi per un cellulare lo fa per esibirlo, quindi si accorgerà in fretta di averlo dimenticato, tornerà qui e se lo tiri su i due qua dietro che lo fissano da che sono arrivato faranno le spie>> .



Riflette. << Hai ragione, in università prima o poi ci ribeccano e potrebbero essere cazzi. Però mi girano a lasciare che se lo freghi il pirla qua dietro>>. Non ha colto a pieno la situazione. << Senti Giu, quelli sono messi come noi. Sanno che noi sappiamo, quindi non possono fregarlo. Altrimenti saremmo noi i testimoni del furto>>. Il compagno sogghigna: << E’ il più classico braccio di ferro: il primo che si alza molla il malloppo agli altri>>. E’ una prospettiva avvincente.



Pochi secondi di silenzio, poi il compare di giocoso etilismo prende in mano il telefonino argentato << Cazzo, come si fa a lasciarlo qui? Io rischio e lo frego. Su queste cose non ci rifletto, agisco>>.



Sono sinceramente imbarazzato, come mi capita sempre quando devo fare la signora del secondo piano, ovvero la coscienza razionale di qualcuno. E’ uno dei lati del mio carattere che probabilmente apprezzerò solo tra qualche anno: un super-io che fiuta i rischi anche a grande distanza e mi spinge a razionalizzare quello che gli altri farebbero di getto. L’unico modo che ho trovato per convincermi a fare qualche cazzata è dargli una parvenza artistica, trasformandola in una performance dadaista (adoro le azioni surreali in luogo pubblico), ma non è questo il caso. Mi guardo intorno nervoso. << Giu mollalo, quelli sbirrano>>.



Li guarda, mi guarda. << Ok, li corrompiamo, gli diamo 50 carte e si dimenticano di averci visto>>.



Questa in effetti è un po’ comica. << Dai, è troppo tirata. Poi tanto non lo puoi usare qui in università perché qualcuno prima o poi lo riconosce e te lo fa restituire, così ci smeni le cinquanta carte. Di venderlo non se ne parla, non abbiamo i giri per piazzarlo>>.



Annaspa ma non rinuncia: << Senti Asse, io lo tiro su ed esco, se qualcuno mi ferma gli dico che lo sto portando al bidello della reception >>.



Neanche questa mi convince: << O Giu, tanto poi al bidello non lo porti e sei punto a capo, se i due qua dietro fanno il tuo identikit ci fai una gran figura di merda>>. I due dietro nel frattempo parlottano tra loro, la bionda guarda il telefonino e poi me, con un certo astio. Mi chiedo se i loro discorsi abbiano una profondità tattica e strategica anche solo lontanamente prossima a quella che è propria dei nostri.



L’amico Giu tenta le soluzioni più creative: << Bisognerebbe telefonare a qualcuno e dirgli di venire a prenderlo fingendo che sia suo. Ma non conosco nessuno, a parte me, abbastanza marcio da farlo. E comunque dovrebbe essere qualcuno di esterno all’università, altrimenti la storia non cambia.>>, lo vedo in crisi mentre prosegue: << Merda, non c’è abbastanza tempo. Potrei comunque tirarlo su e tenerlo acceso, se chi l’ ha perso mi chiama posso restituirlo chiedendo una ricompensa>>.



<< Senti Giu, la ricompensa te la danno sulla nuca con un ramo di betulla, lascia stare.>>. Poi però ho un’illuminazione: << Ragiona compare: quest’università è frequentata al settanta per cento da tipe, molte delle quali sono pure parecchio appetibili. Se guardiamo alle statistiche, con tutta probabilità anche il telefono è di una tipella. Freghiamocene dei soldi: proviamo a contattare il numero di casa che ci sarà in rubrica, così la conosciamo, restituiamo l’oggetto smarrito ed entriamo nelle sue grazie>>. Già mi vedo, sul mio cavallo bianco, con un’armatura argentea e il fido scudiero calabro, mentre restituisco l’oggettino a una trepidante principessa.



Il vecchio Giu mi guarda felice: abbiamo trovato il modo di guadagnare qualcosa dalla situazione. Poi armeggia col telefono e si incazza: << Sta roba ha talmente tante funzioni incredibili che è impossibile trovare la rubrica. ‘nculo>>.



Vabbè, siamo vicini alla resa. Aspettiamo cinque minuti l’arrivo spontaneo della tipa che ammirandoci per la nostra onestà ci offrirà tutta se stessa, ma non succede nulla. Nel frattempo i due del tavolo dietro Giu ci guardano sempre più nervosi .



E così ci arrendiamo: abbiamo altre lezioni da seguire, e quel cellulare ci ha onestamente rotto le palle con tutti i problemi che sembra portare. Ci alziamo pronti a lasciarlo lì, consci che finirà preda della sciacalla bionda e del suo amico.



Ma d’improvviso l’imprevisto: arriva il legittimo possessore del bene telefonico. Lasciandoci con un palmo di naso. E’ un ciccione brufoloso, probabilmente del primo anno, che mi dribbla e si tuffa sull’aggeggino metallico, raggiante come un panetto di merda. Inutile dire che i nostri sogni di gloria si sciolgono come una granita a Nairobi. Niente soldi, niente avventura, e soprattutto niente fanciulla ammirata per la nostra onestà.



Cerco di uscirne sportivamente: << Ah, è tuo il telefonino?>>.



Il brufoloso mi sorride: << Eh, sì l’avevo dimenticato>>.



Sorrido anche io: << Pensa, siamo stati qua mezz’ora indecisi su cosa fare. Non sapevamo se portarlo in reception, se provare a rintracciarti o cos’altro>>
Mi guarda con occhi porcini: << Potevi fotterlo, coglione.>>.



Basisco.

6.9.02

LO STUPIDARIO DEL CALCIO



Trasferta francese per il Milan di Nereo Rocco. "Bonjour Monsieur Rocco, mon ami".
E lui: "Mona a mi? Mona a ti e anca testa de gran casso!" (Nereo Rocco)





In allenamento:
Domanda: "Presidente il portiere vuole i guanti nuovi?"
Risposta "Ah no! o li compriamo a tutti o a nessuno!" (Sibilia Presidente Avellino)



Dopo l'infortunio a Lothar Matthaeus... "Direi, forse, senza dubbio, forse che per vincere oggi ci è mancato un uomo, più che un uomo direi un uomo..." (Trapattoni)




I nostri tifosi ci seguiranno dappertutto e con tutti i mezzi a disposizione come pullman, treni e voli charleston" (Massimino Presidente Catania)



"Sacchi ha subito iniziato con allenamenti molto duri: corse la mattina alle sette, piegamenti, genuflessioni..." (Matarrese Pres. FIGC)





"Certamente ci sono creduto che avremmo qualificarci..." (Bellomo Presid. Monopoli)



"Giochiamo in Provenza....in Provenza di cosa?" (Edmeo Luganesi)




"Colpite tutto ciò che si muove a pelo d'erba. Se è il pallone,meglio..." (Nereo Rocco)




"Il mio giocatore era claudicante a un labbro..." (Pippo Marchioro)



"Incredibile occasione fallita da Strunz e adesso nessuno maligni su quel cognome..." (Massimo Marianella)



"Vicini è caduto dal balcone di casa: cose che succedono" (Gianfranco DeLaurentis)





"Quando mia nonna aveva il pisello era mio nonno..." (Gullit)





Un giornalista a Totti riguardo la convocazione in Nazionale:
"Totti carpe diem...".
E Totti : "Lo sai che io non parlo inglese!"



"Quando sento parlare di immagine, penso immediatamente a certi bei limoni che poi, al momento dell'apertura, sono completamente senza sugo." (Trapattoni)



"Ma lei approverebbe che suo figlio sposasse una ragazza nera?"
"Meglio nera che rossonera!" (Peppino Prisco)



"Questa potrebbe davvero essere la scintilla che fa traboccare la goccia..." (Fabio Noaro, telecronista)




"Questa Inter è come un carro armato a vele spiegate" (Altobelli)



"Un pronostico su Ascoli-Milan? Non saprei, non seguo il calcio minore!" (Prisco)




"Mettetevi a coppie di tre..." (Brambati)



"Devo ringraziare i miei genitori, ma in particolare mia madre e mio padre" (Altobelli)





"Cameriere, questo prosciutto sa di pesce! (era salmone affumicato) (Scibilia ex Pres. Avellino)



La vicenda passaporti? E io che ne so? Ieri però ho visto Recoba e gli ho chiesto: ma te ti chiami veramente Recoba? . (Vieri)



Nel calcio di oggi segni un gol e sei un campione, prendi un palo e sei un coglione! (Gigi Simoni)



Dite che con Pancev bisogna avere pazienza perché è macedone?
Sarà...ma io sono della Bovisa e non sono mica un pirla! (Osvaldo Bagnoli)



Francesco Totti in una intervista:
Nome? Francesco;
Cognome? Totti;
Nato? Si.



"Schillaci se n'era andato in penetrazione: su di lui il fallo di Koeman" (Pizzul)




Abbiamo perso sicuramente più per demeriti nostri che per bravitù altrui. (Paramatti)





5.9.02

Ultime notizie per la manifestazione di Roma



Inizio ore 15.00 (bisogna essere a Roma entro le 14.00)

Cinque ore divise tra spettacolo (con concerti di: Roberto Vecchioni, Luca Barbarossa, Avion Travel e chiusura con Fiorella Mannoia e Francesco De Gregori) e politica (interventi di Nanni Moretti, Paolo Flores D'Arcais, Pancho Pardi, Daria Colombo e tanti esponenti della società civile).

Non una contrapposizione, ma il punto di partenza per un nuovo legame con i partiti. E' quanto ha affermato Nanni Moretti nel corso della conferenza stampa di presentazione del girotondo del 14 settembre in piazza del Popolo a Roma. ''C'e' un tempo per piazza Navona e uno per piazza del Popolo. Ora e' il tempo di piazza del Popolo -ha detto Moretti- Sono d'accordo con quanto dice Massimo D'Alema: vanno bene i movimenti ma non bastano. Nonostante i successi manteniamo il senso della realta' e del ridicolo. E non abbiamo mai detto che da una parte sta Berlusconi, dall'altra stanno i girotondi''.

Il giorno dopo il 'gran rifiuto' ai politici, che se saranno in piazza lo faranno in autonomia, Moretti e gli altri organizzatori del Girotondo cercano di non accreditare l'idea di divisioni tra loro e il centrosinistra, rivendicando per se' un carattere di spontanea 'indignazione' di fronte all'attivita' di un governo che ''sta facendo a pezzettini la Costituzione''. ''E' la prima volta - ha detto Moretti- che le persone si organizzano senza mamma e papa', senza partiti ne' sindacati per partecipare a una manifestazione. E questo e' il suo carattere straordinario. Ci auguriamo che quel giorno sia l'inizio di collegamenti piu' forti tra i movimenti e le forze politiche''.

Quanto agli elettori di Forza Italia che dovessero decidere, sabato 14, si scendere in piazza con loro, Moretti e' fermo: ''Non ho mai fatto appello all'elettore 'per bene' di centrodestra perche' sarebbe un discorso razzista. Spero solo che anche loro si rendano conto di cosa sta succedendo al nostro Paese e alle sue istituzioni''.
Un Moretti 'disteso' si e' poi fermato a riflettere su quanto questa sua nuova stagione di impegno politico l'abbia cambiato: ''Se qualcuno mi avesse profetizzato, un anno fa, che da febbraio ad oggi avrei partecipato a tutte queste manifestazioni e organizzato quella del 14, gli avrei dato del pazzo''.

Intanto continuano ad arrivare numerosissime le viste ai siti dei movimenti: www.igirotondi.it e www.centomovimenti.it.

In particolar modo sul sito dei girotondi si può trovare:

- L'appello in 5 lingue

- La mappa dei pullman e dei treni

- La pagina con le ultime informazioni

- Le pagine AUTOSTOP (per chi cerca e offre passaggi) e OSPITALITA' (per chi cerca e offre ospitalità a Roma)

- Come sottoscrivere

- Il Forum utilizzato per discutere di tutti gli argomenti attinanti alla manifestazione

- La possibilità di iscriversi alla newsletter per essere informati in tempo reale.

gianfrancomascia@bobi2001.it

4.9.02

Sinistra, studia e fatica se vuoi fare opposizione




di Piero Ostellino per il Corriere della Sera




Oggi, in Italia, c' è un solo, vero giornale di opposizione. Una opposizione spesso documentata, circostanziata, mirata. Per uno di quei paradossi di cui è ricca la storia politica del nostro Paese è anche il giornale più apertamente schierato a sost egno del governo di centrodestra. Esso, infatti, fa opposizione all' opposizione di sinistra. Con la spietata e feroce meticolosità documentale del topo di biblioteca, scava incessantemente nel passato e nella quotidianità di uomini e partiti della s inistra denunciandone errori e debolezze. Questo giornale è Il Giornale, fondato quasi trent' anni fa da Indro Montanelli. Se l' opposizione di centrosinistra disponesse di un giornale come quello, il cittadino sarebbe utilmente informato degli error i e delle debolezze del governo almeno quanto lo è di quelli dell' opposizione. Invece, la sinistra non ce l' ha. Purtroppo, l' opposizione antigovernativa del giornalismo di sinistra riflette le stesse carenze di quella della sinistra politica. E' u n' opposizione ideologica, generica, retorica, del tipo «piove, governo ladro», che solo raramente entra nel merito dei problemi. Faccio un esempio. Nel corso del dibattito al Senato sul disegno di legge Cirami, che prevede la ricusazione del giudice per «legittimo sospetto» di parzialità, il senatore D' Onofrio della maggioranza di centrodestra aveva accusato l' opposizione di centrosinistra, smontandone punto per punto le argomentazioni, di aver sostenuto il falso. Senza che l' opposizione fos se in grado di respingere l' accusa. In compenso, il senatore Bordon dell' opposizione di centrosinistra, con uno sfoggio di retorica erudizione cui non ricorrono più neppure gli oratori alle colazioni del Rotary, aveva paragonato il presidente Pera a don Abbondio per accusarlo di codardia e di parzialità. Invece di citare semplicemente gli articoli del regolamento parlamentare che Pera avrebbe violato. Roba da far cadere le braccia anche al più convinto sostenitore del centrosinistra. Se i gior nali che fiancheggiano il centrosinistra scrivono che la legge sulle rogatorie faciliterà l' uscita di prigione di migliaia di mafiosi, di spacciatori di droga, e di altri criminali, e poi, alla resa dei conti, non ne risulta uscito nessuno, il solo risultato che l' opposizione di centrosinistra ottiene è di passare per catastrofista nel migliore dei casi, per «contaballe» nel peggiore, e di consentire alla maggioranza di centrodestra di sostenere facilmente che altrettanto accadrà con la legge sul «legittimo sospetto». E così via. Fare opposizione costa innanzitutto fatica. La fatica di documentarsi, di «leggere le carte», di argomentare in modo convincente, empiricamente «verificabile», ciò che si sostiene. Invece, l' espressione più usat a sia dall' opposizione parlamentare, sia da quella giornalistica è «si vuole»: da parte del governo «si vuole» imbavagliare la stampa, «si vuole» mortificare la magistratura, «si vuole»... Si vuole o si imbavaglia, si vuole o si mortifica, in concre to, in modo inconfutabile, qui, ora? Per troppo tempo, molti italiani hanno creduto alla sinistra «sulla parola»: che in Unione Sovietica, forse, non c' era la stessa libertà che c' era da noi, ma almeno gli ospedali funzionavano (il che era falso); che Ho Chi-minh, Castro e persino Pol Pot avevano a cuore la libertà e la felicità dei propri concittadini (il che era altrettanto falso). E così via. Ora, per molti italiani, anche alla luce del passato, è più difficile continuare a crederle «sulla parola». Rinfacciarle i lontani errori sarebbe oggi, oltre che anacronistico, politicamente inutile. Ma ciò non toglie che, per la sinistra e per i suoi fiancheggiatori, il problema rimanga: evitare che le «balle» raccontate in passato pesino sulla s ua credibilità di fare politica adesso, come volentieri le rinfaccia Berlusconi. Ma il solo modo per essere creduta, caro Fassino (forza), è portare costantemente le prove di ciò che sostiene. Studiando, studiando, studiando.

CARO COLLEGA, TI SCRIVO UNA BELLA QUERELA…
OLIVIERO BEHA E CHICCO MENTANA VERSUS SERVENTI LONGHI
SANTORO BOCCIA “LA REPUBBLICA”, PALOMBELLI BOCCIA SANTORO
CAPULLI CONTRO MARRONI, MARRONI CONTRO CAPULLI





Settembre, andiamo: è tempo di incazzarsi, di togliersi sassolini dai mocassini, regolare conti in sospeso. In prima fila, i giornalisti. Le cosiddette Grandi Firme hanno iniziato la nuova stagione 2002-2003 calzando guantoni, tirando calci, mollando terribili capocciate. Il primo a salire sul ring di cartapesta, il segretario della Fnsi (Federazione Nazionale della Stampa), Paolo Serventi Longhi. Che ha sollecitato e rilasciato un’intervista bombastica a Claudio Sabelli Fioretti esplosa su “Sette” (ripresa da Dagospia: CHI E’ L’AMMAZZA-GIORNALISTI? IL CAPO DEI GIORNALISTI ITALIANI. “MINOLI? UN CARRIERISTA; FEDE? UN BUFFONE ; CELLI? UN PO’ STRONZETTO…”).






Il primo a surriscaldarsi è il neo vicedirettore di Rai Sport, Oliviero Beha. Che rilascia all’Adnkronos la seguente dichiarazione: "Pur preferendo da un pezzo la discussione pubblica a quella nella aule di Tribunale, sono costretto a dare mandato di querela nei confronti del segretario della Fnsi, Paolo Serventi Longhi, per l'intervista a quattro cognomi rilasciata a Claudio Sabelli Fiorelli nell'ultimo numero di 'Sette". "Nutro seri dubbi -aggiunge Beha- su buon gusto, opportunità e delicatezza deontologica mostrate dal principale sindacalista di categoria nel dare pagelle ai colleghi, a meno che l'intervista non sia il viatico a delle dimissioni per incompatibilità con l'attuale situazione del giornalismo italiano, a cui forse Serventi Longhi (due volte nomen omen) non pare del tutto estraneo. E comunque definirmi 'voltagabbana, pazzoide e canguro della professione' mi pare esuli dal normale e sacrosanto diritto di critica".



"Ma nelle sue offese -prosegue Beha- certamente intravedo un aspetto positivo: forse, sia pure malsinistro nel lessico, vuole stimolare un dibattito sul servilismo, passato, presenti e magari futuro, che la categoria manifesta come carattere dominante e non recessivo del suo Dna. Se fosse così, dopo le esplicite e pubbliche scuse del caso, potrei forse rivedere gli estremi della querela. Forse. Perchè con i 'voltagabbana, pazzoidi e canguri' non si può mai stare del tutto tranquilli", conclude Beha.




SERVENTI LONGHI: “RIFLETTERO' SULLA RICHIESTA DI BEHA MA NON MI DIMETTO"





A stretto giro di agenzia Adnkronos, arriva la risposta di Serventi Longhi: "Non vorrei replicare ad Oliviero Beha, perchè ho espresso in 4 ore e mezza di intervista a 'Sette' anche alcune opinioni, del tutto personali e non sindacali nè politiche, rispetto ad un andazzo che riguarda per fortuna solo una parte minoritaria dei giornalisti italiani. Comunque, rifletterò sulla sua richiesta di pubbliche scuse". Quindi aggiunge: "Intendo però fugare la preoccupazione di Beha riguardo al fatto che quell'intervista potesse preludere alle mie dimissioni: sono stato eletto dal congresso della Fnsi e solo un nuovo congresso oppure gli organismi della Federazione possono mandarmi a casa. Ma questa non è certo la mia volontà", conclude Serventi Longhi.








MENTANA: IO NON QUERELO



Non fa in tempo a replicare a Beha che si apre un'altra bocca di fuoco. Quella di Enrico Mentana, che invia a Sabelli Fioretti e al direttore di “Sette”, Maria Luisa Agnese, una piccata letterina: "Non mi va di querelare il segretario dei giornalisti italiani per principio. Ma quello che ha detto Paolo Serventi Longhi, oltre che offensivo, è indecente proprio perchè detto da chi guida la Federazione". Chicco continua: "Leggo (con ritardo, ma ero fuori Italia) -scrive Mentana- che il segretario della Fnsi mi giudica 'un ottimo giornalista, per questo il più pericoloso'.

Com'è possibile che un giornalista, ottimo o almeno passabile, sia pericoloso per il capo del sindacato dei giornalisti? Ti confesso che ho dovuto rileggere molte volte questo passo della tua intervista su Sette perché letteralmente non credevo ai miei occhi. 'Giornalista ottimo, quindi pericoloso' lo può dire solo chi ha paura degli effetti del nostro lavoro: un politico ladro, un mafioso, il capo dei servizi deviati".







MA SERVENTI LONGHI DICE COSE INDECENTI



- "Un simile delirio -prosegue il direttore del Tg5- oscura tutte le altre bestialità contenute nell'intervista, che però mi permetto di farti notare:
La prima: come è possibile che io non sia andato a La7 perchè avvertito da Berlusconi di quel che stava per succedere, mentre invece Ferrara ci è andato (lo stesso giorno in cui io ho rinunciato, oltretutto)? E riguardo agli adulatori: attorno a me lavorano Sposini, Corcione, Banfi, Capuozzo, la Buonamici, la Spiezie, Vittorio Testa e tanti altri. Chiamare adulatori o corte i professionisti che operano al Tg5 con ruoli di responsabilità mi pare incredibile in generale, ma che lo faccia il leader della Fnsi e' davvero vergognoso. E del resto si commenta da solo uno che dice che 'Non puoi rimanere in Mediaset direttore di un Tg per tanti anni se non entri nelle cordate'. Non gli viene in mente che forse creare un tg e farne il primo notiziario televisivo d'Italia - nonchè una gallina dalle uova d'oro per la pubblicità - possa essere una motivazione più solida che appartenere a una cordata?'', aggiunge Mentana. "Certo -conclude- Certo, alcuni colleghi (e non solo Fede) mi detestano: ma ti sembra giusto che ad essi si unisca anche il leader del sindacato? Capisco che non ritenga doveroso - nel suo nuovo impeto giacobino - difendere un giornalista direttore. Ma tra difendere e offendere ce ne corre...".







SANTORO: “L'INTERVISTA A 'REPUBBLICA' NON MI RAPPRESENTA. ESERCIZIO DI STILE DELL'AUTORE, UN INSULTO PER TUTTI NOI"





Sempre più nell’occhio della bufera, Michele Santoro. Dopo aver preso un Saccà di botte da Berlusconi, Sciuscià-boy è costretto – paradossalmente - a prendersela anche a sinistra, con il quotidiano numero uno dell’opposizione.

Riferisce all’Adnkronos: "La mia intervista, a firma Antonello Caporale, pubblicata su 'La Repubblica' del 3 settembre non rappresenta il mio pensiero, contiene espressioni inventate di sana pianta ed è da considerarsi un esercizio di stile dell'autore".

Cosi' scrive Michele Santoro al direttore de 'La Repubblica' Ezio Mauro.

"La frase 'grazie a 'Bella Ciao' mi sono salvato il culo per qualche tempo' -scrive ancora il conduttore di Sciuscià- non è stata mai pronunciata e rappresenta un insulto per tutti noi. L'intervista lascia trasparire una mancanza di rispetto per chi, come Rutelli e Fassino, si sta battendo per la difesa della libertà di espressione".

"In realtà -precisa il conduttore di 'Sciuscià'- mi è stata rivolta una precisa domanda: 'Cosa vi dite a cena con Fassino e Rutelli'? Ho risposto che non frequento i politici se non per ragioni di lavoro e ho aggiunto che Rutelli, pur avendo concluso la campagna elettorale al 'Raggio Verde', ha atteso i risultati (secondo Panorama) pranzando con Vespa. Ma la frase 'addentando un toast con Bruno Vespa' è pura invenzione".

Santoro spiega ancora di essersi più volte "raccomandato, nel corso di una interminabile conversazione, di riferire con chiarezza che per 'atti fascisti' intendevo le dichiarazioni bulgare di Berlusconi e non le scelte del consiglio di amministrazione della Rai, come lascia invece intendere il titolo dell'intervista".

Santoro conclude con un interrogativo: "Mi chiedo perchè il pubblico del vostro giornale, che contiene tanti nostri telespettatori, debbe essere trattato in questo modo".






PALOMBELLI: “SANTORO? NON E' UN DRAMMA SE STA FERMO UN PO'…”





Altro giro, altro round. Gong! Sale sul ring Barbara Palombelli. Nel mezzo della presentazione della nuova edizione di "28 Minuti", che tornera' su Radiodue dal 16 settembre dal lunedi al venerdi alle 13, la Palomba spara un gancio al mento di Michele Chi?: "Santoro? Anche se sta fermo una stagione non mi pare un dramma".
E il motivo c’è: "Esiste un mercato giornalistico. Santoro ne fa parte, anzi è una star di questo mercato. Ma esattamente come accade nel calcio, dove anche Ronaldo può stare in panchina o meno, anche Santoro può fermarsi per qualche mese. Io sono un'aziendalista, ho lavorato per la prima volta in Rai nel '76 e sinceramente mi sento più vicina ai tantissimi validi giornalisti che ci sono in Rai e che guadagnano cifre irrisorie in confronto alle star, che ai Lerner e ai Santoro che sono andati avanti e indietro da una emittente all'altra".







"Io personalmente -aggiunge- sono stata epurata sia da destra che da sinistra: nell'87 le mie interviste a 'Domenica In' registravano 10-12 milioni di telespettatori. Eppure quando Mastella decise di cacciarmi presi la cosa con filosofia e mi dedicai ad altro. Più tardi da Raisat mi cacciò l'Ulivo", aggiunge la giornalista, moglie del leader dell'Ulivo, Francesco Rutelli.

Poteva mancare una replica di Mastella? Eccola: «Non mi sono mai sognato di cacciare Barbara Palombelli dalla Rai. Non era nel mio potere e non è nel mio costume».


(Nota personale, in quanto partecipai a quell’edizione di “Domenica in”, diretta da Gianni Boncompagni: Clemente era solo la lunga mano di Ciriaco De Mita che s’incazzò quando la Palombelli intervistò Eugenio Scalfari).









MARIA GRAZIA CAPULLI - TE LA DO’ IO LA PAPERA: QUERELO TUTTI…



Ha ormai preso i contorni di una telenovela la querelle della conduttrice del Tg2 Maria Grazia Capulli. Tutto ha inizio con uno scazzo con il vice direttore del Tg2, Stefano Marroni. Quindi esce un sondaggio nel quale la bionda anchor-woman viene additata come principessa delle papere. Segue un’intervista sul Corriere della Sera del solito Sabelli Fioretti. Il risultato è che la Capulli va dall’avvocato.



Fonte Ansa - Maria Grazia Capulli del Tg2 ha annunciato oggi azioni giudiziarie a tutela della sua reputazione. "L' 11 agosto scorso - si legge in una nota - l' Ansa ha diffuso un comunicato nel quale sono stata presentata come 'regina delle papere' in base a notizie asseritamente diffuse da un'inesistente rivista, 'Marketing e tv'. Questa informazione è assolutamente falsa nonchè ingiustamente lesiva della mia reputazione".
La conduttrice di telegiornale prosegue nella nota annunciando di avere incaricato il suo legale, avvocato Domenico D'Amati, di "agire giudizialmente nei confronti di chi ha diffuso la notizia e degli organi di stampa che l' hanno ripresa".




MA NON E’ FINITA: MARRONI SCRIVE AL CORRIERE…





Ma la telenovela Capulli & Papere, ormai Tg2-horror, non accenna a chiudere i battenti. Ritorna in pista Stefano Marroni – cioè il diretto superiore della Capulli. Il vice direttore di Mauro Mazza legge l’intervista rilasciata a Sabelli Fioretti e scrive una sarcastica letterina al Corriere della Sera: “Caro direttore, evidentemente inappagato dalle informazioni che pure Maria Grazia Capulli non gli nega circa la stima che le viene unanimemente tributata, sui voti riportati all’università e persino su quanto carino - tra gli uomini bellissimi che le hanno fatto la corte - sia stato con lei Robert Redford, Claudio Sabelli Fioretti sollecita addirittura in due passaggi - suppongo a beneficio dei lettori del Corriere - le opinioni della collega su di me. Ringrazio per l’attenzione, anche se francamente non colgo un interesse spasmodico del pubblico nello stabilire una volta per tutte il sesso del fine settimana, e nemmeno per quanto e come, durante un tg, sia opportuno comunicare con il teller - orribile anglicismo, ma tant’è - con il conduttore in studio. Non ho potuto fare a meno di chiedermi se anche al Corriere redattori e inviati si sentano dei manichini quando lei e i suoi collaboratori intervenite a suggerire il non uso di espressioni che giudicate sbagliate e inopportune. In quasi venti anni a Repubblica , non ho mai sentito nessuno sollevare il problema. Ma come appunto certifica Capulli, non sono ancora abituato alla televisione”.
La rissa continua…



(Quello che resta misterioso è capire quando, tra una bega e una querela, un vaffa e un tiè, i nostri principi della penna e della telecamera trovano il tempo di scrivere un pezzo o di registrare un servizio).

BYRON MORENO



MANTA (Ecuador) - «Avete perso anche con la Slovenia, no? Uno a zero, mi pare. E c’era un rigore grande come una casa su Montella. Colpa mia anche stavolta? Forse che l’arbitro era di nuovo quell’ecuadoriano?» Accomodato sulla poltrona sgangherata di un albergo nella cittadina balneare di Manta, Byron Moreno accoglie gli ospiti italiani con una battuta. Si presenta con un sorriso, sfoggiando la divisa d’ordinanza della Fifa, la Federazione mondiale di calcio.
Impeccabile, a suo modo: scarpe, calzettoni, pantaloncini, maglietta. Tutto griffato. Il berretto, invece, lo porta con la visiera all’indietro, come un ragazzino. Giornata di vacanza, l’indomani lo aspetta la partita più importante del campionato ecuadoriano. Ha portato al mare la moglie Corina e le figlie Michelle e Alisson. L’albergo costa 12 dollari al giorno e dall’altra parte della strada la spiaggia sembra un campo sterrato. A tre mesi da quella famosa partita del Mondiale (18 giugno), Moreno non è dimagrito. Resta un po’ sovrappeso. Si lamenta. «Mi avete massacrato. Internet è piena di fotomontaggi con la mia faccia. Sono diventato Biancaneve, Pinocchio, lo Jedi. Per citare soltanto i personaggi meno offensivi. Ma non mi faccio intimidire. Ho la coscienza pulita e non ho cambiato idea su niente».

Tutta Italia ricorda le foto dell’arbitro ecuadoriano mentre sventola il cartellino rosso sulla faccia di Totti. Sguardo sadico, espressione dura. Ma in versione balneare Byron Moreno si rivela una persona mite e simpatica. Affettuosissimo con la moglie. Ogni cinque minuti si alza e la bacia. Si avvicina un gruppo di ammiratori. «Hola Byron!» Pacche sulle spalle e foto ricordo.

«Sì, la mia vita è un po’ cambiata da quel giorno di giugno. Di ritorno dal Mondiale, una folla mi ha accolto all’aeroporto. Adesso tutti mi riconoscono per la strada.
Sono qui a Manta per ricevere un premio come personaggio dell’anno dall’associazione dei giornalisti sportivi dell’Ecuador».

E’ per questa popolarità improvvisa che ha deciso di entrare in politica?

«In realtà la politica mi ha sempre appassionato. Mi candido alle elezioni di ottobre per il consiglio comunale di Quito, la capitale dell'Ecuador. Volete sapere il mio slogan?».

Ci dica...

«Cartellino rosso contro la corruzione e l’inefficienza».

Mica male. Ma torniamo a noi: lei a casa conserva la videocassetta di Italia-Corea del Sud?

«Sicuro. Quella come molte altre».

Quante volte ha rivisto quella partita?

«Tre, forse quattro. E resto della mia opinione. In Italia vi eravate convinti che gli azzurri avessero subìto già diversi torti arbitrali contro Croazia e Messico. Eravate prevenuti. Quindi alcune mie decisioni, assolutamente normali, sono state considerate come affronti alla nazione. Peggio, mi avete addirittura accusato di essere stato comprato».

Byron Moreno non aspetta neppure la domanda. Attacca a parlare di quelle accuse infamanti scaricate su di lui da un giornale giapponese: vacanze da sogno, bella vita, macchina nuova, debiti saldati. Tutto di ritorno dalla Corea. Comincia ad illustrare la contabilità di famiglia. Quanto è costato quel biglietto aereo («niente, l’ho vinto con le miglia»), quel soggiorno americano («ero a casa di mia sorella»), lo shopping («roba che mia moglie vuol vendere qui in Ecuador»), l’albergo a Miami («108,46 dollari per una doppia, vi pare molto?»). E quell’auto di lusso di cui parlava l’articolo è «una Corsa da 10 mila dollari». Più o meno 20 milioni di vecchie lire. «E devo già rivenderla».

Ma quanto guadagna un arbitro in Ecuador?

«La federazione mi paga 160 dollari a partita. In Italia non sarà granché, ma qui nel mio Paese è più che sufficiente per vivere, visto che faccio l’arbitro come unica professione. Poi ci sono le partite internazionali. E arrotondo tenendo corsi di aggiornamento sui regolamenti calcistici. Anche rivolti ai giornalisti. Vivo dignitosamente. Niente di più. Adesso mi posso togliere qualche soddisfazione grazie al compenso Fifa per la Coppa del mondo. Sono in tutto 28.500 dollari. Mi piacerebbe aprire un bar con il karaoke, ma sto cercando soci».

Va bene Moreno, allora mettiamola così, non è stato un po' troppo severo con l’Italia in quella partita?

«No, assolutamente. Ho soltanto applicato il regolamento alla lettera».
Forse lei è un po’ troppo severo in generale. Nelle prime 18 giornate del campionato ecuadoriano è riuscito ad espellere 15 calciatori. Fanno quasi uno per ogni incontro. Poi ha concesso 12 rigori e ha estratto il cartellino giallo mediamente sei volte a partita. Nessuno dei suoi colleghi si avvicina a queste medie.

«Ecco appunto. Io arbitro così. Questo è il mio stile. Non ho mai avuto niente contro l’Italia che è un Paese che amo e che ho visitato. In più al Mondiale ho applicato le ultime raccomandazioni della Fifa. Come quella sulle simulazioni che ha portato all’espulsione di Totti».

Ma andiamo, quell'ammonizione a Coco dopo tre minuti...

«Effettivamente queste sono cose che gli arbitri fanno di proposito per calmare gli animi. E’ un messaggio che si manda ai giocatori. Se il primo fallo pesante fosse stato di un coreano allora avrei ammonito un coreano. E adesso scommetto che mi chiederete del gol annullato a Tommasi».
Ha indovinato.

«Anche lì ho applicato il regolamento. Il guardalinee ha segnalato la posizione irregolare e io ho fischiato».

Quindi nessun errore?

«Nemmeno uno. Ma adesso, a tre mesi da quella partita, io vi chiederei di analizzare in modo più sereno le vere ragioni dell’eliminazione dell’Italia. Io non faccio l’allenatore, ma penso di capirne un po’ di calcio. La vostra nazionale non ha convinto in nessuna partita. E poi perché contro la Corea del Sud Trapattoni ha sostituito Del Piero, che stava giocando bene? Per restare al vostro c.t., ricordate la scena del pugno contro il vetro, ripresa dalle tv dopo l’espulsione di Totti? Aveva rivisto l’azione al replay e si era reso conto che il giocatore aveva simulato il fallo».

Ma al Mondiale non si sono lamentati solo gli italiani. Prendiamo Corea del Sud-Spagna. Anche lì sospetti a non finire. O no?

«Non giudico il lavoro dei colleghi. Quella partita l’hanno vista tutti....».

E' stato il Mondiale degli scandali e dei sospetti. Lei non ha notato nulla di particolare mentre era lì?

«Assolutamente no. Forse la gente non si rende conto: è vero che il calcio ormai è un business miliardario, ma noi arbitri siamo un mondo a parte. Personalmente nella mia carriera non sono mai stato avvicinato. Né in Ecuador, né all’estero. E spero che nessuno mai ci provi. Potrei diventare molto violento. E a chi lancia sospetti sul mio conto dico: fuori le prove. Ho già chiesto una rettifica al giornale giapponese e sono pronto a denunciarlo».

Il tempo è scaduto. La moglie reclama il suo Byron. Ancora il tempo per un paio di foto ricordo con qualche ammiratore.

Un'ultima domanda: ma se verrà eletto alle elezioni di ottobre che cosa le piacerebbe fare?

«Magari l’assessore allo sport. Ho cominciato ad arbitrare nei quartieri poveri di Quito e so che lì c’è molto da fare».