29.4.04

La democrazia universale e i suoi amici
dal libro Sudditi, di Massimo Fini

In Occidente si è convinti che la democrazia e il mercato (le due cose sono oggi considerate più che strettamente legate, inscindibili) siano lo stadio finale del lungo processo politico e istituzionale che ha inizio, in pratica, con la comparsa dell'uomo sulla terra e il suo caratterizzarsi come "animale sociale", che vive in comunità. Quando crollò l'Unione Sovietica, "l'Impero del Male", il politologo americano Francis Fukuyama annunciò al mondo che la Storia era finita1. Poiché la democrazia aveva sconfitto, dopo i nazifascismi, anche il suo ultimo avversario, il comunismo, non c'era più nulla da fare né obbiettivo da perseguire e l'Occidente poteva godersi serenamente il suo trionfo per l'eternità. Per la verità, come si è visto, la Storia non era affatto finita, sotto certi aspetti si potrebbe anzi dire che era appena cominciata e Bin Laden, o chi per lui, avrebbe dovuto togliere ogni dubbio in proposito. Ma Fukuyama e tutti i Fukuyama dell'Occidente non si sono fatti smontare per così poco. Hanno ammesso che effettivamente la Storia non si era chiusa nel 1989, ma hanno spostato più in là il fronte di questa epifania. La Storia finirà quando l'intero pianeta, e non solo l'Occidente, sarà stabilmente democratico e tutte le genti potranno fruire in pace e letizia delle bellurie del libero mercato. È convinzione di ogni progressismo e storicismo, di destra e di sinistra, da Hegel a Marx, che la Storia umana abbia un fine e quindi, dovendo tale fine essere prima o poi raggiunto, anche una fine. All'interno di questa concezione Fukuyama ritiene che esista una Storia universale dell'umanità, valida per tutti i popoli del mondo che sarebbero inevitabilmente e inesorabilmente condotti, dalla ferrea logica di questo disegno finalistico, verso la "Terra Promessa della democrazia", della "diffusione di una cultura generale del consumo", del "capitalismo su base tecnologica"2. Si tratta solo di accelerare questo processo aiutando le popolazio- ni che, per pura maleducazione, non sono ancora democratiche a diventarlo, di dar loro una spinta sulla strada dell'emancipazione, perché l'uomo, se lasciato libero di scegliere, è naturaliter democratico. Dopo l'Homo oeconomicus i liberali si sono inventati anche l'Homo democraticus. Quello di Fukuyama non è un delirio solitario, l'onanismo di un epigono di Hegel, ottuso come tutti gli epigoni. È una follia collettiva. O, quantomeno, une folie à deux. Perché questa è esattamente la "dottrina Bush". Il compito dell'Occidente, oggi, è perciò quello di portare, con le buone o con le cattive, la democrazia là dove non c'è ancora. Si è cominciato col mettere in riga Jugoslavia, Afghanistan e Iraq. E in attesa dei prossimi sviluppi c'è chi pensa, per l'intanto, di trasformare l'Onu, l'organizzazione internazionale che attualmente raccoglie tutti gli Stati sovrani in quanto tali, in un club in cui sia ammesso solo chi ha la patente democratica, in una Community of Democracies, in una Organizzazione mondiale della Democrazia e delle Democrazie, da cui verrebbero esclusi, molto democraticamente, tutti gli altri Stati, cioè tre quarti del pianeta. "Queste Nuove Nazioni Unite" scrivono gli ideologhi della Community of Democracies "avrebbero la legittimità necessaria per reagire credibilmente alle minacce alla pace e alla sicurezza internazionale"3. E siccome un pretesto per accusare uno Stato di costituire una minaccia lo si trova comunque - e se non lo si trova lo si può sempre inventare, come s'è visto nella vicenda irachena - la democrazia sarebbe autorizzata a muover guerra, con buona e tranquilla coscienza, alle dittature, alle autocrazie, alle teocrazie, alle monarchie assolute, alle aristocrazie, alle comunità tribali, tradizionali, feudali e, insomma, a tutto ciò che è "altro". Il fine, naturalmente, è nobilissimo: "globalizzare la democrazia"4. Perché solo allora il Male sarà sconfitto una volta per tutte e trionferà il Bene. Se infatti solo mezzo secolo fa il pragmatico Winston Churchill si limitava a definire la democrazia come "il peggiore dei sistemi, ad eccezione di tutti gli altri", oggi gli idolatri occidentali sono convinti che la democrazia sia il Bene "tout court" e che, come ha scritto il filosofo Gianni Vattimo su un autorevolissimo quotidiano, "il Male è ciò che è contrario alla democrazia"5. E poiché la democrazia ha poco più di due secoli (quella ateniese era tutt'altra cosa e comunque durò poco) ne consegue che per millenni la storia dell'uomo è stata dominata dal Demonio, che peraltro persiste nella sua maligna azione occupando ancora buona parte del globo. È evidente a chiunque, credo, che è proprio questo aggressivo totalitarismo democratico, di cui è vessillifero il più potente e armato Stato del mondo, col suo codazzo di alleati, convinti o coatti, di potentati economici, di mezzi di comunicazione, di intellettuali, a costituire la vera "minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale " e alla libertà dei popoli. Peraltro la cosa non è nuova. Il colonialismo, che si è affermato appieno, e in modo sistematico, nella seconda metà dell'Ottocento, si è svolto, per la massima parte, sotto le bandiere della democrazia. Le dittature europee del Novecento non sono state potenze coloniali che in misura molto limitata. Perché sono arrivate tardi, quando Inghilterra e Francia, madrine della democrazia moderna, si erano già prese i bocconi migliori? La Storia non si fa con il processo alle intenzioni. E, per fare un altro esempio, le dittature sudamericane non sono state per nulla espansioniste. Democrazia e aggressione, democrazia e guerra, democrazia e servaggio, per un paio di secoli, non sono stati termini antitetici, ma, al contrario, quasi sinonimi. E l'America, campione mondiale della democrazia, è l'unico Stato moderno ad aver legittimato e praticato, al proprio interno, la schiavitù, fino al 1865, meno di un secolo e mezzo fa. E non è un caso che la schiavitù, scomparsa in Occidente dall'epoca romana6, sia riapparsa con la cosiddetta scoperta del Nuovo Mondo, con l'affermarsi della classe mercantile e imprenditora (si aveva bisogno di manodopera, in America) e con l'avvento della Rivoluzione industriale (che ha creato la classe di quelli che Nietzsche chiama "gli schiavi salariati" e il marxismo proletariato), tutte precondizioni della nascita della democrazia moderna. Nell'ultimo mezzo secolo, dopo la seconda guerra mondiale, il colonialismo classico era stato colpito da interdetto morale e aveva subito uno stop. Anche perché è stato rimpiazzato col molto più remunerativo e pervasivo colonialismo economico, che in pochi decenni ha disgregato, devastato, distrutto culture millenarie per sostituirle con la nostra nevrosi. Ma almeno formalmente il colonialismo era stato dichiarato tabù e pornografico. Sono passati pochi lustri da quando i francesi lasciavano l'Algeria che, dimentichi di tutti i buoni proponimenti e di tante nobili parole, ab- biamo ricominciato, senza pudore e senza vergogna, istituendo protettorati, appena mascherati dai Quisling di turno (e alle volte, come in Iraq, nemmeno da quelli), in Afghanistan, in Bosnia, in Kosovo. Se la giustificazione che il colonialismo classico si dava era quella di portare la civiltà, laica e religiosa, ai "selvaggi", l'obbiettivo, oggi, non è cambiato, ha solo alzato il tiro delle sue ambizioni. Ciò che vogliamo esportare nell'universo mondo non è più solo la nostra economia e, vivaddio, un po' di buone maniere, ma il frutto più prezioso e prelibato della nostra cultura: la Democrazia. Ma non è questa questione, che abbiamo già trattato nel Vizio oscuro dell'Occidente7, che vogliamo affrontare qui, bensì un'altra. La domanda che ci poniamo è: che cos'è la democrazia? È davvero "il migliore dei sistemi possibili" come affermava, sia pur con l'ironia che gli era propria, Churchill e come, senza ironia, dando la cosa talmente per scontata da non dover essere nemmeno discussa, crediamo più o meno tutti in Occidente, sicché è fondamentale tenercela ben stretta. O è addirittura il Bene Assoluto, un valore così universale che più che un diritto è un nostro dovere far indossare quest'abito anche a popolazioni che hanno storia, tradi- zioni, vissuti molto diversi dai nostri e lo sentono come una camicia di forza? Oppure è una forma di oppressione, più o meno abilmente mascherata, come le altre e magari anche peggio di altre?


27.4.04

CHI E' LINARENA
di Francesca Longo

E' banale, lo so, ma nemo profeta in patria. E mentre a Catania qualcuno irride l'avvocato Lina Arena, il mondo di Internet si attacca come una cozza ai forum a cui presenzia.
Ingenuamente Sabelli Fioretti pensa di avere un seguito in virtù della sua firma. Il forum dell'Unità s'illude di essere tra i più affollati in Italia perché si discute di Fassino (e ditemi voi chi ha tempo da perdere per discutere di Fassino!).La realtà è un'altra ed è sotto gli occhi dei navigatori del Paese. La realtà virtuale si chiama linarena (i nick vanno con la minuscola).

Le informazioni raccolte - a destra e sinistra- nel capoluogo etneo, mi hanno dato l'impalpabile percezione che nessuno (men che meno i suoi ex amici radicali, partito nel quale ha militato) riesca ad apprezzare le doti maieutiche di quella che a Catania passa semplicemente per un'avvocatessa di 67 anni, con la carta da lettere con stampigliato un cavallino (un tempo aveva Tom e Jerry), che scrive di tutto a tutti e che abita in una casa dal cui balcone fa sventolare la bandiera americana. Folklore etneo? No, dietro quella donna si nasconde un vulcano che ha fatto impazzire i nick di mezz'Italia.

Cercherò di analizzare il 'fenomeno linarena' spiegando ai suoi concittadini perché sarebbe quanto meno il caso di dedicarle un monumento virtuale (magari lei avvolta nella Old Glory con una foto di George Bush e una di Silvio Berlusconi al fianco). I temi che il nick linarena tratta a livello nazionale sono solo apparentemente superficiali. Essendo l'unico cittadino italiano in grado di divorare ogni giorno l'Unità, il manifesto, Liberazione, Repubblica, salvo passare poi con ammirevole masochismo a Il Foglio e persino al Riformista (oltre al Corriere della Sera, Libero, Il Giornale ecc.)- tenuto conto che si disfa pure di settimanali, quindicinali e mensili (sono sicura che legge anche Rinascita)- Lina Arena è effettivamente l'unica italiana a conoscenza di tutte quelle parvenze di idee di sinistra che sfuggono alle maglie dei direttori di testate che Berlusconi definisce, con illuminante capacità di sintesi, 'comuniste' (ossia tutte, Secolo d'Italia e The Economist compreso).
Può infatti succedere che un incauto redattore infili in un pezzo sull'allattamento al seno un velato riferimento alla Parmalat (giù le mani dal grande Tanzi, chi lo attacca lo fa per invidia) o, peggio ancora, alla Nestlè. Ed ecco che Lina Arena si trasforma in linarena e inonda la rete di meravigliosi proclami a favore delle multinazionali del latte, regine del mercato e vicine a Bush che, essendo culo e camicia con Berlusconi, è ovviamente l'unico capo di stato (mentale) degno di cotanto nome. Segue un attacco a Casarini, che il 99% degli italiani (tranne l'oggetto- soggetto è effettivamente eccessivo- degli attacchi, forse) sottoscriverebbe immediatamente.
Il tutto viene esternato di getto, in onore allo stile imposto al paese dal lider maximo (ho avuto conferma dai capi ufficio stampa che né le vicende di Veronica, né le corna nella foto, né l'accusa di kapò, tanto per citarne alcune, sono state concordate preventivamente almeno con Bonaiuti): assenza di congiuntivi, refusi a pacchi, concetti inessenziali, riferimenti culturali fuori luogo, ma stile fluido e genuino che arriva direttamente all'interlocutore.

Il guaio è che l'interlocutore di linarena è solitamente uno che vota per il centro centro sinistra (al limite per i Comunisti italiani) e che quindi, da decenni, ha smesso di ascoltare e leggere pur di riuscire a difendere a spada tratta i propri paladini. Reagisce così come sa e come può, seguendo quanto Pavlov ha egregiamente spiegato coi suoi studi: quando linarena ulula globalizzazione, l'incauto risponde 'no global', se lei plaude a Berlusconi versus Rutelli, l'altro si sente in dovere di scrivere in rete che Er Piacione non è poi così male (per fortuna ogni tanto gli archivi vengono ripuliti in modo da non lasciar traccia ai posteri di simili bestialità). Se linarena sventola la bandiera americana e invoca la guerra, i forum dell'Unità trasudano novelli Ghandi, dimentichi del fatto che il loro leader, D'Alema, è responsabile dell'aggressione alla Jugoslavia, senza nemmeno uno straccio di trattato internazionale che giustificasse la partecipazione italiana.

Con questo gioco di stimolo-risposta sulle banalità la nostra è diventata negli anni un mito per tutta la sedicente sinistra italiana spalmata nel virtuale. Lei e Berlusconi sono nei fatti gli unici che ci riconoscono ancora dignità di nemico, gli unici che, almeno nella rete, ci fanno alzare la testa e rivendicare un minimo d'orgoglio, piuttosto che sognare di chiedere asilo politico a Guantanamo (che è pur sempre a Cuba, ma magari ha un Internet caffè?).

La vera storia di linarena
Per la rete e non per Catania, linarena nasce coi forum di Repubblica e dell'Unità. I filtri di Repubblica danneggiano la genuina vena del nick, impedendo al lettore di risponderle per le rime in modo diretto ed efficace. L'assenza di qualsiasi regola sul forum dell'Unità (che già all'epoca non aveva soldi per pagare i redattori, figuriamoci se li aveva per un forum serio) permettè al contrario a linarena di espandersi in tutta la sua magnificenza. Non solo. In quegli anni il figlio viveva negli Stati Uniti (adesso è un pezzo grosso a Roma) e quindi poteva sostituire la madre nelle poche ore di sonno che linarena difendeva per sé (se mai dorme).
Erano anni magici, quelli in cui l'Italia, liberatasi da Prodi, era convinta d'aver toccato il fondo col Governo D'Alema, sottovalutando le immense capacità di autodistruzione del nostro Paese. Linarena sdilinquiva su qualsiasi argomento con post molto simili a quelli odierni.

La prima volta che l'incontrai virtualmente fui colta da un conato di vomito. Non era umanamente possibile scrivere tante cazzate in così poche righe. E non era possibile reiterarle nell'arco di una decina di minuti. Rimasi affascinata dalla tenacia. In realtà linarena scriveva quanto ascoltavo ogni volta che la vita mi costringeva a fare i conti con la mia città, Trieste- cara al cuore degli italiani non perché collegata a Trento con un ponte (più di otto ore di treno e sette in auto, forse anche di più se a Mestre, sul passante, ci sono una decina di Tir), ma perché afflitta da morbo del luogo comune e morta nel più profondo del suo animo.

Su due piedi un bipede, scusate il bisticcio, non replica. Fu linarena a risvegliare il mio riflesso di Pavlov, attaccando, con molta intelligenza, l'Italia degli imprenditori assistiti. Per questioni anche familiari, sono convinta da almeno vent'anni che l'Italia è morta a causa dei sussidi di Stato, siano essi i miliardi regalati ad Agnelli in cambio di pochi milioni di cassintegrazione o i milioni dati a mia madre, vedova con pensione reversibile, via interessi di titoli di stato, interessi che attualmente pago io (noi, voi?). Così cominciai a risponderle. Nacque 'linarena', 'linarena la vendetta' e 'il ritorno di linarena', un gruppo di amici (nessuno, fisicamente e anche da un punto di vista lavorativo, può reggere ai ritmi della nostra) che rispondeva ad ogni suo post sostenendo che il precedente era stato scritto sotto l'effetto delle colle (Vinavil, Uh, SuperAttach, Coccoina, ecc.) e che Stalin, Lenin, Marx, Togliatti, Berlinguer, ma soprattutto Occhetto e D'Alema (Fassino all'epoca era un pivellino sconosciuto) erano il faro di ogni nostra resurrezione.

Durò poco. L'Unità chiuse i battenti. E confesso che la cosa mi dispiacque. Ma dopo l'assunzione di Silvio Berlusconi nell'empireo dei grandi statisti italiani, complice la maggioranza degli italiani andati alle urne (diciamocelo, mica moltissimi?), l'Unità riaprì e con essa il forum. E io- giornalista rimasta disoccupata perché in odore di sinistra- ritrovai nelle mie ore di ozio linarena. Dove? Sul nuovo forum dell'Unità. Era impossibile, per questioni tecniche, clonarla. Così mi feci 'frana', maschione comunista, a dispetto di quella 'a' finale, mio unico contributo al femminismo dilagante.

La scintilla non scoppiò subito. Le dedicai alcuni brani, dal titolo 'Era una notte buia e tempestosa', in cui raccontavo di una catanese separata dal figliolo a New York che delirava per l'assenza e anelava a un'Italia del passato o a un presente a stelle e strisce diretto da Berlusconi. I testi li ha lei, linarena, l'Unità ha pensato bene di farli scomparire e io non li ho salvati.

Era attaccata da tutti. Profluvi di insulti a cui, impavida, rispondeva con frasi fatte, slogan, refusi e noiosissimi articoli di giornale - che ovviamente aveva letto solo lei. Un giorno mi confessò, pubblicamente, di aver scoperto la mia identità: ero un custode di una sezione Diesse sposato con una sciacquetta con la pellicciotta e gli orecchini alla Melandri. Vidi la scena e mi riconobbi immediatamente (dieci anni di militanza nel Pci mi hanno insegnato molto). E nacque il vero 'frana', maschione comunista, sposato a una rompicoglioni consumista di sinistra bisognosa di status symbol, ma nel frattempo maschio alle prese con una femmina del sud, fiera, orgogliosa, ma ancora capace di riconoscere la mia virilità.

La storia si sta facendo perfida, anche perché dietro ci sono tutti i nostri pregiudizi, ma soprattutto i nostri orripilanti stereotipi. E qui, la genialità di linarena m'incolla alle mie responsabilità. Femminista seria, rifiutò le proposte di maschi amplessi sotto l'effige di Palmiro o di Josif, non cedette mai nemmeno nel virtuale, pur non contestando epiteti tipo 'Vieni, vongolona pelosa delle Madonie' o 'Cozza dell'Etna'. Basiti, incapaci di qualsiasi commento che non fosse una faccina cretina o uno smile, i forumisti dell'Unità assistettero a uno spettacolo teatrale delirante. Reso possibile dal gruppo Mo'Basta-Ekkekkazzo- Casa dell'Intolleranza, nato nel frattempo per arginare i deliri e soprattutto le oscenità sintattiche e di grafia dei sedicenti di sinistra.

Admin, un sottopagato co.co.co. assolutamente lavativo, ci diffidò più volte dal continuare, ma il rapporto amoroso tra linarena e frana finì solo perché, in un'intervista a lei per altro sito, non ebbi il coraggio di nasconderle la mia vera identità. E l'infame linarena, peggio di Franti, rise.

Finale

L'ho ritrovata sul blog di Sabelli Fioretti. E' passata un paio di volte in quella che fino a dicembre era un po' la mia casa Internet (www.ilbarbieredellasera.com) , ma ha capito, lei per prima, che non era la mia. Ho supplicato Sabelli Fioretti, al telefono, di restituirmela in cambio di una che, con la raccomandazione di Dio e in virtù della castità, è sicura che diventerà capo redattore del Corriere della Sera essendo redattrice co.co.co. del Corriere Adriatico a San Benedetto del Tronto. Sono molti anni che navigo. Lo confesso: per lavoro. Ossia non sono una che lo fa per piacer suo?la rete suda e trasuda scrittori (mi pare che anche Il Dito abbia un caso virtuale, Prospero Pirrotti, cui consiglio, dopo aver visitato il sito, di darsi un minimo di ordine dal momento che è troppo creativo per essere quotidianamente frequentabile- roba da prendere in pillole). Ma come linarena non c'è nessuno. Ogni volta che l'incontro in un forum, in un blog, sorrido felice. L'Unità, in totale assenza di sense of humor, ha autoregistrato il nick pur di farla fuori. Oggi quel forum vive di faccine e trite e ritrite, repliche di cose già dette dai capi di una noia senza fine (comunque meno noiose di un Fassino in diretta). Una noia assolutamente mortale: ma non per linarena. Il mortale, caso mai, riguarda il centro centro sinistra.Purtroppo.


25.4.04

TORTURA
di Alessandro Robecchi (per il manifesto)


Come italiano sono davvero sollevato: mi potranno torturare, ma una volta soltanto. Spero di non essere sollevato per le palle, perché temo faccia parecchio male anche la prima volta. Dopo l'emendamento leghista passato alla Camera (forse vergato da Bossi direttamente sulla lavagnetta con la quale comunica con i suoi bravi) siamo finalmente un paese più civile, allineandoci in questo al vecchio Iraq di Saddam, alla Corea del Nord e agli amici yankee Guantanamo style, senza dimenticare gli antichi aztechi. Che sollievo. Politicamente, si vocifera di uno scambio: tu mi voti la tortura e io ti voto la Gasparri. Secondo voi, cosa sceglierebbe Silvio se fosse posto al tragico bivio tra il legalizzare la tortura e salvare Rete4? Indovinato. Eccoci qui con la tortura monouso.
Niente paura, la legge non passerà con l'emendamento celtico: persino qualche colonnello fascista ha detto (dopo aver votato a favore) di non gradire. Quanto ai centristi - anche loro dopo aver votato - paiono contriti, e il capogruppo Volonté ha detto che farà scudo col suo corpo (testuale) per bloccare la legge. E' la prima volta a memoria d'uomo che il corpo di Volonté serve a qualcosa.
Dal punto di vista pratico, la legge cambierà abitudini e procedure, anche la cartellonistica sarà aggiornata, con grandi avvisi tipo: attenzione - vietato torturare per la seconda volta. Ora aspettiamo la circolare esplicativa. Mi spiego: se torturandomi mi strappano le unghie, per dire, la reiterazione scatta alla seconda unghia? Oppure possono strapparmele tutte e dieci (orrore! magari tutte e venti) in una sola seduta, e conta per una tortura sola? Ammetterete che è un punto da chiarire.
Del resto per un pubblico ufficiale, l'eccesso di zelo è sempre gradito: se invece di darti una sberla può dartene due, certo non si lascerà scappare l'occasione. Quel che resta sono dubbi di natura più profonda, quasi filosofica. Uno: non avevamo una legge sulla tortura, il che a due secoli e mezzo dal Beccaria suona bizzarro. Due: si è deciso di fare una legge ad hoc, evidentemente perché il problema esiste. Nessuno si mette nel 2004 a fare leggi contro le ordalie, i sacrifici umani o il cannibalismo, semplicemente perché si suppone che quelle cose non esistano più. Ne deduco che non è così per la tortura.
Avrei altre curiosità un po' morbose, tipo: potendo torturare la gente almeno una volta, si attrezzeranno speciali salette alla bisogna, tipo Bolzaneto, per intenderci? Oppure ci si affiderà all'improvvisazione, grande qualità nazionale, e ognuno ti potrà torturare dove più gli aggrada o gli fa comodo? Non è un dettaglio, perché con questa norma è evidente che si può torturare soltanto a colpo sicuro, buona la prima. Nessun pubblico ufficiale con la testa sulle spalle e rispettoso della legge correrà l'assurdo rischio di torturarti per due volte (reato!) e si preoccuperà molto di ottimizzare la prima seduta. Servono dunque strumenti adatti, grande professionalità e utensili appositamente studiati e monouso, visto che il secondo è vietato dalla legge. Quindi c'è da chiedersi: esiste la copertura finanziaria per acquistare tubi di gomma, frese, seghe circolari, taglierini per le orecchie, spilloni, fiamme ossidriche e stivaletti malesi? Se non c'è questa copertura finanziaria si potrebbe, che so, tagliare un po' di fondi dagli ospedali, dalla scuole, dalle pensioni, e dedicarli sapientemente al riordino del settore tortura. Porca miseria, per una volta consiglierei di fare le cose per benino!
Certo, ogni legge è perfettibile. Questa sulla tortura ha per esempio un grosso difetto: lascia aperta ed irrisolta tutta la problematica relativa alla pervicace resistenza del torturato. Per intenderci: se il torturato non cede alla prima tortura che facciamo, la fa franca? Anche con tutta l'ampiezza di vedute di cui siamo capaci, non è ammissibile che uno stato di diritto dia questa opportunità a un torturato, uno che forse in seguito sarà persino processato! Per fortuna la Lega viene in soccorso anche in questo caso, riempiendo il vuoto legislativo: se dopo la prima seduta di tortura il torturato non ha parlato (è raro, ma capita), si potrà sparargli in testa invocando la legittima difesa. Non sarà necessario nemmeno dimostrare che si è stati aggrediti, basterà sostenere che ha cercato di fregarci qualcosa. Ehi, non ci credete? E' la mia parola contro la sua, e lui è morto! Poi, col cadavere ancora caldo si potrà guardare negli occhi il giudice e allargare le braccia: vostro onore, cerchi di capire, la vittima cercava di sottrarmi gli elettrodi con i genitali!

22.4.04

Una strana coincidenza: a Nassirya un giacimento di petrolio sfruttato dall'Eni

da Radio Capital del 14 Aprile 2004

Una strana coincidenza. A Nassiriya un giacimento di petrolio sfruttato dall'Eni.
La missione militare italiana in Iraq è stata presentata così il 15 aprile 2003 dal nostro ministro degli esteri Franco Frattini. «Quella dell'Iraq è una missione che ha scopo emergenziale e umanitario».
E infatti il governo italiano finanzia un ospedale della Croce Rossa a Bagdad e invia ben 27 carabinieri per difenderlo...... poi già che c'è invia altri 3000 militari a Nassiriya.
Ecco le cifre: l'ospedale a Bagdad costa...21 milioni 554 mila euro.
Il nostro contingente a Nassiriya costa...232 milioni e 451 mila euro.
La domanda è: ma perché il nostro intervento umanitario in senso stretto è a Bagdad e invece i nostri soldati e le nostre risorse stanno a Nassiriya? Che c'è lì di così tanto umanitario?
Il 22 ottobre 2003 i parlamentari italiani della commissione difesa vanno a Nassiriya.
Elettra Deiana, deputata di Rifondazione Comunista, faceva parte della delegazione e ha ascoltato uno strano discorso.
«Abbiamo incontrato l'ambasciatore presso il governo provvisorio di Bagdad Antonio Armellini, il quale ci ha detto che vi sono degli interessi italiani in gioco in questa vicenda».
Interessi in gioco!
«Di conseguenza il calcolo è che i benefici saranno all'altezza dell'impegno militare»
Benefici in cambio dell'impegno militare!
Ora in Iraq in generale e a Nassiriya in particolare ci sono importanti giacimenti di...benefici. Ne sa qualcosa Benito Li Vigni, un'ex dirigente dell'Eni. «Il governo iracheno accordò all'Eni lo sfruttamento di un giacimento sul territorio di Nassiriya, nel sud del Paese, con 2,5 / 3 miliardi di barili di riserve, un giacimento quinto per importanza tra i nuovi che l'Iraq voleva avviare a produzione. Nel suo territorio c'è una grande raffineria ed un grande oleodotto».
Guarda un po', l'Eni aveva contratti petroliferi con l'Iraq che riguardavano i pozzi proprio di Nassiriya! Che coincidenza! Ancora Li Vigni. «I contratti che regolavano i rapporti tra la parte pubblica e quella privata delle compagnie concessionarie, seguivano una formula che nel settore era considerata la più vantaggiosa di tutte, che di solito i Paesi produttori mediorientali fanno di tutto per evitare. E' un contratto che consente di considerare come propria riserva una quota della produzione. Di fatto la riserva accertata tra 2,5 e 3 miliardi di barili poteva essere iscritta in bilancio Eni».
Contratti vantaggiosi. Un peccato rinunciarvi!
In parlamento la senatrice Tana De Zulueta, del gruppo Occhetto - Di Pietro, ha presentato un'interrogazione proprio su questa vicenda.
«Il fatto è che quando i soldati italiani sono arrivati a Nassiryia, la loro prima base militare era ubicata proprio di fronte alla raffineria che consentirebbe all'Eni di poter raffinare proprio lì il petrolio estratto. Altra condizione che si aggiunge a un contratto che in sé era estremamente vantaggioso. Dico "era" perché quel contratto è in forse, nel senso che l'occupazione dell'Iraq e la caduta di Saddam Hussein hanno fatto sì che le tre grandi concessioni siano congelate. Noi abbiamo chiesto al governo se la scelta di mandare i nostri militari in Iraq fosse motivata da un desiderio di tutelare quella concessione, di garantircela per il futuro».
E noi ci siamo procurati la risposta del governo all'interrogazione della parlamentare.
«La nostra presenza in Iraq è frutto di prioritarie considerazioni di carattere politico e umanitario». Prioritarie considerazioni di carattere politico e umanitario. «La scelta di dislocare un contingente a Nassiriya non è stata in alcun modo legata agli interessi dell'Eni»
Ah, no?
«Le bozze di accordo per lo sfruttamento dei campi petroliferi a Nassiriya tra Eni e le autorità competenti irachene non sono mai state perfezionate attraverso la firma di un testo vincolante». E intanto il governo ammette gli accordi. Il 23 febbraio 2003, un mese prima dell'invasione, l'agenzia Ansa dà notizia dell'esistenza di un dossier circa gli affari italiani in Iraq.
«L'Italia, che e' già presente con le iniziative dell'Eni ad Halfaya e Nassiriya, può giocare anch'essa un ruolo».
Ecco cosa dice l'amministratore delegato dell'Eni, un mese dopo la caduta di Saddam.
«L'amministratore delegato dell'Eni Vittorio Mincato ricorda agli azionisti come già nel passato il gruppo aveva messo gli occhi sull'area irachena di Nassiriya»
Nassiriya!
Il nostro dubbio a questo punto è il seguente: è un caso che i nostri soldati siano finiti a Nassiriya?
Ecco il sottosegretario alla difesa Filippo Berselli.
- Non posso essere d'aiuto, né confermando, né smentendo una notizia che non so.
- Allora posso chiederle quest'altra cosa, più in generale: perché siamo andati proprio a Nassiriya?
- Beh, a Nassiriya perché a Bagdad c'erano gli americani, c'erano delle aree d'influenza ed è stata scelta Nassiriya, sarà una coincidenza. Per quanto mi riguarda è assolutamente una coincidenza. - Ah, una coincidenza. - Sì.
Ecco qua! Per il governo si tratta di una coincidenza.
E noi aggiungiamo: è una coincidenza umanitaria!

20.4.04

BLOB

da Primo Casalini, Monza

Mi sono registrato le tre notti di Fuori Orario dedicate ai quindici anni di Blob, e mi ci sono volute due videocassette di quelle da otto ore. Blob lo studieranno gli storici, se vorranno veramente capire questi quindici anni. Lo spasso è assai frequente, come è frequente vedere (oggi) che il destino di certi personaggi era già scritto nei loro occhi e nelle loro parole di allora. Non me lo guardo in modo sistematico, salto qua e là:
.il bianco e nero di Ciprì e Maresco, il tormentone intercosciale Sharon Stone - Alba Parietti, il prodigioso Aldo Busi che chiama l'erezione alzabandiera, le donne di Craxi, lo spaurito Maurizio Mannoni, Veltroni un po' a disagio pure lui, non sapeva il suo futuro e aveva un passato di figurine, Bossi dice che bisogna votare sì ai referenda (testuale), il Noooo! di Prodi due giorni dopo aver perso il governo, gli ispettori ONU legati alle piante a Srebrenica, la tragedia dei parenti che scavano con le mani nelle fosse comuni, Emilio Fede cammina sui suoi giornalisti, Mino Damato cammina sui carboni accesi, e tutti e due se ne vantano, la Moratti dice che mamma RAI non entra in concorrenza col signor Cecchi Gori, il ministro Mancino col cappello di alpino e l'aria triste, Craxi dà del mariolo a Mario Chiesa, il dibattito in fondo amoroso fra Bassolino e la Mussolini, lo sventurato Occhetto, col senno di poi, ma c'era già portato, lo sguardo algido di Nilde Iotti ad Occhetto piangente quando chiude il PCI, De Michelis non rilascia dichiarazioni e cammina svelto, chissà quanto gli è costato, Borsellino sapeva cosa lo aspettava, Caponnetto affranto e dignitosissimo, Di Pietro, che tutti lo volevano scritturare e che quando arrivava ci si alzava in piedi ad applaudire, Primo Greganti va in galera serio serio, Citaristi dovrebbe dire quanti avvisi di garanzia ha ricevuto, ma non ha tenuto il conto e li dice il suo avvocato tra gli sghignazzi di tutto il tribunale, il lecca-lecca dei conduttori TV fine anni '80: Frizzi, Marzullo, anche Minoli e Lasorella, al confronto Pionati è un coraggioso, Vittorio Sgarbi vuole morto Federico Zeri, Fellini indaga sull'aggettivo felliniano, Berlusconi un tempo era felice, Di Bella vuole spiegare la somatostatina, ma si impappina fra una molecola e l'altra, Forlani comincia a sentire odore di plof! e di plaf! e passa la mano a Martinazzoli, vendo tutto e mi ritiro, l'educazione sessuale, un signore dai capelli bianchi che maneggia preservativi, Cicciolina si offre a Saddam Hussein, messi come siamo era meglio provarci, Buttiglione dice che vincerà solo chi si allea con lui, Ferrara giovane, grassoccio, con i capelli lunghi che gli vanno negli occhi e l'aria buona anche se grida, Costanzo sembra il fratello brutto di Ferrara, senza i capelli negli occhi e che non grida, ma è più cattivo, Gad Lerner santoreggia, come tutti allora, Santoro, Santoro, Santoro veramente bravo e furbissimo, Annunziata dice le parolacce e Vespa si scandalizza, a lui ha telefonato il Papa, Corrado Guzzanti agli inizi, Paolo Guzzanti prima della conversione, spiritossissimo e coi capelli rossi a raggera, come la rèclame della Presbitero, Cecchi Gori coi capelli quasi a boccoli e l'aria il padrone sono me, Valeria Marini prima di Cecchi Gori, Vittorio Dotti seduto alla destra di Berlusconi, la Ariosto inseguita fino alla toilette da Ignazio La Russa cattivissimo dopo Fiuggi e prima di Fiorello, Rauti cattolico apostolico romano e missino, Teodoro Buontempo che fa il saluto romano col braccio perfettamente teso, lo saprebbe fare ancora, Maceratini fascistone in aeternum, il tronco è quello, Scalfaro quando gli esce la frase retorica chiude gli occhi, cioè quasi sempre, Montanelli finge di cercare le parole per dirle meglio, Spadolini sorridente, sembra lo zio scapolo di Ferrara e di Costanzo e spera che Benigni non infierisca, Cossiga con le dita nel naso per operazioni di scavo, Woytila giovane riceve Gorbaciov con gli occhi felici e con aria protettiva, non sapeva il dopo, Funari spiega l'economia ed i nostri guai col pennarello e le urla, Feltri sardonico, che dice che tutti parlano male del suo giornale però lo leggono, come oggi, solo che lo leggono meno, le monetine del Raphael, gente veramente incazzata ed i poliziotti che faticano a contenerli, Formentini ancora leghista duro e puro, la sciura Augusta non l'ho vista, peccato, tanto simpatica, Martelli credeva di avere un grande futuro, Segni pure, il Ciro! Ciro! di Sandra Milo, Andreotti ed Amato tali e quali come oggi, la ricostruzione attendibile delle genealogie delle famiglie Marzullo e De Mita e dei loro fraterni rapporti, otto grossi imprenditori arrestati a mezzogiorno e rilasciati in serata, gli spot elettorali del partito socialdemocratico e di quello repubblicano, roba da Romolo Augustolo, Enrico Berlinguer spiega come si fa a votare PCI, il simbolo in alto a sinistra, Mike Bongiorno dice che Berlusconi non ha mai licenziato nessuno, neppure lui, lo spot di Berlusconi con i tre figli piccoli, D'Alema ancora col vestito dell'Upim o del Gum, pettinato alla mascagna e con l'aria di un gatto sotto l'armadio, Nuccio Fava parla bene di Bruno Vespa, era il primo della classe, Leoluca Orlando Cascio che aveva un grande presente.

16.4.04

INTRONATO DI GUERRA

di Michael Moore (Il Manifesto)

Non ho mai visto una testa presidenziale più intronata di quella che ho visto l'altra sera durante la conferenza stampa di George W. Bush. Parla ancora di ritrovare le «armi si distruzione di massa», questa volta nella «fattoria dei tacchini» di Saddam. Tacchini, esattamente. Chiaramente la Casa Bianca pensa che ci siano abbastanza cretini nei 17 stati ancora in bilico che se la bevono. Penso li aspetti un brusco risveglio... Sono stato rinchiuso per settimane nella sala di montaggio a finire il mio film (Fahrenheit 911). Per questo non mi sono fatto vivo negli ultimi tempi. Ma dopo la riproposizione di Lyndon Johnson che ha avuto luogo la notte scorsa nella East Room - in cui si prometteva fondamentalmente di spedire ancora altre truppe nell'inghiottitoio iracheno - beh, dovevo scrivere due righe.

Innanzitutto, riusciamo a farla finita con questo linguaggio orwelliano e cominciare a chiamare le cose con il loro nome? Quelli che sono in Iraq, non sono «imprenditori». Non sono lì per riparare un tetto o per spalmare calcestruzzo su un piano stradale. Sono mercenari e soldati di ventura. Sono lì per i soldi, e la paga è molto buona - se riesci a vivere abbastanza per godertela. La Halliburton non è un «società» che sta facendo affari in Iraq
Sono profittatori di guerra che stanno sfilando milioni dalle tasche dell'americano medio. Nelle guerre passate sarebbero stati arrestati - o peggio.

Gli iracheni che si sono ribellati all'occupazione non sono «rivoltosi» o «terroristi» o «il nemico». Sono la rivoluzione, come i minutemen americani, e il loro numero è destinato a crescere - e vinceranno. Ha afferrato il concetto, signor Bush? Ha fatto chiudere un maledetto settimanale, lei grande dispensatore di libertà e democrazia, e allora si è scatenato l'inferno. Il giornale aveva 10.000 lettori in tutto! Perché fa quel sorrisetto da furbo?

Un anno dopo aver pulito la faccia della statua di Saddam con la bandiera americana prima di tirarla giù, siamo in una situazione tale che è troppo pericoloso per un operatore dell'informazione tornare oggi da solo in quella piazza e fare un servizio sulla magnifica celebrazione del primo anniversario. Naturalmente, non ci sono celebrazioni, e quei coraggiosi giornalisti embedded con i loro capelli cotonati non possono neppure uscire dal recinto di sicurezza del forte nel centro di Bagdad. In realtà loro non vedono mai quello che sta accadendo in Iraq (la maggior parte delle immagini che vediamo in televisione sono riprese dai media arabi o europei). Quando guardate un servizio «dall'Iraq», quello che vedete è un comunicato stampa fornito dalle forze d'occupazione Usa e rivenduto a voi come notizia.

Al momento ci sono in Iraq due miei cineoperatori/fotoreporter che lavorano per il mio film (all'insaputa del nostro esercito). Parlano con i soldati e stanno raccogliendo i veri sentimenti e le opinioni su ciò che sta veramente succedendo. Ogni settimana mi spediscono a casa il metraggio via Federal Express. Avete capito bene, Fed Ex, e chi ha detto che non abbiamo portato la libertà in Iraq? La storia più buffa che i miei collaboratori mi hanno raccontato è il fatto che quando scendono dal volo a Baghdad non devono far vedere il passaporto o passare il controllo immigrazione. Perché no? Perché loro non hanno viaggiato da un paese straniero a un altro - loro stanno arrivando dall'America in America, un posto che ci appartiene, un nuovo territorio americano chiamato Iraq.

Si parla tanto fra gli oppositori di Bush del fatto che dovremmo consegnare questa guerra nelle mani delle Nazioni unite. Perché gli altri paesi del mondo, paesi che hanno tentato di dissuaderci da questa follia, dovrebbero ora rimettere ordine nel nostro caos? Mi oppongo a che l'Onu, o chiunque altro, rischi la vita dei propri cittadini per tirarci fuori dalla nostra debacle. Mi dispiace, ma la maggioranza degli americani ha appoggiato questa guerra, una volta iniziata, e, per quanto triste, quella maggioranza deve ora sacrificare i propri figli finché sarà versato abbastanza sangue da far sì che forse - proprio forse - Dio e il popolo iracheno possano infine perdonarci. Fino a quel momento, godetevi la «pacificazione» di Falluja, il «contenimento» di Sadr City e la prossima Offensiva del Tet - oops, volevo dire, «l'attacco terrorista da parte di un gruppuscolo di fedeli baathisti» (adoro scrivere queste parole, «fedeli Baahtisti» fa tanto Peter Jennings) - seguite da una conferenza stampa in cui ci si dirà che dobbiamo «mantenere la rotta» perché stiamo «conquistando i cuori e le menti della gente».

Presto scriverò ancora. Non disperate. Ricordatevi che il popolo americano non è poi così stupido. Certo, possiamo farci spaventare tanto da farci portare in guerra, ma prima o poi ci riprendiamo sempre - ciò per cui questo non è come il Vietnam è il fatto che non ci sono voluti quattro lunghi anni per capire che ci avevano mentito.

(traduzione maria luisa moretti )

12.4.04

MERCENARI

di Alessandro Robecchi (Il Manifesto)

Quindicimila dollari al mese? Ventimila? Le notizie di stampa sono sommarie e confuse, non si capisce bene. Dopo un anno di guerra (mission accomplished!) si viene a sapere che in Iraq c'è pure qualche esercito privato, pietosamente chiamato "security", manco fossimo in discoteca. Un po' esercito americano in outsorcing (meno stato, più mercato!), un po' supporto all'intelligence e un po' aiuto tecnico-militare. Insomma, c'è un sacco di gente (15.000 persone circa, secondo esercito per numero presente in Iraq) che con la guerra ha trovato un buon lavoro: fare il mercenario. Gabbie salariali rigidissime, non fatevi illusioni, la globalizzazione funziona, e pure meglio, anche in guerra. Se sei irakeno prendi 150 dollari al mese, mica male. I gourka nepalesi e i guerrieri delle isole Fiji possono arrivare a duecento. Questa nota salgariana mi ha sorpreso, ma alla fine perché no… uno delle Fiji può essere scemo tanto quanto uno scemo del South Carolina. Naturalmente gli ex Sas inglesi prendono di più, un americano allenato può valere - appunto - 15, 20 mila dollari al mese. Un italiano non lo so, ma per cultura, ricchezza e creatività credo di poter pretendere anch'io una bella sommetta. Ho deciso: mi iscrivo ai mercenari.
Nel sito della Blackwater - la prima ditta a cui voglio mandare il curriculum - c'è scritto che lavorano "In supporto alla libertà e alla democrazia ovunque". Mi piace, anche se "ovunque" mi inquieta un po', e infatti la home page si apre con sentite parole di cordoglio per i colleghi caduti a Falluja il primo aprile (c'è anche la sottoscrizione). Comunque, è un'azienda sana, in espansione: con malcelato orgoglio annuncia di aver appena aperto due nuove sedi internazionali (Baghdad e Kuwait City). Molto chiare le modalità di assunzione, dove si spiega tutto alla prima riga: "La Blackwater Security Consulting, non ti assume, ti contrattualizza come lavoratore indipendente". Una specie di co.co.co della guerra. No, grazie, cerco ancora.
Provo con la Vinnel, che fa parte (da appena un anno) del Northrop Grumman Company. Hanno buone offerte per l'Arabia Saudita, dove forniscono aiuto alla Guardia Nazionale locale. Si elencano anche i pro e i contro di passare qualche annetto nel deserto: tra i "pro", al primo punto, è che è tutto esentasse e così ti puoi fare i soldi per il college. Tra i "contro" si ammette che non si può bere alcol né fare altre "western cultural amenities". Peccato. Anche qui piangono il loro colleghi morti (nell'attentato di Ryhad).
Trovo di meglio alla MPRI (sta per Military Professional Resources Increment, la sigla campeggia su uno spadone). Cercano urgentemente supporto logistico per il personale di aziende in Qatar e Iraq, la paga è definita "competitiva" e tra i benefits c'è la copertura dentistico-sanitaria completa per tutta la famiglia. Perbacco, ecco un welfare a mano armata. Ma si capisce che sarei meglio piazzato in graduatoria se fossi un ex-marine o qualcosa del genere.
Mi rendo conto che la cosa sta diventando un po' triste. La voglia mi è passata, tenderei a non arruolarmi. E' che queste aziende della guerra abbelliscono sempre più i loro comunicati roboanti, le loro "carte dei valori", le dichiarazioni di intenti patriottico-liberisti, la loro retorica paracula del noi-facciamo-la-guerra-ma-siamo-i-buoni. Ma basta leggere qui e là sui loro siti per capire che quella è una vernicetta a stelle e strisce per gli allocchi. Dentro, dietro, c'è la guerra vera: affari per milioni di dollari, forniture militari, ricerche avanzatissime su come spararti addosso da un sommergibile, da un satellite o con un razzo teleguidato. Per la libertà e la democrazia, ci mancherebbe!
Ultimo giro di web: faccio un controllino su come vanno le cose in questa dannata guerra che doveva finire subito e non finisce più. Negli ultimi 12 mesi (un anno secco di guerra) la Northrop Grumman Company ha guadagnato in borsa il 25,4 per cento. Mi chiedo se a questi patrioti qui, a questi volenterosi della Iraqi Freedom e dello Stock Exchange, convenga finire la guerra velocemente. O se convenga ai mercenari una pace che gli fa secco lo stipendio. Non è credibile: pure se produci missili, se costruisci navi con armamenti nucleari, se assoldi mercenari - o forse proprio per quello - non ti conviene prendere a fucilate la gallina dalle uova d'oro. Cioè la guerra. Un affare così redditizio non può finire troppo in fretta.

10.4.04

L'arma di distruzione di massa

di VITTORIO ZUCCONI

C'era davvero un'arma di distruzione di massa in Iraq e finalmente è stata individuata. E' la stessa arma micidiale che da secoli uccide più esseri umani di tutte le armi atomiche, chimiche, biologiche e di tutti i terroristi messi assieme, mentre arricchisce chi la fabbrica e chi la spaccia. E quest'arma è l'ignoranza. La madre di tutte le arroganze, delle ideologie, delle guerre, delle menzogne che sta ammazzando e devastando in Iraq come ieri ammazzò in Europa, negli Stati Uniti, in Asia, ovunque.

L'ignoranza è l'arma che ha spinto le divisioni corazzate di Bush in Iraq, costruendo sulla base di ideologie e di teorie formulate nei comodi uffici e nei think tank di Washington, divenuti più tank che think, dottrine e scenari che poi il campo si sta diligentemente e sanguinosamente preoccupando di demolire. Non sono i terroristi e i guerriglieri quelli che stanno uccidendo soldati e civili, che stanno rapendo lavoratori e soccorritori stranieri in Iraq. Loro sono soltanto gli strumenti, i figli del male.

La madre è la spaventosa ignoranza dell'Iraq, della sua storia, della sua cultura, dei suoi costumi, della realtà.
Ignoranti sono, altrettanto, coloro che sparano e resistono e bruciano vivi gli occupanti, persuasi dalla propaganda, che dell'ignoranza è la figlia prediletta, che gli americani siano in Iraq per trasformare quel Paese (immaginario anch'esso) nel 51esimo stato americano e succhiarne via il petrolio per rifornire a basso prezzo le auto degli infedeli. Ignorando, appunto, che qualunque soluzione politica emergesse dall'occupazione sarebbe, in ogni caso, infinitamente migliore per la gente disgraziata di quelle terre, di quanto non fosse la dittatura Saddamita o di quanto sarebbe il governo dei fanatici integralisti. L'America non è quell'angelo liberatore e casto che le brochures diffuse dagli uffici stampa delle ambasciate e i discorsi surgelati e riscaldati al microonde di Bush descrivono, ma soltanto un idiota potrebbe sostenere che l'Italia di De Gasperi, di Togliatti, persino di Craxi e di Berlusconi, sia un luogo peggiore di quanto fosse l'Italia di Mussolini e del maresciallo Kesselring o che la Germania di Adenauer fosse peggiore di quella di Hitler.

Di Iraq, Washington non sapeva nulla e per questo credeva di poter cambiare tutto con una sfilata di tanks M1A1 per le vie di Bagdad, tirando giù, un anno fa, la statua vuota di Saddam. Paul Wolfowitz, il sottosegretario del Pentagono che passa per il cervello fino, per l'intellettuale della banda neo conservatrice oggi fortunatamente in crisi, disse alla radio pubblica americana, la Npr, che l'Iraq aveva il vantaggio immenso per un invasore cristiano di non contenere sul proprio territorio luoghi sacri all'Islam come invece ha l'Arabia Saudita, ignorando - appunto - che proprio nei luoghi dove ora si combatte e si sganciano bombe stanno alcuni dei massimi santuari musulmani, capaci di incendiare la furia e lo spirito dei fedeli.

Mentre aspettiamo, con il cuore in gola, di vedere come finirà, se finirà, questa fase di combattimenti e di violenza in Iraq che ormai investe anche la nostra missione insolentemente chiamata di "peace keeping" (ma quale pace si può mantenere, in un luogo dove pace non c'è mai stata?) torniamo al dubbio iniziale, quello che rese tanti di noi Europei avversi o perplessi alla furia di guerra americana, un anno fa: come può uno dei Presidenti più visibilmente ignoranti di storia e geografia nella storia americana essere colui che cambia la storia e la geografia di un mondo che non capisce e che non conosce?

Affidereste a un chirurgo che ignora l'anatomia, l'intervento su una persona cara, su un figlio, su voi stessi? E' davvero così sorprendente se, 13 mesi dopo la guerra vinta, la guerra vinta continua e le budella del paziente stanno sparse alla rinfusa sul tavolo operatorio mentre gli aiuti e gli infermieri del capo chirurgo tentano disperatamente di ricomporle e di ricucire il malato?

Qualche potente somaro ha confuso ancora una volta la forza con la conoscenza, la collera con la sapienza, la prepotenza con il diritto e ha deciso di aprire il ventre del malato dopo avere fatto da lontano diagnosi e prognosi sbagliate e ora, a causa di quell'errore, non c'è altra scelta che cercare di richiuderlo e di proclamarlo guarito. L'ideologia, che gli spacciatori confondono con idee e ideali, ha guidato la mano del maldestro chirurgo, nella autoreferenzialità classica di quella forma suprema di petulante ignoranza che si vende come cultura soltanto perché confezionata in libri di successo, saggi, studi e discorsi retorici. In Iraq, sta fallendo ancora una volta la sottocultura del pregiudizio e del preconcetto, delle pseudoidee pietrificate nelle "dottrine", dell'arroganza che si crede migliore soltanto perché ha i mezzi materiali per imporsi.

Sono trascorsi 13 mesi di occupazione e nessuno sa chi siano davvero coloro che si stanno ribellando e le false spiegazioni degli uffici stampa si rincorrono ansimando (lo sceicco del terrore, il chierico pazzo, l'ayatollah burattinaio, il medico demente, il Sunnita geloso, lo Sciita schiumante) per spiegare quello che neppure loro stanno spiegare. Sono terroristi stranieri, delinquenti, infiltrati iraniani, al-quaedisti, fanatici, criminali, "banditen", il punto è che non lo sappiamo, non lo sanno gli Americani, non lo sanno i nostri soldati a Nassiriya, che la propaganda del governo di Roma costringe a ripetere che tutti ci vogliono bene, laggiù, che soltanto una piccola minoranza di chissà chi ci spara addosso e forse ci rapisce, come se mai guerre e rivolte e massacri fossero stati compiuti dalla "maggioranza". Restiamo aggrappati alla nostra profonda ignoranza, che neppure i talk-show di falsi esperti che si parlano addosso e rimasticano luoghi comuni, riescono a dissipare. E, aggrappati al salvagente di piombo dei nostri preconcetti, contiamo i morti e andiamo a fondo.


(Repubblica, 9 aprile 2004)

9.4.04

Lettera aperta a Bruno Vespa

di Claudio Petruccioli

Esimio dottor Vespa,
voglio comunicarLe direttamente e pubblicamente il mio sconcerto, la mia preoccupazione e la mia ripulsa per lo svolgimento della trasmissione «Porta s Porta» del 6 Aprile 2004. Già le notizie da Nassirya suggerivano di aggiornare l'argomento alla drammatica attualità come tante volte anche Lei ha fatto. Questa volta, invece, l'occasione è stata colta per raddoppiare una trasmissione nella quale il Presidente del Consiglio ha parlato non solo senza contraddittorio ma senza obiezioni e perfino senza domande, sostituite da intermezzi encomiastici.
Una nota da Lei preventivamente diffusa informava che il Presidente del Consiglio aveva confermato il suo tradizionale rifiuto al confronto, mettendoLo in uno stato di necessità. C'era da attendersi che il contesto informativo e l'intervento del conduttore avrebbero cercato di ovviare almeno in parte a questo atteggiamento del protagonista della serata. È avvenuto il contrario.
I servizi giornalistici sembravano realizzati su sceneggiatura di Palazzo Chigi. Soprattutto il primo, che esponeva come inoppugnabili dati di fatto le cose che il Presidente del Consiglio aveva appena enunciato come propositi e impegni. Durante tutta la trasmissione non solo non si sono sentite voci che esponessero punti di vista diversi o obiezioni alle affermazioni di Berlusconi, ma sono state completamente ignorate posizioni e giudizi non dico dell'opposizione, ma delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali, dei commercianti o di altre categorie, e perfino di forze ed esponenti della maggioranza e del governo; sulle tasse e su tutto il resto.
Di fronte a giudizi offensivi espressi dal Premier nei confronti della Commissione dell'Unione europea e del suo Presidente, non si sono sentiti neppure i richiami in nome della buona educazione a non polemizzare con persone che non possono rispondere perché assenti anche per il rifiuto del confronto. L'intera trasmissione è configurata come una lunga didascalia ai manifesti elettorali affissi da Berlusconi in tutta Italia e agli slogan in essi contenuti. Con la firma del patto preelettorale e con il recente duetto scolastico l'exploit di ieri sera compone un trittico senza possibili paragoni. Se si aggiungessero altri elementi ne comprometterebbero la monumentale perfezione. Insomma, per il servizio pubblico, una catastrofe, per il giornalismo un'ignominia. Rispondo in anticipo alla Sua prevedibile domanda su chi mi abbia autorizzato a dirLe queste cose. Nessuno mi ha autorizzato né io ho chiesto autorizzazioni. A dettarmi quanto Le scrivo è il rispetto per me stesso. Se tacessi rispetto al record di impudicizia raggiunto dalla trasmissione «Porta a Porta» dell'altra sera, sentirei lesionata quella dignità che mi sembra indispensabile se si vuole svolgere in modo decente la funzione che attualmente mi è affidata. Non riesco a immaginare che, nel suo intimo, Lei non riconosca qualche fondamento a queste osservazioni, e non avverta almeno un pò di umiliazione. Non mi attendo, tuttavia, che la dichiari.
Claudio Petruccioli

Il Senatore Claudio Petruccioli è l'attuale presidente della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e vigilanza dei servizi radiotelevisivi

LETTERA AL GIORNALE

di Filippo Facci

Signor direttore, questo Paese è sopravvissuto senza conoscere la mia opinione sul caso Sofri e ritengo che possa seguitare a farlo senza traumi culturali. Neppure penso, voglio premettere, che un corsivista debba correre a dissociarsi ogni volta che la linea editoriale del suo giornale non corrisponda alla sua: preferisco tuttavia cercare dei fischi sul Giornale, anche pesanti, piuttosto che ottenere dei facili applausi da qualche altra parte. Resta che per quanto riguarda la linea del Giornale sul caso Sofri - che secondo me non è neppure una vera linea, ma è giusto il rifiuto di averne una - mi preme dissociarmeme e basta. Mi dissocio dai titoli, dai sommari, dalle didascalie, dal tono complessivo e stra-prevalente con cui viene trattata la questione: e non mi si citino eccezioni inconferenti, non giochiamo. Mi dissocio da editoriali come quelli di Mario Giordano - che sull'argomento è stato spesso incaricato dell'apertura del Giornale - che ho trovato insufficienti e bambineschi; ho una certa nausea, inoltre, di tutti quei corsivisti che per una riga premettono d'esser favorevoli alla liberazione di Sofri (non alla grazia) e per le restanti ottanta non fanno che prendersela con questa autentica ossessione che è ormai divenuta la lobby dei suoi amici: altri argomenti zero, tranne che Sofri deve chiedere la grazia per ragioni morali che loro s'inventano formali. Lo dico, già che ci sono: credo che lorsignori mentano, penso che vogliano Sofri in galera ma non abbiano neppure il coraggio di ammetterlo, penso che lo vogliano in galera pur di negar soddisfazione alla famosa lobby più che a lui, penso che il Giornale abbia l'interesse o la volontà di mantenere surriscaldato e involuto il livello dello scontro. A chi mi dicesse di misurare le parole, ora, replicherei che è proprio quello che a mio avviso non sta facendo il Giornale: la cifra del caso Sofri - caso molto più importante di Sofri stesso, ormai - ogni volta viene riproposta con toni semplicistici e barricaderi che non offrono mediazione tra il forcaiolismo di un Maurizio Gasparri e l'ignoranza di un Antonio Tabucchi: e in mezzo niente, come se alla famosa e ormai sfiancata lobby degli amici di Sofri dovesse per forza corrispondere quella dei nemici: ma in mezzo, in realtà, c'è parecchio: e non c'è soltanto un Silvio Berlusconi o un Sandro Bondi o persino gente di An: c'è persino chi, come lo scrivente, si arroga un diritto d'astensione da questo sport nazionale che il caso Sofri è divenuto; c'è persino chi, come lo scrivente, ritiene tuttavia più rilevante il dibattito istituzionale che ne è scaturito e che riguarda gli effettivi poteri del Presidente della Repubblica, piaccia o meno. Il fatto che tutto questo possa essere ritenuto "distante anni luce dal comune sentire dei cittadini", come Mario Giordano ha scritto per tre volte in poche righe, dovrebbe offrire semmai l'occasione di cercare tantopiù di occuparsene facendo il proprio mestiere di giornalisti, anzichè trincerarsi dietro rivendicazioni demagogiche del proprio disinteresse. So bene quanti lettori del Giornale antipatizzino per Sofri: ma non è questo il punto, non è tanto simpatico neanche a me, non lo conosco, non m'interessa più di tanto nè personalmente nè intellettualmente, lo trovo arrogante, insomma sostanzialmente di lui me ne frego anche se trovo umiliante doverlo specificare: ma non è che Sofri debba piacere o ci si debba ancora una volta esprimere circa la sua vicenda giudiziaria; quella è chiusa da tempo, c'è una sentenza di colpevolezza punto e basta; eppure è proprio il Giornale, pur seguitando ad accusare altri di voler beneficiare Sofri di un ennesimo grado di giudizio, a metterla su questo piano; è il Giornale, mentre si discute di interpretazioni Costituzionali e di concertazioni tra Quirinale e Guardasigilli, che ti piazza la millesima intervista al pentito Leonardo Marino con annessa ricostruzione della violenza di Lotta Continua negli anni Settanta; è il Giornale, nei suoi editoriali, a riproporre la favoletta moralistica e semplificatoria secondo la quale tutto si risolverebbe se l'orgoglioso capetto Sofri si decidesse infine a chiedere la grazia: il che è stato ormai acclarato come falso (il ministro della Giustizia, contrario, la negherebbe com'è già accaduto per Ovidio Bompressi) oltrechè notoriamente infondato e sopratttutto sospetto. E' infondato perché non esiste generico pronunciamento politico-parlamentare - tantomeno la mera bocciatura del recente e disgraziato Decreto Boato - che possa invalidare quanto prescritto dall'articolo 681 del codice di procedura penale, che tocca ricordare: "La grazia può essere concessa anche in assenza di domanda o proposta". E su questo, come sul fatto che la grazia sia pertitenza presidenziale punto e basta, convengono anche tanti rappresentanti di Forza Italia che non elenco. E' poi sospetto, come detto, perchè la questione della richiesta in realtà rappresenta solo un paravento formale per chi non si accontenta dell'avvenuta accettazione di uno status giudiziario da parte di Sofri (il processo, la galera) ma dal medesimo vorrebbe anche scuse, pentimenti, implorazioni, soprattutto la rinuncia all'elementare diritto di potersi ritenere innocente: vorrebbe ossia che chinasse la testa e insomma una confessione di stampo staliniano. In tal senso, a volere un quarto grado di giudizio, sono i nemici di Sofri più dei suoi famosi amici. Ed è il Giornale a mettere il galeotto Sofri nella stessa acqua del latitante assassino Cesare Battisti, e a rischiare così di accreditare, secondo me, l'atteggiamento meramente vendicativo di una parte della maggioranza nei confronti dello schifosissimo Sessantotto. Tutto: senza distinzioni. E' il Giornale a non pubblicare mai un riga circa le condanne o le dissociazioni da quel periodo - quando ci sono - salvo fare titoli macroscopici quando le condanne e le dissociazioni non ci sono. Nel complesso, dalla pretesa di un'autocritica staliniana in giù, non è il genere di garantismo di cui mi occupo sul Giornale da dieci anni.
Detto questo, rivendico il mio diritto a non dovermi per forza esprimere nè a favore nè contro la grazia a Sofri: non è un referendum popolare bensì un'insuperabile prerogativa della massima carica dello Stato. Dopodichè rispetto ogni durissima posizione altrui: purchè resti estranea al cretinismo bipolare e perpetuamente elettorale che va schiantando questo Paese. Io rispetto Ignazio Larussa perchè a sua volta è rispettoso dei ruoli e delle funzioni istituzionali, e così pure il coraggioso Carlo Taormina; rispetto il ministro Roberto Castelli che si è sempre detto contrario alla famosa grazia ma ha ricondotto infine la questione alla necessità di dirimere alcune norme che regolano un potere già nelle mani del Capo dello Stato. Rispetto Marco Pannella che per sua stessa ammissione sta strumentalizzando il caso Sofri per riaffermare la propria visione di un principio costituzionale; ciò che invece non rispetto per niente, anzi mi ripulsa, è il volgare tentativo di intruppare il Capo dello Stato - che si è limitato a chiedere delle carte al ministro Guardasigilli, ma che se ne era sostanzialmente disinteressato per anni - nella lobby di chi "vuole libero Sofri a tutti i costi", come il Giornale ha titolato a sette colonne: immagino peraltro che Silvio Berlusconi - e con lui qualche lettore del Giornale che non avesse ancora le opinioni scolpite nel marmo - a questo punto dovrebbe sentirsi arruolato a sua volta nella lobby, nel partito di Sofri. Sicchè non rispetto per niente, allo stesso modo, la dietrologia del Giornale - editoriale di venerdì scorso - che si spinge a ipotizzare che Carlo Azeglio Ciampi si sia fatto strumento del tentativo di sabotare questo governo disseminando zizzania tra la maggioranza. Figurarsi quanto posso rispettare la rozza demagogia di quel ministro che è riuscito a dire, nei giorni scorsi, che la grazia a Sofri, se concessa prescindendo da una sua richiesta, equivarrebbe a essere "dalla parte del terrorismo" con esplicito riferimento al presidente della Repubblica: "Sarebbe una inaccettabile condanna nei confronti delle vittime del terrorismo", "Sento molto fermento tra le forze dell'ordine, che non accetterebbero". E' lo stesso ministro che diceva "Di Pietro è meglio di Mussolini". Ora spiega alla prima carica dello Stato quel che può fare o non fare.
Ebbene, questa Seconda Repubblica giovane e acerba secondo me merita di meglio. Meritiamo di meglio noi. Ciascuno tenga strette le proprie opinioni sul caso Sofri, se ne ha: ma ricordi che i casi Sofri, tutti i casi Sofri, sono solo di passaggio; sono mezzi e non solo fini. L'incessante riavvio istituzionale di questa Seconda Repubblica, dopo gli sconquassi degli Anni Novanta, si nutre di leggi e riforme ma così pure di piccoli traumi che permettano via via di ridefinire forma e sostanza di norme e consuetudini, oltrechè di una Costituzione cattocomunista risalente alla fine degli anni Quaranta. In galera o fuori, che il caso Sofri almeno serva a qualcosa. Così non serve a niente. Carlo Azeglio Ciampi è il Presidente della Repubblica italiana e farà quel che ritiene, e, come si dice, è il mio presidente. Lo dico per lui come per il presidente del Consiglio liberamente eletto: giù le mani. Vadano, tutti gli altri, lobby o non lobby, a fare campagna elettorale da qualche altra parte.

7.4.04

UNA GUERRA CONTRO GLI OCCUPANTI

di Massimo Fini (Il Gazzettino - 06/04/2004)

Dopo gli scontri e le manifestazioni di Najaf, di Baghdad, di Bassora, di Nassiriya, che hanno causato più di trenta morti e 150 feriti fra gli iracheni e dieci morti e una trentina di feriti fra gli occidentali, voglio vedere chi avrà ancora il coraggio di dire che quella delle truppe americane e dei loro alleati in Iraq è una "liberazione" e non un'invasione e un'occupazione.
A ribellarsi in massa sono stati, questa volta, gli sciiti cioè quella parte della popolazione irachena che, insieme ai curdi, più aveva subito le violenze di Saddam Hussein. Evidentemente, pur se liberati della presenza di Saddam, gli sciiti sentono gli americani come occupanti. Anche perché tutti capiscono che questa storia della democrazia in Iraq è una farsa. Se si dovessero fare davvero le elezioni regolari e libere in Iraq gli sciiti, che sono il 65\% della popolazione, le vincerebbero a redini basse e instaurerebbero una Repubblica teocratica, simile a quella iraniana, perché questo è il sentimento della maggioranza. Ma gli americani non lo possono tollerare. Per questo hanno messo nel Comitato provvisorio che cerca di governare l'Iraq personaggi a loro vicini, quasi tutti iracheni che hanno vissuto a lungo negli Stati Uniti, di fatto più americani che iracheni, che però sono completamente screditati di fronte alla popolazione e non hanno alcun seguito. Il nuovo governo iracheno, se mai si dovesse arrivare a formarlo, a giugno o più avanti, sarebbe quindi un governo fantoccio in mano agli americani. Questo gli iracheni, sciiti o sunniti che siano, lo sanno benissimo. Col nuovo governo la guerriglia non si fermerebbe, anzi si rafforzerebbe vedendo, com'è già in parte ora, sciiti e sunniti uniti nella lotta, in attesa di regolare i conti fra di loro dopo aver cacciato l'invasore.

Oggi nemmeno l'intervento dell'Onu risolverebbe nulla. Perché anche l'Onu è totalmente screditata. E a screditarla sono stati proprio gli americani, prima aggredendo, senza l'autorizzazione delle Nazioni Unite e senza nessuna plausibile motivazione, la Jugoslavia, poi aggredendo, sempre senza l'autorizzazione delle Nazioni Unite con motivazioni che si sono rivelate false, dei vergognosi pretesti, l'Iraq. In tutto il mondo non occidentale l'Onu, che non ha mai preso una iniziativa concreta contro Israele pur avendolo condannato in una trentina di risoluzioni, è ritenuta un'organizzazione al servizio degli Stati Uniti o comunque impotente a risolvere qualsiasi questione in un mondo che non garbi agli americani.

La sola cosa da fare, oggi, è che le truppe di occupazione si tolgano di mezzo al più presto. Ciò provocherà, con tutta probabilità, una guerra civile in Iraq, fra sunniti e sciiti, ma alla fine si avrà perlomeno una situazione stabile che rispecchi la realtà delle forze in campo e ciò che vuole la maggioranza della popolazione di quel Paese.

Continuare ad occupare l'Iraq significa invece infognarsi in un nuovo Vietnam, tanto più pericoloso perché la rabbia antioccidentale potrebbe esplodere fra le popolazioni dei Paesi vicini, anche quelli cosiddetti "moderati", cioè alleati dell'Occidente, perché "moderati" non lo sono affatto, rabbia che già adesso i governanti fanno fatica a contenere. E alla fine, come in Vietnam, ci sarebbe comunque il ritiro e il conseguente scontro, inevitabile dopo la cacciata di Saddam Hussein e la distruzione del vecchio, seppur feroce, equilibrio, fra sciiti e sunniti. E allora tanto vale anticipare i tempi in modo che il tributo di sangue non sia, com'è oggi, del tutto inutile, senza senso e senza risultato.

5.4.04

GIURO CHE MI DO MALATO
di Alessandro Robecchi sul Manifesto


In attesa che il nuovo libro di Oriana Fallaci deflagri nelle librerie (la popolazione civile, comunque, è stata avvertita) e che il Cristo sado-cristiano di Mel Gibson infiammi i cinema del regno, suggerirei di godersi gli ultimi giorni di allegro, spensierato laicismo. Un po' sempliciotti e un po' razionali, sarà bello passeggiare ancora per qualche ora senza temere che orde barbariche islamiche ci divorino, o che qualcuno usi un crocefisso come una mazza da baseball sulle nostre capocce. In seguito ci si chiederà probabilmente di arruolarci: combattere l'integralismo con altro integralismo è una cazzata talmente evidente e pericolosa che dice tutto sugli ufficiali arruolatori. Di base sono gli stessi che per anni ci hanno fatto una capa tanta con la "morte dell'ideologia", e adesso non gli sembra vero di avere una crociata bella e pronta a disposizione. Così se ne sentono di tutti i colori su questa Europa smidollata, con i valori in crisi, pacioccona, inane, grassa da far schifo che non alza un dito (dicunt) per difendere la sua tavola imbandita dai feroci Saladini. Figurarsi poi se - come sostiene Oriana bin Laden - diventiamo Eurabia, una specie di grande banchetto dove noi (occidentali, bianchi, cristiani) saremmo la pietanza.
Il tentativo è chiaro: trasformare la "guerra al terrorismo" in un totale scontro di culture, portare il conflitto in ogni angolo, in ogni bottega araba, in ogni convivenza tra culture. Ricompattarsi, serrare le fila, o di qua o di là. E' una cosa che dà da riflettere: se veramente si tratta di uno scontro di culture, noi con quale cultura ci presentiamo alla partita? Con la Fallaci, Rumsfield, un clan di petrolieri texani, Baget Bozzo e qualche professorino neocon della Washington-bene? Sarebbe con questo po' po' di armamentario ideale che andiamo a fare a testate con un miliardo di musulmani incazzati? Mi dò malato subito.
Però, nell'attesa, indago il "mio" campo. Cerco segnali dell'incredibile trasformazione di un conflitto tra falchi in guerra di religione. Quanto a integralismo, gente, facciamo abbastanza schifo. Per ora, mentre impazza il dibattito sulla maestrina col velo, vedo soltanto - risposta occidentale? - dei gran crocefissi in brillanti che pendono sulle scollature delle signore della tivù. Sono crocefissi grandi come lampadari, che probabilmente costano come il pil del Ruanda, spesso sospesi su quel ti-vedo-non-ti-vedo che pare sollevi l'audience: il sacro a contatto col profano.
Se vogliamo attraversare l'oceano, in cerca di integralismi vari, possiamo fare un salto in una delle grandi chiese-mall-supermercato che impazzano negli States. Alla Southeast Christian Church (Kentuky) c'è il cinema (si proietta il Gesù di Gibson), il musical, il palazzetto dello sport, la messa, gli stages biblici. Tutto molto spirituale e tutto a pagamento: 75.000 biglietti venduti (8 dollari l'uno) per il musical su Gesù prodotto in loco, 20.000 fedeli-clienti e più di 600.000 dollari incassati in un week-end. Fervore a manetta e sostegno ai "nostri ragazzi" che diffondono fede e democrazia in Iraq, presso quelli che Silvio Berlusconi chiama "quattro beduini". La multi-chiesa Brentwood (Houston, Texas) ha pure il McDonald: andate e mangiatene tutti. Fede, Bush e mercato.
Ripeto la domanda: nel caso (folle) la guerra dovesse diventare totale e indiscriminata, un sanguinoso "noi contro loro", noi andremmo a combattere con gli argomenti di questi qui? Le idee che porteremmo sul campo sarebbero quelle del reverendo del Kentucky che espone il cartello "Dio ride quando un finocchio muore"? L'integralismo fallaciano? L'americanismo neocon che va per la maggiore su certi giornaletti che vivono di finanziamenti pubblici e che fanno tanto fico ai cocktail? Giuro che mi dò malato, sono pronto a spararmi in un piede pur di non partire per la crociata. Se è una guerra tra culture io mi porterei Voltaire (e magari pure Marx, per dire) e non la Fallaci.
Ma inutile nasconderlo, non tira una bell'aria qui, ai tempi del colera. Qualche anno fa vidi un cartello esposto a una manifestazione leghista. Diceva: "più polenta, meno cous-cous" e lo trovai deliziosamente surrealista. Risi di gusto, e mi accorgo che mi sbagliavo. Ora quello stesso pensiero - papale papale - è venduto in migliaia di copie, proiettato in migliaia di cinema, predicato nelle multi-chiese e ben piazzato alla Casa Bianca. Di colpo, chissà perché, non mi viene più da ridere.

2.4.04

GIGI MARZULLO SCRIVE FAVOLE
da Chiara Poletti

Sono molti anni che seguo marzullo. credo che Gigi anche se non gli ho mai scritto nulla, scriva FAVOLE PER ADULTI..in senso positivo le favole contano e fanno capire i sentimenti che ci coinvolgono nel vivere ; e' uno strumento per vivere di giorno ,e' la paletta per scavare nella sabbia...ognuno poi in base alla sua positivita' ci fa uscire lo scorpione se finge che l'adulto esista...oppure ci fa uscire la biglia del bambino che gioca..poi sta a noi non so se mi spiego... seguo lezioni di filosofia a bologna nel tempo libero....e forse .serve poco il mio parere ma il tempo libero influsce su di noi ..c'e la vera linfa...come marzullo influisce su di me...Marzullo e' la sintesi bibliografica dei personaggi di oggi che davanti alla loro storia,in PILLOLE, ci raccontano il bignami della storia..i libri sono piu' lunghi e in fondo pochi fanno la vita di AMLETO.
Marzullo converge comunicazione ....sono pillole di saggezza, di pedagogia..Marzullo e' cio' che rappresenta la fotografia..non direi che c'e' molto intellettualismo nello scrivere una foto...e anche lui come le arti visive si occupa dei sentimenti anche se c'e' la poltrona in pelle nera ,il primo piano del soggetto e marzullo si veste con giacca istituzionale da Politico..e' elegante d'animo..un cultore dei buoni sentimenti...guarda..non entra mai..per questo chi lo fa su di lui..magari lo indispettisce ma chi suscita riflessione va sempre apprezzato!Marzullo e' arte, non un giornalista.Lui e' medico ,e' marito,e' di rai 1,...io lo stimo
marzullo e' un bene culturale
E' fine.... amante di cio' che fa.... poco... ma sano, essenziale... ..Michelangelo diceva l'arte e' saper togliere al marmo ,non aggiungere.
per Bohr fisico del secolo scorso, in ternodinamica, diceva che l'entropia ovvero il disordine aumenta con il caos e mettere a posto il caos richiede maggiore consumo d'energia che crearlo....poi l'energia dell'universo e' sempre la stessa..non si crea non si distrugge..riposa in pace marzullo siamo di passaggio !
Anche il mio caro Platone se non ricordo male , abbatte le passioni che sono deleterie per crescere di cervello, per amministrare la polis occorre non farsi soppraffare dalle passioni ma per far capire questo ha scritto 2 testi..LA REPUBBLICA l'ho letta un mese fa.perche' le passioni ci sono purtoppo...marzullo lo fa con il medesimo spirito...e nella filosofia moderna si dice che la difficolta' piu grande dell'uomo e' una: raggiungere l'equilibrio nella vita .Marzullo nella vita lo ha raggiunto..io no ma grazie dell'esempio.
CHIARA 77

1.4.04

INTERVISTA AD ASSUNTA BATTISTI, SORELLA DI CESARE
da carmilla

Come sei venuta a conoscenza dell’evasione di Cesare?

Domenica 4 ottobre 1981, alle ore 17-17,30, mi trovavo a casa di mia sorella Rita per informarla delle condizioni di mia madre, che era ricoverata gravissima all’ospedale Gemelli. Ero appena ritornata, visto che avevo fatto la notte e gran parte della giornata. A informarmi dell’evasione ci hanno pensato i carabinieri di Latina.

Descrivici la notte in cui ti portarono via. Ti spiegarono il perché? Sapevi dove saresti stata condotta?

La sera stessa del 4, verso le 20,30, sono tornati i carabinieri e senza tanti scrupoli (ero stanca per le nottate passate ad assistere mia madre, e preoccupata per mio fratello) mi hanno prelevata. Mi dissero che mi avrebbero portata alla caserma di Frosinone, perché il procuratore voleva interrogarmi, visto che ero l’ultima persona che era andata a colloquio con Cesare. Non ricordo per quante ore sono stata interrogata quella notte, ma ricordo bene gli urli e le minacce, ero la sorella più vicina a lui e quindi dovevo sapere.

Quanto sei stata trattenuta? Che trattamento ti hanno riservato?

Mi hanno trattenuto in cella di sicurezza a Frosinone, per quattro giorni terribili: interrogata da più persone (si alternavano), insultata, maltrattata anche fisicamente. Ero distrutta psicologicamente, non sapevo più chi ero e dove mi trovavo, non potevo nemmeno andare al bagno, non mi potevo lavare, né mangiare. Il tutto aggravato dal fatto che, essendo una fumatrice accanita, non mi davano nemmeno le sigarette.

Durante il fermo ti sono mai stati detti con chiarezza i capi d’accusa, le motivazioni dell’arresto ed eventuali prove a tuo carico?

Accusa? Sono la sorella di Cesare Battisti. Comunque i capi d’accusa con cui mi hanno tenuta dentro per due lunghi mesi erano: concorso in evasione, associazione a banda armata, detenzione e porto di armi da guerra, furto d’auto (per l’evasione), lesioni alle guardie carcerarie.

Hai comunicato con un avvocato? Ne hai fatto richiesta?

Quando ho capito che non mi avrebbero mandata a casa e che mi stavano portando in cella, ho chiesto l’avvocato, che in quei giorni non avevo mai visto. Appena arrivata al carcere di Latina sono stata messa in cella d’isolamento per venti giorni: uscivo solamente per essere interrogata, e questo avveniva notte e giorno, senza mai la presenza dell’avvocato. Solo qualche volta veniva chiamato. Questi interrogatori erano basati sulla crudeltà mentale, tipo interrogarmi senza sosta a qualsiasi ora, ma penso che la cosa più brutta sia stata farmi addirittura credere che fosse stata arrestata mia figlia quattordicenne. In quel momento ho avuto una crisi di nervi e ho perso i sensi. Dopo circa una settimana ho saputo che tutti i miei familiari erano stati arrestati, e che a casa erano rimasti i bambini, mio padre malato di tumore e mia madre ricoverata. A quel punto ero fisicamente distrutta e mentalmente annientata, tanto che durante un interrogatorio ho detto quello che volevano sentire, cioè un’auto-accusa, e così tutti i miei familiari sono stati rimandati a casa.

Come hanno reagito i tuoi figli?

Mia figlia quattordicenne, oltre allo spavento per essersi vista portare via la madre, confusa dalle notizie terribili della stampa, doveva occuparsi della casa e dei bambini di mia sorella Rita. Ma tutto questo non bastava, perché ha dovuto sopportare abusi psicologici da parte dei carabinieri, che ogni notte la prelevavano per portarla in caserma e interrogarla, e ascoltare offese contro me e suo padre.

Quale fu lo stato d’animo dei genitori tuoi e di Cesare, ormai anziani e gravemente malati, nel vedere arrestare tutta la famiglia?

Mia madre era così grave che al momento non si è resa conto della situazione, neppure dei carabinieri che passeggiavano lungo il corridoio dell’ospedale, sperando in una visita di Cesare. Mio padre era uscito da una settimana, dopo essere stato ricoverato per cinque mesi, a causa di un tumore. Come si può descrivere il dolore di questo pover’uomo, con un figlio ricercato e gli altri in galera? Non usciva più di casa, vergogna e dolore lo hanno immobilizzato.

Cosa ti rimane di tutta quell’esperienza? La puoi considerare superata?

Non posso considerare superate le ferite morali e fisiche che mi sono state inferte, se dopo ventitre anni, anche se in maniera diversa, sto vivendo le stesse cose. Con tutto quello che la stampa continuamente riporta, stanno nuovamente facendo di Cesare un mostro, e calpestando la dignità di tutti noi.

Hai potuto rivedere Cesare solo dieci anni dopo, quando la Francia gli concesse lo status di rifugiato politico. Come hai vissuto quegli anni di incertezza e di mancanza di notizie?

Ho vissuto dieci anni di angosce e di preoccupazioni. Migliaia di volte mi sono svegliata pensando a lui e chiedendomi: E’ ancora vivo? Dove sarà? Lo rivedrò mai?

Lo hai poi ritrovato a Parigi con una moglie e una figlia. Com’è cambiato in tutti quegli anni?

Quando sono arrivata alla stazione di Parigi, Cesare era a pochi metri da me e io non l’ho riconosciuto. Non c’era più il ragazzo che io ricordavo, ho ritrovato un uomo provato e dimesso. Il tempo e le sofferenze lo hanno maturato. Cesare è ora padre di due figlie che sta aiutando a crescere insegnando loro la legge dell’amore e del rispetto, quegli insegnamenti che egli stesso ha ricevuto.

Cosa ne pensi di tutti gli articoli pubblicati ultimamente, che parlano del suo come di un esilio dorato?

Menzogne! Ma di quale esilio può parlare, chi ha sempre avuto di tutto e di più? Chi esce dal proprio paese giusto per fare una vacanza, il portafoglio pieno di euro? Costoro non possono o non vogliono capire che esilio significa solitudine, fame ed emarginazione. La vita di un esiliato è durissima e umiliante. Se poi vogliamo dire che avere una sola stanza all’ultimo piano di un vecchio palazzo e lavare le scale significa essere miliardari, allora tirate voi le conclusioni.