30.10.02

SALVERO' ILMONDO/4: "TECNICHE"


di Martino Pinna



Ho imparato una tecnica straordinaria.Quando sento nell'aria l'inizio di un discorso che non mi piace - perché so che è noioso, perché so già cosa dirà ognuno dei partecipanti - faccio finta d'ascoltare e mi metto a cantare mentalmente.Mi è successo l'altra sera. Gli altri discutevano, gli altri e soprattutto Paolo. Siccome una discussione con Paolo è come un bagno nell'idromassaggio con Giuliano Ferrara, io ho iniziato a cantare una canzone perfetta per un caso come questo:Sotto il ponte di Baraccac'è Pierin che fa la cacca,fa la cacca dura durae il dottor gliela misura,la misura fino a treuno due tre!Proprio nella fase finale della coreografia, dove alzo il ginocchio, roteo il braccio sinistro a ritmo e portando in avanti il busto esclamo "uno due tre!", Federica mi ha chiamato, costringendomi ad interrompere la canzone proprio nella delicata fase finale. Paolo ha posto un quesito che dire filosofico è poco. E non si sa cosa sia passato in mente alla cara Federica, che è venuta a chiedere un parere a me. proprio a me.Succede che non riesco a liberarmi di quel bastardo di Pierino che chissà per quale strano disturbo fisico-psichico va a cagare sotto un cazzo di ponte stramaledetto, e ogni domanda che mi fanno Federica e gli altri la mia mente la sostituisce con cose del tipo "Ma il dottore come la misura lacacca?", "Ma perché Pierino la fa sotto il ponte?" e ancora "Perché il dottore va sotto il ponte? Chi l'ha chiamato?".Sono decisamente in difficoltà, quando entra il Serenissimo Buddha e mi salva portandomi via su un bianco elefante volante.O forse questo non è vero e io ho fatto una colossale figura di merda... non ricordo.



***Per farmi bello davanti a Federica sono arrivato a dirle che in passato ero il capo di Greenpeace, che sono stato arrestato ottanta volte in due anni, duranti i quali, con i miei amici dell'A-team, ho liberato alcuni rivoluzionari detenuti in un carcere argentino, e naturalmente che Ernesto Che Guevara era un caro amico di mio padre.Federica credo sia convinta di tutto questo perché evidentemente non ha considerato le seguenti cose: l'azione più illegale che ho fatto in tutta la mia vita è stata buttare una carta per terra, era il 18 giugno 1989; non sono mai stato fuori dai confini italiani, una volta sono andato in Corsica e sono voluto tornare indietro perché ero convinto che i soldati ribelli corsi, approfittando della mia assenza, stavano conquistando la mia città; il più caro amico di mio padre faceva il ferroviere e non aveva la barba, anche se di tanto in tanto fumava il sigaro. Ora è in pensione.E' che le bugie semplici come queste fanno sì una bella figura, ma nulla valgono a confronto con la Prova delle Prove: parlare senza alcuna difficoltà con un turista straniero che chiede informazioni.Alto, biondo e straniero, si avvicina a me e a lei e agli altri che perdiamo i migliori anni della nostra vita in inutili chiacchiere al tavolino di un bar. Il biondo straniero chiede aiuto. Io penso che siamo italiani ma anche europei, globalizzazione, mondo unico, multietnici e tutte quelle cose. Insomma, è un dovere intervenire. E bisogna farlo prima che si mettano in mezzo Dario, Paolo o il Bastardo.In quel momento ho pensato all'ultima volta in cui mi sono trovato in una situazione del genere. Era una calda mattina d'estate, e lui era un turista francese che cercava il centro commerciale. Io giunsi in suo soccorso. Ero un po' confuso, mischiavo un finto inglese, un finto italiano e una buona dose di una lingua inesistente, più una particolare varietà di ansia cronica. Alla fine lui mi accompagnò a casa insistendo per portarmi all'ospedale. Arrivai a casa piangendo e sudando, mio padre offrì da bereallo straniero, e da quel giorno Rick, questo il suo nome, vive qui con noi.Penso: questa volta non devo sbagliare.Mi avvicino al biondo straniero, lo spingo a forza nella sua macchina, gli punto il Manifesto di oggi alla tempia e gli urlo di andare alla stazione. Veloce! Lo dico in una lingua che non si sa bene che lingua è, ma lui, spaventato, ha capito, e in meno di cinque minuti siamo arrivati alla stazione dove ha preso il treno ed è partito per chissàdove.Missione compiuta. Né figuracce, né stranieri alcolizzati a casa mia.

27.10.02

SALVERO' IL MONDO/3: "SPARARE CAZZATE"


di Martino Pinna



Adoro discutere di cose di cui non ne so assolutamente niente.


Ad esempio, le tariffe di cellulari. Non ne so un cazzo di niente. So che è difficile anche per chi se ne intende (cioè per chi ha un cellulare), ma vi assicuro che per me è come per Berlusconi dire la verità, come per Totti leggere un libro senza figure, come per il Bastardo non fottermi una buona battuta, come per Bossi superare le dieci parole in un discorso e non ruttare, come per Dario parlare di qualcosa senza citare quel cazzo di scrittore sudamericano, come per me parlare di un qualunque argomento senza fare tremila esempi.


L'altro giorno ad esempio ho inventato una sensazionale e convenientissima tariffa che ho chiamato "Blue Moon" (che mi pare sia una pizzeria vicino a casa mia) e mi son messo a spiegarla a Federica. Purtroppo, le dico, ho dimenticato la scheda a casa, e anche il cellulare. E a dire la verità credo di averla persa per sempre, aggiungo anticipando lei che, dalla faccia che fa, sicuramente voleva dirmi: "Portala domani!". E' sicuro che sospetta qualcosa.


Ma io ormai sono partito a spiegare le varianti della "Blue Moon" che hanno nomi originali tipo "Margherita" (risparmiate in primavera), "Quattrostagioni" (risparmiate tutto l'anno), "Capricciosa" (risparmiate ogni tanto e la tariffa non vi avvisa quando), "Napoletana" (il risparmio è direttamente proporzionale ai luoghi comuni detti sui napoletani durante la settimana), eccetera eccetera (per dire e via dicendo). Immaginare come mi siano venuti questi nomi non è impossibile, ma è impossibile capire come sia riuscito a cavarmela quando arrivano anche Paolo, Dario e il Buddha.


Il Buddha in particolare dev'essere un esperto di telefoni e cerca in tutti i modi di stroncare la mia tariffa mettendomi decisamente in difficoltà e costringendomi a vecchi trucchi tipo fingere lipotimie o attacchi epilettici quando non mi dà ragione. La sua tariffa, poi, sembrava la migliore al mondo.


Paolo, non c'è bisogno che ve lo dica, è un esperto di telefoni e mi spiega che la tariffa che consigliavo io era responsabile di un incendio in una foresta, non ho ben capito in che modo, e che usando un codice che sa solo lui e suo cugino è possibile mettersi in contatto con la Casa Bianca.


Inoltre ci dice che la sua tariffa, "La Marxista", è migliore della "Blue Moon" perché quello che risparmi sulla scheda lo divide equamente tra i telefoni di tua sorella, tuo fratello e i tuoi genitori.


La discussione sulla tariffa da me consigliata si fa sempre più animata.


Dario, dopo aver discusso con Paolo l'attualità di Marx e l'età di sua sorella, spiega che quella che ha lui carica soldi quando riceve chiamate e lui a volte si chiama da casa al cellulare per avere più soldi sulla scheda.


Io gli dico che secondo me è una cosa a dir poco deprimente. Come quelli che consumano in un giorno tutto l'olio che hanno in casa perché sanno che al supermercato c'è il treperdue e ne vogliono approfittare, o come quelli che si fanno ottanta volte Cagliari-Sassari per fare benzina e avere i punti che ti fanno vincere tremila vacanze a Parigi.
Comunque, alla fine della discussione suona il gong e torniamo tutti agli angoli. Il Serenissimo mi si avvicina, strizza l'occhio e dice: "Anch'io stavo inventando! Tu lo fai spesso?". Abbiamo iniziato a parlare e ho scoperto che anche lui è un maestro in questa grande e antica arte, cioè sparare cazzate.


A momenti, ecco, fondavamo un club.

26.10.02

LE FOTO DEL MASSACRO AL TEATRO DI MOSCA


pubblicate nel sito www.corriere.it

cecenia

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SALVERO' IL MONDO/2: "SI CHIAMA FEDERICA"


di Martino Pinna



Ho buttato dalla finestra tutti i libri di poesie d'amore, tutte le opere dello stilnovo e di neoromantici del cazzo, fanculo anche al corso di seduzione on line che pareva così promettente, mi metto invece a leggere vari trattati di politica, "Destra e Sinistra" di Bobbio, "Il Capitale" di Marx, "La sinistra e lo stato sociale" di A.Gorz, vecchi numeri di "Lotta continua" che mio padre conserva con gli "Oggi" di mia madre, "La sinistra è a sinistra?" di C.Preve, "No-logo" di N.Klein, e anche "Il Manifesto del partito comunista" (finora non l'avevo mai letto tutto, mi ero sempre fermato alla frase "uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro del comunismo") che però è un po' lungo e noioso, bello il finale dove dice
"proletari di tutti i paesi unitevi", il resto.. insomma...



Arrivo dai miei amici di sinistra che ho la preparazione di Bertinotti e di Cacciari messi assieme, ma anche la confusione di un daino affogato nella grappa.
Trovo Lei, ma, brutta sorpresa, parla con un altro.



Le sorprese non mi piacciono, e inoltre lei infila la lingua nella gola di quest'altro. Non ci sono dubbi. lo odia, lo sta soffocando, penso. Non ridete, sono innamorato.
Oltre a Lei e al Bastardo, ci sono tanti altri ragazzi, saremo quasi sei.



Scopro che in realtà a questi non gli importa niente di Maroni (per fare l'umorista direi che se ne sbattono i maroni), ma - così mi dicono - sono lì (siamo lì) per cambiare il mondo.



L'amico del Bastardo si chiama Marco ma si fa chiamare Marko con la kappa (io a dire la verità non sento la differenza). Mi spiega che ha formato un gruppo di boicottaggio, una cosa molto seria, dice che ci lavorava da anni. Quando gli chiedo quanti aderiscono mi dice che per ora solo lui, ma è in
contatto con molte persone e comunque meglio pochi ma buoni. Capisco.



Mi allontano lentamente, lui nemmeno se ne accorge.


***
Già: noi, di Maroni e articolo 18, ce ne sbattiamo le palle. Qui ragazzi si parla di roba ben più seria, siamo come 007: dobbiamo salvare il mondo!
Io ho un po' di paura: non ne ho voglia, oggi, troppe responsabilità, perché proprio io? Se lo salvo sono un eroe, ma se non lo salvo?
Sono dio, penso.



Mentre io faccio il teologo da quattro soldi gli altri uno ad uno fanno con le proposte delle proteste. Marko dice che dobbiamo digiunare per cinque giorni, passare nei carboni ardenti e volare su una mongolfiera cantando "Brava" di Mina.



L'estrema difficoltà della prova spaventa tutti, ma qui succede una cosa fantastica: scopro come si chiama Lei, la bellissima e preparatissima che fino a quel momento stava zitta.



Infatti fa una faccia del tipo "bravo! hai appena detto una stronzata" verso Marko (che ha appena detto una stronzata) e qualcuno le dice: allora proponi tu qualcosa. FEDERICA. Ecco il nome.



E Lei parte a parlare.



Dopo mezz'ora conosco perfettamente ogni punto del suo corpo, ogni configurazione facciale che può assumere, triste, felice, appassionata, disgustata, annoiata, pessimista, ottimista e via dicendo, le ho fatto un esame dettagliatissimo in modo che se voglio la posso sognare più vera che reale, e se per caso si dovesse operare posso aiutare i medici.



24.10.02

SALVERO' IL MONDO: "NON SO ANCORA IL SUO NOME"


di Martino Pinna




Sono emozionatissimo. E' la mia prima vera esperienza in politica, più o meno, solitamente non conto quella volta che un mio amico mi disse divertito che il padre, sindacalista, aveva preso un permesso sindacale proprio nel giorno dello sciopero organizzato dal suo sindacato, e io gli dissi: "Non è giusto".


Arrivo alla sede del partito sapendo di trovare delle ragazze probabilmente della mia età. Entro. Di fronte a me ecco seduto a una scrivania l'ultima reincarnazione del Buddha che mi guarda sorridente mentre sento le note della Marcha de la Unidad Popular. Io dico al Perfettissimo chi sono e lui mi indica col dito una porta.
Noto che le porte dell'impegno civile sono sempre aperte per i giovani, ma sono senza maniglie: nessun problema, spingo, ed entro. Eccomi.


Presentazioni, strette di mano, come sempre io non ascolto quando mi dicono il loro nome e loro non ascoltano me quando dico il mio, così dopo un contatto fisico, un ipocrita sorriso e convenevoli vari siamo ancora tutti dei perfetti sconosciuti.
Un certo Davide esordisce dicendo che non cambieremo mai il mondo riunendoci solo due volte alla settimana. Io sono d'accordo, faccio sì con la testa e dico "questo è vero". Lui mi guarda e dice che si rifiuta di continuare a parlare se io non mi cambio le scarpe. Per gli altri non sembra un problema, nel senso che anche se smette non credo ci sia il dispiacere di nessuno in tutto il mondo, però per me è importante farmi accettare e tutto quanto.


Le scarpe non puzzano, ma sono delle Nike, multinazionale bastarda e schifosa. Per recuperare spiego a Davide e a tutti che le scarpe non le ho mica comprate, macché!, e non ho nemmeno sfruttato bambini del terzo, quarto, quinto mondo!, bensì le ho rubate in una fabbrica della Nike durante un'azione di estremisti, durante la quale defecai sull'insegna della fabbrica. Mi becco un applauso e qualche sguardo disgustato.


Come primo incontro mica male.
***
Alla sede ho conosciuto Lei.


E' bellissima, proprio una bella ragazza, con un bel corpo, ma soprattutto molto preparata e impegnata: mi parla della sinistra, del disinteresse dei miei coetanei per la politica, del progressismo e del neo-liberismo, di Berlusconi, di D'Alema, del movimento no-global, delle teorie sempre molto attuali di Michels, e mentre parla della coscienza di classe e di Marx m'accorgo di non aver mai tolto lo sguardo dalle sue tette.


Mi asciugo la bava che scende dalla bocca e iniziamo a parlare di scuola, come si conviene a due studenti come noi. Io le dico che la riforma della Moratti non mi piace molto, lei si trasforma: cambia voce, la stanza si riempie di notte, lei diventa una specie di demone e rurrigisce: LA MORATTI E' UNA MERDA.


Io faccio velocemente sì con la testa aggiungendo che in effetti sono d'accordo. Poi usciamo. Finalmente. Lei deve andare a casa e io decido di accompagnarla.


Passiamo davanti al Serenissimo sorridente, e ci dirigiamo verso il Centro. E' il mio momento, siamo in una panchina, devo agire! Mi sono preparato su Garcia Lorca, Pablo Neruda, Dante, Petrarca, Goethe, sono pronto a parlare con lei come Siddharta con Kamala quando lei mi sussurra: mi dai il numero del tuo cell? La mia mente in una frazione di secondo elabora nell'ordine: non ha assolutamente detto "mi piacerebbe molto vedere il tuo uccello"; non ha assolutamente detto "da quello che vedo hai un grosso uccello"; lei parla del numero di cellulare che TU NON HAI. Panico. Disperazione. Le penso tutte: darle un colpo in testa, correre in un negozio a comprare un cellulare e tornare alla panchina proprio mentre lei rinviene; inventare un numero di telefono e poi obbligare la società telefonica a darmi proprio quel numero; cercare di ricordarmi il numero di un mio amico, poi uccidere l'amico e prendergli il cellulare.


Risolvo tutto con la consueta ma sempre buona paresi facciale e con un mugolio. Lei sorride e mi dice che un altro mondo è possibile, e io penso che forse un altro incontro è probabile. Ho speranze! Mi saluta, ci vediamo domani.


Ma io ancora non so il suo nome.

23.10.02

carodiario


dal Riformista



Cara Miriam, ho deciso. In mancanza di amiche degne delle mie confidenze - dio come sono furiosa per quello che è successo! - solo a te affiderò i miei pensieri più profondi e i miei desideri più intimi. Ci incontreremo sulle pagine di questo diario segreto, io e te, di nuovo una sola cosa. Lo so, non era colpa tua se con quel cognome che faceva tanto lievito non ci si poteva presentare ai provini, ma io volevo fare il cinema, il teatro, essere applaudita, diventare famosa. E ti voltai le spalle. Perdonami. Anche perché se adesso alzo lo sguardo verso lo specchio che è qui di lato allo scrittoio vedo una donna che non può permettersi nemmeno di sussurrare all'orecchio di un'amica un proprio moto dell'animo senza scatenare un pettegolezzo nazionale.



Ma è meglio che ti racconti dall'inizio.


Tempo fa avevo chiesto a un'amica, della quale voglio dimenticare anche il nome, di accompagnarmi a una conferenza di questo filosofo veneziano del quale tanto avevo sentito parlare, sul tema della "Finis Austriae". Oh Miriam, tu sai quanto sono legata alla storia di quel periodo che è lo stesso in cui visse Rudolf Steiner, a cui devo tutto. Tre ore di Schopenauer Nietzsche Freud, metafisica pensiero teologia. Non capivo tutto ma verso quegli argomenti sentivo lo stesso un trasporto così profondo. "E' affascinante, vero?" sussurrai a un certo punto alla mia amica certa che anche lei stesse vibrando di fronte a tutto quel sapere concentrato nella Vienna d'inizio secolo. Non feci caso al suo commento malizioso e nemmeno al sorrisino tra l'ironico e il sorpreso col quale mi accompagnò a chiedere a quell'uomo un autografo sul suo ultimo libro appena uscito. Mi ero tolta gli occhiali scuri e forse i miei occhi dissero troppo della mia gratitudine perché anche lui mi guardò, in un attimo di profonda intesa spirituale. "Chissà qual è il suo grado di Karma", mi trovai a pensare ma lui stava già parlando con un altro signore. Forse ha ragione Petit Chou a volere che indossi sempre un paio di occhialoni scuri quando esco di casa. "Sono geloso dei tuoi occhi" mi dice sempre, "sono troppo belli ed espressivi ". Troppo espressivi, se la mia amica era riuscita a leggervi un amore per l'uomo che non mi ero mai sognata! Continuai a frequentare le sue conferenze e ne parlavo entusiasta alla mia amica che aveva smesso di accompagnarmi. Ah vipera! Quando mi riferirono il pettegolezzo capii subito chi dovevo ringraziare.



Lo specchio riflette l'immagine di una madre di quattro figli. Due ragazze. Un ragazzo. E un pupone. Che non riesce a tenersi niente, che appena può parla, che non ha capito che il mondo non merita che la nostra indifferenza! Fa l'autogossip lui, e gli altri alle manifestazioni innalzano cartelli che strillano "W Cacciari". Bel capolavoro! Di certo gli occhiali scuri in pubblico non li toglierò mai più. Petit Chou insiste per quelli grandi, lui non gradisce quelli piccoli e neri che piacciono a me. "Fanno tanto Jackie O., e io sono il tuo JFK!". Sarà, ma se mi guardo allo specchio altro che Jackie,sembro Maria Angiolillo! Come è difficile essere la moglie di quest'uomo. Ma lo sai che mi ruba i cosmetici? Ho bisogno di un massaggio.



PS. La mia segretaria mi ha detto che ha chiamato Rasmussen da Copenaghen. Mamma mia, e adesso questo che cosa vuole?

L'EDITORIALE DI PRESENTAZIONE DEL RIFORMISTA



Tre promesse ai lettori in cerca di una terza via




Di questo nuovo giornale che nasce oggi, «Il Riformista», si è detto già molto. Forse troppo. E' una fortuna per un battesimo, e noi ringraziamo tutti coloro che hanno finora parlato di noi. Sia quelli che ci hanno accolto con interesse e talvolta perfino con entusiasmo, non solo nel cosiddetto "Palazzo" ma anche nella "comunità" telematica che intorno a noi è già sorta. Sia quelli che non hanno preso bene il parto, forse perché non amano la crescita demografica delle idee, e sono conservatori per natura. Attaccandoci prima ancora di conoscerci ci hanno dato una ottima conferma dell'utilità del nostro progetto, che ha in odio la guerra civile permanente da cui l'Italia politica non sembra capace di risollevarsi. Non spiegheremo dunque in quattro righe e tre paroloni (indipendenza, autonomia, libertà) che cosa saremo. Contiamo di farlo giorno per giorno con i nostri articoli. Ma qualche promessa possiamo farla.



1) Non avremo tabù. Non c'è niente - ma niente davvero - che non possa essere discusso e sottoposto ad analisi critica. Non c'è schieramento pregiudiziale che giustifichi la miopia. L'omino col cannocchiale, il nostro logo nella testata, allude proprio a questo. Lo diciamo soprattutto a sinistra. Mettersi in testa l'elmetto e suonare la carica può rinfrancare di tanto in tanto le truppe, ma non fornisce le armi, sofisticate e nuove, che sono necessarie per vincere le guerre elettorali del Duemila. La politica non è orgasmo permanente, ma costruzione quotidiana di proposte vincenti. Una sinistra di governo si comporta sempre come se fosse al governo, anche quando è all'opposizione. Prima o poi tornerà a vincere, e noi la vogliamo all'altezza del compito quando accadrà.



2) Non faremo sconti. L'arretratezza politica attuale del
centro-sinistra non è un buon alibi per la deriva conservatrice, lo stato confusionale e il tirare a campare che sembrano ormai caratterizzare il governo Berlusconi. Ci aveva promesso riforme, non le vediamo. Su questo lo giudicheremo, senza riaprire ogni mattina la campagna elettorale. Come ha scritto Ilvo Diamanti, gli elettori
sembrano poco attenti al conflitto di interessi di Berlusconi e molto attenti al conflitto di Berlusconi con i loro interessi. Nel paese che lavora e produce, la Finanziaria e lo stato dei conti pubblici generano più allarme della Cirami e della Pittelli. Questo giornale riconosce in pieno la legittimità del governo, e per questo pretenderà che governi. Non siamo per il tanto meglio tanto peggio, e lo spettacolo di un paese in declino - perché di ciò si tratta - non ci darà soddisfazioni postume.




3) Non staremo né di qua né di là. Difenderemo il bipolarismo e prenderemo posizione. Cercheremo i veri riformisti e daremo loro voce. La loro cultura è nata, un secolo fa, nella sinistra e nel movimento dei lavoratori. Dove ha vinto, ha creato società più efficienti e più
giuste. In Italia si è smarrita in mille rivoli, alcuni in faticosa marcia verso il centro politico, altri ritiratisi a vita privata, altri ancora sedotti dall'apparente efficienza del berlusconismo. Tra i tabù della vecchia sinistra e gli insuccessi della nuova destra, c'è sempre una terza via da percorrere. A saperla trovare, ci si può ancora battere per gli ideali della Rivoluzione francese: libertà ed eguaglianza. Il terzo, quello della fraternità, ci sembra per sempre sepolto sotto le macerie delle utopie e i fasti dell'individualismo di massa.

ECCO LA PROVA CHE ERO VERAMENTE IN MAROCCO




maroccoSTO ASPETTANDO CHE LE CAPRE MATURINO




maroccoSTO DISCUTENDO CON UN DROMEDARIO SULL'ULTIMO LIBRO DELLA FALLACI




maroccoSTO ACQUISTANDO COCA A GRANA GROSSA NEL SOUK DI TAROUDANT




maroccoSTO FACENDOMI UNA CANNA INSIEMNE ALLE TRE GAZZELLE NELL'ALBERGO "JIMI HENDRIX"




maroccoSTO SFRUTTANDO LAVORO MINORILE A TAROUDANT

19.10.02

LA POLEMICA


Cari pacifisti, anche le armi
possono fermare i massacri



di ADRIANO SOFRI




CARO Gino Strada, voglio litigare con te, di brutto. Sarebbe meglio farlo di persona, nel Panshir, magari a Pinerolo: peccato. Ma tu sarai così generoso da litigare senza scrupoli, come se fossimo tutti e due a piede libero, in un autogrill. Comincerò con l'elogio dello sminatore, che in questo momento storico è il mio eroe. Ne ho appena visto uno in tv, militare di professione, ora smina da volontario coi miei amici di InterSos in Afghanistan. Ne conobbi altri. Una giovane donna, in Bosnia - là si chiama diverzant, lo sminatore - mutilata, temeraria. Voleva salvare vite, dicevano di lei che volesse morire. Ho sentito dire di campioni dello sminamento, che erano stati in passato collocatori di mine: gente che tornava sui suoi passi, come dovrebbe fare l'umanità intera. Fin qui siamo d'accordo, anzi, tante cose le ho imparate da te. Ora lo sminatore - la sminatrice volontaria - è dunque il mio eroe: tuttavia bisogna che qualcuno si occupi della questione generale, di mettere al bando le mine, la produzione, lo smercio, l'impiego eccetera.



Proprio tu ti impegnasti in questa campagna generale. Si striscia a disinnescare o a far brillare una mina dietro l'altra, per milioni e milioni di mine; si cura un mutilato dopo l'altro, si fabbrica una protesi su misura dietro l'altra - ma bisogna pure provare a interrompere, almeno a ridurre, la guerra, posatrice di mine e avida di mutilazioni. Tu curi la gente, e quanto alla questione generale, la guerra, che aborrisci, ti affidi all'educazione alla pace. Fra la mirabile cura chirurgica delle vittime di ogni colore, e un'umanità ricreata dall'educazione alla pace, c'è, a esser molto ottimisti, un enorme intervallo. È su questo intervallo che voglio litigare.



Nella guerra, le guerre, afgane, più lunghe di quella di Troia, tu curavi la gente: ti chiedevi chi e come potesse far finire la guerra? (Non è una domanda retorica: non lo so davvero. Non lo ricavo neanche dal tuo bel libro: "Buskashi"). Non era certo affar tuo; forse credi che nessuno possa far niente per far finire le guerre, e che si possa solo curare, operare, sminare. Il problema nasce quando qualcuno prova a far finire la guerra. In Afghanistan non ci ha provato nessuno, a lungo: l'hanno combattuta ed eccitata, ognuno dalla sua parte, ogni potenza dalla sua parte, finché una specie di stallo ha consegnato gran parte del paese al truce fanatismo Taliban. Stato-non Stato, tirannide brutale contro donne e bambini, territorio infeudato a un'Internazionale del terrore.





Bisognava o no che qualcuno si ponesse il problema di metter fine alla tirannia dei Taliban? Di strappare la frusta dalle mani degli squadristi? Prima dell'11 settembre, anni prima, io battevo le mani al lavoro afgano tuo e dei tuoi, e del dottor Cairo, e pensavo che la comunità internazionale dovesse intervenire a riportare le condizioni minime della convivenza civile in quel paese. Non sapevo come; condivisi l'illusione che Shah Massoud fosse il leader da sostenere. Massoud venne in Europa a chiedere aiuto, ignorato. Non era l'eroe senza macchia, benché fosse un eroe. Pensavo che la condizione delle donne equivalesse a uno smisurato campo di concentramento e di torture. Che si fosse nel caso in cui guerra e oppressione non sono state prevenute, e c'è bisogno urgente di soccorso. È così nella cura per la salute e la medicina, no? C'è un'educazione alla salute, c'è una medicina preventiva, c'è, quando si sia a quel punto, il ricorso alla chirurgia. Le persone possono trovarvisi, che abbiano gozzovigliato o seguito una dieta salutista, che si siano educate alla prevenzione o che abbiano creduto all'omeopatia: e però ormai devono affidarsi al chirurgo. E i paesi, i popoli? Nel tuo Afghanistan non successe niente.



Non gliene fregava niente a quasi nessuno. Poi c'è stato il 9 settembre, l'assassinio di Massoud, e poi l'11 settembre. L'amministrazione americana - e la coalizione adunata attorno a lei col mandato dell'Onu - ha additato in Al Qaeda (che l'ha rivendicato) l'autrice dell'assalto a Manhattan e a Washington, ha preteso la consegna di Bin Laden, è intervenuta militarmente contro l'Afghanistan del mullah Omar. Ogni volta che si ricorre alla forza, tu dici, le vittime sono i civili innocenti. Ma in Afghanistan da anni e anni i civili innocenti erano vittime di guerre. Tu lo sapevi meglio di chiunque: li ricoveravi, li operavi. Nell'Afghanistan del dopo 11 settembre, non-Stato escluso dall'Onu, infeudato ad Al Qaeda, bisognava intervenire? Bisognava impegnare le proprie energie perché il modo di intervenire fosse il più rispettoso della vita e della dignità umana, o opporglisi comunque come a un'infamia bellicista?



Credo questo: si può fare obiezione a qualunque decisione che, anche col proposito di salvare vite umane in numero ingente, sacrifichi la vita di innocenti, fosse pure un solo innocente. Questa obiezione di coscienza può segnare insuperabilmente il convincimento morale di un singolo individuo. Non quello di un responsabile pubblico, un militare o uno statista. Un responsabile pubblico misura relativamente la sua morale, che, per essere relativa, non è meno rigorosa. Non si illude di escludere in assoluto il sacrificio di vittime innocenti, ma vuole ridurne al minimo il rischio. Non ammazza né tortura prigionieri, anche i più colpevoli. Rifiuta, in Palestina, di far esplodere una vettura sulla quale, con un pericoloso capo terrorista, viaggiano persone innocenti, e dei bambini. Non ammette che, in nome del pericolo probabile ma futuro, si sacrifichino oggi degli innocenti. Apprezza l'incolumità della gente del "nemico" come quella della propria gente.



Questo era il problema imposto dall'intervento in Afghanistan, e in qualunque altro luogo del mondo. Opporsi in assoluto a ogni ricorso internazionale alla forza equivale esattamente a negare l'esistenza di una polizia entro i confini di uno Stato. Solo il pregiudizio, e l'abitudine, impediscono ancora di vederlo.



L'intervento in Afghanistan è avvenuto. È costato lutti evitabili e delitti cercati, ai civili e ai combattenti. Ti domando: i civili colpiti oggi in Afghanistan sono più numerosi o molto meno? Gli arti mutilati sono più o meno? Le mine collocate sono più o meno? Si mettono nuove mine o si smina? Le frustate alle donne sono più o meno?



È vero, secondo una quantità di fonti attendibili, che la maggioranza delle donne indossa ancora il burqa. A Herat, è stato ripristinato l'obbligo. A Kandahar, lo portano pressoché tutte. A Kabul sono numerose quelle che se ne sono sbarazzate. Ti domando: quelle che possono scegliere di non indossarlo sono molte di più o no? Tu sei arrivato a dire che le uniche donne senza burqa sono pagate dai fotografi occidentali! Affermazione enorme, se fosse vera, e degna di verifica. Intuisco quanto ti stia a cuore quel paese. Ma allora: perché la - precaria, difettosa, mediocre - liberazione di Kabul non viene festeggiata con le lacrime agli occhi da te e da tutti noi? Perché nelle cose che dici e nell'espressione del tuo viso, al contrario, sembra di leggere un rammarico? Un rimpianto per la Kabul com'era? Perché il ritorno di due milioni e passa di profughi in Afghanistan non viene salutato con le lacrime agli occhi?



Non smetto di chiedere perché i convinti pacifisti che non mossero un dito per liberare Sarajevo dall'assedio (il più lungo della storia moderna, più che a Leningrado) e dallo stillicidio delle bombe e dei cecchini, e anzi proclamarono la loro opposizione attiva a un intervento militare internazionale che sbloccasse l'assedio, e profetizzarono lo scoppio della Terza Guerra Mondiale, quando quell'intervento avvenne, con gli aerei della Nato, e in pochi giorni, e senza vittime innocenti, sbloccò l'assedio e liberò Sarajevo, non festeggiarono con le lacrime agli occhi? Non era la pace, si sapeva, lo sapevo: era solo (solo!) la fine del massacro quotidiano. L'interruzione del massacro, vegliata, ancora oggi, dalla polizia internazionale. Sono innumerevoli i posti della terra in cui si può pregare per la pace, ma per interrompere i massacri occorre mettere in campo una forza armata internazionale, e tenercela. E magari farle patrocinare libere elezioni, come a Timor est.



Sono contrario alla guerra minacciata contro l'Iraq e alla sua filosofia, e spaventato dalla sua ignota modalità. Ma mi sembra pazzesca l'assimilazione fra Saddam Hussein e Bush, che tu proclami a muso duro. Pazzesca l'indifferenza alla democrazia, per formale e imperfetta e violata che sia. Alla distanza fra governi eletti a suffragio universale e sanguinarie dittature assirobabilonesi. So darmene solo una, ma inadeguatissima, spiegazione. Io credo che la - brutta, difettosa, violata - democrazia debba essere la condizione della convivenza civile in ogni parte del globo.



Tu forse pensi - come certi etnologi relativisti che non sono ancora tornati a casa, come i leader cinesi, come i capi tribali patriarcali, come i fedeli della sharia - che la democrazia sia il pregio o il tic di un pezzetto di mondo, e sia fuori posto e disadatta a tanta altra parte del globo. Non riesco a capacitarmene, e mi spaventa. Mi spaventano le persone che mi sono care, note e ignote, che ripetono generosamente di essere sempre e comunque contro l'impiego della forza. Si sono dimenticate di Auschwitz, e non hanno voluto imparare dov'è Srebrenica, e che cosa è successo, e quando.



17.10.02

IDENTIKIT: DAVIDE PARIS


Paris ai Caraibi
Avro' 36 anni al primo giorno di Dicembre. Sono Ingegnere Elettronico e lavoro nel campo dei Semiconduttori. Ho moglie, che lavora se no non si campa, e figlia di 1 anno e mezzo. Sono di Milano dove vivo in affitto per 900 euro al mese. Leggo il Corriere, il Foglio e un po' del resto. Rispetto tutti e tutto, ma non mi si chieda di porgere l'altra guancia. Infine adoro lo sport da vedere ma soprattutto da fare.

IDENTIKIT: NATALINO RUSSO

dal Barbiere della Sera


Un disvelarsi, uno strip tease dell'anima o piuttosto un curriculum da prendere in seria considerazione. Comunque da leggere. Un curriculum diverso che merita l'home page e la foto all'interno


natalino


53 anni tra un mese o, come preferisco dire, 30 anni e 275 mesi. Uno ad allattare. Due in fasce, tre all'asilo, tredici tra elementari, medie e liceo classico, uno all'Aci, uno correttore di bozze al Corriere, 25 in Banca Popolare di Milano. Pesce fuor d'acqua anche se economicamente la banca era una "mamma".





Poi ho chiesto una buona uscita extra per togliere il disturbo e purtroppo (o per fortuna) me l'hanno data.



Mi sono messo in proprio per fare l'imprenditore comprando un bar (altri 3 anni), ma ho perso la "im" e l'ho preso in quel posto perdendo soldi, lavoro e (fino a questa estate con l'avvenuta riappacificazione) moglie e figlie.



Il bar non faceva per me. Il commercio o l'industria (il Cav. insegna) è per gente col pelo sullo stomaco. Nel mio bar/tavola calda (c'erano, tra l'altro, un paio di tavoli dove gratis mangiavano i barboni di Parco Sempione, cosa che metto sul petto come una medaglia) "regalavo" e poi sono stato anche vittima di Tangentopoli, chiusa la mangiatoia della Milano da bere, infatti nessuno aveva più soldi per consumare bevande.



Conclusione: chiuso. Ma, ed è per questo che ho messo il per fortuna tra parentesi, non tutto il male viene per nuocere. Sono tornato al paese e dalla mamma e da una sorella che mi ha incoraggiato, come mai mia moglie aveva fatto, a seguire la mia inclinazione: leggere e tentare di scrivere.



Ecco quindi che da tre/quattro anni e specialmente da uno, grazie al computer, mi sono dedicato a questo hobby che spero divenga una professione. Sto scrivendo un romanzo su Cilea, il mio paese e un pò la mia vita: titolo "Cilea nel paese dell' Ulivarelle". Poi un libro di poesie che una casa editrice di Firenze mi pubblicherà e aforismi.



So già che queste tre cose non mi renderanno un euro, ma scrivo per me e per dare emozioni ai lettori, se ce ne saranno.



Ultima attività: umorista/battutista/polemista che dir si voglia. Collaboro saltuariamente con Tv7 e un po' più frequentemente con Tempi, inserti del Giovedi rispettivamente di Corsera e Giornale.



Se la promessa fattami di una collaborazione continua si trasforma in realtà, potrò tornare in famiglia, perché a mia volta ho promesso che l'avrei fatto solo con un (anche piccolo) reddito mio.



Imperverso su vari siti Internet e sulla pagina dei lettori di vari giornali. Ho una specie di doppia personalità: quando ho a che fare con persone schierate, ma di forte onestà intellettuale sono il dottor Jekill e mi modero, valuto anche le ragioni degli altri, cerco di apprendere, di migliorarmi.



Quando invece incoccio in quelli che 'loro sono superiori', in quanto di sinistra, e migliori per cultura, bontà, intelligenza, democraticità e onestà di me, m'incazzo e divento il Signor Hide.



Estremizzo i miei ragionamenti, divento fazioso, ma, credetemi, pur non essendo reazionario, reagisco. Ma cerco di non offendere e non odio nessuno, anzi.



Ho moglie maestra, due figlie, una laureata in lingue lavora alla Sea Malpensa; poi tre fratelli e quattro sorelle (non c'era la TV ed i figli non erano un peso o un problema come oggi) e una mamma quasi 88 primavere che, senza retorica, è il massimo. Papà non c'è, almeno in terra, da 20 anni.



Hobby: rubare fiori dalle tombe dove ce ne stanno tanti e redistribuirli in quelle disadorne; scrivere pensierini o poesie sulle stesse tombe (anche di sconosciuti per lo sguardo o per la giovane età o per mille altri motivi ed è una soddisfazione quando vedo che queste mie frasi o versi, piacciono ai parenti che li fanno incidere sulle lapidi); presentatore nelle feste di piazza (ho una bella faccia tosta) o nelle cerimonie.



Sportivo (da spettatore), ingrassato (vita sedentaria e buona forchetta). Ho anche mille difetti, ma ve li lascio solo immaginare.



Posso affermare senza arrossire di essere un buono, non un buonista, umile, allegro, ottimista, compagnone (ai matrimoni mi invitano perché faccio spettacolo e risparmiano il complesso: ad uno, dopo uno show fatto di battute improvvisate, un commensale mi ha detto che Benigni, Grillo e Panariello possono farmi un baffo). Ed anche in questo campo sono versatile perché gli stessi invitati, che al ristorante ho fatto torcere dalle risate, tre ore prima in Chiesa li avevo fatti piangere recitando due poesie.



Una cosa posso garantire: se essere di sinistra vuol dire essere altruisti, pacifici, egualitari, onesti e democratici (ma non credo perché sono categorie dello spirito e non sono appannaggio di nessuno) pochi sono più comunisti di me.



Natalino Russo da Seminara



(da una corrispondenza privata con La ragazza del bar, resa pubblica, più che ai sensi della legge, dall'affetto istintivo, non previsto dalle regole della privacy)

12.10.02

Biagi intervista Benigni


Indovina chi è Pinocchio




Enzo Biagi incontra Roberto Benigni. E il discorso riprende dall'intervista che fece infuriare Silvio Berlusconi. Parlano dell'ultimo film del regista toscano e dei burattini d'Italia



di Enzo Biagi sull'Espresso











Non credo si possa riassumere il carattere di un popolo in una scheda, ma si può provare. I toscani hanno il senso del comico: basta pensare alle beffe narrate dal Boccaccio, o da Benvenuto Cellini, o anche Pieraccioni o Benigni. Vorrei ricordare anche un vecchio amico che ebbe successo perfino alle Folies Bergère: Odoardo Spadaro. Una sua canzone diceva: «La porti un bacione a Firenze, che l’è la mia città».




È bello ed è giusto che Roberto Benigni racconti sullo schermo Pinocchio, perché anche lui sembra inventato da Collodi: certamente è stato compagno di banco di Lucignolo. E di sicuro ha giocato con Pierino Stoppani detto Gian Burrasca. Roberto ha detto che sua madre è analfabeta: ma gli ha insegnato ad affrontare la vita. Per me, lo scrivo senza imbarazzo, è un genio. Dopo Federico Fellini un altro personaggio da esportazione.




Lo è come parla, che fantasia, per come si muove, che burattino, per l’innocenza della sua scurrilità, che è buffonesca e sboccata, ma mai triviale, perché diffonde un senso di libertà e di allegria. Se è eccessivo lo è, caso mai, nelle trovate.




Benigni dice cose bellissime: «Quando cammino per Firenze il duomo non lo guardo neanche, me lo sento tutto addosso, e mi pesa ogni mattone... Per me le cose più belle della Toscana sono i fagioli all’uccelletto e Pinocchio».




Ci sono delle battute di Benigni che sono dei saggi: «L’aspetto più comico della vita italiana è il fatto che siamo il popolo di San Francesco e votiamo per il più ricco». E ancora: «La storia è la cronaca della nostra infelicità». O: «Sempre con quel doppiopetto anni Trenta Berlusconi sembra la parodia di un gangster: Al Cafone».




Su Bossi: «La Lega è sacrosanta, a Catanzaro se ne sentiva il bisogno. E poi è bastato lo slogan: “La Lega ce l’ha duro”. Mi ha fatto subito capire la serietà del partito».




Mi ha detto Benigni quando ci siamo visti qualche giorno fa: «Ti hanno levato dalla televisione, perché abbiamo detto insieme “Noi vi amiamo”». Ed io gli ho risposto: ma pensa Berlusconi ha detto che con questa storia gli abbiamo fatto perdere un milione e 750 mila voti. Ho chiesto a un esperto: «È sicuro del danno?». Ha detto: «Perché me lo chiede?». «Perché io adesso telefono a Roberto e facciamo il bis. Ogni volta che c’è una elezione».




E Benigni aggiunge: «Ne facciamo due, così diventano più di 3 milioni. Alcuni anche dalla destra, ho sentito. E la maggioranza degli incerti, che non votano, si sono tutti buttati dopo l’intervista, e molti anche del centrodestra sono passati proprio di là. Ma noi abbiamo solo detto: “Noi vi amiamo”. Era un finale. E noi riprendiamo là dove ci eravamo lasciati, riprendiamo da là, dal “noi vi amiamo”».




Ricominciamo con quella battuta e con questa domanda: ricordi il primo incontro con Pinocchio? Quando l’hai conosciuto?




«Finisce qui la domanda?».




Sì, e adesso comincia la risposta.




«Oh caro Enzo. Ma questo è un inizio straordinario, perché è bene cominciare dall’incominciamento. Allora oserei parlarne così del mio incontro con Pinocchio che è avvenuto tardi tardi. Io ero già Pinocchio, ma non me ne ero reso conto, così come Collodi non si era reso conto di scrivere Pinocchio. L’ho vissuto alla stessa maniera, tanto è vero che da piccolino non lo potevo leggere, perché la mia mamma non sa leggere né scrivere. Il mio babbo era sempre fuori, o per lavoro o per la guerra. Però, la mia mamma mi raccontava che c’era un burattino, un bambino che gli si allungava il naso quando diceva le bugie - che basterebbe questo per rimanere nella storia - poi dentro al libro ci sono tante altre cose. La mia mamma conosceva solo Pinocchio e alcuni versi strampalati di Dante Alighieri, della Divina Commedia, e univa le due cose».




Tu ricordi?




«Univa queste due cose e mi diceva: “Se dici le bugie ti si allunga il naso e poi Dante Alighieri ti mette all’inferno”. Io avevo unito Pinocchio e Dante Alighieri, tanto è vero che nel Convivio ho trovato una frase in cui Dante Alighieri si descrive come Pinocchio identico. Dice della sua vita, l’ultima frase in cui parla di sé, poveraccio, di tutto quello che ha patito: “Io altro non fui che legno sanza governo portato dalla divina povertade”. Più Pinocchio di così. E allora vedi che la mia mamma aveva ragione, Pinocchio e Dante sono la stessa persona. E più con quel naso che si ritrova Dante, un pochino insomma...».




I monelli della letteratura italiana, dal burattino a Giamburrasca sono quasi sempre toscani. In Italia si fanno degli scherzi, ma da voi si fanno delle beffe. Come mai?




«Lei deve sapere che in Toscana, signor Biagi, è vero che c’è il gusto della beffa, ed è vero perché c’è una mancanza di teatro fondamentalmente, perché dopo Machiavelli non abbiamo avuto più nessuno. Mi permette, signor Biagi, dopo mi dirà, ma Benigni ha perso la testa, c’è un pochino di mancanza di conflitto con il sacro, con Dio proprio. E allora c’è il gusto della beffa, che chiunque vedano, da Buddha al Presidente della Repubblica dicono: “Bellino, bellino”. Hanno questo, che è una meraviglia e un tormento nello stesso tempo. Per esempio, il Brunelleschi, che ha fatto il più grande miracolo di tutti i tempi, dal quale è scaturita anche la scoperta dell’America. Lo sa che nella cupola del Brunelleschi un certo Toscanelli, fece una mappa con una meridiana di tutto il globo terrestre, dalla misura miracolosa. Questa carta andò a finire nelle mani di Cristoforo Colombo che poi decise di partire... Insomma, in Toscana c'è sempre stato il gusto della beffa. Questo è il versante del toscanismo che mi piace meno».




Chi è per te il bugiardo?




«Il bugiardo è un essere maraviglioso, proprio con la “a”. Per esempio, Federico Fellini era un gran bugiardo, lei lo conosce meglio di me, nel senso che lui le bugie le amava. Chi dice bugie, dipende naturalmente dalla maniera con la quale si dicono - dirò delle banalità, mi perdoni se oggi non sono in una forma entusiastica su delle cose straordinarie che nessuno ha mai detto - però se uno riesce a dire una bugia, deve inventare una storia, c’è un senso di generosità verso l’altro.




«Poi deve continuare il racconto, perché sia credibile, deve inserire delle cose plausibili e fantastiche, che lasciano di stucco, così come fa Pinocchio. Insomma, insistere sulla bugia è creare una storia e, diventa una montagna di neve che va protetta. È un regalo, insomma. Sono bugie le sue, non menzogne. Perché Pinocchio dice delle bugie innocenti, come tanti altri personaggi nel libro le dicono; solo lui però ha una dannazione, quel naso non gli permette di rimanere protetto dalla balla, mentre gli altri dicono le frottole. L’unica menzogna che dice Pinocchio è quando non è più lui, alla fine del libro, quando pronuncia la famosa battuta: “Come ero buffo quando ero un burattino, e come ora sono contento di essere un ragazzo perbene”. È la grande frottola del libro, l’unica panzana di Pinocchio. L’unica vera fandonia è quella finale. Non è contento di essere un ragazzo per bene, tutti amiamo il burattino. Mentre gli altri personaggi dicono le menzogne, le dice la Fata, le dice Geppetto, le dicono il Gatto e la Volpe, ovviamente. Ma quelle sono vere menzogne. Invece, Pinocchio dice bugie meravigliose, che tutti noi vorremmo dire».




Ne vedi in giro dei Gatti e delle Volpi?




«Oh mamma mia! È tutto un gattaio e un volpaio. Se gli Inglesi venissero qua, hanno fatto pure lo sciopero per la caccia alla volpe, potrebbero cacciare bene bene».




C’è chi distingue tra bugie buone, a fin di bene, e bugie cattive. Ci sono delle verità, al contrario, che fanno male?




«Oh certamente! Le verità fanno sempre male. Solo i bambini e i folli dicono la verità».




Perché quando la bugia la dice un politico è strategia e, se la diciamo noi due invece diventa menzogna?




«È vero. Lei, signor Biagi, si ricorda che Cavour disse: “Ho trovato un sistema per dire sempre le bugie, non le dico mai, sono sempre sincero, così non mi credono e faccio quello che mi pare”».




E inventò il doppio gioco. In un classico della nostra letteratura c’è un burattino che diventa uomo. Ma nella realtà non ci sono uomini che si comportano da burattini?




«Che bella domanda. Lei mi fa andare al manicomio, perché è vero che nella realtà ci sono tanti uomini che si comportano da burattini, però normalmente usiamo il termine burattino un po’ in maniera spregiativa».




Domanda intenzionale: chi è per te la fata turchina?




«Ma lei signor Biagi mi ha fatto una domanda trabocchetto, perché io le dirò che della Fata Turchina Gadda diceva che era il più grande mito femminile del XIX secolo. È effettivamente l’unico personaggio femminile di tutto il capolavoro di Collodi. Questa Fata Turchina è una delle figure più enigmatiche. Dentro a questo personaggio ci sono delle passioni umane, è proprio una pentola, e quando si scoperchia si rimane affascinati da tutto il calore, i sentimenti, la poesia, l’ambiguità, l’enigmaticità».




Io ho fatto questa domanda con l’intenzione di rendere un saluto affettuoso alla signora Benigni, alla signora Braschi.




«Io la ringrazio. Anche se devo dire che oramai non posso più immaginare Pinocchio senza lo sguardo di Nicoletta Braschi, per me è la Fata Turchina eterna. E devo dire che come ha interpretato questo ruolo, è davvero una cosa che si rimane incantati».




Ma perché Collodi al bugiardo fa allungare il naso?




«Lui ne dice tante di bugie senza che gli succede: con Mangiafuoco, ne dice tante. Gli si allunga il nasino con la Fata perché lei vuole che lui cresca. Però lo ama così com’è. E lo vorrebbe per sempre così. Desidera che lui cresca, perché quello che deve fare un artista, se una cosa che viene al mondo non ci rende la vita più gradita, tanto valeva che non nascesse affatto: questo è l’assunto. E la Fata sente che il mondo ha bisogno di questa leggerezza, di questa meraviglia, ma sa che le cose belle durano poco, vorrebbe che durasse eternamente ma non può. Tanto è vero che cerca di fargli comprendere cos’è la morte - proprio questo è il messaggio - una brutta parola ma, lei sa che a volte ce le permettiamo. Tra l’altro, è così nascosta, misteriosa, che è una cosa bella. Io ricordo una bella frase di Proust che diceva: gli artisti devono regalare tutto, è un regalo l’arte. Quando il messaggio è troppo forte o troppo evidente, è come fare un regalo con il biglietto del prezzo attaccato».




Qual è il peccato più grave per te?




«Il peccato più grave è non desiderare di essere felici, non cercare di essere felici. Io ricordo una poesia di Jorge Luis Borges. Diceva: ho commesso il peccato più grave, non sono stato felice. Mi ha molto colpito questa frase. Abbiamo il dovere di essere felici, non perché la felicità, come dimostra Pinocchio, non si riesce a raggiungerla; quando siamo vicini si allontana sempre. Però abbiamo il dovere di cercare di essere felici e il dono degli artisti è entusiasmare alla vita. Questo è quello che deve fare un artista, entusiasmare alla vita nella consapevolezza che c’è la morte, c’è il nulla, e noi siamo nulla. Deve essere consapevole l’artista, se no sarebbe un bischero».




C’è una bugia che ricordi e di cui in seguito ti sei pentito?




«Delle bugie non sono mai pentito. Ogni volta che le ho dette, quando mi vengono bene, sono così contento. Ma io è da quando ero un bambinello che mi identificano con Pinocchio. Anche il Maestro Federico Fellini mi chiamava sempre Pinocchietto. Come mia mamma, anche da piccolino; quando mi perdevo: Pinocchiooo..., mi faceva, quando c’era la pioggia, mi ricordo le urla, Pinocchino...




«E in più quando sono diventato, tra virgolette, conosciuto, diciamo in Italia nei primi tempi, sono stato identificato con Pinocchio. Perché Pinocchio era l’immagine della Toscana allegra, vispa, comica, con la voglia di ridere. Ecco, quello spirito pinocchiesco ce l’ho sempre avuto. Mi identificavano con Pinocchio, perché era l’unico riferimento, parlo la lingua di Pinocchio anche, se si vuole, oltre quella di Dante. Però soprattutto quella di Pinocchio. Non abbiamo potuto mantenerlo nel film quel maraviglioso italiano, perché era difficile per tutti i personaggi, però è un italiano di una bellezza quello di Collodi!»




Il nostro Geppetto che si mette a costruire una marionetta, che cos’è: un sognatore o dà inizio a una scuola?




«Dà inizio a una scuola di sognatori. È vero che è un sognatore, però Geppetto non lo definirei un sognatore, è un bel babbo. All’inizio tenta di fargli fare il figlio di Mastro Ciliegia, quando parla; ma poi improvvisamente al creatore gli è venuto in mente che forse non era il giusto padre quello, allora fa arrivare questo Geppetto. Però poteva essere Mastro Ciliegia, si poteva fermare lì, è strano che sia arrivato un altro, è come se si fosse accorto: questo non mi piace. E arriva questo padre, che è il babbo, ma il babbo quello etico, quando si ritrovano dentro al pescecane. Nella pancia del mostro c’è proprio la agnizione più bella che ci sia, “sono io Pinocchio, il burattino, il tuo unico figliolo”, “Pinocchio figlio mio, babbo”. Geppetto, appena lo crea, dice ai carabinieri: “Ho penato tanto a farne un burattino perbene”. Ma l’ha fatto da venti secondi, ci doveva pensare prima. Dice delle frasi, perché lui è il babbo, viene da lontano, è il primo babbo del mondo, è quello che lo sarà sempre, e anche un po’ ricattatorio, perché lui Pinocchio vuole solo che sia solo il bastone della sua vecchiaia.




«Mentre la figura della madre e della Fata Turchina è più complessa, è antichissima, è modernissima, è una cosa che è una invenzione straordinaria. Quello della fata turchina veramente è un personaggio gotico, attualissimo, potrebbe essere una figura che sta in qualsiasi corpo d’azione, è proprio meraviglioso. È come quella del naso lungo, l’invenzione della Fata Turchina. Poi, è la regina delle metamorfosi, la regina degli animali, e in più è proprio una mamma campagnola, ma così vera, che uno gli vuole proprio alzare la gonna. Come si fa da bambini, quando ci si va a nascondere sotto le gonne... Io me la ricordo la mia nonna aveva una gonna grande così, quante volte mi nascondevo sotto io, quando non mi volevo far pigliare, è una cosa di una bellezza! E questo personaggio è proprio così».




C’è ancora il rischio di finire dentro la balena oggi?




«C’è, e come se c’è».




Che cos’è che ti ha dato più gioia nella vita di uomo e di artista. Hai avuto riconoscimenti mondiali, ti vedo ancora che scavalchi delle file di poltrone, in America...




«Ad essere sincero, il momento che lei ha ricordato, quando saltellavo sopra le sedie, come Pinocchio burattino... Ecco, quel momento lì non è stata la più grande emozione della mia vita. È stato uno dei momenti più belli, perché le emozioni, quelle grandi grandi, ricordo altre cose, in cui il cuore batte forte forte».




Buster Keaton, Charlie Chaplin o magari Totò. Se pensi a un attore comico, ad un uomo che sa far sorridere una persona in un mondo di lacrime, che possiede uno dei più grandi doni che si possono fare alla gente. Di questi chi ti piace? A chi ti senti più vicino?




«L’ho manifestatamente ripetuto: tutto il mio amore è per Chaplin: il divino vagabondo, il divino fanciullo, il comico, il clown. Lei, signor Biagi, ha fatto dei nomi che sono tutte cattedrali gotiche. Ma dentro quella di Chaplin, diciamo la luce che si riflette dalle finestre colorate, ha bagliori più potenti ecco. In quella di Totò riconosco proprio tutte le mie generazioni, vedo proprio tutti i passati giorni: ecco, vedo dietro i morti di fame, vedo proprio la dolcezza e la ricchezza della povertà».




È la poesia dello straccione...




«Ma in Totò c’è proprio la povertà, che è la madre di tutte le ricchezze. Anche se c’è anche in Chaplin... E poi Buster Keaton è come un personaggio zen, è forse il più grande. E grande e generoso fu Chaplin a recuperare Keaton in “Luci della Ribalta”: quel momento in cui stanno insieme, quel piccolo gioco che fanno al piano e lui al violino, è come vedere Michelangelo e Leonardo insieme».




Ultima domanda: chi è Benigni?




«Io, se lei mi dice che Benigni è un buffone, un burattino, un comico, un clown, mi fa un complimento. Io vorrei tanto che mi si chiamasse così, e più si ride di me e più vengo trattato male, e non masochisticamente, ma poeticamente, credo che sia il nostro destino. Da lì veniamo, dal dolore nascono i comici, non per essere troppo poetici».




Io credo che sia così. Credo che se un uomo asciuga una lacrima fa una grandissima cosa. Ma se un uomo regala un sorriso ne fa ancora una più grande.




«Non c’è niente di più vero. Aggiungo solo che, ricordo che la mia più grande emozione da piccolo è stata quella, quando ho visto qualcuno sorridere su una cosa che avevo accennato. E allora mi è rimasto impresso quel sorriso, avrei voluto ripetere per tutta la vita quel momento».




Il momento continua.




«Grazie».






Cesare Previti: Sono il re degli evasori


Per contestare l'accusa di aver corrotto alcuni giudici per conto della Fininvest, Cesare Previti si autoaccusa di frode fiscale



di Francesco Bonazzi e Leo Sisti per l'Espresso










La notte di domenica 29 settembre non è stata dura solo per i ministri, inchiodati fino all'alba a Palazzo Chigi per varare una maxi-Finanziaria da 20 miliardi di euro. In fremente attesa c'erano anche tutti quei contribuenti che negli ultimi anni sono stati quantomeno distratti con l'erario. Ma alla fine questi «milioni di italiani che hanno tenuto compagnia a Previti nell'evadere il fisco», per dirla con l'onorevole Carlo Taormina, possono tirare il fiato. Ci sarà un nuovo concordato fiscale e dal primo gennaio al 30 giugno prossimi, per chi avesse ancora dimenticato qualche soldino all'estero, torna lo scudo fiscale.



E proprio una sorta di scudo fiscale è quello che ha impugnato l'onorevole Cesare Previti sabato 28 settembre, durante le sette ore di deposizione al processo Imi-Sir nel quale è imputato di aver corrotto alcuni giudici. Uno scudo quasi stellare, visto che l'ex ministro della Difesa l'ha utilizzato per rintuzzare le domande dei pm su quella stratosferica girandola di miliardi di lire che, secondo l'accusa, nei primi anni Novanta sono partiti da conti esteri della Fininvest e della famiglia Rovelli, sono transitati su quelli di Previti e, in parte, sono poi finiti ad alcuni giudici romani.



Si tratta solo di «regolari parcelle da avvocato», s'è difeso Previti in aula sabato scorso. Cambiando così la versione offerta nel '97 durante un interrogatorio, quando aveva definito i 21 miliardi versatigli tre anni prima in Svizzera dalla famiglia Rovelli come il compenso per un mandato ricevuto. «Allora decisi di non parlare di parcella per non scatenare il fisco nei miei confronti» ("il Giornale", domenica 29 settembre), ha spiegato il politico che nel 1994 Oscar Luigi Scalfaro fermò a un soffio dalla poltrona di guardasigilli. Insomma, «lei non voleva pagare le tasse», ha risposto il pm a Previti. Ma a meno che uno si chiami Taormina, avvocato, collega di partito e amico di Cesarone, Previti non accetta che gli si dia dell'evasore. Lo ha fatto Angelo Panebianco con un editoriale in prima pagina sul "Corriere della Sera" di lunedì, chiedendo all'onorevole di lasciare per questo la vita politica, e subito s'è beccato la piccata risposta dell'interessato: «Non ho ammesso alcuna evasione fiscale». Chi ha ragione?



Nella lunga lettera pubblicata dal "Corriere" martedì scorso, l'onorevole Previti afferma: «Se è vero che negli anni passati ho avuto delle di-sponibilità all'estero, è altrettanto vero che questa situazione io l'ho regolarizzata e sanata anche attraverso un condono tombale, pagando quanto dovuto di legge». Al di là delle acrobazie verbali da aula di pretura, Previti offre una mezza notizia: non si sa bene come e non si sa bene quando, ma oggi è in regola grazie a un condono tombale. È possibile? Un po' di date e cifre sono indispensabili per illustrare le vicende del contribuente Previti. Secondo l'accusa, Previti ha ricevuto 21 miliardi dagli eredi Rovelli nel 1994. Lo stesso anno, a giugno, l'allora senatore giura come ministro della Difesa. Dalle sue dichiarazioni dei redditi 1994 depositate in Parlamento risulta invece un imponibile di soli 976 milioni di lire. Su quei 21 miliardi incassati estero su estero, avrebbe dovuto versare un'Iva del 19 per cento, ovvero 4 miliardi. Sul rimanente, che costituisce l'imponibile, avrebbe dovuto pagare il 44 per cento di imposta, e cioè 7,48 miliardi. Poiché l'onorevole Previti s'è ben guardato dal fare sia l'una che l'altra cosa, per mettersi in regola normalmente sarebbe obbligato a pagare il dovuto più gli interessi e le sanzioni pecuniarie. I primi possono essere stimati in 500 milioni sulle imposte e in 300 milioni sull'Iva non versata per ogni anno di ritardo. Le seconde sono pari almeno a 2 volte l'Iva dovuta e ad almeno una volta l'imposta. Dunque, tra Iva, imposte, interessi e sanzioni, se si fosse messo in regola con un anno di ritardo, Previti avrebbe dovuto versare 27,8 miliardi di lire. Inoltre, l'avvocato che è in lui avrebbe dovuto versare il 10 per cento dell'imponibile, e cioè 1,7 miliardi, alla Cassa forense.



Ci sono poi i 3 miliardi di lire che nel 1991 la Fininvest ha versato sui conti esteri di Previti. Da questa provvista verrebbero quei 425 milioni che il 5 marzo 1991, nel giro di un'ora, passarono da un conto Fininvest a un conto del giudice Vittorio Metta, transitando per un conto di Previti. Soldi che, secondo l'accusa, sarebbero serviti a consegnare per via giudiziaria la Mondadori nelle mani della Fininvest. Ma sabato scorso, in tribunale, l'onorevole di Forza Italia non s'è scomposto: «Quei 425 milioni erano il compenso che mi spettava per l'arbitrato Bulgari. E i 3 miliardi erano le parcelle versatemi per le collaborazioni con la Fininvest». Non spettava certo a lui spiegare se e come siano state contabilizzate dal Biscione. Il suo presidente, l'avvocato Aldo Bonomo, sentito dai magistrati milanesi il 5 luglio, aveva detto di non saperne molto di più. Quando il pm Gherardo Colombo gli ha chiesto se le prestazioni di Previti venissero fatturate o no, Bonomo ha dichiarato: «Non sono in grado di dire né in senso positivo , né in senso negativo... penso che gli fosse corrisposto il compenso che meritava, devo supporre». Dopo la deposizione di Previti, "L'espresso" ha riproposto la domanda alla Fininvest. «Riteniamo che tutte le questioni che sono oggetto di procedimenti in corso vadano affrontate nelle sedi opportune, che sono quelle giudiziarie», è la risposta di fonti ufficiali del gruppo che controlla Mediaset e Mondadori.



In attesa, appunto, che la giustizia faccia il suo corso (legge Cirami permettendo) si può provare a chiarire il sofferto rapporto con lo Stato esattore dell'onorevole di Forza Italia Cesare Previti. Profili penali, sulle evasioni, non ve ne sono più. E neppure accertamenti in corso dell'Agenzia delle Entrate, che per legge non può più andare a scavare su fatti avvenuti prima del 1997. Ma a quale «condono tombale» si riferisce Previti nella sua autodifesa sul "Corriere"? L'ultimo condono tombale si è concluso nel 1991 e può dunque riguardare solo i redditi degli anni precendenti. Non coprirebbe, insomma, i 21 miliardi ricevuti dai Rovelli nel 1994. Neppure i redditi percepiti nel 1991 da Fininvest come parcelle e che Previti fece poi rientrare in Italia nel 1994, organizzando una finta vendita immobiliare all'Argentario. L'onorevole potrebbe allora aver fatto ricorso nel 1995 al concordato fiscale promosso dal ministro delle Finanze Giulio Tremonti e poi perfezionato dal suo successore Augusto Fantozzi. Quel concordato prevedeva che l'amministrazione finanziaria dello Stato proponesse a saldo di ogni pendenza una percentuale su quanto dichiarato in precedenza. Le denunce dei redditi di Previti non sono ingenti (la prima resa pubblica, relativa al 1993, registra un imponibile di 1,3 miliardi) ed è ragionevole supporre che nel 1991, quando non era ancora un personaggio pubblico, fossero ancora più modeste. Ma anche prendendo l'aliquota più alta, mettiamo un 50 per cento, si arriverebbe a una cifra ridicola rispetto agli 11 miliardi che avrebbe dovuto pagare sui redditi del '94 e agli oltre 27 che avrebbe dovuto versare per sistemare le sue pendenze senza far ricorso a concordati.



Posto che l'amministrazione finanziaria è tenuta al segreto su eventuali accordi con il singolo contribuente, un modo per risolvere l'enigma dell'onorevole contribuente Previti sarebbe per via giudiziaria. Non a caso, sabato scorso, chi si occupa di caccia agli evasori è rimasto di sale. «Ma perché il pm non ha domandato a Previti le pezze d'appoggio fiscali?», chiede maliziosamente un alto funzionario dell'Agenzia delle Entrate, convinto che almeno il presidente del collegio giudicante potrebbe farlo. Se avesse ragione l'alto funzionario, che preferisce restare anonimo, ne risulterebbe rafforzata quella scuola di pensiero tutta forzista secondo la quale il pool di Mani pulite avrebbe potuto letteralmente mettere in mutande Previti per reati fiscali, ma con ciò senza poter coinvolgere Silvio Berlusconi. Logica seducente. Peccato che la realtà sia diversa. Anche volendo, la procura non avrebbe potuto utilizzare le carte ricevute in rogatoria dai colleghi svizzeri per inchieste che non fossero quelle per cui le avevano domandate. In gergo tecnico, si chiama principio di specialità. Oltre al fatto che la Svizzera non autorizza nessuna rogatoria per reati fiscali.



Se l'eventuale profilo penale del Previti evasore è dunque una questione insolubile (e che comunque apparterrebbe a un passato chiuso per sempre), restano sul piatto della bilancia i risvolti politici. E morali che non sembrano interessare molto all'onorevole Previti. Quando un deputato della Repubblica consegna le proprie dichiarazioni dei redditi alla Camera di appartenenza, ne garantisce la veridicità firmando sul proprio onore. Se è evidente che le Camere non possono certo trasformarsi in ispettori delle tasse di seconda istanza, è altresì chiaro che forse andrebbe introdotta una qualche sanzione per chi dichiara il falso. Rimane poi un problema di onorabilità politica del deputato Previti. Nel momento in cui il governo vara l'ennesimo taglio della spesa pubblica, con comprensibile ansia di tutti i cittadini, le vicende fiscali di Previti non sono un bello spot per Berlusconi e i suoi alleati. E nell'Italia di oggi, l'evasione miliardaria di un politico eccellente colpisce gli elettori ben più del conflitto d'interessi.



Per Luciano Violante, ex presidente della Camera e attuale capogruppo dei Ds a Montecitorio, «sabato scorso milioni di italiani che faticosamente pagano le tasse hanno dovuto sentire un ex ministro fare l'apologia dell'evasione fiscale». E tre deputati della Quercia (Piero Ruzzanti, Renzo Innocenti ed Elena Montecchi), hanno già presentato un'interrogazione urgente al ministro Tremonti per sapere che cosa intenda fare sulla vicenda Previti e sui suoi accordi con il fisco.



In ogni caso, dall'onorevole Cesare non c'è da aspettarsi il beau geste di chi è in grado di mettere a tacere dubbi e critiche sul comportamento di un uomo che siede in Parlamento. Lui, il Cesare che non "fa prigionieri" terrà ben nascoste tutte le carte fiscali che potrebbero chiarire in ogni aspetto la vicenda dei soldi Rovelli e Fininvest ricevuti da conti esteri su conti esteri. E state pur certi che non metterà spontaneamente mano al portafogli. A meno che non sia obbligato.




''Mani Pulite è finita e Previti torna quel che è''




di Emanuele Bissattini per il Barbiere della Sera



"Fammi vedere il virgolettato". "Ma questa domanda non me la puoi fare". "Che ci scrivi nel cappello del pezzo?". Quanta pazienza ci vuoleper fare un'intervista a Cesare Previti? Ce lo spiega Filippo Facci


Era un po’ che qui al Barbiere avevamo questa curiosità. Per l’esattezza da quando, mercoledi’ 2 ottobre, abbiamo letto sul Foglio un articolo di Filippo Facci a commento della deposizione di Cesare Previti nell’aula della IV sezione del tribunale di Milano (quella dell’evasione fiscale, per capirsi).


Facci racconta in quel pezzo, come al solito gradevolissimo, la storia di una mancata intervista con Cesare Previti.


O meglio, lui (nel senso di Facci) l’intervista l’aveva pur fatta. Poi tra telefonate, correzioni, fammi vedere il virgolettato, ma questa domanda non me la puoi fare, che ci scrivi nel cappello del pezzo e simili piacevolezze, è andato tutto in vacca.


Filippo ci racconta ora com’è andata.


Dai, Facci, raccontaci una bella storia.



Ti premetto che Previti lo conosco. L’ ho incontrato in molte occasioni, professionali e non. L’ho visto da Berlusconi, a matrimoni di amici, a cene. Insomma, lo conosco. Gli ho anche già fatto un’intervista, parecchio tempo fa, e fu lui a chiedere espressamente di me, dicendo che ero bravo, preparato. I soliti complimenti.



E allora?



Ho provato a scrivere di lui, ma sono stato regolarmente raggiunto per “semplici precisazioni”, come le chiamava. Comunque la storia è questa. Sapevo che aveva già fatto stragi, che aveva litigato con altri giornalisti, come Stefano Zurlo del Giornale. Dopo molti rapporti consumati, Maurizio Belpietro (direttore de il Giornale) ha chiesto a me di occuparmene. Sa che ci capisco, che non mi genufletto.



Gli faccio quest’intervista, che esce su il Giornale. Brutta, fredda, una roba da avvocati, fatta solo perché evidentemente Previti doveva fare comunicazioni a terzi. E’ uscita solo perché mi ha preso per stanchezza.



Però alla fine è andata. Prosegui.



Nel giugno del ’99, mi pare, ricapita un’intervista a Previti.



Anche stavolta Belpietro manda me. E comincia il calvario. L’intervista doveva essere a pranzo. Io le interviste a pranzo le odio.



Alla fine l’abbiamo fatta nel suo studio, in via Cicerone. Lui comunque è tutto cordiale, del resto siamo amici. Però mi fa trovare dei fogli con le sue risposte. “Naturalmente – gli dico – ti faccio delle altre domande”.



È un autentica tortura. Lui inizia a dire “No, questo è sbagliato”. “No, questo ce lo giochiamo più avanti” “No, questo non me lo chiedere”. Chiaramente tutto senza registratore, perché lui il registratore non lo vuole.



Be’, questo non sorprende.



Riesco ad ottenere del materiale tutto sommato interessante, utile per un’intervista.



Ma la tortura non è finita. Previti vuol vedere il testo, e io non glielo dò. Ognuno ha le sue regole, e io non faccio vedere il mio testo.



A quel punto va fuori di matto. “Vabbe’ – gli dico – ti faccio vedere il virgolettato”.



E il virgolettato non va bene, nonostante fosse più che fedele non solo a quello che aveva detto, ma pure a quello che aveva scritto. Fa dei cambiamenti del tutto arbitrari, imposizioni.



All’inizio faccio buon viso a cattivo gioco, poi ricomincia. Prima vuole vedere le domande, e io gli dico “ma dai, che ti frega, fidati di me”. Poi pretende l’attacco dell’articolo, che tra l’altro non avevo ancora scritto, perché non avevo ancora avuto indicazioni sulla lunghezza del pezzo.



Alla fine mi incazzo: gli dico “Ti vuoi fidare o no? Sono un professionista, non voglio fregarti. L’intervista te la leggi domani sul giornale”.



E lui ha abbozzato.



No, a quel punto scoppia un gran casino, con Previti che attacca “io chiamo Berlusconi…” e telefona, perché Previti è uno che telefona. Però non ottiene niente. Ho avuto prova che non gli serve, perché è detestato ed è colpa sua. Però le telefonate le ha fatte.



Che vuol dire "le telefonate"? Quante? A chi? E come fai a saperlo per certo?



Ovviamente non te lo dico. So però che le telefonate le ha fatte e sono state controproducenti. Da allora non mi sono più voluto occupare di lui.



E sono uno dei tanti che gli erano amici. Gli saranno rimasti fedeli uno, due giornalisti. Evidentemente hanno le caratteristiche, anzi, l’assenza di pregi necessaria per fare i servi.



Fuori i nomi.



Non si dice. Uno comunque lavora per un noto settimanale.



Ok, torniamo alla storia. Non ci sei rimasto bene, immagino.



Direi proprio di No. Comunque quello che urta di più i nervi a me e agli altri è non solo l’atteggiamento, ma l’ostentazione di un potere che chi ha veramente, come Berlusconi, si guarda bene dall’esibire. Previti è proprio una di quelle figure di arrogante che la sinistra ha sempre dipinto.



Dici che Previti si è fatto terra bruciata intorno?



Ha ciò che merita, e non si deve lamentare. Siamo alla nausea perfino noi (i giornalisti che starebbero dalla sua parte). A forza di comportarsi così ottiene un risultato contrario a quello che lui vorrebbe, la gestione dell’informazione.



Torniamo alle telefonate.



So che lui ha cercato Belpietro, che non gli ha nemmeno risposto. Mi pare stesse in riunione. Effetto pratico: Previti vuole un’intervista, gli mandano uno dei migliori, alla fine non esce un cazzo. Contento?



Vuoi dire che non te l’ hanno fatta uscire?



Voglio dire che non se n’è fatto nulla. L’intervista non è uscita più. Alla fine non ne valeva la pena. So che Previti ha chiamato Berlusconi, lo so per certo. Lo chiama sempre.



Allora: Previti chiama Berlusconi. E perché Facci non sta (fortunatamente) in mezzo a una strada?



Perché ho stile, e un po’ di palle per non farmi mettere i piedi in testa. Se qualcuno vuol provarci, deve sapere che avrà i suoi problemi.



E poi al Giornale Maurizio Belpietro ha difeso da ingerenze esterne anche dei giornalisti che avevano torto. È capitato. C’è una sola persona che avrebbe voce in capitolo, Berlusconi, e si è sempre guardato bene dal farlo, perché non è cretino. E poi non lo fa e basta.



In conclusione?



Mani pulite è finita. Non c’è più bisogno di difendere quelli che stanno dalla parte tua, i Previti tornano a essere quel che sono.


W il Blob del Cav.


Vossia sa com’è fatto, caro B. E’ fatto e sputato per andare su Blob, Vossia lasci perdere



Giuliano Ferrara sull Foglio




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Non rompa il cazzo, Cavaliere. Non ce la venga a raccontare. Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. E’ già bello e fabbricato per un Blob. Per predisposizione e per vocazione naturale. Si porta sulla scena e non può chiedere di fermare il godimento della messa in scena. E non può pretendere di farsi raccontare alto, bello e biondo perché il Berlusconi che ha vinto l’Italia, non è questo, ma l’altro. Proprio quello di Blob: enbonpoint, non altissimo e sorridente. Giusto quello che ha neutralizzato gli insulti con il sorrisino. Giusto quello del “cribbio”. Giusto il nostro. E se lo tenga caro tutto il Blob in video, allora. Non lo faccia censurare – non faccia crescere quest’abitudine del taglia e aggiusta – perché certo, Vossia alla storia ci passa per il pil (certo che ci passa), ci passa anche per Pratica di Mare (certo che ci passa), ci passa pure per l’abolizione della tassa di successione (certo che ci passa), ma se continua così – fare perfino saltare dalla registrazione del Costanzo Show Sabina Ciuffini se solo si ricorda di Vossia che era così “giovane e bello, con il garofano all’occhiello” – finisce che noi ci mettiamo un punto e basta. Punto e basta. Perché è un tic troppo miserabile quello di imporre un sé che non esiste. E’ una velleità, questa di censurare tutto, di troppo trista patologia. Una vera malattia. Vossia lo sa com’è fatto Vossia stesso. Non si possono truccare le foto, non si può sbiancare il passato, non si possono cancellare “le dita della mano”. E sa che nel Blob di Enrico Ghezzi c’è tutto il capitale di Vossia, quello che non ha prodotto altra immagine che il successo, perché se ne lamenta? Blob è il manifesto di una “storia italiana”. E più lo vieta e più lo sperpera. Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. Lo sa Vossia e lo sappiamo noi: Blob è l’opera omnia di Berlusconi. Si mette avanti, si mette in mostra. Si fa guardare. E se la balla, e se la suona. Ci canta sopra. E il pullover, e il tacco, e il doppiopetto. E la cravatta col puntino. Il centro tavola e, ovviamente, il mandolino. Con Apicella & Marinella. Per fare tutta una Ciramella. Lo sa Vossia e lo sappiamo noi. Sappiamo tutto. Ci fa il feticcio, e il simulacro, e se non basta, il miracolo incantato. Ci fa vedere i numeri e le prestidigitazioni, si fa toccare, si fa mirare. Si fa ammirare: come se ogni giorno fosse Vossia in persona la nuova quindicina. Tra poco, potrà pure farsi una concessionaria Fiat, insomma ha tutto, ha di più, si tenga Blob. E’ il migliore programma televisivo di satira, è la più bella trasmissione di politica prodotta dalla tivù italiana. Non faccia conto di doversene dare pena perché tanto, Vossia non la vede, non la guardano neppure i suoi elettori. Perché ci deve cavaliereggiare, chi glielo fa fare? Forse per tenere in piedi la baracca di quei mentecatti che le stanno addosso? Quegli appuntini, non li legga nemmeno Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. Noi sappiamo come sono fatti questi campioni del pluralismo liberale. Sappiamo cosa fanno. Caricano la scrivania di Vossia con i seguenti appunti: “Il Tg1 di Mimun ha fatto trenta secondi in meno”; “Mentana non ha richiamato”; “Mazza ha fatto un’apertura del Tg2 della sera con troppo Bossi e poco Romani”; “Bruno Vespa non mi risponde al telefono”, oppure: “Chiambretti mi aveva promesso un’apparizione”; “Perché Mara Venier non fa ballare la Teresa?”; “Ancora inevasa la richiesta di documentario sulla talpa di Cerignola”. Questa sì che sarebbe materia su cui cavaliereggiare perché se ci va sempre la gatta in tutto questo bel lardo, è segno che ci fa il callo lo zampino. Non può credere di farla, la Rai, disfacendola e non facendola. Non può credere di farlo anche con quella di sua mera proprietà. Non si può passare la vita tra i post it gialli di qualche mentecatto in cerca di secondi al telegiornale e poi “evitare questo”, “trovare il modo”, cancellare in toto. Vossia lo sa di suo com’è fatto Vossia stesso. Vossia è troppo una meraviglia, e ci piace da morire, ma si ricordi cosa facevano gli imperatori di Roma (che pure erano gli imperatori di Roma) attraversando gli osanna della folla. Correvano lungo il percorso del trionfo con una biga, salutavano la folla in festa, si lasciavano celebrare con tutto il bottino, ma si tenevano caro, rannicchiato nella biga, uno schiavo addetto al ridimensionamento: “Ahò, quelli ti staranno battendo le mani, ti stanno dicendo che sei meglio del sole, meglio della luna, ma tu sei solo una mentula piena d’acqua”. Questo facevano gli imperatori di Roma (che pure erano gli imperatori di Roma). Qui ci mettiamo un punto e basta. Cavaliere dunque, non rompa il cazzo.






8.10.02

CESARE PREVITI


Filippo Facci per Il Foglio




Lo diciamo con parole sue, visto che dopo diec’anni di garantismo siamo qui a meriggiare attorno alle parole per dirlo: negli anni Novanta non abbiamo fatto tutto questo casino (le battaglie, le querele) per vendere infine il culo a Cesare Previti. Non l’abbiamo fatto per questo. Se ciò pensa, Previti può andare a quel paese normale. Questo, tanto, rimane anormale, rimane imperniato su un cretinismo bipolare che si è risolto con un paradosso: c’era uno strapotere e adesso ce ne sono due.



C’era un pool di magistrati fuori dal mondo e adesso c’è anche un collegio difensivo fuori dal mondo. I primi erano politicizzati e arroganti e querimoniosi, i secondi sono politicizzati e arroganti e querimoniosi. I primi avevano asservita tutta la stampa, i secondi hanno riguadagnato il terreno perduto. Ce l’abbiamo fatta, la pari dignità giuridica è raggiunta, le parti sono poggiate su un medesimo e abnorme piano, magistrati e avvocati parlano come attori di un mondo irreale che gli spettatori percepiscono esclusivamente come tali: non li percepiscono come protagonisti di un mondo reale che un giorno possa magari riguardarli, il mondo della giustizia italiana.



Macchè. A loro non capiterà mai che un pool di magistrati stravolga lo stato di diritto e le proprie vite pur di stravolgere le loro, non capiterà mai di poter disertare un’udienza perché quel giorno devono andare in Parlamento a legiferare contro chi l’ha convocata: sono cose che succedono solo nel thriller giudiziario all’italiana, anzi all’americana, laddove tutto torna, laddove i magistrati che hanno fatto politica verranno sconfitti dalla politica, come è giusto, al pari che Cesare Previti abbia fatto tutto quel che fatto: perché non c’era altra strada. Ha fatto bene. A brigante, un Previti e mezzo.



Veda quindi di farsi assolvere per la medesima e sacrosanta ragione per cui venne assolto un O.J. Simpson: perché non ci sono prove per condannarlo, punto. Vada a farsi giudicare dove gli riesce, e il pool vada a casa per sempre. Sparisca. Si dissolva, il pool. E Cesare vinca anche per noi, del resto ha ragione, conviene a tutti, ha ragione, vogliono Berlusconi.



Però, ecco, non ci rompa mai più le palle con la milionesima intervista sullo stramaledetto bar Mandara (dio lo incendi) e non cerchi di spiegarci la perfetta coerenza che intercorrebbe tra l’essersi occupati di malagiustizia per tutta la vita e il doversi per forza occupare, ora, anche di lui. Ci dia piuttosto una mano, non scriva lettere improbabili, non scambi il più diffuso quotidiano italiano per Micromega, non tuoni ogni tre minuti che salterà la testa di quel giornalista o direttore, non ostenti comportamenti che Silvio Berlusconi non si permetterebbe mai, e tantomeno ostenti, se possibile, certa soavità da evasore fiscale multimiliardario: e vedrà che noi seguiteremo a fare la nostra parte, la faremo tuttavia come meglio ci garba, derideremo i dischetti che vanno in pezzi come porcellane di Limoges, denunceremo i fumus e le Ariosto, le intercettazioni patacca, i magistrati col rito ambrosiano delle manette, i giornalisti col rito lombrosiano della facce.



Ma cerchi di non corrispondere all’immagine supponente che la sinistra forcaiola gli ha appiccicato per anni, e che purtroppo è vera, è stravera. Cesare Previti è quello che ti telefona, ti elogia con regalità, ti coccola, vuole che l’intervista la faccia tu, con gli altri del resto è finita a cazzotti, o quasi, naturalmente lui ha telefonato a Berlusconi per lamentarsene, ma adesso lui vuole te: sinchè capita a te. Comincia il calvario. Amministri le smancerie prandiali di cui lui è maestro (anche se beve la Barbera con il pesce) e poi ti accorgi che l’intervista sta già lì, appoggiata sul tavolo, Previti ha già scritto un lungo appunto che possa aiutarti, e vuole decisamente aiutarti: perché è un appunto proprio lungo, sembra quasi un’intervista praticamente già fatta. Sta bene, ma non disdegnerà di rispondere a qualche altra domanda, nevvero?



Allora accendi il registratore ma a lui il registratore mette soggezione, allora fai una domanda ma questa domanda dice che non la farebbe, allora fai un’altra domanda ma questa domanda è meglio evitarla, allora fai un’altra domanda ma la risposta, eh, la risposta è già nell’appunto, allora fai un’altra domanda e però potrebbero fraintenderla. L’indomani è peggio. Lui vorrebbe rileggere l’intervista ma tu dapprima gliela neghi (lui s’incazza e tu pure) e allora gli mandi il testo delle sue risposte tuttavia prive delle domande (lui s’incazza e tu pure) e allora mandi anche le domande epperò senza l’incipit dell’intervista (lui s’incazza e tu pure) e lui intanto ti ha mandato trecento correzioni e precisazioni astruse (tu t’incazzi) e non bastasse vorrebbe sapere anche il titolo che verrà fatto, la foto che verrà messa, sinchè alla fine non se ne fa più niente perché l’intervista così fa schifo e fai schifo anche tu, e fa schifo anche lui mentre ti dice, naturalmente, che chiamerà Berlusconi. Il bello è che lo fa. E Berlusconi, poi, chiama te: ma riferirne le parole non darebbe granchè soddisfazione a un Filippo Mancuso.



Cesare Previti è persona squisita. Ha una moglie incantevole. A convivio è fantastico e gentile, una classica simpatica canaglia. Sicchè, a titolo personale, ma così pure a nome di svariatissimi colleghi, gli si dice, qui e ora: non si permetta mai più di rompere le palle come lui sa, che tanto non gli riesce. Deve fare la cortesia di spostarsi per farci scrivere del suo processo.

3.10.02

Da: Il Vangelo secondo Silvio


In illo tempore l’Unto del signore si era recato in Gonzolandia insieme ai suoi discepoli:

Duecolli ( un tempo si era chiamato Tremonti ma ora il suo prestigio si era ridotto)

Duecoglioni ( un tempo si era chiamato Maroni ma ora rappresentava anche Bossi)

e il dottor Maiscritta ( un tempo era stata Letta ma ora non la leggeva piu’ nessuno).



Arrivato nei pressi di un monte, Nostro Signorsilvio comincio’ lentamente a levitarefinche’

rimase sospeso qualche metro al di sopra delle teste di cazzo che erano venute ad ascoltarlo:

“Beati gli ultimi…” diceva “ …se i primi sono onesti!

Beati coloro che hanno fame perche’ verranno diffamati

Beati coloro che hanno la Sette (Tronchetti & Provera) perche’ spegnendola verranno rimborsati

Beati coloro che hanno sete di giustizia, perche’ saranno giustiziati…”



Il popolo bue la’ sotto ascoltava perplesso, perche’ gli avevano promesso il Paese dei

Balocchi, ma si erano accorti che gli stavano crescendo le orecchie d’asino a tutti, meno

che al nostro Unto che pero’ mentre parlava ogni tanto gli si allungava il naso a dismisura:



“In verita’ in verita’ vi dico…” e gli cresceva il naso perche’ gia’ questa era una bugia

“…che questa e’ una finanziaria senza precedenti!” e il naso si fermava perche’ nessuna

finanziaria e’ uguale ad un’altra.

“ Vi presento la manovra da 20.000 miliardi che non tocca la spesa sociale.

Non ci sono tagli alle spese. Per nessuno. Soprattutto, non solo non aumentano le tasse ma

diminuiscono per 28 milioni di cittadini”

e il naso si allungava…



“Abbiamo individuato un innovativo strumento di gestione dei fondi delle aree depresse…”

e il naso si fermava perche’ Nostro Silviuccio evidentemente si riferiva al CIPE che

esisteva gia’ da trent’anni ma lui, por nano, non lo sapeva.

“Abbiamo sempre considerato il Sud una risorsa di questo paese…”

e il naso si allungava…



Un discepolo che se ne stava a naso all’insu’ insieme agli altri Gonzi, chiese ad un suo

collega di governo:

“Ma cosa sta facendo, il Silvio?”

“La moltiplicazione dei pani e dei pesci” rispose schifato Schifano

“Ma ci aveva promesso il montone” si lamento’ l’altro

“Cosa vuoi farci? Sono quei disfattisti della sinistra! Pensa che anche a Cana il Silvio

aveva promesso la torta e invece hanno dovuto festeggiare le nozze coi fichi secchi!”

“Pareggeremo mai il bilancio dello Stato?”

“In questo stato e’ piu’ facile che pareggi il Milan”



Duecolli intanto aveva preso un altoparlante e aveva chiesto all’Unto del Signore:

“Maesta’, se sai fare una manovra da 20.000 miliardi senza tagli per nessuno e con 436

Euro di risparmio per 23 milioni di Gonzi, perche’ non hai fatto una manovra da 100.000

miliardi e davamo 2.000 indietro cosi’ vincevamo le elezioni per i prossimi trent’anni?



Ma il tempo era scaduto e l’elicottero presidenziale si stava lentamente allontanando

dalla folla per riportare il Gransilvio nel suo sarcofago. Lui si porto’ una mano all’orecchio

e fece cenno di non aver capito la domanda, ma il naso gli si allungo’ ancora una volta.

Allora sorrise e grido’:

“ Vedi Collina…” (era un segnale che Duecolli era stato ancora una volta degradato) “ io non sono

per niente stanco!…” e volo’ via tra un tripudio di Gonzi che non erano stanchi nemmeno loro.

Non tutti, almeno, ma qualcuno si’.


Aldo Vincent

Il Gelataio di Corfu'

2.10.02

Riconoscimenti studi specifici



2001

MEDICINA: Peter Barss, McGill University, per la ricerca medica «Ferite dovute alla caduta di noci di cocco»

FISICA: David Schmidt dell'Università del Massachusetts per la sua parziale soluzione alla domanda: «Perché la tenda della doccia si piega verso l'interno?»

TECNOLOGIA: John Keogh di Hawtorne, Australe, per aver brevettato la ruota nell'anno 2001, e all'Ufficio brevetti australiano per avergli consegnato il Certificato di innovazione n. 2001100012

SALUTE PUBBLICA: Chittaranjan Andrade and B.S. Srihari, Istituto di salute mentale e neuroscienze di Bangalore (India), per la scoperta medica che lo «scaccolamento» è un'attività comune tra gli adolescenti.


2000

FISICA: Andre Geim, University of Nijmegen (Paesi Bassi) e Sir Michael Berry della Bristol University (Regno Unito) per aver usato magneti per sollevare una rana e un lottatore di sumo.

INFORMATICA: Chris Niswander di Tucson, Arizona, per aver ideato «PawSense», il software che si accorge se un gatto ha camminato sulla tastiera del tuo computer


1999

FISICA: Dr. Len Fisher di Sydney (Australia) per aver calcolato il modo migliore per inzuppare un biscotto

PACE: Charl Fourie and Michelle Wong di Johannesburg (Sudafrica) per l'invenzione di un antifurto da macchina consistente in un sensore e in un lanciafiamme


1998

INGEGNERIA: Troy Hurtubise, di North Bay, Ontario (Canada) per aver sviluppato e personalmente testato un'armatura resistente agli assalti degli orsi grizzly.

STATISTICA: Jerald Bain del Mt. Sinai Hospital di Toronto e Kerry Siminoski dell'Università dell'Alberta per i loro accurati calcoli nella ricerca «Relazioni tra altezza, lunghezza del pene e misura di scarpe»


1997

METEOROLOGIA: Bernard Vonnegut dell'Università di Albany, per la sua ricerca «Lo spennamento dei polli come misura della velocità dei tornado»

ECONOMIA: Akihiro Yokoi della Wiz Company in Chiba, Japan and Aki Maita della Bandai Company in Tokyo, padre e madre dei Tamagotchi, per aver distolto milioni di persone dal lavoro trasformandole in baby-sitter dei pulcini virtuali


1996

FISICA: Robert Matthews della Aston University (Inghilterra), per suoi studi sulle Leggi di Murphy e specialmente per aver dimostrato che la tartina imburrata cade spesso sul lato col burro

CHIMICA: George Goble della Purdue University, per il suo stupefacente record nell'accensione di un barbecue: tre secondi grazie a carbonella e ossigeno liquido


1995

NUTRIZIONE: John Martinez della J. Martinez Company di Atlanta, per il Luak Coffee, il caffé più costoso del mondo, fatto con chicchi di caffe ingeriti ed espulsi dal luak, un felino dell'Indonesia


1994

FISICA: all'agenzia meteorologica giapponese, per i sette anni di studi dedicati alle correlazioni tra terremoti e pesci gatto che scuotono la coda

MATEMATICA: alla chiesa Battista dell'Alabama, per le misure matematiche della moralità, le cui stime servono ad accertare quanti cittadini dell'Alabama andranno all'inferno se non si pentono


1993

TECNOLOGIA: congiuntamente a Jay Schiffman di Farminton Hills, Michigan, inventore di «AutoVision», un proiettore che rende possibile guidare un'auto e guardare la tv allo stesso tempo, e allo stato del Michigan per aver reso legale una tale pratica

MATEMATICA: Robert Faid di of Greenville, Carolina del Sud, per aver calcolato esattamente (8.606.091.751.882:1) la possibiltà che Gorbaciov fosse l'Anticristo

MEDICINA: James F. Nolan, Thomas J. Stillwell e John P. Sands Jr, per la loro ricerca sulla sopportazione del dolore nei casi di membro maschile pizzicato dalla zip dei pantaloni


1992

CHIMICA: F. Kanda, E. Yagi, M. Fukuda, K. Nakajima, T. Ohta e O. Nakata dello Shisedo Research Center in Yokohama, per il pionieristico studio «Delucidazioni sui composti chimici responsabili del cattivo odore dei piedi» e specialmente per le loro conclusioni, secondo cui la gente che pensa di avere i piedi che puzzano, li ha, e quelli che pensano di no, non li hanno.


1991

RICERCHE INTERDISCIPLINARI: Josiah Carberry della Brown University per il suo lavoro nel campo della PsicoCeramica, lo studio dei vasi rotti.