30.10.06

Bibbia senza Dio per atei devoti

SATIRA PREVENTIVA di Michele Serra

Un filo rosso che lega libertini papi rinascimentali alle bestemmie del nonno di Mel Gibson attraversando gli uscieri raccomandati dai dorotei democristiani. Radici ed evoluzione della religione più trendy: la miscredenza

I cosiddetti 'atei devoti' rappresentano, insieme ai punkabestia e ai tatuati, uno dei più singolari fenomeni antropologici della nostra epoca. Tanto che il marketing sta studiando, come per i gay, una serie di proposte commerciali apposite. Si va dalle vacanze a Lourdes e Fatima, ma con accompagnatrici ninfomani, a cappelle laterali riservate, nelle chiese, per seguire la Messa fumando sigari cubani sdraiati su comodi canapé e leggendo 'Newsweek'. Invitante anche la proposta di percorrere il pellegrinaggio di Santiago di Compostela portati sulle spalle da un terziario francescano. Quasi pronto il Nuovo Messale per atei, identico a quello usato dai preti ma con la parola 'Dio' sbianchettata in tutte le pagine e sostituita da piccole pubblicità di Prada. In realtà, secondo alcuni studiosi, gli atei devoti non sarebbero che una variante più trendy di un gruppo sociale numerosissimo in Occidente, quello dei cristiani che se ne fottono. Non rappresenterebbero dunque una vera e propria devianza (come ha sostenuto il pool di psicologi che ha avuto in cura Marcello Pera), ma l'evoluzione naturale di una cultura religiosa, quella occidentale, poco portata alla riflessione spirituale e molto a birra e salsicce. Ma quali sono le radici storiche e culturali degli atei devoti? Quali i padri fondatori?

Il Papato Autentici iniziatori dell'ateismo devoto furono alcuni papi rinascimentali, che trombavano come ossessi prima e dopo ogni cerimonia religiosa e facevano il bagno nelle tinozze di monete d'oro come zio Paperone. Soltanto uno di loro, un Borgia salito al soglio con il nome di Papa Silvio I, nominò Dio in una sua enciclica, ma era solo un'esclamazione ('Dio, quale maraviglia le femmine ignude e il mio cavallo che vince alle Capannelle!').

I dorotei Importante corrente democristiana, i suoi potentissimi membri si facevano fotografare quasi ogni domenica mentre facevano la comunione per ingraziarsi l'elettorato cattolico. In realtà, erano abili fotomontaggi: il politico inginocchiato stava in realtà ingerendo una fetta di abbacchio, o sostenendo una visita dall'otorino. Rimasti celebri, tra i dorotei, il veneto Toni Bisaglia, che costruì diverse autostrade a sei corsie, tutte tra casa sua e casa di sua sorella, sostenendo che l'asfalto era consacrato; e il napoletano Gava, famoso per il miracolo della moltiplicazione dei posti di usciere alla Provincia. Nell'epoca d'oro del suo potere, alla Provincia di Napoli dovettero costruire un gabbiotto per gli uscieri grande come la navata di San Pietro.

Antioco Ferrara Capostipite della famiglia Ferrara, Antioco fu un ricco erudito che, annoiandosi molto nel suo castelletto turrito, coltivò il pallino della confutazione dialettica. Arrivò a dimostrare, nell'ordine, la natura divina delle nespole, la formula matematica dell'Islam, l'inferiorità delle donne, l'inesistenza del vaiolo e la veneficità del pesce pescato di notte. Poi, nella seconda parte della sua vita, dimostrò il contrario di tutti i precedenti assunti. Nelle sue memorie, 'Le confessioni di un buontempone', confidò di non avere alcun interesse reale per le questioni affrontate, ma di essersi divertito un sacco.

Mel Gibson senior Nonno di Mel Gibson, nonostante avesse solo la seconda elementare si appassionò alla religione sentendo le bestemmie in una palestra di pugilato. Equivocando, pensò che il cristianesimo fosse la forma più completa di sport da contatto, e teorizzò che Gesù Cristo era stato il più formidabile peso medio della storia, pur essendo ebreo. Odiava i negri, le donne, gli omosessuali, gli arabi, i democratici e gli intellettuali, e accusava i vicini di casa di sporcargli il giardino buttando le cicche. Divenuto predicatore con il nome d'arte di Padre Paranoia, incitava i passanti a brandire la croce contro i nemici della cristianità, o perlomeno contro le macchine in divieto di sosta sul suo passo carraio. Visse e morì senza avere la più vaga idea del concetto di Dio, ma con un'ottima preparazione atletica.

27.10.06

E il Cavaliere ereditò auto blu e superscorta

di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella - Corriere della Sera

MILANO - Non si fidava, il Cavaliere, del suo successore. E così, mentre ancora stava a Palazzo Chigi in attesa di lasciare il posto a Romano Prodi, avrebbe deciso di darsela da solo, la scorta per il futuro: 31 uomini. Più la massima tutela a Roma, Milano e Porto Rotondo. Più sedici auto, di cui tredici blindate. Il minimo indispensabile, secondo lui, di questi tempi.
Un po' troppo, secondo i nuovi inquilini della Presidenza del consiglio. Che sulla questione, a partire da Enrico Micheli, avrebbero aperto un (discreto) braccio di ferro con l'ex-premier. Guadagnando finora, pare, solo una riduzione del manipolo: da 31 a 25 persone. Quante ne aveva il "bersaglio Numero Uno" Yasser Arafat, ricorda Massimo Pini, il giorno che andò a visitare Bettino Craxi. Certo, qualcuno ricorderà a Berlusconi quanto disse ai tempi in cui aveva deciso col ministro dell'Interno Claudio Scajola di tagliare il numero degli scortati. Tra i quali, come rivelarono mille polemiche e le intemerate di Francesco Saverio Borrelli, c'era anche il pm dei suoi processi, Ilda Boccassini, che si era esposta contro la mafia in Sicilia. Disse che per molti la scorta era "solo uno status symbol" usato "impropriamente, magari sgommando". E si vantò, giustamente, di aver sottratto alla noia di certe inutili tutele "788 operatori di polizia dirottati così in altri settori per garantire una maggiore sicurezza dei cittadini".
Né val la pena di ricordare che, ai tempi in cui le Br ammazzavano la gente per la strada e i politici erano esposti come mai prima, il presidente del consiglio Giulio Andreotti viaggiava con scorte assai più contenute: «Mia moglie a Natale faceva un regalino a tutti, e certo non erano molti». E' vero: è cambiato tutto. E la scelta di ridurre drasticamente le spese per proteggere gli ex-capi del governo fatta da Giorgio Napolitano quando stava al Viminale, appare lontana anni luce. Berlusconi è stato il premier che ha appoggiato fino in fondo Bush, ha schierato l'Italia nelle missioni in Afghanistan e in Iraq, si è battuto in difesa della sua idea di Occidente con una veemenza (si ricordi la polemica sulla "superiorità sull'Islam") che lo ha esposto non solo ai fanatici come quel Roberto Dal Bosco che gli tirò in testa un treppiede ma all'odio di tanti assassini legati ad Al Qaida. Garantirgli la massima tutela è un dovere assoluto. Punto e fine. Il modo in cui si sarebbe auto-confezionato questa tutela, invece, qualche perplessità la solleva.
Il 27 aprile, cioè diciassette giorni dopo il voto e prima che Romano Prodi si insediasse, la presidenza del consiglio stabiliva che i capi del governo "cessati dalle funzioni" avessero diritto a conservare la scorta su il tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Altri dettagli? Zero: il decreto non fu pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» e non sarebbe stato neppure protocollato. Si sa solo che gli uomini di fiducia "trattenuti" erano 31. Quelli che con un altro provvedimento il Cavaliere aveva già trasferito dagli organici dei carabinieri o della polizia a quelli del Cesis. Trasferimento che l'allora presidente del Comitato di controllo sui servizi Enzo Bianco, appoggiato dal diessino Massimo Brutti, aveva bollato come "illegittimo". Scoperta la cosa all'atto di insediarsi come sottosegretario con delega ai "servizi" al posto di Gianni Letta, Enrico Micheli avrebbe espresso sulla faccenda l'irritazione del nuovo governo. E dopo una lunga trattativa sarebbe riuscito a farsi restituire, come dicevamo, sei persone.
Quanto alle auto, quelle "prenotate" dall'allora presidente sarebbero come detto 16, delle quali 13 blindate. Quasi tutte tedesche. Resta la curiosità di sapere se vanno o meno contate tra quelle del parco macchine di Palazzo Chigi. Così stracarico di autoblu che il grande cortile interno non può ospitarne che una piccola parte. Il resto sta in via Pozzo Pantaleo 52/E, una strada fuori mano alle spalle di Trastevere, nel quartiere portuense. Serve una macchina? Telefonano: "Mandate un'auto, per favore". Se non c'è traffico, una mezz'oretta. I ministri sparpagliati qua e là che fanno riferimento a Palazzo Chigi, non sono pochi: Linda Lanzillotta (Affari Regionali), Giulio Santagata (Attuazione del programma), Luigi Nicolais (Riforme e Innovazioni nella pubblica amministrazione), Barbara Pollastrini (Pari opportunità), Emma Bonino (Politiche europee), Vannino Chiti (Rapporti con il Parlamento) Rosy Bindi (Politiche per la famiglia) e Giovanna Melandri (Politiche Giovanili e Sport). Ma le autoblu a disposizione, comprese le due Maserati in dotazione a Prodi e Micheli, sono una marea: 115. E il bello è che sono già calate: fino al 17 maggio erano 124.
Costi? Una tombola. Nel solo 2005, per "acquisto, manutenzione, noleggio ed esercizio dei mezzi di trasporto nonché installazione di accessori, pagamento dei premi assicurativi e copertura rischi del conducente e dei trasportati, spese per permessi comunali di accesso a zone a traffico limitato", quel parco di autoblu ci è costato 2 milioni e 152 mila euro, 400 mila in più rispetto alle previsioni. Ai quali vanno sommati gli stipendi degli autisti, presumibilmente gravidi di straordinari. Un anno eccezionale? Niente affatto: la fine di una rincorsa. Nel 2001, per le stesse cose, erano stati spesi 940 mila euro. Nel 2002 un milione e 389 mila. Nel 2003 un milione e 322 mila. Nel 2004 un milione e 800 mila. Una progressione inarrestabile. Fatte le somme, dal 2001 al 2005 dalle casse di palazzo Chigi sono usciti per le autoblu 7 milioni 603 mila euro. Pari a 14 miliardi e 721 milioni di lire. Eppure, per i viaggi appena più lunghi, devono aver anche volato. Lo dicono i bilanci: per "noleggio di aeromobili per esigenze di Stato, di governo e per ragioni umanitarie e spese connesse all'utilizzo dell'aereo presidenziale" sono stati spesi nel solo 2005 due milioni e 150 mila euro. Il quadruplo del 2002, quando i voli della presidenza ci erano costati 577.810 euro. Sarà stata colpa del caro petrolio...

21.10.06

Ops, m'è caduta la fattura nel water

SATIRA PREVENTIVA di Michele Serra (L'Espresso)

Le corporazioni dei carburatoristi e degli anestesisti, le gilde dei salsicciai e delle merlettaie, le logge degli elettrauto e degli armaiuoli, la confraternita dei gioiellieri e altre associazioni professionali si sono presentate davanti a Palazzo Chigi per una manifestazione di protesta contro la Finanziaria 2006. Tutti vestiti con costumi trecenteschi, e preceduti dai gonfaloni, dai suonatori di liocorno e dalla statua del Santo Protettore, hanno contestato l'accusa di avere una mentalità corporativa e medievale. Al suono del liuto, il loro portavoce messer Oddone de' Fornaciai (eletto dopo un torneo all'arma bianca) ha recitato un carme beffardo all'indirizzo del governo, circondato da paggi e damigelle. Momenti di tensione quando l'Ordine dei Notai e la Consulta dei Gabelloti, attraversando la strada a cavallo, sono stati investiti dall'autobus, tra gli applausi della folla. Ma vediamo qual è la situazione di alcune delle professioni bersagliate dalle inique pretese della Finanziaria.

Idraulici Solo una categoria denuncia un reddito medio inferiore a quello degli idraulici. Si tratta dei neonati. Gli idraulici si giustificano sostenendo che le loro fatture, regolarmente emesse, non possono essere consegnate al cliente perché compilate dietro un water o sotto un bidet, e dunque impresentabili. Chiedono, altresì, che venga loro riconosciuta un'indennità per gli insulti dei clienti che li aspettano vanamente, anche per mesi, con il lavandino intasato. Richiesto di spiegazioni circa i proverbiali ritardi, il portavoce della categoria prima non si è presentato alla conferenza stampa, poi ha chiesto qualche mese di tempo per replicare.

Parrucchieri Se i tagli di capelli fatturati fossero quelli effettivi, gli italiani dovrebbero avere, in media, capelli lunghi un metro e mezzo e barba da fachiro. Il record di evasione appartiene a un acconciatore di Treviso che ha fatturato, in dieci anni, solo una manicure, però a metà tariffa perché effettuata su un monco.

Medici I medici specialisti ammettono di essere, almeno in parte, degli evasori: ma spiegano che ciò dipende dalle loro segretarie che, al termine della visita, non emettono fattura a causa dei contrattempi più impensabili. I più frequenti dei quali, secondo le statistiche, sono: "Mi scusi, ma mi è esplosa la biro a causa di un raro difetto di fabbricazione"; "Mi scusi, ma il blocchetto delle fatture è stato divorato nottetempo dalle termiti"; "Abbia pazienza, ma, a causa del bradisismo, si sta aprendo una voragine sotto i nostri piedi e dunque dobbiamo fuggire molto rapidamente"; "Le avevo appena preparato la fattura, ma un raggio spaziale di colore verdastro l'ha misteriosamente incenerita".

Chirurghi estetici In Italia, nel 2005, sono state fatturate solo dieci operazioni di plastica al seno, tutte intestate a Valeria Marini. Poiché risulta che le italiane con il seno rifatto sono circa due milioni, ne deriva che le operazioni in nero sono la quasi totalità. Tra i casi più imbarazzanti, quello di due chirurghi estetici di Foggia che ogni anno si operano a vicenda il naso, contemporaneamente, allungandolo o accorciandolo, pur di figurare nell'elenco dei pazienti e non in quello dei medici. La categoria si considera comunque calunniata, e sta per uscire 'Reddito zero', il polemico pamphlet di un chirurgo estetico di Varese conosciuto con lo pseudonimo di Aston Martin.

Mimi Chiedono di riconoscere ufficialmente la validità delle loro fatture, mimate con le dita. La loro deontologia professionale fa espressamente veto di parlare e di scrivere.

Cantanti lirici Accusato di avere fatturato sotto la voce 'motivetto' la sua interpretazione da protagonista del 'Lohengrin' di Wagner, il tenore Teodosio Cortemassima ha preferito trasferirsi a Montecarlo per difendersi meglio dalle accuse. Difficoltà con il Fisco anche per una coppia celebre, la soprano Mezzacuratolo e il baritono Willy Podgorsky, che hanno tentato di far passare per 'congiunti a carico' una coppia di elefanti usati per l'Aida.

17.10.06

Qualche domanda al premier spiato

di GIUSEPPE D'AVANZO - Repubblica

In qualsiasi altro - appena decente - Paese dell'Occidente, che un premier sia spiato da una grande azienda privata di telecomunicazioni sarebbe una notizia coi fiocchi. "Terrebbe" la prima pagina per settimane. Scatenerebbe la curiosità preoccupata dell'opinione pubblica. Costringerebbe i cronisti a rimboccarsi le maniche per afferrare qualche briciolo di notizia autentica. Solleciterebbe il Parlamento a interrogarsi. Magari convincerebbe quelle distratte aule vocianti a istituire addirittura una commissione d'inchiesta. In un qualsiasi altro Paese dell'Occidente accadrebbe di tutto tranne che la notizia coi fiocchi diventasse una notiziuccia presto seppellita da una coltre di silenzio. E dunque Prodi ha ragione a dolersene con El Pais. È vero: "È avvenuto un abuso molto grave". Anche se sprofondato in un flusso verbale che frulla confusamente i conti pubblici, la Telecom, la mozzarella, qualche imprudente inesattezza, l'avventata mossa di Rovati, sorprendenti riflessioni sull'equivalenza tra verità e menzogna, lo sconfortato rammarico del presidente del Consiglio non può essere abbandonato come una lettera morta.

Chi tace e perché, dunque? Per venirne a capo bisogna rinfrescare la memoria dei fatti anche al presidente del Consiglio perché l'affaire dei dossier illegali nasce non quando salta fuori lo spionaggio contro Prodi, ma quasi sette mesi prima. Prima delle elezioni. Prima della vittoria del centro-sinistra. Prima dell'ingresso di Romano Prodi a Palazzo Chigi, a noi di Repubblica - per dire - era già sufficientemente chiaro che fosse all'opera una "banda del ricatto": "Qualche ufficio riservato della Guardia di Finanza, di fatto controllato dall'intelligence. Le agenzie di investigazione che lavorano in outsourcing per l'intelligence. La sicurezza privata delle grandi aziende come Telecom che, con l'intelligence, hanno sempre avuto scambio di informazioni e di uomini" (Repubblica, 11 marzo). Non ci voleva poi Mago Merlino per concludere che il Paese era alle prese con "un "apparato" legale/clandestino deforme, pericoloso per la democrazia, scandaloso, ma del tutto "visibile" a volerlo vedere" (ancora l'11 marzo). Presto il tableau si arricchiva anche di qualche nome.

"È questo Cipriani (un private eye) che fa saltare il banco. È l'uomo di mano di Giuliano Tavaroli, già capo della sicurezza aziendale e responsabile della struttura Telecom che dispone le intercettazioni su ordine della magistratura. Il nome di Tavaroli conduce nel cuore stesso del Sismi. Meglio nell'ufficio stesso del direttore del Sismi Nicolò Pollari perché Tavaroli da decenni non muove passo senza la collaborazione di un carabiniere (Marco Mancini) che oggi è il braccio destro del capo delle spie" (Repubblica, 12 marzo). Chi voleva vederlo quell'intreccio oscuro e minaccioso ha avuto modo di farlo già a quel tempo, ma la politica ha preferito guardare altrove, quasi incapace di prendere atto dell'infezione, impotente a comprenderne il pericolo, addirittura impedita a programmare il necessario lavoro di bonifica. Si era alla vigilia delle elezioni e per molti l'appuntamento è valso da alibi. Ma dopo le elezioni?

Dopo le elezioni, la faccenda appare anche più grave. La politica può leggere (ancora Repubblica, 23 maggio) che la Telecom ha messo su "una rete spionistica per raccogliere dossier (veri e falsi) contro amici, nemici, politici, ministri, giornalisti, banchieri, magistrati, uomini di finanza, manager concorrenti e finanche arbitri e giocatori di calcio". E ancora non accade nulla. Non una protesta, non una lamentela, non una preoccupazione. Quell'apparato legale/clandestino sembra non interessare nessuno. Appaiono in gioco gli spazi di libertà e i diritti, ma tra chi governa la cosa pubblica (Parlamento, governo) si raccoglie soltanto il silenzio. Sepolcrale taciturnitas - imbarazzata o inquietante? - che si fa addirittura ostinatissima quando i protagonisti dell'affaire (Cipriani, Tavaroli, Mancini) finiscono in galera. I primi esiti delle inchieste giudiziarie sul sequestro di Abu Omar e Telecom, anzi, raccontano di una realtà ben più nera di quella fin lì svelata. Il nodo che stringe l'intelligence politico-militare di Nicolò Pollari con la Telecom di Tronchetti Provera è ben più stretto e i passi sono più storti di quanto si potesse immaginare. In Telecom, si apprende, esiste una "control room" e una "struttura S2OC" "capace di fare qualsiasi cosa, anche intercettazioni vocali: può entrare in tutti i sistemi, gestirli, eventualmente dirottare le conversazioni su utenze in uso, con la possibilità di cancellarne la traccia senza essere specificatamente autorizzato".

E poi giornalisti pedinati e intercettati dal Sismi; giornalisti "influenzati" per manipolare l'informazione; giornalisti pagati dal Sismi per pubblicare dossier falsi contro Romano Prodi (si accusa il premier, allora presidente della commissione europea, di aver autorizzato lui - e non il governo di Roma - i sequestri illegali della Cia). Neanche questa circostanza che lo coinvolge in prima persona - e il divieto assoluto di legge per il Sismi di ingaggiare giornalisti - sembra scuotere il presidente del Consiglio. Che sceglie, anche in questo caso, il silenzio. Anzi, peggio. Manda in Parlamento un sottosegretario a dire che tutto va bene perché il governo, che non sa nulla, ha chiesto a Pollari che cosa è accaduto e quello, come sempre, ha detto che non sa nulla, che i suoi uomini non gli hanno detto nulla e quindi non può essere successo nulla di quel che si va dicendo.

Prodi non fa una piega anche se la scena è alquanto comica. Conferma, sostenuto dai ministri dell'Interno, della Difesa e degli Esteri, la fiducia a quell'uomo che non sa nulla. Allunga l'ombra del segreto di Stato sul pasticcio di Abu Omar. Non sembra impensierito dalla connection che esiste tra l'affaire Telecom e i maneggi del Sismi. Può fiorire una quiete tale che il breve disordine dell'estate può essere ricomposto in autunno. Riapre l'Ufficio Manipolazione e Disinformazione di Via Nazionale che doveva azzoppare anche il premier con il dossier falso. Quel Mancini (braccio destro del capo) torna al lavoro a Forte Braschi. Nicolò Pollari è politicamente accreditato più di prima come i giornalisti al suo soldo, "perdonati" dall'analfabetismo etico della corporazione giornalistica e definiti addirittura "guerrieri della libertà" da Silvio Berlusconi. Che la lista degli spiati si allunghi ogni giorno di più (molti i ministri del precedente governo) non importa proprio a nessuno. Come sempre per le cose italiane, la faccenda appare molto grave, ma per nulla seria.

Fino a quando, e siamo ad oggi, Prodi decide di dolersi del silenzio. Meglio tardi che mai. Ma forse per spiegare il silenzio di oggi, Prodi dovrebbe farci sapere la sua sul silenzio di ieri. Perché quel che oggi incuriosisce è appunto l'improvviso scuotimento del governo e del premier. Che cosa è accaduto? Che cosa è cambiato? Qual è la novità che l'opinione pubblica non conosce? Perché quel che ieri non sollecitava alcuna reazione del governo, ora dovrebbe allarmare il Paese? Perché i gattini ciechi della Quercia che, fino all'altro ieri, andavano ripetendo, con Massimo Brutti, che "tutto va bene, madama la marchesa", oggi - toh!, con Massimo Brutti, sempre lui - invertono la rotta e strillano che "sono tornati i tempi della P2"? Con chi ce l'hanno? Che cosa sa quel Brutti che nessuno sa? Che cosa accade nel retrobottega del governo? Chi sono i "cattivi" e quale arma o minaccia hanno sfoderato? Ha ragione Prodi. Il silenzio che ha circondato la "banda del ricatto" e lo spionaggio illegale che lo ha coinvolto (e con lui migliaia di altri) non è decente. È ora di romperlo, finalmente. Per farlo, appare opportuno che Prodi ci faccia sapere che cosa lo ha convinto a rovesciare il tavolo. Per favore, signor presidente, ci dica che cosa diavolo sta succedendo lassù. O là sotto, faccia lei.

15.10.06

MAHATMA BONDI E IL DIGIUNO PER RE SILVIO

di Gian Antonio Stella

Un giorno, per metter alla prova la sua dedizione, gli chiesero che cosa sarebbe stato disposto a fare, per il «suo» Silvio. Rispose: «Andare in carcere». «Al posto suo?», insistettero. «Non solo al posto suo», si immolò: «Andrei in carcere per lui». Va da sé che, quando ha annunciato di voler fare uno sciopero della fame per il Cavaliere, c'è chi ha malignato. Poi c'è chi ha riso e chi si è inchinato rispettoso. Ma non uno si è stupito: un gesto così poteva farlo solo lui, Sandro Bondi.
Per ora l'ha solo annunciato, ma per cause di forza maggiore. Stremato da mesi di battaglia quotidiana, l'altra sera è stato colpito da un malore a Lucera, in Puglia e ha dovuto farsi ricoverare in ospedale per accertamenti. Tutto bene, per fortuna.
Dimettendolo, gli hanno però raccomandato di riposare. Lui, dicono, non vuol sentir ragioni: il tempo di rimettersi un po' in forze, cosa che gli auguriamo tutti, e si metterà nella ossuta scia del Mahatma Gandhi.
Daniele Capezzone, che come segretario dei radicali di digiuni se ne intende anche se non come il massimo esponente italiano del settore, Marco Pannella, è stato netto: «Al di là del merito e degli obiettivi, che tutti attendiamo di capire meglio, un'elementare regola di civiltà politica impone rispetto e attenzione».

Certo è che la scelta del coordinatore di Forza Italia, pur essendo nel solco di una lunga tradizione, è assolutamente inedita.
Gli archivi sono pieni di scioperi della fame. Cristina Morelli, consigliera ligure dei Verdi, ne fece uno (sia pure mitigato dal consumo quotidiano di cappuccini e succhi di frutta) contro una deroga regionale alla caccia a storni e fringuelli. Il sindaco di Pagani (Salerno) Alberico Gambino e tre consiglieri comunali contro la condanna a sei punti di penalizzazione e la squalifica dello stadio «Marcello Torre» dove giocava la Paganese. Il piccolo imprenditore Luca Armani contro il Tribunale di Bergamo che lo aveva condannato a togliere dal sito Internet del suo timbrificio quel cognome («Ma se è il mio! Ce l'ho da quando sono nato!») che poteva far pensare a Giorgio Armani. Alcune famiglie di Cervinara, provincia di Avellino, contro l'immobilismo delle autorità nell'opera di derattizzazione delle loro palazzine, immobilismo non scalfito neppure da un cortometraggio dal titolo «Balla coi topi».

L'aspirante deputata Wanda Montanelli smise un giorno di mangiare perché Di Pietro l'aveva tradita bocciando la sua candidatura. Clemente Mastella, esponendosi a un vistoso calo di due o tre etti, perché non gli davano (resta immortale il suo commento all'annuncio di averla avuta vinta: «Meno male, non ce la facevo più») certi rimborsi elettorali. Ignazio Garsia, fondatore del Brass group palermitano, perché la politica culturale penalizza il jazz. Nando Orfei perché gli impedivano di usare al circo le tigri e gli elefanti.
E perfino il Mago Zurlì annunciò un giorno la clamorosa protesta contro una procedura d'urgenza dell' Ispettorato comunicazioni che aveva bloccato il via alle trasmissioni di una emittente specializzata in cartoni e pupazzi, a partire da Topo Gigio: «Mamma! Che gruviera!». Uno sciopero della fame per difendere un impero televisivo dall'assalto bolscevico però, se sarà confermata la motivazione, non lo aveva ancora fatto nessuno. E fa di Sandro Bondi, in un mondo di infedeli, un gigante della fedeltà assoluta. In un pianeta come la politica dove tutti sono pronti a tirare indietro la gamba, lui si espone fino in fondo accettando per amore di quello che rispettoso chiama «il Presidente» («P» maiuscola e flautata) ogni possibile supplizio. A partire dai dardi dell' ironia di chi gli ricorda come il digitale terrestre, oggi denunciato come un infame esilio imposto a Retequattro dai «banditi» rossi, era sventolato due anni fa da Maurizio Gasparri a riprova della bontà della sua riforma giacché «entro il 1? gennaio 2005» sarebbe stata raggiunta la copertura del 70% della popolazione: «Il digitale terrestre è una scelta strategica fatta da tutta l'Europa e va finanziata perché la popolazione dovrà rinunciare alla tv analogica».

Ma lui, da quando era comunista, è fatto così: si dà tutto. Anzi, sfida i sorrisetti altrui rivendicando la sua parte fino in fondo, quasi a farne un punto di forza. Ostenta la foto del Cavaliere sul comodino. Accetta senza un lamento per il bene del partito d'essere segato: «Come disse Natta mentre i colonnelli del Pci lo pugnalavano alle spalle: sono un felice frate elevato a priore». Scrive poesie dal titolo «A Silvio»: «Vita assaporata Vita preceduta Vita inseguita Vita amata Vita vitale Vita ritrovata Vita splendente Vita disvelata Vita nova». Si lascia rosolare da Claudio Sabelli Fioretti che gli chiede un difetto del suo amato: «Un difetto di Berlusconi... Un difetto di Berlusconi... Non so... Non riesco a trovarlo...». Offre la testa al patibolo dopo la catastrofe (quattro milioni di voti in meno) alle Europee del 2004: «Forza Italia ha una piccola flessione. Forza Italia però, non Berlusconi. Io come coordinatore ne trarrò le conseguenze».
Si fa beccare da Sgarbi mentre, vedendo entrare il Sommo Silvio mentre lui è al microfono, dice: «Mi scusi Presidente se parlo in sua presenza». Arrossisce se gli chiedono: «Tra Berlusconi e la famiglia a chi vuole più bene?». «Spero di non dovere mai scegliere». Sabina Negri, già moglie di Roberto Calderoli, una volta lo fotografò così: «Sono sicura che se rinascesse vorrebbe essere Veronica». Ma lo farebbe, Veronica, uno sciopero della fame per Retequattro?

13.10.06

Le grisaglie in piazza - "Operai? No, notai"
di ALBERTO STATERA - Repubblica

ROMA - "Workers?" chiede un po' stralunata nella marea umana una distinta signora americana che cerca invano di entrare a visitare il Colosseo. "Non operai, notai", risponde un gentile signore in grisaglia che marcia per i Fori Imperiali sotto un cartello che, per l'appunto, designa, tra le tante, la categoria professionale protestataria cui appartiene. "What's notai?" fa la gentile signora.

E il signore allunga un po' il passo. Come spiegare a una distinta signora che presumibilmente viene dalla California che in Italy c'è sempre voluta una firma del notaio, libero professionista, ma al tempo stesso pubblico ufficiale, per vendere un'auto usata o per comprare un appartamento? In America e in quasi tutto il mondo per acquistare un'auto basta aggiungere i propri dati al libretto di circolazione e per comprare un appartemento basta andare su Internet a verificare la proprietà dell'immobile e l'esistenza di eventuali ipoteche. Il notaio, icona canora dell'Italia anni Cinquanta ("Porto il mantello a ruota e fò il notaio") non esiste.

Il signore in grisaglia incede verso piazza Venezia, dove incravattato si scontrerà di lì a poco con un cordone di celerini che bloccano il passaggio, come fosse un no-global di quelli che anni fa a Genova furono bastonati.

E' la pattuglia dei notai, pur modesta per numero, un po' il "brand", il marchio di questa marcia, più degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri, dei dentisti, dei geometri, dei farmacisti, dei geologi, dei chimici, degli attuari, dei dottori agronomi, dei dottori forestali, dei consulenti del lavoro, degli architetti, degli ingegneri, delle ostetriche, dei veterinari, degli spedizionieri doganali, degli infermieri professionali.

Perché ti chiedi: cosa hanno in comune con tutte queste categorie professionali? Certo non il reddito, né il tenore di vita.

Mentre suona la banda di Mondragone assoldata dagli avvocati del Foro di Santa Maria capua Vetere, il gruppetto notarile, sordo ad ogni goliardia di massa, si muove con la dignità di una specie di casta sacerdotale. Noblesse oblige. Sapete chi è sull'inarrivabile vetta dei redditi dei lavoratori autonomi? I notai. E soprattutto sapete con quale cifra media? 428.497 euro all'anno, come dire una settantina di milioni al mese procapite delle ex lire.

E sono le dichiarazioni dei redditi spedite a quel vampiro di Visco. Il che significa che qualcuno di loro guadagna 300 mila e qualcuno 600 mila e molto di più. Spesso sono professionisti coi fiocchi e possono evadere il fisco meno delle altre categorie perché hanno il repertorio, ma ciò non esclude che molti di loro facciano parte di quelle poche decine di migliaia di soggetti che detengono il 15 per cento della ricchezza nazionale, pari alla ricchezza complessiva di alcuni milioni di poveri.

E' forse questo ceto medio, come sostenevano oggi incedendo per i Fori Imperiali Fini, La Russa, Alemanno, Gasparri, il vecchio liberale Alfredo Biondi e il molto ex socialista Maurizio Sacconi? Ben difficile sostenerlo, come è difficile sostenerlo per gran parte dei marciatori in corteo, per i farmacisti (103.830 euro di reddito lordo dichiarato), i dottori commercialisti (63.861), i medici liberi professionisti (53.662), i dentisti (42.825).

Questi ultimi, cui evidentemente il reddito dichiarato diciamo che non fa giustizia, sono tra i più incavolati per l'obbligo di riscuotere i compensi esclusivamente con assegni non trasferibili o bonifici bancari per importi superiori ai 100 euro dal primo luglio del 2008. Ma perché se uno ti paga con un assegno o un bonifico non ti va bene, in un mondo in cui il denaro contante quasi non si usa più e si paga soprattutto con la plastica delle carte di credito?

Quale lavoratore dipendente, anche quelli da 200 mila euro, protesterebbe per un assegno o un bonifico, visto che le tasse gli sono trattenute alla fonte dal datore di lavoro?

Poi ci sono gli avvocati, non una pattuglia esile come quella dei notai, ma numerosa tra il Colosseo e i Fori Imperiali almeno quanto quella degli infermieri professionali. Chiedete al professor Francesco Giavazzi, l'uomo dell'agenda delle liberalizzazioni cui il ministro Bersani s'è un po' ispirato, perché questo paese trabocca di legulei, più numerosi che in ogni altra parte d'Europa, e perché sono così arrabbiati per le riforme.

Vi spiegherà che, pur a disparità di reddito, non solo c'è un filo ideale che collega gli avvocati ai farmacisti, ai notai e ai conducenti di taxi perché tutti in qualche modo sono percettori di "rendite", ma che gli incentivi distorti legati alla determinazione dell'onorario dei legali sono un impedimento a ogni riforma del rito civile, con una riduzione delle udienze.

Più udienze uguale più parcelle e quindi l'interesse a far durare il processo il più a lungo possibile.
"Bersani, cambia pusher", dice uno striscione che ondeggia sulla testa di la Russa, "Prodi, una faccia che scor. aggia", un altro che sovrasta le ostetriche, "Eutanasia per Mastella", strilla il cartello dei dentisti.

Ma stavolta che c'entra il povero Mastella? "E' il ceto medio - strologa l'ex viceministro Adolfo Urso - è come la marcia dei quarantamila tanti anni fa a Torino contro lo strapotere sindacale". "Coraggio, coraggio, Prodi è di passaggio", intona lo slogan dei girotondini borghesi. Prodi è avvertito, i tentativi di riforme liberali in questo paese sono quasi un'utopia. E, a parte il folclore di questa singolare neo-marcia dei quarantamila, in qualche modo dovrà tenerne conto.

10.10.06

Niente giornalista niente problema
di Astrit Dakli - Il Manifesto

Non è difficile uccidere dei giornalisti. Fanno un mestiere che li espone all'odio e circolano indifesi. Si può perfino usare la loro uccisione per fare un regalo di compleanno, come quello che Vladimir Putin ha ricevuto ieri per i suoi 54 anni: la testa di Anna Politkovskaja, la più feroce critica del suo regime. Forse è un regalo avvelenato, che se lo sia ordinato da solo o che gli sia stato fatto da altri: tutti attribuiranno comunque al presidente russo la responsabilità di questo assassinio e non è gradevole neppure per un ex agente del Kgb vedere la propria firma messa in calce a un omicidio illustre - anche se in Russia uccidere giornalisti scomodi è ormai una tradizione. Poco cambia se, come è probabile, l'ideazione e l'attuazione di questo delitto vengono dalle alte sfere delle forze armate (di cui Anna Politkovskaja ha troppe volte messo a nudo la ferocia, l'incompetenza e l'avidità di denaro e di potere) più che direttamente dal Cremlino.
Non è stato certo difficile uccidere questa giornalista. Sparare nell'ascensore di casa sua a una donna priva di ogni difesa è un gioco da ragazzi; quanto all'inchiesta, già il fatto che l'omicida non abbia avuto problemi a lasciar sul posto pistola e cartucce e a farsi vedere da alcuni testimoni fa capire che essa non andrà lontano. Del resto, non ci sarà un'ondata di indignazione per questo omicidio. Chi denuncia le malefatte dei militari in Cecenia o le collusioni tra mafiosi, giudici e politici non è molto popolare: è solo un «rompicazzo», come Anna veniva elegantemente definita. Vladimir Putin nei mesi scorsi ha fatto un repulisti nella Procura generale, da tempo accusata da tutte le parti (compresa Anna Politkovskaja) di essere troppo al servizio del Cremlino: ma i nuovi arrivati, procuratore capo in testa, sono ancor più fedeli al presidente di coloro che sono stati rimossi. Qualcuno vuol scommettere sugli esiti di questa inchiesta? Non è mai difficile uccidere dei giornalisti, soprattutto se sono persone libere, che vogliono fare il loro mestiere fino in fondo e raccontare le cose che il potere - quello dei grandi boss mondiali come quello dei piccoli boss di quartiere - vuole invece tenere nascoste. Due esempi freschi: ieri a nord di Kabul, in una zona che il regime afghano e la Nato definiscono «calma» e che è controllata da signori della guerra locali, sono stati uccisi due reporter tedeschi di Deutsche Welle. Volevano vedere cosa succedeva lì; ovviamente non avevano alcuna scorta. Il mese scorso in un carcere di Ashgabad (Turkmenistan) è stata uccisa Ogulsapar Muradova, giornalista turkmena molto critica del regime satrapico imposto da Saparmurat Niyazov al suo paese: non era accusata di niente, ma la sua voce dava fastidio - meglio arrestarla e strangolarla, senza neanche simulare, come a casa dell'amico Putin, un omicidio ad opera di ignoti.
P.S. La politica degli editori verso i giornalisti, qui a casa nostra, rivela (senza sangue e violenza, certo) la stessa ansia di normalizzare e conformare che sta dietro l'omicidio di Mosca. I giorni di blackout informativo che abbiamo alle spalle - lo sciopero dei giornalisti contro il precariato dilagante e per un nuovo contratto - testimoniano che anche nelle redazioni dei paesi «liberi» si preferirebbero più dita ubbidienti sulle tastiere e meno teste libere che pensano. Non è una bella prospettiva.

9.10.06

Noi complottisti

I complottisti dell'11 settembre scrivono al direttore del Corriere della Sera Paolo Mieli ed a Pierluigi Battista, Sergio Romano, Enrico Deaglio

Caro Direttore,

chiedendo a Lei (o, se ciò è da Lei ritenuto più opportuno, al dott. Sergio Romano ) di pubblicare questa nostra lettera ci appelliamo, prima che alla legge sulla stampa, al Suo rispetto per la verità.

Nella rubrica "Opinioni" di qualche giorno fa, il dottor Pierluigi Battista indica i sottoscritti e altri loro omonimi, che noi non conosciamo (deduciamo ciò dal fatto che egli ci denomina "i Giulietto Chiesa e i Franco Cardini": siamo dunque più di due) quali titolari di un "circo itinerante dei complottisti" che starebbe facendo "un tour" per propagandare una "Grande Cospirazione ...intessuta di colossali sciocchezze" a proposito dei fatti dell'11.9.2001. Le sciocchezze che noialtri "maniaci del complotto" propaganderemmo sarebbero state smentite dal n.XI.37/38 del "Diario" diretto da Enrico Deaglio"che ha portato in Italia il lavoro certosino di trenta giornalisti del Popular Mechanics i quali avrebbero smascherato il "cumulo di menzogne e di teoremi bislacchi al centro della grande fantasia complottista". Pertanto, a quel che sembra, noi propaganderemmo "un sacco di bugie".

Purtroppo per il Suo valente collaboratore, la realtà è ben diversa. Enrico Deaglio ha riciclato, con un anno e mezzo di ritardo, il numero del marzo 2005 della rivista Popular Mechanics in cui compariva un'inchiesta-dossier dal titolo Debunking 9.11 lies ("Smentiamo le menzogne dell'11 settembre"), redatto non da "trenta giornalisti", bensì da uno solo, Benjamin Chertoff, dal giornale definito our senior researcher ("il nostro ricercatore più esperto"), il quale avrebbe – a suo dire – intervistato ben 300 testimoni. Preferiamo tradurre senior con "più esperto" (la lingua inglese usa tale aggettivo in questo senso), giacché non possiamo credere ch'egli sia "il più vecchio", come una traduzione letterale indurrebbe a far credere. Difatti, il signor Chertoff è un promettente venticinquenne. Ignoriamo quanto sia esperto, e in quali campi, ma una cosa la sappiamo: egli è nipote di Michael Chertoff, un signore che il Presidente Bush ha nominato a capo del Dipartimento "Homeland Security". Un ministro, quindi: il quale ben conosce le questioni dell'11 settembre, in quanto era a quel tempo assistant attorney a New York (e in tale veste è stato anche sospettato di aver occultato alcune prove che sarebbero state utili all'inchiesta). La parentela è stata confermata dal giornalista Christopher Bollyn su American Free Press del 7 marzo 2005 (al quale
il Chertoff aveva cercato di mentire, negando il fatto). Naturalmente, dopo che negli States la cosa è stata smascherata, il dossier di Popular Mechanics è rapidamente scomparso dalla circolazione: oggi più nessuno lo citerebbe senza coprirsi di ridicolo. Ma, come accade sovente, lo si è ripresentato sotto altra forma (il libro Debunking 9/11 myths a cura di David Dunbar e Brad Reagan, Hearst Books, nato già vecchio) e intanto, secondo una buona regola commerciale di stampo liberista, si è cercato di riciclarlo alla periferia dell'impero. Non fanno così le multinazionali, quando "regalano" ai bambini africani derrate e medicinali scaduti, deducibili dalle imposte? Ha quindi davvero ragione la copertina del periodico del Deaglio: "Una boiata pazzesca".

Pertanto, tutto quello che, riassumendo il Deaglio che ricicla il Chertoff, il Battista afferma a proposito dei dubbi emersi su alcuni aspetti della ricostruzione ufficiale di quella tragica giornata, non solo è stato ampiamente contestato dal marzo dello scorso anno ad oggi, ma è destituito di plausibile fondamento. E' purtroppo stato altresì accertato che i molti pretesi intervistati dal Chertoff si riducevano da intervistati a ripetitori delle tesi avallate e fatte proprie dall'amministrazione Bush, quando non addirittura a persone in un modo o nell'altro legate agli organi governativi. Quanto noi affermiamo, e molto di ben più grave, è ampiamente documentato in molte ricerche uscite sia a stampa, sia on line. Ci limitiamo a citare almeno tre fra le pubblicazioni più serie e attendibili: Jürgen Elsässer, Comment le Jihad est arrivé en Europe, Vevey, Xenia, 2006 (l'edizione originale è in tedesco; quella francese si avvale di una Prefazione di J.-P. Chevènement); Webster Tarpley, 9/11. Synthetic terror made in USA, Joshua Tree, California, Progressive Press 2006, ben 492 pagine; Barrie Zwicker, Towers of deception. The media cover-up of 9/11, New Society Publishers (Canada), 2006, pp.400 accompagnate dall'impressionante DVD The great conspiracy. Aspettiamo con ansia il prossimo elzeviro dell'amico Battista, quando si sarà letto queste oltre mille pagine. Cordiali saluti.


Giulietto Chiesa e Franco Cardini
Dalla nostra carovana circense,7.10.2006.

5.10.06

IL DESERTO, GLI IRANIANI LAICI, LA FALLACI E RATZINGER
da Mauro Mauri

DESERTO:
Il deserto e' stupendo: l'acqua che all'improvviso zampilla dalle viscere della terra sabbiosa consente all'uomo di vivere in un ambiente estremamente ostile, dove d'inverno si puo' passare dai 40 gradi diurni al ghiaccio della notte.
Attorno alle pozze d'acqua che si sono formate naquero cosi' i caravanserai, solide costruzioni chiuse su tre lati utilizzati a suo tempo per ospitare e proteggere cammelli e cammellieri, antenati degli odierni camion e camionisti. In alcune localita' dove il passaggio e' obbligatorio, dunque localita' strategiche oggi come ieri, accanto alle rovine del caravanserai ci sono delle fattispecie di autogrill dove i camionisti si fermano per ristorarsi. Probabilmente a prendersi cura di camion e camionisti oggi sono i nipoti di chi ieri accoglieva cammelli e cammellieri.

DISSIDENTI RELIGIOSI E POLITICI
In una localita' turistica incontro George, d'origine iraniana e di fede cristiana, da quarant'anni residente in Canada.
Mi dice che nella sua terra adottiva non esiste alcun problema tra iraniani musulmani e cristiani: non vi e' nessuna persona attorno a noi, dunque non e'la classica dichiarazione di circostanza atta a sminuire eventuali dissidi interreligiosi.
Aggiunge che molti giovani provenienti da famiglie musulmane stanno convertendosi al Cristianesimo o si (ri)convertono allo Zoroastranesimo. La persona che lo accompagna conferma che anche all'interno di molte famiglie iraniane vi e'una situazione analoga. In sintesi i giovani rigettano la religione islamica imputando ad essa le origine della propria mancanza di liberta'. A mio parere la religione in se' non c'entra, la colpa e' di chi la strumentalizza per i propri tornaconti politici e soprtatutto economici: per gli Ayatollah dovrebbe essere un campanello d'allarme. I vertici del clero sciita hanno le mani in pasta ovunque ci siano degli affari importanti, il business vede coinvolto l'intero clan familiare.
Ho l'occasione di incontrare la figlia di un Mullah di medio-alta importanza: ha una borsetta firmata Gucci, dubito che sia un tarocco.

FALLACI
"You from Italyia? Oriana Fallaci, very good!". Se i giovani iraniani ti approcciano parlando di Totti, Cannavaro e della capocciata di Materazzi a Zidane, alcuni sopra i cinquanta dimostrano la loro conoscenza dei personaggi del belpaese menzionando Sofia Loren e la Fallaci, apprezzata sopratutto per il coraggio dimostrato nell'intervistare Khomeini. Un taxista mi chiede informazioni della scrittrice fiorentina: ho dovuto comunicargli che era scomparsa da pochi giorni, ha reagito con un' eloquente smorfia di dispiacere. Gli iraniani comunicano con gli occhi, con le espressioni del viso e gesticolando con le mani, talvolta con l'intero corpo. La prima smorfia e' quella che conta: le parole spesso sono quasi superflue, pare che servano soltanto a formalizzare cio' che si e' gia' manifestato in altro modo.

RATZINGER ED I MULLAH:
Alcuni amici ultralaici mi dicono che il Papa ha sbagliato con la sua uscita sulla violenza intrinseca nell'Islam: sostengono che ha sbagliato nel ritrattare, che e' proprio vero quanto narrava l'antico manoscritto. Altre persone, pur riconoscendo che parte delle accuse e' fondata, aggiungono che Ratzinger comunque ha sbagliato nel rispolverare il contenuto del libro in relazione al delicatissimo momento storico in cui viviamo, ovvero al fatto che "gli arabi" non fanno altro che prendere scusanti per giustificare i propri attacchi all'occidente. Personalmente sono di questa idea. Credo che l'intero pianeta necessiti di un Mullah sciita riformatore ed illuminato che sappia interporsi tra mondo occidentale, ma anche altre realta' sociali- e mondo arabo-sunnita: cio' al fine di consentire un dialogo basato sul reciproco rispetto, dialogo assolutamente indispansabile per evitare lo scontro di civilta' che si prospetta, con gli sciiti alla finestra. Negarlo sarebbe un'ipocrisia, ovunque sul pianeta vi sono problemi di convivenza tra musulmani-sunniti e "gli altri". Tutte le persone con cui mi sono confrontato, dico tutte, hanno mostrato timori analoghi. Gli amici ultralaici sono del parere che non esista nessun buon Mullah. Secondo me sbagliano.

NOMI TRADIZIONALI PERSIANI O NOMI ARABI?
Le persone religiose assegnano ai propri figli esclusivamente nomi arabi come Mohammed, Hamid, Abdul. Invece, nomi come Shahin, Babak, Kaveh e Bharam sono antichi nomi persiani, dunque preislamici. Chi li porta, sopratutto chi si chiama Babak, garantisce l'interlocutore di avere un padre antireligioso. Vissuto circa un secolo dopo l'islamizzazione della Persia, Babak era un nobile, un valido condottiero che aveva coagulato attorno a se' il suo popolo nonche' altri dignitari locali accomunati dal voler fermare l'avanzata araba.
Babak venne sconfitto unicamente a causa del tradimento di un alleato vendutosi agli avversari. Nel Nord dell'odierno Iran, nello stupendo castello in cui e' vissuto, castello sito in cima ad un dirupo, con una fattispecie di pellegrinaggio laico si celebra la ricorrenza della sua scomparsa. Le istituzioni interpretano cio' come un segno d'avversione al mondo arabo e dunque, indirettamente, alla religione, pertanto fino a poco tempo hanno sempre ostacolata la celebrazione. Solo negli ultimi tempi la situazione e' migliorata.

CSF E LA SUPREMA GUIDA SPIRITUALE IRANIANA:
L'Espresso ha un rubrica intitolata fratelli siamesi: prendete CSF, fategli indossare una paio di occhiali dalla montatura massiccia e mettetegli in testa un turbante: ditemi se non pare l'Ayatollah Klahud Shabell Fiorettei, gemello dell'Ayatollah Ali Khamenei, guida suprema del popolo Iraniano.

KHODOFFIZ IRAN, ARRIVEDERCI PERSIA: DOMANI, VOLERO' A BANGKOK E POI ANDRO'IN BIRMANIA.

3.10.06

Le Twin Towers e la rivincita degli «ingenui»
PARTICELLE ELEMENTARI di Pierluigi Battista, Corriere della Sera - 02/10/12006

Un ringraziamento speciale a Enrico Deaglio, che con il suo ultimo «Diario» ci fa sentire un po' meno sciocchi: noi ingenui che pensavamo fossero veri gli aerei dell' 11 settembre scagliati contro le Torri gemelle e il Pentagono, che i passeggeri fossero morti davvero, che il crollo del World Trade Center fosse causato degli aerei conficcati nei grattacieli con il loro carico di 37.800 litri di cherosene ciascuno.
Stupidamente ignari che Osama Bin Laden fosse solo il nome d' arte di George W. Bush, eravamo abbindolati da una cupola di «sionisti, agenti Cia e Adepti Illuminati per il Nuovo Ordine Mondiale».
Questo ci dicevano i maniaci del Complotto. Ma grazie a Deaglio, che ha portato in Italia il lavoro certosino di trenta giornalisti del Popular Mechanics, possiamo finalmente capire quale cumulo di menzogne e di teoremi bislacchi sia al centro della grande fantasia complottista. Non eravamo stupidi noi, erano i teorici del complotto che ci raccontavano un sacco di bugie. L' ossessione complottista, a differenza della realtà, esercita un fascino potentissimo. Suggerisce la sensazione inebriante di guardare le cose dietro il velo della verità ufficiale, trasforma la vita in un thriller avvincente e galvanizza l' esistenza con il sapore dell' intrigo. Per questo i manuali dei cospirazionisti dell' 11 settembre vendono milioni di copie e la trasmissione di Milena Gabanelli ad essi dedicata fa il boom di ascolti. Attenzione, però, perché la Grande Cospirazione è intessuta di colossali sciocchezze. Dicono che le torri sono crollate per effetto di «esplosioni controllate». Ma centinaia di esperti consultati dal giornale americano (e menzionati da «Diario») sostengono che è impossibile, che a quella temperatura l' acciaio si sbriciola, e che soprattutto, questo è il punto cruciale che persino noi profani possiamo afferrare, per ottenere l' esplosione «sarebbero state necessarie almeno 75 tonnellate di esplosivo, che avrebbero dovuto essere trasportate con carrelli e piazzate intorno alle colonne di acciaio». Pensate: un traffico pazzesco di camion e carrelli, con decine di persone impegnate a sistemare l' esplosivo, nel cuore di New York, senza farsi vedere da nessuno, contando sulla complicità di un numero incalcolabile di persone. Non è un' ipotesi fantasticamente insensata? E poi. Dicono che nessun aereo si è schiantato sul Pentagono, bensì un missile telecomandato dai malvagi architetti del complotto. E perché lo dicono?
Perché nessuno l' ha visto in tv. Ma l' hanno visto centinaia di testimoni oculari: tutti agenti della Cia. E i passeggeri morti dell' American Airlines 77, i cui resti sono stati identificati con l' esame del Dna insieme a quelli dei cinque dirottatori? Agenti della Cia, e pure i parenti che fintamente ne piangono la scomparsa, gli esperti che hanno condotto le analisi, i trasportatori che hanno collocato rapidamente sul luogo finti rottami ancora fumanti di una finta fusoliera, i finti morti dell' United Airlines che si è schiantato in Pennsylvania, la sua finta scatola nera fintamente ritrovata, i parenti finti che hanno ricevuto le ultime finte telefonate disperate dei loro congiunti. Un immenso esercito di agenti della Cia.
Non è straordinariamente sciocco credere alle suggestioni degli agguerriti complottisti? Migliaia di persone coinvolte e vincolate all' omertà, oltre a decine di controllori di volo compiacenti, centinaia di familiari assoldati, stuoli di politici e giornalisti. Ora che comincia anche in Italia il tour del circo itinerante dei complottisti, ospiti i Giulietto Chiesa e i Franco Cardini, un grazie rinnovato a Deaglio che ci mette al riparo da una gigantesca mistificazione. Per dirla con il suo titolo: una boiata pazzesca.

2.10.06

Adottiamo i bastoncini surgelati
SATIRA PREVENTIVA di Michele Serra

La questione eutanasia rischia di rendere ancora più ostico il dialogo tra cattolici e laici, in Italia molto faticoso anche a causa dei problemi di udito di molti protagonisti, già presenti sulla scena politica ai tempi di Porta Pia. La libertà di lasciarsi morire senza essere incarcerati dopo il funerale (come propongono con insistenza i predicatori di Radio Maria) è un tema che si aggiunge a una lunghissima lista di questioni scottanti. Vediamo le principali.

La breccia di Porta Pia Chi doveva chiuderla? Una disputa legale interminabile divide Stato e Chiesa. Le spese di muratura furono saldate, ai tempi, da casa Savoia. Ma recentemente Vittorio Emanuele, per pagare le parcelle dei suoi avvocati, ha chiesto il rimborso, più gli interessi passivi maturati. Inconciliabili le due perizie di parte: quella del Vaticano sostiene che la scritta 'Aldo ama Rosina' venne incisa sul monumento dalla baionetta di un bersagliere, quella laica fa risalire la scritta 'Carlo ama Giuseppe' alle milizie papali.

Eutanasia I cattolici più possibilisti sostengono che è lecito interrompere l'accanimento terapeutico, a patto che le sofferenze degli anni precedenti la morte siano state sufficientemente atroci e prolungate da poter soddisfare il famoso 'protocollo di San Sebastiano', che stabilisce minuziosamente il numero di piaghe e dolori lancinanti bastante a raggiungere la Grazia.
I più intransigenti chiedono, invece, che non solo il moribondo, ma anche i parenti e il personale ospedaliero dicano il rosario e aspettino la volontà di Dio senza rompere troppo i coglioni. Sul fronte laico, non aiuta il dialogo la posizione degli oltranzisti, che chiedono di inserire anche l'emicrania e la sinusite tra le patologie che consentono l'eutanasia. Lite furibonda nella sinistra tra i sostenitori della cicuta e i fautori dell'iniezione di benzopirene. A rischio la compattezza del governo.

Pacs Dare riconoscimento legale alle coppie di fatto? Febbrili contatti, tra gli uomini di buona volontà dei due schieramenti, per trovare soluzioni di compromesso. Lo scopo è di aprire alle nuove forme di convivenza, ma al tempo stesso difendere l'assetto tradizionale della famiglia. Per esempio, l'unione tra due omosessuali potrebbe essere consentita solo a patto che arrivino entrambi vergini al matrimonio, uno dei due dimostri di saper stirare e l'altro legga la 'Gazzetta dello sport' fumando la pipa. Fa discutere, nel frattempo, uno studio del Censis sulle unioni incivili, tipo marito buzzurro che picchia la moglie, o moglie nevrastenica che vorrebbe abitare a Manhattan invece che a Schio e lo fa notare al marito ogni cinque minuti. Anche telefonandogli in ufficio. La questione non dovrebbe entrare a far parte dell'agenda politica perché le unioni incivili sono già legalizzate.

Fecondazione assistita È già noto l'emendamento Pera-Buttiglione: la sola fecondazione assistita consentita dalla legge è quella in cui un prete assiste alla copula. Francesco Rutelli, che cerca di fare da ponte tra cattolici e laici, propone la legittimità della fecondazione in provetta purché la provetta sia abbastanza grande da contenere marito e moglie che si congiungono nella posizione del missionario. Fa discutere la proposta, di impronta teo-con, di adottare non solo gli embrioni congelati, ma anche i bastoncini di pesce. Febbrili preparativi, sul fronte laico, per dare vita agli Atei Rinati, in opposizione ai cristiani rinati, e presentare in Parlamento un decreto-legge che non solo tolga il crocifisso dagli edifici pubblici, ma costringa il parroco più vicino a stuccare accuratamente il buco lasciato dal chiodo.

Darwin Darwinismo e creazionismo? Anche su questo fronte si distingue l'attivismo di Rutelli, che propone una terza via: l'uomo discende dalla scimmia, ma la scimmia era cattolica praticante. Desta vivo interesse anche la posizione di papa Ratzinger, che non nega l'evoluzionismo, ma sostiene che è stato progettato da un Grande Designer. Negli archivi vaticani sarebbero custoditi i lucidi nei quali Dio tracciò i principali lineamenti dell'universo. Perché, allora, denunciano i laici, vengono tenuti segreti? Forse perché i disegni divini raffigurano la periferia di Caserta e i costumi di scena del balletto di 'Domenica in'?
C'È BISOGNO DI MATERIA PRIMA PER COSTRUIRE UN PAESE
(João Ubaldo Ribeiro)

Si è creduto finora che Collor non valesse niente, così come Itamar Franco e Fernando Henrique Cardoso. Ora sosteniamo che Lula non valga niente. E pure quello che verrà dopo Lula non varrà niente. Per questo sto cominciando a sospettare che il problema non é nel ladro corrotto che fu Collor, né nella farsa che è Lula. Il problema sta in noi. Noi come POPOLO.
Noi come materia prima di un paese. Perché appartengo a un paese dove la "FURBIZIA" è una moneta che è sempre valorizzata, tanto quanto o più del dollaro. Un paese dove diventare ricco dalla notte al giorno è una virtù più apprezzata del fatto di formare una famiglia, basata in valori e rispetto verso gli altri.
Appartengo a un paese dove, purtroppo, i giornali non potranno mai essere venduti come in altri paesi, ponendo alcuni contenitori sui marciapiedi dove si paga per un solo giornale e SI PRELEVA UN SOLO GIORNALE, LASCIANDO GLI ALTRI DOVE SONO.
Appartengo a un paese dove le "IMPRESE PRIVATE" sono le cartolerie private dei suoi dipendenti, che si portano a casa. come fosse lecito, fogli di carta, matite, penne, fermagli e tutto quello che possa essere utile per il lavoro dei figli ... e per loro stessi.
Appartengo a un paese dove la gente si sente il massimo perché è riuscita a vedere la TV "attacandosi" al cavo del vicino, dove la gente froda la dichiarazione dei redditi per non pagare o pagare meno tasse.
Appartengo a un paese dove la mancanza di puntualità è un'abitudine, Dove i direttori delle imprese non valorizzano il capitale umano. Dove c'è poco interesse per l'ecologia, dove le persone gettano la spazzatura in strada e poi reclamano del governo perché non pulisce le fognature. Dove le persone fanno i "gatti" per rubare acqua e luce e poi noi ci lamentiamo di quanto siano cari questi servizi.
Dove non esiste la cultura della lettura (vedi per esempio il nostro attuale Presidente, che recentemente ha dichiarato che è "molto noioso dover leggere") e non c'è coscienza né memoria politica, storica o economica.
Dove i nostri parlamentari lavorano due giorni alla settimana per approvare progetti e leggi che servono solo per affondare quelli con non hanno, rompere le scatole a quelli che hanno poco e beneficiare solo alcuni.
Appartengo a un paese dove le patenti di guida e i certificati medici possono essere "comprati", senza fare alcun esame. Un paese dove una persona in età avanzata, o una donna con un bambino in braccio, o un invalido, rimangono in piede sull'autobus, mentre la persona seduta finge che sta dormendo per non cedere il posto.
Un paese nel quale la precedenza è dell'automobile e non del pedestre. Un paese dove facciamo un sacco di cose sbagliate, ma non esitiamo a criticare i nostri governanti.
Quanto più analizzo i difetti di Fernando Henrique e di Lula, migliore mi sento come persona, nonostante solo ieri abbia passato una "bustarella" a un vigile per non essere multato.
Quanto più mi dico che Dirceu (ex ministro di Lula) è colpevole, migliore mi sento come brasiliano, nonostante proprio oggi abbia imbrogliato un cliente, per riuscire a pagare alcuni debiti.
No. No. No. Basta!
Come "Materia Prima" di un paese, abbiamo molte cose buone, ma ci manca molto per essere gli uomini e le donne di cui il nostro paese ha bisogno. Questa "FURBIZIA BRASILIANA" è congenita, questa disonestà in piccola scala, che dopo cresce e si evolve fino a trasformarsi in casi di scandalo, questa mancanza di qualità umana, più che Collor, Itamar, Fernando Henrique o Lula, è reale e onestamente negativa, perché tutti loro sono brasiliani come noi.
ELETTI DA NOI.
Nati qui, non da un'altra parte... Che tristezza. Perché, anche se Lula rinunciasse oggi stesso, il presidente che gli succederà dovrà continuare a lavorare con la stessa materia prima difettosa che, come popolo, siamo noi stessi. E non potrà farci niente... Non ho nessuna garanzia che qualcuno lo possa fare meglio, ma fino a che qualcuno non indicherà un cammino per sradicare prima i vizi che abbiamo come popolo, nessuno servirà a niente.
Non serviva Collor, né Itamar, né Fernando Henrique e non serve Lula, e non servirà il prossimo.
Qual è la scelta? Abbiamo bisogno di un altro dittatore, che ci faccia rispettare la legge con la forza e con il terrore? Qui manca qualcos'altro.
E mentre questa "altra cosa" non sorge dal basso verso l'alto, o dall'alto verso il basso, o dal centro verso i lati, o comunque si voglia, continueremo ugualmente condannati, ugualmente stagnanti...ugualmente presi per i fondelli!
È molto simpatico essere brasiliano. Ma quando questa brasilianità autoctona comincia a essere un ostacolo alle nostre possibilità di sviluppo come Nazione, allora la cosa cambia... Non aspettiamo di accendere una candela a tutti i Santi, per vedere se ci mandano un Messia.
Noi dobbiamo cambiare, un nuovo governante con gli stessi brasiliani non potrà fare niente. È molto chiaro. Siamo noi che dobbiamo cambiare!
Si, credo che tutto ciò si incastri molto bene in tutto quello che ci sta succedendo; scusiamo la mediocrità attraverso programmi di televisione nefasti e chiaramente tolleranti verso il fallimento.
È l'industria delle scuse e della stupidità. Ora, dopo questo messaggio, ho deciso di cercare il responsabile, non per castigarlo, ma per esigere (si, esigere) che migliori il suo comportamento e che non faccia il sordo, o quello che non capisce.
Si, ho deciso di cercare il responsabile e SONO SICURO CHE LO INCONTRERÒ QUANDO MI GUARDERÒ NELLO SPECCHIO. ECCOLO. NON HO BISOGNO DI CERCARLO DA UN'ALTRA PARTE..
E tu, che ne pensi? MEDITA !!!