DUBBI SULL'ASSALTO
Iraq: l'uccisione dei figli di Saddam
di Lietta Tornabuoni su "La Stampa"
Ma perché hanno ucciso i figli (e forse un nipote) di Saddam Hussein? Che bisogno c'era? Per quale motivo ammazzarli? Una volta identificato (grazie a una soffiata da 30 milioni di dollari) il posto dove stavano, li avrebbero comunque presi. Erano in quattro dentro una casa a Mossul, nel Nord dell'Iraq. Bastava circondare l'edificio, metterlo sotto assedio e aspettare. E invece i parà della 101ª divisione aerotrasportata, le truppe speciali dell'esercito e dell'aviazione, i duecento uomini delle «Aquile Urlanti», i diversi tipi di armi, l'attacco con razzi da parte degli elicotteri: uno spiegamento guerresco che serviva assolutamente a nulla.
Erano pericolosi in quel momento? Sicuramente no. S'erano barricati nell'interno? Era sufficiente attrezzarsi. Facevano resistenza? Bastava collocarsi fuori tiro. Ma perché uccidere? I figli di Saddam Hussein saranno certo stati violenti, efferati assassini, seminatori di terrore in città, figure-chiave dell'ex regime: ma se si dovessero ammazzare tutti i criminali politici, le feroci canaglie, staremmo freschi, sarebbe un eccidio al giorno. In casi simili si catturano i colpevoli, si arrestano, si processano, si uccidono se nel Paese è legale la pena di morte oppure si condannano all'ergastolo o alla pena che il tribunale ha sentenziato: il modo di agire civile e democratico è questo. Perché ammazzare? E perché proprio gli americani dovevano assumersi il compito di ammazzare? Perché hanno vinto una guerra preventiva illegale, mossa per motivi inconfessati, combattuta sulla base di menzogne? Ma l'Iraq non è in guerra. La guerra è finita.
Le uccisioni dei figli di Saddam Hussein non sono originate dalla «giustizia popolare» né dall'odio popolare, come fu per Mussolini e i suoi: in ogni caso quell'esecuzione del dittatore, nel tempo tanto criticata e caricata di tanti rimorsi, venne eseguita dai partigiani italiani, non dagli americani o dagli inglesi che presidiavano l'Italia alla fine della seconda guerra mondiale. Non è incomprensibile immaginare che i figli di Saddam Hussein siano stati uccisi per motivi politico-militari: per poter vantare un’azione riuscita e guadagnarsi il plauso del presidente Bush deviando l'attenzione dalle bugie all'origine del conflitto iracheno; per intimorire quei singoli tiratori che ogni giorno uccidono soldati Usa; per una prepotenza poco ragionata simile a quella con cui, nei film, vengono descritte le irruzioni di militari o di agenti della Cia. E per quella mancanza di rispetto per la vita altrui che ha segnato tutta la guerra.
24.7.03
17.7.03
DIARIO TURCO 1
da Sabina Cortese. Izmir (Smirne)
Leggo di un ennesimo esperimento in Corsica per la commercializzazione di una Cola per cosi' dire "regionale". Da qualche giorno, qui in Turchia, la Ulker - la Nestle' anatolica - sta commercializzando la Cola Turka (i 2 puntini sulla U mettetele voi). Grande investimento pubblicitario: addirittura e' stato ingaggiato il popolarissimo Chevy Chase nei panni di un impiegatuccio NewYorkese che si perde nel quartiere turco della Grande Mela (per la strada grandi sarabande automobilistiche con sventolio dell'amata bandiera rosso fiamma). Il malcapitato si rintana in un bar a bere un caffe' e al suo fianco siede un grasso avventore in abiti stile western, camicia a scacchi e grande cappello in testa. Appeso sullo sfondo lo stereotipo del nazionalismo turco: l'immancabile ritratto di Mustafa Kemal Ataturk. La cordialita' dell'immigrato turco di seconda generazione - quasi perfettamente integrato nella sua America - si manifesta attraverso un divertentissimo pastiche linguistico turco-americano (qui viene messo in onda con i sottotitoli in turco), fatto dei piu' banali luoghi comuni dei discorsi da bar tra un caffe' e una bibita: il tempo, la famiglia, etc. fino ad arrivare all'orgoglio un po' malinconico della terra avita attraverso l'offerta della bevanda nostalgicamente rivoluzionaria: la Cola Turka, appunto! Ovviamente Chase e' frastornato dalla verbosita' mediorientale che gli siede affianco, non capisce quasi niente di quello strano dialetto e uscendo, mentre l'altro gli dice "kiss your cocuklar (figli) for me", continua a ripetere come un'avemaria "Cola turka! Cola turka? Cola turka!". Meraviglie della pubblicita'. Prezzo 1.650.000 lire turche, 1 euro. Ed e' anche buona. A quando, mi chiedo, una Cola Padana? Peccato il colore poco invogliante, verde speranza!
da Sabina Cortese. Izmir (Smirne)
Leggo di un ennesimo esperimento in Corsica per la commercializzazione di una Cola per cosi' dire "regionale". Da qualche giorno, qui in Turchia, la Ulker - la Nestle' anatolica - sta commercializzando la Cola Turka (i 2 puntini sulla U mettetele voi). Grande investimento pubblicitario: addirittura e' stato ingaggiato il popolarissimo Chevy Chase nei panni di un impiegatuccio NewYorkese che si perde nel quartiere turco della Grande Mela (per la strada grandi sarabande automobilistiche con sventolio dell'amata bandiera rosso fiamma). Il malcapitato si rintana in un bar a bere un caffe' e al suo fianco siede un grasso avventore in abiti stile western, camicia a scacchi e grande cappello in testa. Appeso sullo sfondo lo stereotipo del nazionalismo turco: l'immancabile ritratto di Mustafa Kemal Ataturk. La cordialita' dell'immigrato turco di seconda generazione - quasi perfettamente integrato nella sua America - si manifesta attraverso un divertentissimo pastiche linguistico turco-americano (qui viene messo in onda con i sottotitoli in turco), fatto dei piu' banali luoghi comuni dei discorsi da bar tra un caffe' e una bibita: il tempo, la famiglia, etc. fino ad arrivare all'orgoglio un po' malinconico della terra avita attraverso l'offerta della bevanda nostalgicamente rivoluzionaria: la Cola Turka, appunto! Ovviamente Chase e' frastornato dalla verbosita' mediorientale che gli siede affianco, non capisce quasi niente di quello strano dialetto e uscendo, mentre l'altro gli dice "kiss your cocuklar (figli) for me", continua a ripetere come un'avemaria "Cola turka! Cola turka? Cola turka!". Meraviglie della pubblicita'. Prezzo 1.650.000 lire turche, 1 euro. Ed e' anche buona. A quando, mi chiedo, una Cola Padana? Peccato il colore poco invogliante, verde speranza!
Filippo Facci sul Giornale: scusate un corno
Ogni tanto la gente si scusa: tanto sono solo parole.
Ieri l'europarlamentare Schulz ha deciso di scusarsi dopo aver tacciato di razzista l 'intero governo italiano. L' ha detto, dunque: significa che si è scusato? Basta annunciarlo? No: forse le scuse ufficiali corrisponderanno a quelle che la popolarissima Bild pubblicherà oggi a firma di Schulz medesimo. Saranno quelle, le scuse? Un articolo? Basta scrivere un articolo? E scrivere un articolo di scuse val più che annunciarle? No: forse le scuse più significative le farà il ministro Josckha Fischer nella sua visita romana della settimana prossima. Forse.
Sul concetto di scuse abbiamo le idee confuse, se non fosse chiaro.
Per esempio: il sottosegretario leghista che aveva parlato dei tedeschi in termini di rutti eccetera (non all' Europarlamento: sulla Padania) non si è mica scusato: però si è dimesso.
Che cosa vale di più? Le scuse formali e quasi distratte di un europarlamentare che in ogni caso ha scatenato un baillamme internazionale a Bruxelles - ben sapendo di scatenarlo - per poi dire "scusate" e arrivederci? Oppure le dimissioni sostanziali di chi ha scritto un articolo semiserio sul proprio organo di partito ? non pensando di scatenare niente ? per poi dimettersi con sufficiente dignità?
Confusione, sì. Le scuse ? ci pare ? dovrebbero far seguito a irruenza, a parole dal sen fuggite.
Invece il signor Schultz ha preparato un discorso, lo ha scritto, lo ha reso sinergico a un certo scenario, lo ha pronunciato da europarlamentare responsabile delle proprie azioni: è chiaro che lo ha fatto perché lo voleva fare, è chiaro che lo ha fatto all' interno di un teatrino di cui le eventuali scuse avrebbero fatto parte, nel caso. Ergo, le sue scuse valgono zero.
Non c' è niente di cavalleresco in certe scuse che ogni tanto si affacciano nella vita pubblica: parole, atti a costo zero che sostituiscono l' antico e cavalleresco pagare pegno, il rispondere meramente delle proprie azioni.
Basta dire: sono pentito. Antonio Di Pietro disse: sono pentito di certe frequentazioni, ho sbagliato. Arrivederci.
Paolo Mieli, dopo aver diretto un certo Corriere della Sera, in un certo modo, disse: sono pentito, ho commesso degli errori. Avanti come prima.
Ad Adriano Sofri, prima di un' eventualissima grazia, chiedono nuovi pentimenti.
Siamo nel Paese in cui i collaboratori di giustizia vengono chiamati "pentiti" in virtù di un "ravvedimento operoso".
Ogni tanto la gente si scusa: tanto sono solo parole.
Ieri l'europarlamentare Schulz ha deciso di scusarsi dopo aver tacciato di razzista l 'intero governo italiano. L' ha detto, dunque: significa che si è scusato? Basta annunciarlo? No: forse le scuse ufficiali corrisponderanno a quelle che la popolarissima Bild pubblicherà oggi a firma di Schulz medesimo. Saranno quelle, le scuse? Un articolo? Basta scrivere un articolo? E scrivere un articolo di scuse val più che annunciarle? No: forse le scuse più significative le farà il ministro Josckha Fischer nella sua visita romana della settimana prossima. Forse.
Sul concetto di scuse abbiamo le idee confuse, se non fosse chiaro.
Per esempio: il sottosegretario leghista che aveva parlato dei tedeschi in termini di rutti eccetera (non all' Europarlamento: sulla Padania) non si è mica scusato: però si è dimesso.
Che cosa vale di più? Le scuse formali e quasi distratte di un europarlamentare che in ogni caso ha scatenato un baillamme internazionale a Bruxelles - ben sapendo di scatenarlo - per poi dire "scusate" e arrivederci? Oppure le dimissioni sostanziali di chi ha scritto un articolo semiserio sul proprio organo di partito ? non pensando di scatenare niente ? per poi dimettersi con sufficiente dignità?
Confusione, sì. Le scuse ? ci pare ? dovrebbero far seguito a irruenza, a parole dal sen fuggite.
Invece il signor Schultz ha preparato un discorso, lo ha scritto, lo ha reso sinergico a un certo scenario, lo ha pronunciato da europarlamentare responsabile delle proprie azioni: è chiaro che lo ha fatto perché lo voleva fare, è chiaro che lo ha fatto all' interno di un teatrino di cui le eventuali scuse avrebbero fatto parte, nel caso. Ergo, le sue scuse valgono zero.
Non c' è niente di cavalleresco in certe scuse che ogni tanto si affacciano nella vita pubblica: parole, atti a costo zero che sostituiscono l' antico e cavalleresco pagare pegno, il rispondere meramente delle proprie azioni.
Basta dire: sono pentito. Antonio Di Pietro disse: sono pentito di certe frequentazioni, ho sbagliato. Arrivederci.
Paolo Mieli, dopo aver diretto un certo Corriere della Sera, in un certo modo, disse: sono pentito, ho commesso degli errori. Avanti come prima.
Ad Adriano Sofri, prima di un' eventualissima grazia, chiedono nuovi pentimenti.
Siamo nel Paese in cui i collaboratori di giustizia vengono chiamati "pentiti" in virtù di un "ravvedimento operoso".
dal sito de l'Espresso
SATIRA PREVENTIVA
di Michele Serra
Il pedicure che estirpava tumori
Altro che il compianto Di Bella: ora arrivano le terapie del dottor Ciarlatano e dell'estetista Rina Cavina. Così il male del secolo sarà sconfitto per sempre
La scomparsa del compianto professor Luigi Di Bella ha riaperto il dibattito sulla medicina ?dal basso?, quel generoso moto della creatività popolare che le gerarchie demo-pluto-massoniche ai vertici della sanità di Stato si ostinano a reprimere. Nuovi casi stanno per esplodere. Prepariamoci.
2004.
Italia spaccata in due dal caso Gargiulo. Il dottor Gargiulo è un barelliere di Molfetta che esercita abusivamente la professione medica e anche quella di barelliere ma, a differenza dei baroni insensibili, dedica ai pazienti tutto il suo tempo: di giorno sta con loro, la notte si intrattiene con le loro mogli. Cura il cancro con tre ore di cyclette. Una vigorosa campagna del ?Giornale? in suo favore ottiene, a furor di popolo, la sperimentazione della cura Gargiulo. Su 500 ammalati, dopo tre ore di cyclette, 20 muoiono, 300 bestemmiano come Zandegù sul Pordoi, 178 querelano il ministro, due dicono che il male al culo è così forte da avergli fatto dimenticare ogni altro problema. Secondo Gargiulo e ?Libero?, è un successo clamoroso.
2006.
Caso Di Bella bis. Il figlio del professor Di Bella scopre le carte segrete del padre. La grafia minuta dell?anziano medico impediva di cogliere la verità: non era la melatonina, era la Mela Tonina (un pomo popolare, molto migliore delle fichette e imborghesite Golden e Renetta) il vero segreto contro i tumori. Il governo Berlusconi-bis (Paolo Berlusconi) dispone una nuova sperimentazione.
2008.
Questa volta non è un medico, ma direttamente un paziente, Ugo Tiraboschi, ad avere scoperto la cura contro il cancro: bisogna fingere di non averlo e fischiettare con le mani in tasca per la maggior parte della giornata. Davanti alla villetta di Tiraboschi si formano interminabili code di ammalati che fischiettano. L?intervento del ministero della Sanità è ininfluente, ma la rivolta del vicinato convince Tiraboschi a traslocare.
2010.
In Italia non si parla d?altro: Rina Cavina, un?anziana estetista, cura gli ammalati del circondario con un decotto di foglie da sorbire cavalcando una scopa. Incalzata da una commissione d?inchiesta, la Cavina cita tra i suoi maestri Harry Potter e gli sceneggiatori di ?MASH?. Manifestazioni in suo favore in tutta Italia. La sperimentazione del decotto Cavina è fallimentare, ma la donna, appoggiata da una vigorosa campagna di ?Libero?, ottiene che venga annullata perché non è stata effettuata nel giorno di Halloween. Il ?Giornale? questa volta si dissocia, perché nel frattempo ha iniziato una martellante campagna in favore di Innocenzo La Palma, un pedicure che sostiene di estirpare ogni giorno decine di tumori al piede ma è sospettato di confondersi con i calli.
2011.
Polemiche roventi: il professor Gaetano Ciarlatano, titolare della clinica Villa Imbroglio e inventore di una costosissima terapia a base di sale grosso, viene inspiegabilmente messo sotto inchiesta da magistrati prevenuti. Famosi opinionisti insorgono, chiedendosi su quali basi la magistratura pubblica (affiancata ormai da anni da una ben più efficiente e obiettiva magistratura privata) si permetta di perseguitare il professor Ciarlatano. A ?Porta a Porta? è ospite fissa suor Deannah Rotschild, capoinfermiera di Villa Imbroglio e amante del professore, che accusa i medici massoni e i giudici comunisti di essere invidiosi delle sue tette rifatte.
2012.
Un gruppo di ricercatori universitari precari, in aspettativa dopo l?ultima Finanziaria, scopre una terapia anti-cancro particolarmente efficace. Nel terrore di essere accostati all?ormai famigerata medicina di Stato, i ricercatori affidano la loro scoperta a un guaritore irpino supplicandolo di renderla pubblica e di dire che è stata la Madonna a fornirgliela.
SATIRA PREVENTIVA
di Michele Serra
Il pedicure che estirpava tumori
Altro che il compianto Di Bella: ora arrivano le terapie del dottor Ciarlatano e dell'estetista Rina Cavina. Così il male del secolo sarà sconfitto per sempre
La scomparsa del compianto professor Luigi Di Bella ha riaperto il dibattito sulla medicina ?dal basso?, quel generoso moto della creatività popolare che le gerarchie demo-pluto-massoniche ai vertici della sanità di Stato si ostinano a reprimere. Nuovi casi stanno per esplodere. Prepariamoci.
2004.
Italia spaccata in due dal caso Gargiulo. Il dottor Gargiulo è un barelliere di Molfetta che esercita abusivamente la professione medica e anche quella di barelliere ma, a differenza dei baroni insensibili, dedica ai pazienti tutto il suo tempo: di giorno sta con loro, la notte si intrattiene con le loro mogli. Cura il cancro con tre ore di cyclette. Una vigorosa campagna del ?Giornale? in suo favore ottiene, a furor di popolo, la sperimentazione della cura Gargiulo. Su 500 ammalati, dopo tre ore di cyclette, 20 muoiono, 300 bestemmiano come Zandegù sul Pordoi, 178 querelano il ministro, due dicono che il male al culo è così forte da avergli fatto dimenticare ogni altro problema. Secondo Gargiulo e ?Libero?, è un successo clamoroso.
2006.
Caso Di Bella bis. Il figlio del professor Di Bella scopre le carte segrete del padre. La grafia minuta dell?anziano medico impediva di cogliere la verità: non era la melatonina, era la Mela Tonina (un pomo popolare, molto migliore delle fichette e imborghesite Golden e Renetta) il vero segreto contro i tumori. Il governo Berlusconi-bis (Paolo Berlusconi) dispone una nuova sperimentazione.
2008.
Questa volta non è un medico, ma direttamente un paziente, Ugo Tiraboschi, ad avere scoperto la cura contro il cancro: bisogna fingere di non averlo e fischiettare con le mani in tasca per la maggior parte della giornata. Davanti alla villetta di Tiraboschi si formano interminabili code di ammalati che fischiettano. L?intervento del ministero della Sanità è ininfluente, ma la rivolta del vicinato convince Tiraboschi a traslocare.
2010.
In Italia non si parla d?altro: Rina Cavina, un?anziana estetista, cura gli ammalati del circondario con un decotto di foglie da sorbire cavalcando una scopa. Incalzata da una commissione d?inchiesta, la Cavina cita tra i suoi maestri Harry Potter e gli sceneggiatori di ?MASH?. Manifestazioni in suo favore in tutta Italia. La sperimentazione del decotto Cavina è fallimentare, ma la donna, appoggiata da una vigorosa campagna di ?Libero?, ottiene che venga annullata perché non è stata effettuata nel giorno di Halloween. Il ?Giornale? questa volta si dissocia, perché nel frattempo ha iniziato una martellante campagna in favore di Innocenzo La Palma, un pedicure che sostiene di estirpare ogni giorno decine di tumori al piede ma è sospettato di confondersi con i calli.
2011.
Polemiche roventi: il professor Gaetano Ciarlatano, titolare della clinica Villa Imbroglio e inventore di una costosissima terapia a base di sale grosso, viene inspiegabilmente messo sotto inchiesta da magistrati prevenuti. Famosi opinionisti insorgono, chiedendosi su quali basi la magistratura pubblica (affiancata ormai da anni da una ben più efficiente e obiettiva magistratura privata) si permetta di perseguitare il professor Ciarlatano. A ?Porta a Porta? è ospite fissa suor Deannah Rotschild, capoinfermiera di Villa Imbroglio e amante del professore, che accusa i medici massoni e i giudici comunisti di essere invidiosi delle sue tette rifatte.
2012.
Un gruppo di ricercatori universitari precari, in aspettativa dopo l?ultima Finanziaria, scopre una terapia anti-cancro particolarmente efficace. Nel terrore di essere accostati all?ormai famigerata medicina di Stato, i ricercatori affidano la loro scoperta a un guaritore irpino supplicandolo di renderla pubblica e di dire che è stata la Madonna a fornirgliela.
CASO BOCCASSINI
di Marco Travaglio sull'Unità
Come sarebbe andata a finire l'ennesima ispezione ministeriale straordinaria anti-Pool, era scontato prim'ancora che partisse. L'unico dubbio riguardava il giornale prescelto per fare il botto con la consueta fuga di notizie. Alla fine ha vinto il Giornale, com'era giusto, trattandosi dell'house organ del presidente del Consiglio, che è al contempo il mandante e il beneficiario (insieme a Previti) dell'operazione. Ieri il quotidiano titolava tutto compiaciuto, in prima pagina, a caratteri di scatola: "Dossier contro la Boccassini. La relazione degli ispettori sul misterioso fascicolo del processo a Previti e Berlusconi. Le violazioni dei pm: indagini senza autorizzazione, reati prescritti, documenti nascosti". Uno scoop straordinario, poi confermato nel pomeriggio dalla agenzie. Poi, in serata, la stravagante e incomprensibile mezza smentita del ministro della Giustizia Roberto Castelli: "Nessuna valutazione, nessuna censura sulle attività della procura. Solo rilievi tecnici".
LA PAROLA AL CSM. Cominciamo dalla fine e diciamo subito che verosimilmente anche questa ispezione, essendo fondata sul nulla, finirà nel nulla. Come le altre che l'hanno preceduta: quella di Biondi nel 1994 e quella di Mancuso nel 1995. Il ministro Castelli prenderà le conclusioni dei suoi 007 e, molto probabilmente, le trasformerà in un capo di incolpazione, per chiedere al Pg della Cassazione di spedire Gherardo Colombo, Ilda Boccassini davanti al Csm, sotto procedimento disciplinare. L'accusa è addirittura quella di esser "venuti meno al dovere di correttezza e di leale collaborazione con organi istituzionali" (cioè con gl'ispettori medesimi, opponendo il segreto investigativo al tentativo di ficcanasare nel fascicolo 9520/95) e di avere "compromesso il prestigio dell'ordine giudiziario". "Assolti" invece dagli ispettori il procuratore reggente Ferdinando Vitiello e l'aggiunto Corrado Carnevali, la cui mancata vigilanza - scrivono sempre gli emissari del Guardasigilli - potrebbe derivare dalla straripante "personalità di Colombo e Boccassini". Intanto (ma ci vorranno mesi) il Csm valuterà - come chiedono a gran voce i membri laici della Cdl - se trasferire d'ufficio, cioè lontano da Milano, i due pm per "incompatibilità ambientale". Prevedibile che anche questa volta i suonatori finiscano suonati, con una sonora archiviazione, sul tipo di quelle che chiusero ingloriosamente i 14 procedimenti disciplinari avviati dai ministri Mancuso e Flick e i 64 fascicoli penali aperti dalla Procura di Brescia contro gli uomini del Pool fra il 1994 e il 1998.
ALTOLA' DALLA CASSAZIONE. Il problema è tutto qui: poteva la Procura di Milano opporre il segreto sul fascicolo 9520/95, negandone la visione agli ispettori (come già alle difese Previti e Berlusconi)? Anche su questo il Csm si pronuncerà, forse già oggi, in sesta commissione, come lo sollecita a fare la Procura milanese da quando è partita l'ispezione più irrituale ("illegittima", secondo Anna Finocchiaro dei Ds) della storia italiana: due imputati chiedono di dare un'occhiata a un fascicolo contro ignoti (dunque, a loro estraneo); tribunale e procura rispondono picche; i due imputati, essendo al governo, attivano il loro ministro, che sguinzaglia i suoi ispettori perché ottengano ciò che ai due imputati è stato negato. La risposta del Csm è legata all'interpretazione dell' articolo 415 del Codice di procedura penale sui fascicoli contro ignoti. Ancora un mese fa, il 23 giugno, la VII sezione della Cassazione, respingendo un'istanza di rimessione di Giovanni Acampora per il processo Imi-Sir/Mondadori, ha dato ragione ai giudici milanesi e torto a Berlusconi, Previti e ispettori. Mettendo nero su bianco che la condotta seguìta a Milano risponde all'"uniforme indirizzo giurisprudenziale" della Cassazione. Che prevede quanto segue.
di Marco Travaglio sull'Unità
Come sarebbe andata a finire l'ennesima ispezione ministeriale straordinaria anti-Pool, era scontato prim'ancora che partisse. L'unico dubbio riguardava il giornale prescelto per fare il botto con la consueta fuga di notizie. Alla fine ha vinto il Giornale, com'era giusto, trattandosi dell'house organ del presidente del Consiglio, che è al contempo il mandante e il beneficiario (insieme a Previti) dell'operazione. Ieri il quotidiano titolava tutto compiaciuto, in prima pagina, a caratteri di scatola: "Dossier contro la Boccassini. La relazione degli ispettori sul misterioso fascicolo del processo a Previti e Berlusconi. Le violazioni dei pm: indagini senza autorizzazione, reati prescritti, documenti nascosti". Uno scoop straordinario, poi confermato nel pomeriggio dalla agenzie. Poi, in serata, la stravagante e incomprensibile mezza smentita del ministro della Giustizia Roberto Castelli: "Nessuna valutazione, nessuna censura sulle attività della procura. Solo rilievi tecnici".
LA PAROLA AL CSM. Cominciamo dalla fine e diciamo subito che verosimilmente anche questa ispezione, essendo fondata sul nulla, finirà nel nulla. Come le altre che l'hanno preceduta: quella di Biondi nel 1994 e quella di Mancuso nel 1995. Il ministro Castelli prenderà le conclusioni dei suoi 007 e, molto probabilmente, le trasformerà in un capo di incolpazione, per chiedere al Pg della Cassazione di spedire Gherardo Colombo, Ilda Boccassini davanti al Csm, sotto procedimento disciplinare. L'accusa è addirittura quella di esser "venuti meno al dovere di correttezza e di leale collaborazione con organi istituzionali" (cioè con gl'ispettori medesimi, opponendo il segreto investigativo al tentativo di ficcanasare nel fascicolo 9520/95) e di avere "compromesso il prestigio dell'ordine giudiziario". "Assolti" invece dagli ispettori il procuratore reggente Ferdinando Vitiello e l'aggiunto Corrado Carnevali, la cui mancata vigilanza - scrivono sempre gli emissari del Guardasigilli - potrebbe derivare dalla straripante "personalità di Colombo e Boccassini". Intanto (ma ci vorranno mesi) il Csm valuterà - come chiedono a gran voce i membri laici della Cdl - se trasferire d'ufficio, cioè lontano da Milano, i due pm per "incompatibilità ambientale". Prevedibile che anche questa volta i suonatori finiscano suonati, con una sonora archiviazione, sul tipo di quelle che chiusero ingloriosamente i 14 procedimenti disciplinari avviati dai ministri Mancuso e Flick e i 64 fascicoli penali aperti dalla Procura di Brescia contro gli uomini del Pool fra il 1994 e il 1998.
ALTOLA' DALLA CASSAZIONE. Il problema è tutto qui: poteva la Procura di Milano opporre il segreto sul fascicolo 9520/95, negandone la visione agli ispettori (come già alle difese Previti e Berlusconi)? Anche su questo il Csm si pronuncerà, forse già oggi, in sesta commissione, come lo sollecita a fare la Procura milanese da quando è partita l'ispezione più irrituale ("illegittima", secondo Anna Finocchiaro dei Ds) della storia italiana: due imputati chiedono di dare un'occhiata a un fascicolo contro ignoti (dunque, a loro estraneo); tribunale e procura rispondono picche; i due imputati, essendo al governo, attivano il loro ministro, che sguinzaglia i suoi ispettori perché ottengano ciò che ai due imputati è stato negato. La risposta del Csm è legata all'interpretazione dell' articolo 415 del Codice di procedura penale sui fascicoli contro ignoti. Ancora un mese fa, il 23 giugno, la VII sezione della Cassazione, respingendo un'istanza di rimessione di Giovanni Acampora per il processo Imi-Sir/Mondadori, ha dato ragione ai giudici milanesi e torto a Berlusconi, Previti e ispettori. Mettendo nero su bianco che la condotta seguìta a Milano risponde all'"uniforme indirizzo giurisprudenziale" della Cassazione. Che prevede quanto segue.
14.7.03
IL CASO SOFRI (31 ANNI DOPO)
di STEFANO FOLLI
Nel carcere di Pisa vive e lavora un uomo che sta pagando il suo debito verso la giustizia. Lo fa con estrema dignità ormai da anni. Il suo nome è Adriano Sofri e con sobria civiltà pubblica da anni libri e articoli sui maggiori giornali. Le sue riflessioni sul nostro tempo costituiscono un punto di vista impossibile da ignorare. Sono testimonianze proposte con attenzione scrupolosa verso la realtà di un Paese decifrato in tutte le sue complessità. Forse nessuno come Sofri ha saputo leggere attraverso la tragedia vissuta dalla comunità civile italiana nell’ultimo scorcio del Novecento: il terrorismo, le sue conseguenze, la frattura di una quasi guerra civile che ha rischiato di distruggere la Repubblica. Nessuno come Sofri ha saputo alimentare un dibattito autentico, e non di maniera, sull’identità collettiva e sul destino di due generazioni. Anche per questo, soprattutto per questo, possiamo affermare senza enfasi che Adriano Sofri è oggi uno dei maggiori intellettuali italiani.
Eppure non stiamo parlando di un profeta o di un santo. Al contrario, Sofri è stato condannato in via definitiva come mandante di un delitto odioso e crudele: l’omicidio del commissario di Pubblica Sicurezza Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio 1972. Non è il caso qui di riaprire alcun dossier. Basti ricordare che i processi a Sofri (a lui, a Bompressi e a Pietrostefani) sono stati nel corso degli anni ben otto. E l’iter si è concluso con la conferma delle condanne. La magistratura, dopo vari gradi di giudizio, ha accolto la tesi dell’accusa, sulla base delle prove fornite dagli investigatori.
Il fatto che Adriano Sofri si sia costantemente dichiarato innocente, come era suo diritto, non toglie nulla alla verità processuale. Altrettanto rilevante, tuttavia, è la circostanza che Sofri non si è mai sottratto alla pena. Avrebbe potuto farlo con un certo agio, come tanti altri, ma ha preferito espiare. In precedenza, prima che la condanna fosse definitiva, ha cercato una propria personale redenzione nell’orrore della Bosnia in guerra e anche di quell’esperienza ha reso una testimonianza in cui si avverte l’eco sofferta della grande cultura europea, con la sua sostanza tollerante e liberale. Pur consapevoli che si tratta di un tema che turba (a ragione) l’opinione pubblica, crediamo sia giunto il momento di affrontare il caso attraverso lo strumento della grazia. Lo scriviamo con il rispetto dovuto alle vittime del terrorismo, alle loro famiglie, ai magistrati e alle forze di polizia. Liberare Sofri non significa dare un tardivo riconoscimento alla tesi innocentista. O incoraggiare il lassismo. O riaprire ferite mai veramente chiuse.
Oggi il punto è un altro. Si tratta di prendere atto che il detenuto di Pisa è un uomo diverso, 31 anni dopo l’omicidio Calabresi. Della sua trasformazione ha offerto e offre prove evidenti e quotidiane. Se Sofri è stato un cattivo maestro, oggi non lo è più. Lo ha capito buona parte della società italiana, nelle sue espressioni culturali e politiche. Ha ancora un senso tenerlo in carcere? A quale funzione emblematica corrisponde la sua prigionia?
Il presidente del Consiglio (che mesi fa ha manifestato con chiarezza il suo pensiero) e il ministro di Grazia e Giustizia possono, se vogliono, rispondere a queste domande. Del resto, l’avvio del semestre europeo è un’occasione propizia per riflettere: lo ha detto un altro personaggio simbolo di una stagione drammatica e lontana, Cohn Bendit, e forse non ha torto. Il presidente della Repubblica ha il potere di firmare il provvedimento di grazia. Ma deve essergli sottoposto dall’autorità di governo. Se quest’ultima decidesse che è ora di compiere tale piccolo passo, non si potrebbe biasimarla.
di STEFANO FOLLI
Nel carcere di Pisa vive e lavora un uomo che sta pagando il suo debito verso la giustizia. Lo fa con estrema dignità ormai da anni. Il suo nome è Adriano Sofri e con sobria civiltà pubblica da anni libri e articoli sui maggiori giornali. Le sue riflessioni sul nostro tempo costituiscono un punto di vista impossibile da ignorare. Sono testimonianze proposte con attenzione scrupolosa verso la realtà di un Paese decifrato in tutte le sue complessità. Forse nessuno come Sofri ha saputo leggere attraverso la tragedia vissuta dalla comunità civile italiana nell’ultimo scorcio del Novecento: il terrorismo, le sue conseguenze, la frattura di una quasi guerra civile che ha rischiato di distruggere la Repubblica. Nessuno come Sofri ha saputo alimentare un dibattito autentico, e non di maniera, sull’identità collettiva e sul destino di due generazioni. Anche per questo, soprattutto per questo, possiamo affermare senza enfasi che Adriano Sofri è oggi uno dei maggiori intellettuali italiani.
Eppure non stiamo parlando di un profeta o di un santo. Al contrario, Sofri è stato condannato in via definitiva come mandante di un delitto odioso e crudele: l’omicidio del commissario di Pubblica Sicurezza Luigi Calabresi, avvenuto a Milano il 17 maggio 1972. Non è il caso qui di riaprire alcun dossier. Basti ricordare che i processi a Sofri (a lui, a Bompressi e a Pietrostefani) sono stati nel corso degli anni ben otto. E l’iter si è concluso con la conferma delle condanne. La magistratura, dopo vari gradi di giudizio, ha accolto la tesi dell’accusa, sulla base delle prove fornite dagli investigatori.
Il fatto che Adriano Sofri si sia costantemente dichiarato innocente, come era suo diritto, non toglie nulla alla verità processuale. Altrettanto rilevante, tuttavia, è la circostanza che Sofri non si è mai sottratto alla pena. Avrebbe potuto farlo con un certo agio, come tanti altri, ma ha preferito espiare. In precedenza, prima che la condanna fosse definitiva, ha cercato una propria personale redenzione nell’orrore della Bosnia in guerra e anche di quell’esperienza ha reso una testimonianza in cui si avverte l’eco sofferta della grande cultura europea, con la sua sostanza tollerante e liberale. Pur consapevoli che si tratta di un tema che turba (a ragione) l’opinione pubblica, crediamo sia giunto il momento di affrontare il caso attraverso lo strumento della grazia. Lo scriviamo con il rispetto dovuto alle vittime del terrorismo, alle loro famiglie, ai magistrati e alle forze di polizia. Liberare Sofri non significa dare un tardivo riconoscimento alla tesi innocentista. O incoraggiare il lassismo. O riaprire ferite mai veramente chiuse.
Oggi il punto è un altro. Si tratta di prendere atto che il detenuto di Pisa è un uomo diverso, 31 anni dopo l’omicidio Calabresi. Della sua trasformazione ha offerto e offre prove evidenti e quotidiane. Se Sofri è stato un cattivo maestro, oggi non lo è più. Lo ha capito buona parte della società italiana, nelle sue espressioni culturali e politiche. Ha ancora un senso tenerlo in carcere? A quale funzione emblematica corrisponde la sua prigionia?
Il presidente del Consiglio (che mesi fa ha manifestato con chiarezza il suo pensiero) e il ministro di Grazia e Giustizia possono, se vogliono, rispondere a queste domande. Del resto, l’avvio del semestre europeo è un’occasione propizia per riflettere: lo ha detto un altro personaggio simbolo di una stagione drammatica e lontana, Cohn Bendit, e forse non ha torto. Il presidente della Repubblica ha il potere di firmare il provvedimento di grazia. Ma deve essergli sottoposto dall’autorità di governo. Se quest’ultima decidesse che è ora di compiere tale piccolo passo, non si potrebbe biasimarla.
Viaggio all'interno di Camp Delta tra i 680 "presunti terroristi"
rinchiusi nella base americana a Cuba
Gabbie, Corano e disperazione
ecco i dannati di Guantanamo
I detenuti non possono parlare, non sanno nulla del loro destino
"Sono solo terroristi catturati in battaglia"
dal nostro inviato CARLO BONINI
GUANTANAMO - Lo chiamano Camp Delta. È un immenso specchio rifrangente di metallo, filo spinato e cemento. Un sarcofago schiacciato su mille stie di ferro che segregano 680 prigionieri di 42 paesi dalle 17 lingue e i 23 dialetti. Ha ingoiato i dannati di "X Ray", il vecchio campo "raggi X", perché se ne diluisse il ricordo, fino a spegnerlo. Almeno così speravano al Pentagono. In ceppi, il 2, il 28 e il 29 aprile del 2002, hanno trascinato i prigionieri nelle loro nuove gabbie a soli duecento metri dal mare. Senza spiegargli che non lo avrebbero mai visto, né sentito. Perché a "Camp Delta", l'Oceano non è né un suono né un odore né un colore.
Se il campo non fosse annunciato da una serpentina tra barriere respingenti e garitte di guardia mangiate dalla salsedine, da un cartello che paradosso vuole sia un omaggio alla libertà (Camp Delta. Onore alla difesa della libertà) e se non fosse per quel luccichio di metallo che lo avvolge in una bolla di fuoco a 40 gradi, ci sbatteresti contro senza immaginare quel che nasconde.
Sì, perché il sarcofago, con i suoi terrapieni, corridoi, cunicoli, è avvolto lungo l'intero perimetro da un'interminabile banda di un nylon spesso e pesante, color verde bottiglia. Impenetrabile allo sguardo. Di chi è fuori, di chi è dentro.
Il maggiore John Van Natta, aspetta al "Sally gate 8", la porta di ingresso numero 8. E' il responsabile di questo termitaio di metallo. Lo chiamano "il dottore". Non per una laurea in medicina, ma per un phd in "scienza della carcerazione". Per il suo mestiere da civile, prima che da riservista lo richiamassero sulla baia: direttore del "Miami county correctional facility", penitenziario di massima sicurezza a nord di Indianapolis. E' un omone dai modi gentili Van Natta e una passione rivelatrice, con cui intrattiene l'interlocutore mentre si sollevano una decina di chiavistelli, si schiudono due porte ad apertura controllata e con loro la "bandana" di nylon. Sa, amo collezionare uccelli esotici. Ne ho in gabbia cinquanta coppie. Li tengo in due grandi voliere in giardino...Quando non lavoro, mi rilassa guardarli. A lei piacciono gli uccelli?.
Il filo spinato è un'unica avvolgente spirale. Che corre sopra la testa, lungo palizzate alte dieci metri. Che obbliga il cammino. Per questo chiamano il Campo "the Wire", il filo. Van Natta: Faccia attenzione... No, non è elettrificato. A casa mia sì che l'ho elettrificato, ma qui non c'è bisogno...Prego, entri pure. Benvenuto a Camp Delta. Ah, mi raccomando se qualche detenuto le rivolge la parola si giri dall'altra parte. Sono molto furbi. Hanno capito che ogni tanto arrivano dei giornalisti e provano a mandare dei messaggi...È incredibile, ma molti di loro parlano un ottimo inglese.
Dal "blocco 1", devono averlo sentito. Uno dei disperati intona una nenia che trova compagni lungo strada. In una delle gabbie si fa il verso: Eeeengliiish... Eeeeengliiish.... Due fantasmi in tuta arancione schiacciano il volto contro le stie di acciaio, fino a segnarsi la fronte. Ne stringono la trama, lasciando gonfiare le dita che la afferrano. Guardano fissi nel vuoto. Mostrano un sorriso immoto. Da prede stordite. Van Natta accelera il passo. Prego...Prego, venga avanti. Nessun contatto con i detenuti. Abbiamo fatto cinquanta passi. Forse meno. Alle nostre spalle si sono richiuse le porte e la banda di plastica che impedisce lo sguardo. Ma è come se avessimo fatto chilometri.
- Pubblicità -
Il perimetro esterno è lì, dietro di noi, ma non se ne avvertono più i rumori. Il mare è ancora più vicino, di fronte a noi, ma ancora la "bandana" ne impedisce lo sguardo e ne filtra l'odore. Siamo al centro di un reticolo di 19 blocchi di detenzione rettangolari da 48 stie ciascuno. Divisi in tre campi (1, 2, 3), numerati in ordine di costruzione e accomunati da un unico indice di sorveglianza, "massimo". Anche loro fasciati allo sguardo. Perché da un blocco all'altro non ci si possa né vedere, né sentire.
Il camminamento di ghiaia tra i blocchi riflette il calore. Il "dottor" Van Natta rassicura. Vedrà, ora che entriamo nel blocco sentirà che fresco.... Ancora un chiavistello. E una vampata insopportabile. Anche Van Natta, ora, è una maschera di sudore. Indicando il soffitto di cemento armato da cui sbuca un generoso bocchettone orientato ad intercettare la brezza che soffia dal mare e urta il sarcofago, spiega: In questa zona abbiamo celle vuote e dunque non è attivato il sistema di ventilazione forzata. Ma dove sono occupati i bracci, vento ce n'è...certo, non è l'aria condizionata. Ma, insomma, si può stare.
Sarà. Dove certo non si può proprio stare è nelle stie di acciaio temperato che dovrebbero far dimenticare X Ray. La società Halliburton, general contractor di cui il vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney è stato un tempo amministratore delegato, ha incassato dal Pentagono 9 milioni e 700 mila dollari per cancellare con le nuove celle di "Camp Delta" la conca della vergogna. Ma gli ingegneri della segregazione non sono stati generosi. Van Natta annuncia compiaciuto che, ora, ogni detenuto ha il suo bagno, la sua acqua corrente, il suo materassino di preghiera. E invita quindi a verificare di persona entrando in una delle tante gabbie vuote.
Certo, non c'è paragone con gli uomini ridotti conigli sotto il sole di "X Ray". Ma le stie sono rimaste tali. Sigillate alla sommità da un pesante coperchio di cemento e acciaio. Aperte allo sguardo su tutti e quattro i lati, anche se protette da una rete metallica più spessa. Identiche nelle dimensioni. Due metri e mezzo di profondità per 1,8 di larghezza.
Il letto, murato a mezza altezza sul lato sinistro della cella impedisce qualsiasi movimento trasversale. Il cesso alla turca a settanta centimetri dalla testa del letto e il lavandino a poco più di ottanta, si mangiano quel mezzo metro di lunghezza che consentirebbe al detenuto di andare almeno oltre i due passi. Ma sì, conviene Van Natta. Quando il detenuto è in cella può solo sdraiarsi sul letto. Un Corano agganciato alla rete metallica. Un tappetino di preghiera sotto il letto, i libri in distribuzione nei bracci (Ne sono stati ordinati di nuovi per 65 mila dollari qualche settimana fa), gli scacchi o la dama. Anche se non si capisce bene con chi dovrebbe giocare, visto che è da solo. Magari con il suo vicino di stia. Ammesso che il suo sguardo riesca a penetrare oltre la rete. E poi, può pregare quando vuole, chiosa Van Natta. Anche oltre le cinque volte comandate dal Corano. Guardi cosa abbiamo fatto verniciare a fuoco ai piedi di ogni letto. Una freccia nera rivolta alla Mecca. 12.793 chilometri, avverte l'epigrafe.
Il cibo è religiosamente corretto. Arriva congelato da Norfolk una volta ogni 15 giorni, viene scaldato e servito tre volte al dì (6.30; 11.30; 20.00), ingrassa i corpi (mediamente 6 i chili di peso guadagnato per ogni detenuto). Anche perché, persino nei giorni del digiuno di fede, qualcosa nelle stie arriva comunque, per regolamento. Le razioni K dell'esercito da 3 mila calorie. Nelle loro tre varietà: Burrito, Tortellini al formaggio, Pasta in salsa Alfredo. Intrugli sotto vuoto dalla vaga consistenza e mortificante allusività alla cucina italiana. Scadenza, 2006.
Le tute sono rimaste le stesse. Arancioni. E la dotazione individuale (infradito, asciugamani, due coperte, cuscino, spazzolino, saponetta, copricapo per la preghiera) si è arricchita di short. Il sistema di punizioni o incentivi (dipende da dove lo si guardi) ha invece ora una sua scientificità. I grandi spazi di "Camp Delta" (320 celle sono vuote in attesa di impiego), la diversificazione in 19 blocchi dei 680 disperati che li popolano hanno mosso la fantasia della segregazione. Van Natta ancora lui ne illustra il meccanismo con un qualche compiacimento per la sua semplicità ed efficacia. Ha un phd in "scienza della carcerazione", ma quel che sta andando a spiegare è né più e né meno che il sistema italiano del "bonus malus" nelle assicurazioni delle autovetture. State a sentire.
Esistono quattro livelli di detenzione. Al "livello uno" si gode del massimo dei vantaggi. Si può andare a fare l'aria tre volte la settimana per trenta minuti. Che diventano quaranta con i cinque di doccia e i cinque di barba che seguono. Al "livello due", i minuti per ogni "aria" diminuiscono. Lo stesso al "tre". Al "livello quattro" si può uscire al passeggio solo 2 volte. Dunque, solo due docce e solo due barbe. Chiaro. Chi si comporta come si deve, può godere di una spianata di cemento armato al termine del braccio chiusa da gabbie sui quattro lati. E qui, da solo, può correre o dare calci a un pallone (Sapesse quanto sono bravi a giocare, chiosa Van Natta). Ma ecco il "bonus malus".
A Guantanamo ogni detenuto entra al "livello tre di privilegio". Se per trenta giorni consecutivi non commette infrazioni, scende di un livello. Diciamo al due. Ma se durante i trenta giorni del due, viola una delle regole del campo, sale di due livelli. E piomba al 4. Proprio come le assicurazioni. Fai un incidente e ti ritrovi su di due classi.
Le regole di cui parla Van Natta, all'osso, sono cinque: Non rifiutare il cibo; non gridare; non insultare i secondini; non provare ad affrontarli fisicamente, non investirli con getti d'acqua o con secrezioni corporee: urina, feci, saliva. Semplice, mi pare.
"Camp Delta" non è solo un esperimento di segregazione. È un fotogramma della segregazione nella segregazione. Un cozzo di culture. È Fargo contro Khost. Jacksonville contro Kabul. Lo capisci sulle panche dell'Ocean Galley, "La terrazza sul mare", un pallone di cemento armato all'esterno del Campo dalla foggia architettonica curiosamente esotica, con oblò sul mare e aria condizionata che sa di unto. E' la mensa dove, quando "smontano" dai turni di otto ore, si rifugiano gli "Mp". I poliziotti militari. Se preferite, i secondini.
Alle 11.30 e alle 18.30, il pranzo e la cena, li trovi chini sui loro sandwich, sui loro hamburgher, sulle ali di pollo fritte. E scopri che a Guantanamo, una scheggia di Islam è segregata e sorvegliata dalla profonda provincia americana.
Non un solo secondino è militare di carriera. Sono riservisti strappati al ventre dell'America. Alle linee delle fabbriche. Alle casse degli shopping mall. Otto mesi nei bracci di Guantanamo per "servire nella Guerra al Terrorismo", sentirsi degli orgogliosi "veterani", mettere in banca un pugno di mensilità che aiuti ad andare avanti. Lonnie Morren ha 21 anni. Arriva da un paesone del Michigan. Racconta: Faccio il fabbro. Hai presente le sedie da giardino? Quelle delle case come si deve. Insomma, mi chiamano e mi ritrovo qui. Incredibile! A sorvegliare dei veri terroristi. Magari tra di loro c'è qualcuno dell'11 settembre... voi giornalisti ne sapete niente? Lo chiedo perché noi non sappiamo come si chiamano quelli dentro le gabbie.
Nei bracci, nessuno chiama i disperati con il loro nome. A "Camp Delta" gli uomini sono numeri. Quelli della loro cella. E come numeri sono riconosciuti e ricordati da chi li sorveglia. Ti potrei dire che il 7 è un osso duro. O che il 18 sono due giorni che non parla, spiega Lonnie facendosi serio. Chiede: Ci sono italiani?. Sì, almeno otto.
L'ultimo identificato dagli uomini dell'intelligence, che interrogano in parallelepipedi di cemento armato senza finestre a ridosso del Campo, si chiama Lufti Bin Alì. E' del 1964 ed è nato in Tunisia. Era stato arrestato a Bologna nel '97 perché sospettato di essere membro del Gia. Quindi se ne erano perse le tracce.
Lonnie si fa curioso e come lui il commilitone che gli siede accanto: David Romleski, 24 anni, da Colombia, South Carolina, riservista e operaio in una fabbrica di componenti elettrici. Anche lui ha voglia di parlare: Io mi infilo i guanti la mattina, metto una striscia adesiva a coprire il mio nome sulla mimetica e quando quelli devono uscire, li vesto con il "tre pezzi". Sai no cos'è il tre pezzi? Quando li leghiamo con un'unica catena alle caviglie, alla cintola, alle mani. Non capisco l'arabo, ma so che mi insultano. Anche perché quando vogliono chiedermi qualcosa mi parlano in inglese. E' vero, è vero, interrompe Lonnie. Una volta mi hanno chiesto in inglese di fargli sentire Elvis Presley. Anche quando chiedono aiuto, gridano in inglese...Quando capita che... insomma, è noto, quando capita che tentino di ammazzarsi. Quando si appendono alle grate delle loro stie. Con un asciugamano annodato alla bell'e meglio. Per farla finita con il sarcofago senza tempo.
E' accaduto ventotto volte, annota algida la contabilità ospedaliera del campo. Ventotto volte con diciotto individui. Perché qualcuno ci ha provato più di una volta. Il capitano medico Kelleher, direttore dell'ospedale da campo, ne parla con una qualche laconicità. Sono stati tutti soccorsi per tempo e si sono ripresi, spiega. Uno solo non ha ancora recuperato del tutto. Per qualche mese è rimasto attaccato alla macchina della rianimazione e quindi a quella dell'alimentazione forzata. Ora parla e cammina. Certo, ha difficoltà a tenere in mano una tazza....
La depressione conviene l'ufficiale medico è il virus di "Camp Delta". Lo staff di psichiatri è passato da 3 a 30. I detenuti sotto osservazione sono 90, e almeno la metà di loro assume regolarmente farmaci. Il maggiore Van Natta, che lo ascolta, annuisce: I detenuti non sanno né come, né quando, né se usciranno mai dalle loro gabbie. E questo è un problema. E' il problema di Guantanamo. Che aumenta la loro aggressività. Verso gli altri e verso se stessi. Ma non è affar mio. Stiamo combattendo una guerra al terrorismo. E comunque qualcosa stiamo facendo.
Un blocco di minima sicurezza, "Campo 4". Dove le tute sono bianche e le celle non sono singole, ma dormitori. Dove si pranza insieme all'aperto e l'aria si fa sulla ghiaia, non sul cemento. Chi passa di lì è a un passo da casa. Dal rimpatrio. Da quando la baia dei dannati ha aperto le sue gabbie sono tornati a casa in 42. Altrettanti lascia intendere il portavoce della base, il colonnello Barry Johnson potrebbero tornare nei prossimi mesi. Tra loro, verosimilmente, i quattro minori che alloggiano a "Camp Iguana".
Una finestra di umanità nell'universo concentrazionale di Guantanamo. Un appartamento di colore bianco ad un chilometro dal campo. Niente filo spinato, niente gabbie. Un salotto, quattro poltrone, una tv, un frigo, una cucina, due stanze da letto e un televisore. Di più, un simulacro di prato che si affaccia sulla scogliera. Almeno loro, i "ragazzi", l'Oceano lo possono vedere, sentire, annusare. Possono lasciarsi accarezzare dalla libertà. (1 -continua)
(13 luglio 2003)
rinchiusi nella base americana a Cuba
Gabbie, Corano e disperazione
ecco i dannati di Guantanamo
I detenuti non possono parlare, non sanno nulla del loro destino
"Sono solo terroristi catturati in battaglia"
dal nostro inviato CARLO BONINI
GUANTANAMO - Lo chiamano Camp Delta. È un immenso specchio rifrangente di metallo, filo spinato e cemento. Un sarcofago schiacciato su mille stie di ferro che segregano 680 prigionieri di 42 paesi dalle 17 lingue e i 23 dialetti. Ha ingoiato i dannati di "X Ray", il vecchio campo "raggi X", perché se ne diluisse il ricordo, fino a spegnerlo. Almeno così speravano al Pentagono. In ceppi, il 2, il 28 e il 29 aprile del 2002, hanno trascinato i prigionieri nelle loro nuove gabbie a soli duecento metri dal mare. Senza spiegargli che non lo avrebbero mai visto, né sentito. Perché a "Camp Delta", l'Oceano non è né un suono né un odore né un colore.
Se il campo non fosse annunciato da una serpentina tra barriere respingenti e garitte di guardia mangiate dalla salsedine, da un cartello che paradosso vuole sia un omaggio alla libertà (Camp Delta. Onore alla difesa della libertà) e se non fosse per quel luccichio di metallo che lo avvolge in una bolla di fuoco a 40 gradi, ci sbatteresti contro senza immaginare quel che nasconde.
Sì, perché il sarcofago, con i suoi terrapieni, corridoi, cunicoli, è avvolto lungo l'intero perimetro da un'interminabile banda di un nylon spesso e pesante, color verde bottiglia. Impenetrabile allo sguardo. Di chi è fuori, di chi è dentro.
Il maggiore John Van Natta, aspetta al "Sally gate 8", la porta di ingresso numero 8. E' il responsabile di questo termitaio di metallo. Lo chiamano "il dottore". Non per una laurea in medicina, ma per un phd in "scienza della carcerazione". Per il suo mestiere da civile, prima che da riservista lo richiamassero sulla baia: direttore del "Miami county correctional facility", penitenziario di massima sicurezza a nord di Indianapolis. E' un omone dai modi gentili Van Natta e una passione rivelatrice, con cui intrattiene l'interlocutore mentre si sollevano una decina di chiavistelli, si schiudono due porte ad apertura controllata e con loro la "bandana" di nylon. Sa, amo collezionare uccelli esotici. Ne ho in gabbia cinquanta coppie. Li tengo in due grandi voliere in giardino...Quando non lavoro, mi rilassa guardarli. A lei piacciono gli uccelli?.
Il filo spinato è un'unica avvolgente spirale. Che corre sopra la testa, lungo palizzate alte dieci metri. Che obbliga il cammino. Per questo chiamano il Campo "the Wire", il filo. Van Natta: Faccia attenzione... No, non è elettrificato. A casa mia sì che l'ho elettrificato, ma qui non c'è bisogno...Prego, entri pure. Benvenuto a Camp Delta. Ah, mi raccomando se qualche detenuto le rivolge la parola si giri dall'altra parte. Sono molto furbi. Hanno capito che ogni tanto arrivano dei giornalisti e provano a mandare dei messaggi...È incredibile, ma molti di loro parlano un ottimo inglese.
Dal "blocco 1", devono averlo sentito. Uno dei disperati intona una nenia che trova compagni lungo strada. In una delle gabbie si fa il verso: Eeeengliiish... Eeeeengliiish.... Due fantasmi in tuta arancione schiacciano il volto contro le stie di acciaio, fino a segnarsi la fronte. Ne stringono la trama, lasciando gonfiare le dita che la afferrano. Guardano fissi nel vuoto. Mostrano un sorriso immoto. Da prede stordite. Van Natta accelera il passo. Prego...Prego, venga avanti. Nessun contatto con i detenuti. Abbiamo fatto cinquanta passi. Forse meno. Alle nostre spalle si sono richiuse le porte e la banda di plastica che impedisce lo sguardo. Ma è come se avessimo fatto chilometri.
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Il perimetro esterno è lì, dietro di noi, ma non se ne avvertono più i rumori. Il mare è ancora più vicino, di fronte a noi, ma ancora la "bandana" ne impedisce lo sguardo e ne filtra l'odore. Siamo al centro di un reticolo di 19 blocchi di detenzione rettangolari da 48 stie ciascuno. Divisi in tre campi (1, 2, 3), numerati in ordine di costruzione e accomunati da un unico indice di sorveglianza, "massimo". Anche loro fasciati allo sguardo. Perché da un blocco all'altro non ci si possa né vedere, né sentire.
Il camminamento di ghiaia tra i blocchi riflette il calore. Il "dottor" Van Natta rassicura. Vedrà, ora che entriamo nel blocco sentirà che fresco.... Ancora un chiavistello. E una vampata insopportabile. Anche Van Natta, ora, è una maschera di sudore. Indicando il soffitto di cemento armato da cui sbuca un generoso bocchettone orientato ad intercettare la brezza che soffia dal mare e urta il sarcofago, spiega: In questa zona abbiamo celle vuote e dunque non è attivato il sistema di ventilazione forzata. Ma dove sono occupati i bracci, vento ce n'è...certo, non è l'aria condizionata. Ma, insomma, si può stare.
Sarà. Dove certo non si può proprio stare è nelle stie di acciaio temperato che dovrebbero far dimenticare X Ray. La società Halliburton, general contractor di cui il vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney è stato un tempo amministratore delegato, ha incassato dal Pentagono 9 milioni e 700 mila dollari per cancellare con le nuove celle di "Camp Delta" la conca della vergogna. Ma gli ingegneri della segregazione non sono stati generosi. Van Natta annuncia compiaciuto che, ora, ogni detenuto ha il suo bagno, la sua acqua corrente, il suo materassino di preghiera. E invita quindi a verificare di persona entrando in una delle tante gabbie vuote.
Certo, non c'è paragone con gli uomini ridotti conigli sotto il sole di "X Ray". Ma le stie sono rimaste tali. Sigillate alla sommità da un pesante coperchio di cemento e acciaio. Aperte allo sguardo su tutti e quattro i lati, anche se protette da una rete metallica più spessa. Identiche nelle dimensioni. Due metri e mezzo di profondità per 1,8 di larghezza.
Il letto, murato a mezza altezza sul lato sinistro della cella impedisce qualsiasi movimento trasversale. Il cesso alla turca a settanta centimetri dalla testa del letto e il lavandino a poco più di ottanta, si mangiano quel mezzo metro di lunghezza che consentirebbe al detenuto di andare almeno oltre i due passi. Ma sì, conviene Van Natta. Quando il detenuto è in cella può solo sdraiarsi sul letto. Un Corano agganciato alla rete metallica. Un tappetino di preghiera sotto il letto, i libri in distribuzione nei bracci (Ne sono stati ordinati di nuovi per 65 mila dollari qualche settimana fa), gli scacchi o la dama. Anche se non si capisce bene con chi dovrebbe giocare, visto che è da solo. Magari con il suo vicino di stia. Ammesso che il suo sguardo riesca a penetrare oltre la rete. E poi, può pregare quando vuole, chiosa Van Natta. Anche oltre le cinque volte comandate dal Corano. Guardi cosa abbiamo fatto verniciare a fuoco ai piedi di ogni letto. Una freccia nera rivolta alla Mecca. 12.793 chilometri, avverte l'epigrafe.
Il cibo è religiosamente corretto. Arriva congelato da Norfolk una volta ogni 15 giorni, viene scaldato e servito tre volte al dì (6.30; 11.30; 20.00), ingrassa i corpi (mediamente 6 i chili di peso guadagnato per ogni detenuto). Anche perché, persino nei giorni del digiuno di fede, qualcosa nelle stie arriva comunque, per regolamento. Le razioni K dell'esercito da 3 mila calorie. Nelle loro tre varietà: Burrito, Tortellini al formaggio, Pasta in salsa Alfredo. Intrugli sotto vuoto dalla vaga consistenza e mortificante allusività alla cucina italiana. Scadenza, 2006.
Le tute sono rimaste le stesse. Arancioni. E la dotazione individuale (infradito, asciugamani, due coperte, cuscino, spazzolino, saponetta, copricapo per la preghiera) si è arricchita di short. Il sistema di punizioni o incentivi (dipende da dove lo si guardi) ha invece ora una sua scientificità. I grandi spazi di "Camp Delta" (320 celle sono vuote in attesa di impiego), la diversificazione in 19 blocchi dei 680 disperati che li popolano hanno mosso la fantasia della segregazione. Van Natta ancora lui ne illustra il meccanismo con un qualche compiacimento per la sua semplicità ed efficacia. Ha un phd in "scienza della carcerazione", ma quel che sta andando a spiegare è né più e né meno che il sistema italiano del "bonus malus" nelle assicurazioni delle autovetture. State a sentire.
Esistono quattro livelli di detenzione. Al "livello uno" si gode del massimo dei vantaggi. Si può andare a fare l'aria tre volte la settimana per trenta minuti. Che diventano quaranta con i cinque di doccia e i cinque di barba che seguono. Al "livello due", i minuti per ogni "aria" diminuiscono. Lo stesso al "tre". Al "livello quattro" si può uscire al passeggio solo 2 volte. Dunque, solo due docce e solo due barbe. Chiaro. Chi si comporta come si deve, può godere di una spianata di cemento armato al termine del braccio chiusa da gabbie sui quattro lati. E qui, da solo, può correre o dare calci a un pallone (Sapesse quanto sono bravi a giocare, chiosa Van Natta). Ma ecco il "bonus malus".
A Guantanamo ogni detenuto entra al "livello tre di privilegio". Se per trenta giorni consecutivi non commette infrazioni, scende di un livello. Diciamo al due. Ma se durante i trenta giorni del due, viola una delle regole del campo, sale di due livelli. E piomba al 4. Proprio come le assicurazioni. Fai un incidente e ti ritrovi su di due classi.
Le regole di cui parla Van Natta, all'osso, sono cinque: Non rifiutare il cibo; non gridare; non insultare i secondini; non provare ad affrontarli fisicamente, non investirli con getti d'acqua o con secrezioni corporee: urina, feci, saliva. Semplice, mi pare.
"Camp Delta" non è solo un esperimento di segregazione. È un fotogramma della segregazione nella segregazione. Un cozzo di culture. È Fargo contro Khost. Jacksonville contro Kabul. Lo capisci sulle panche dell'Ocean Galley, "La terrazza sul mare", un pallone di cemento armato all'esterno del Campo dalla foggia architettonica curiosamente esotica, con oblò sul mare e aria condizionata che sa di unto. E' la mensa dove, quando "smontano" dai turni di otto ore, si rifugiano gli "Mp". I poliziotti militari. Se preferite, i secondini.
Alle 11.30 e alle 18.30, il pranzo e la cena, li trovi chini sui loro sandwich, sui loro hamburgher, sulle ali di pollo fritte. E scopri che a Guantanamo, una scheggia di Islam è segregata e sorvegliata dalla profonda provincia americana.
Non un solo secondino è militare di carriera. Sono riservisti strappati al ventre dell'America. Alle linee delle fabbriche. Alle casse degli shopping mall. Otto mesi nei bracci di Guantanamo per "servire nella Guerra al Terrorismo", sentirsi degli orgogliosi "veterani", mettere in banca un pugno di mensilità che aiuti ad andare avanti. Lonnie Morren ha 21 anni. Arriva da un paesone del Michigan. Racconta: Faccio il fabbro. Hai presente le sedie da giardino? Quelle delle case come si deve. Insomma, mi chiamano e mi ritrovo qui. Incredibile! A sorvegliare dei veri terroristi. Magari tra di loro c'è qualcuno dell'11 settembre... voi giornalisti ne sapete niente? Lo chiedo perché noi non sappiamo come si chiamano quelli dentro le gabbie.
Nei bracci, nessuno chiama i disperati con il loro nome. A "Camp Delta" gli uomini sono numeri. Quelli della loro cella. E come numeri sono riconosciuti e ricordati da chi li sorveglia. Ti potrei dire che il 7 è un osso duro. O che il 18 sono due giorni che non parla, spiega Lonnie facendosi serio. Chiede: Ci sono italiani?. Sì, almeno otto.
L'ultimo identificato dagli uomini dell'intelligence, che interrogano in parallelepipedi di cemento armato senza finestre a ridosso del Campo, si chiama Lufti Bin Alì. E' del 1964 ed è nato in Tunisia. Era stato arrestato a Bologna nel '97 perché sospettato di essere membro del Gia. Quindi se ne erano perse le tracce.
Lonnie si fa curioso e come lui il commilitone che gli siede accanto: David Romleski, 24 anni, da Colombia, South Carolina, riservista e operaio in una fabbrica di componenti elettrici. Anche lui ha voglia di parlare: Io mi infilo i guanti la mattina, metto una striscia adesiva a coprire il mio nome sulla mimetica e quando quelli devono uscire, li vesto con il "tre pezzi". Sai no cos'è il tre pezzi? Quando li leghiamo con un'unica catena alle caviglie, alla cintola, alle mani. Non capisco l'arabo, ma so che mi insultano. Anche perché quando vogliono chiedermi qualcosa mi parlano in inglese. E' vero, è vero, interrompe Lonnie. Una volta mi hanno chiesto in inglese di fargli sentire Elvis Presley. Anche quando chiedono aiuto, gridano in inglese...Quando capita che... insomma, è noto, quando capita che tentino di ammazzarsi. Quando si appendono alle grate delle loro stie. Con un asciugamano annodato alla bell'e meglio. Per farla finita con il sarcofago senza tempo.
E' accaduto ventotto volte, annota algida la contabilità ospedaliera del campo. Ventotto volte con diciotto individui. Perché qualcuno ci ha provato più di una volta. Il capitano medico Kelleher, direttore dell'ospedale da campo, ne parla con una qualche laconicità. Sono stati tutti soccorsi per tempo e si sono ripresi, spiega. Uno solo non ha ancora recuperato del tutto. Per qualche mese è rimasto attaccato alla macchina della rianimazione e quindi a quella dell'alimentazione forzata. Ora parla e cammina. Certo, ha difficoltà a tenere in mano una tazza....
La depressione conviene l'ufficiale medico è il virus di "Camp Delta". Lo staff di psichiatri è passato da 3 a 30. I detenuti sotto osservazione sono 90, e almeno la metà di loro assume regolarmente farmaci. Il maggiore Van Natta, che lo ascolta, annuisce: I detenuti non sanno né come, né quando, né se usciranno mai dalle loro gabbie. E questo è un problema. E' il problema di Guantanamo. Che aumenta la loro aggressività. Verso gli altri e verso se stessi. Ma non è affar mio. Stiamo combattendo una guerra al terrorismo. E comunque qualcosa stiamo facendo.
Un blocco di minima sicurezza, "Campo 4". Dove le tute sono bianche e le celle non sono singole, ma dormitori. Dove si pranza insieme all'aperto e l'aria si fa sulla ghiaia, non sul cemento. Chi passa di lì è a un passo da casa. Dal rimpatrio. Da quando la baia dei dannati ha aperto le sue gabbie sono tornati a casa in 42. Altrettanti lascia intendere il portavoce della base, il colonnello Barry Johnson potrebbero tornare nei prossimi mesi. Tra loro, verosimilmente, i quattro minori che alloggiano a "Camp Iguana".
Una finestra di umanità nell'universo concentrazionale di Guantanamo. Un appartamento di colore bianco ad un chilometro dal campo. Niente filo spinato, niente gabbie. Un salotto, quattro poltrone, una tv, un frigo, una cucina, due stanze da letto e un televisore. Di più, un simulacro di prato che si affaccia sulla scogliera. Almeno loro, i "ragazzi", l'Oceano lo possono vedere, sentire, annusare. Possono lasciarsi accarezzare dalla libertà. (1 -continua)
(13 luglio 2003)
13.7.03
Viaggio all'interno di Camp Delta tra i 680 "presunti terroristi" rinchiusi nella base americana a Cuba
Gabbie, Corano e disperazione ecco i dannati di Guantanamo
I detenuti non possono parlare, non sanno nulla del loro destino "Sono solo terroristi catturati in battaglia"
di CARLO BONINI
GUANTANAMO - Lo chiamano Camp Delta. È un immenso specchio rifrangente di metallo, filo spinato e cemento. Un sarcofago schiacciato su mille stie di ferro che segregano 680 prigionieri di 42 paesi dalle 17 lingue e i 23 dialetti. Ha ingoiato i dannati di "X Ray", il vecchio campo "raggi X", perché se ne diluisse il ricordo, fino a spegnerlo. Almeno così speravano al Pentagono. In ceppi, il 2, il 28 e il 29 aprile del 2002, hanno trascinato i prigionieri nelle loro nuove gabbie a soli duecento metri dal mare. Senza spiegargli che non lo avrebbero mai visto, né sentito. Perché a "Camp Delta", l'Oceano non è né un suono né un odore né un colore.
Se il campo non fosse annunciato da una serpentina tra barriere respingenti e garitte di guardia mangiate dalla salsedine, da un cartello che paradosso vuole sia un omaggio alla libertà (Camp Delta. Onore alla difesa della libertà) e se non fosse per quel luccichio di metallo che lo avvolge in una bolla di fuoco a 40 gradi, ci sbatteresti contro senza immaginare quel che nasconde.
Sì, perché il sarcofago, con i suoi terrapieni, corridoi, cunicoli, è avvolto lungo l'intero perimetro da un'interminabile banda di un nylon spesso e pesante, color verde bottiglia. Impenetrabile allo sguardo. Di chi è fuori, di chi è dentro.
Il maggiore John Van Natta, aspetta al "Sally gate 8", la porta di ingresso numero 8. E' il responsabile di questo termitaio di metallo. Lo chiamano "il dottore". Non per una laurea in medicina, ma per un phd in "scienza della carcerazione". Per il suo mestiere da civile, prima che da riservista lo richiamassero sulla baia: direttore del "Miami county correctional facility", penitenziario di massima sicurezza a nord di Indianapolis. E' un omone dai modi gentili Van Natta e una passione rivelatrice, con cui intrattiene l'interlocutore mentre si sollevano una decina di chiavistelli, si schiudono due porte ad apertura controllata e con loro la "bandana" di nylon. Sa, amo collezionare uccelli esotici. Ne ho in gabbia cinquanta coppie. Li tengo in due grandi voliere in giardino...Quando non lavoro, mi rilassa guardarli. A lei piacciono gli uccelli?.
Il filo spinato è un'unica avvolgente spirale. Che corre sopra la testa, lungo palizzate alte dieci metri. Che obbliga il cammino. Per questo chiamano il Campo "the Wire", il filo. Van Natta: Faccia attenzione... No, non è elettrificato. A casa mia sì che l'ho elettrificato, ma qui non c'è bisogno...Prego, entri pure. Benvenuto a Camp Delta. Ah, mi raccomando se qualche detenuto le rivolge la parola si giri dall'altra parte. Sono molto furbi. Hanno capito che ogni tanto arrivano dei giornalisti e provano a mandare dei messaggi...È incredibile, ma molti di loro parlano un ottimo inglese.
Dal "blocco 1", devono averlo sentito. Uno dei disperati intona una nenia che trova compagni lungo strada. In una delle gabbie si fa il verso: Eeeengliiish... Eeeeengliiish.... Due fantasmi in tuta arancione schiacciano il volto contro le stie di acciaio, fino a segnarsi la fronte. Ne stringono la trama, lasciando gonfiare le dita che la afferrano. Guardano fissi nel vuoto. Mostrano un sorriso immoto. Da prede stordite. Van Natta accelera il passo. Prego...Prego, venga avanti. Nessun contatto con i detenuti. Abbiamo fatto cinquanta passi. Forse meno. Alle nostre spalle si sono richiuse le porte e la banda di plastica che impedisce lo sguardo. Ma è come se avessimo fatto chilometri.
Il perimetro esterno è lì, dietro di noi, ma non se ne avvertono più i rumori. Il mare è ancora più vicino, di fronte a noi, ma ancora la "bandana" ne impedisce lo sguardo e ne filtra l'odore. Siamo al centro di un reticolo di 19 blocchi di detenzione rettangolari da 48 stie ciascuno. Divisi in tre campi (1, 2, 3), numerati in ordine di costruzione e accomunati da un unico indice di sorveglianza, "massimo". Anche loro fasciati allo sguardo. Perché da un blocco all'altro non ci si possa né vedere, né sentire.
Il camminamento di ghiaia tra i blocchi riflette il calore. Il "dottor" Van Natta rassicura. Vedrà, ora che entriamo nel blocco sentirà che fresco.... Ancora un chiavistello. E una vampata insopportabile. Anche Van Natta, ora, è una maschera di sudore. Indicando il soffitto di cemento armato da cui sbuca un generoso bocchettone orientato ad intercettare la brezza che soffia dal mare e urta il sarcofago, spiega: In questa zona abbiamo celle vuote e dunque non è attivato il sistema di ventilazione forzata. Ma dove sono occupati i bracci, vento ce n'è...certo, non è l'aria condizionata. Ma, insomma, si può stare.
Sarà. Dove certo non si può proprio stare è nelle stie di acciaio temperato che dovrebbero far dimenticare X Ray. La società Halliburton, general contractor di cui il vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney è stato un tempo amministratore delegato, ha incassato dal Pentagono 9 milioni e 700 mila dollari per cancellare con le nuove celle di "Camp Delta" la conca della vergogna. Ma gli ingegneri della segregazione non sono stati generosi. Van Natta annuncia compiaciuto che, ora, ogni detenuto ha il suo bagno, la sua acqua corrente, il suo materassino di preghiera. E invita quindi a verificare di persona entrando in una delle tante gabbie vuote.
Certo, non c'è paragone con gli uomini ridotti conigli sotto il sole di "X Ray". Ma le stie sono rimaste tali. Sigillate alla sommità da un pesante coperchio di cemento e acciaio. Aperte allo sguardo su tutti e quattro i lati, anche se protette da una rete metallica più spessa. Identiche nelle dimensioni. Due metri e mezzo di profondità per 1,8 di larghezza.
Il letto, murato a mezza altezza sul lato sinistro della cella impedisce qualsiasi movimento trasversale. Il cesso alla turca a settanta centimetri dalla testa del letto e il lavandino a poco più di ottanta, si mangiano quel mezzo metro di lunghezza che consentirebbe al detenuto di andare almeno oltre i due passi. Ma sì, conviene Van Natta. Quando il detenuto è in cella può solo sdraiarsi sul letto. Un Corano agganciato alla rete metallica. Un tappetino di preghiera sotto il letto, i libri in distribuzione nei bracci (Ne sono stati ordinati di nuovi per 65 mila dollari qualche settimana fa), gli scacchi o la dama. Anche se non si capisce bene con chi dovrebbe giocare, visto che è da solo. Magari con il suo vicino di stia. Ammesso che il suo sguardo riesca a penetrare oltre la rete. E poi, può pregare quando vuole, chiosa Van Natta. Anche oltre le cinque volte comandate dal Corano. Guardi cosa abbiamo fatto verniciare a fuoco ai piedi di ogni letto. Una freccia nera rivolta alla Mecca. 12.793 chilometri, avverte l'epigrafe.
Il cibo è religiosamente corretto. Arriva congelato da Norfolk una volta ogni 15 giorni, viene scaldato e servito tre volte al dì (6.30; 11.30; 20.00), ingrassa i corpi (mediamente 6 i chili di peso guadagnato per ogni detenuto). Anche perché, persino nei giorni del digiuno di fede, qualcosa nelle stie arriva comunque, per regolamento. Le razioni K dell'esercito da 3 mila calorie. Nelle loro tre varietà: Burrito, Tortellini al formaggio, Pasta in salsa Alfredo. Intrugli sotto vuoto dalla vaga consistenza e mortificante allusività alla cucina italiana. Scadenza, 2006.
Le tute sono rimaste le stesse. Arancioni. E la dotazione individuale (infradito, asciugamani, due coperte, cuscino, spazzolino, saponetta, copricapo per la preghiera) si è arricchita di short. Il sistema di punizioni o incentivi (dipende da dove lo si guardi) ha invece ora una sua scientificità. I grandi spazi di "Camp Delta" (320 celle sono vuote in attesa di impiego), la diversificazione in 19 blocchi dei 680 disperati che li popolano hanno mosso la fantasia della segregazione. Van Natta ancora lui ne illustra il meccanismo con un qualche compiacimento per la sua semplicità ed efficacia. Ha un phd in "scienza della carcerazione", ma quel che sta andando a spiegare è né più e né meno che il sistema italiano del "bonus malus" nelle assicurazioni delle autovetture. State a sentire.
Esistono quattro livelli di detenzione. Al "livello uno" si gode del massimo dei vantaggi. Si può andare a fare l'aria tre volte la settimana per trenta minuti. Che diventano quaranta con i cinque di doccia e i cinque di barba che seguono. Al "livello due", i minuti per ogni "aria" diminuiscono. Lo stesso al "tre". Al "livello quattro" si può uscire al passeggio solo 2 volte. Dunque, solo due docce e solo due barbe. Chiaro. Chi si comporta come si deve, può godere di una spianata di cemento armato al termine del braccio chiusa da gabbie sui quattro lati. E qui, da solo, può correre o dare calci a un pallone (Sapesse quanto sono bravi a giocare, chiosa Van Natta). Ma ecco il "bonus malus".
A Guantanamo ogni detenuto entra al "livello tre di privilegio". Se per trenta giorni consecutivi non commette infrazioni, scende di un livello. Diciamo al due. Ma se durante i trenta giorni del due, viola una delle regole del campo, sale di due livelli. E piomba al 4. Proprio come le assicurazioni. Fai un incidente e ti ritrovi su di due classi.
Le regole di cui parla Van Natta, all'osso, sono cinque: Non rifiutare il cibo; non gridare; non insultare i secondini; non provare ad affrontarli fisicamente, non investirli con getti d'acqua o con secrezioni corporee: urina, feci, saliva. Semplice, mi pare.
"Camp Delta" non è solo un esperimento di segregazione. È un fotogramma della segregazione nella segregazione. Un cozzo di culture. È Fargo contro Khost. Jacksonville contro Kabul. Lo capisci sulle panche dell'Ocean Galley, "La terrazza sul mare", un pallone di cemento armato all'esterno del Campo dalla foggia architettonica curiosamente esotica, con oblò sul mare e aria condizionata che sa di unto. E' la mensa dove, quando "smontano" dai turni di otto ore, si rifugiano gli "Mp". I poliziotti militari. Se preferite, i secondini.
Alle 11.30 e alle 18.30, il pranzo e la cena, li trovi chini sui loro sandwich, sui loro hamburgher, sulle ali di pollo fritte. E scopri che a Guantanamo, una scheggia di Islam è segregata e sorvegliata dalla profonda provincia americana.
Non un solo secondino è militare di carriera. Sono riservisti strappati al ventre dell'America. Alle linee delle fabbriche. Alle casse degli shopping mall. Otto mesi nei bracci di Guantanamo per "servire nella Guerra al Terrorismo", sentirsi degli orgogliosi "veterani", mettere in banca un pugno di mensilità che aiuti ad andare avanti. Lonnie Morren ha 21 anni. Arriva da un paesone del Michigan. Racconta: Faccio il fabbro. Hai presente le sedie da giardino? Quelle delle case come si deve. Insomma, mi chiamano e mi ritrovo qui. Incredibile! A sorvegliare dei veri terroristi. Magari tra di loro c'è qualcuno dell'11 settembre... voi giornalisti ne sapete niente? Lo chiedo perché noi non sappiamo come si chiamano quelli dentro le gabbie.
Nei bracci, nessuno chiama i disperati con il loro nome. A "Camp Delta" gli uomini sono numeri. Quelli della loro cella. E come numeri sono riconosciuti e ricordati da chi li sorveglia. Ti potrei dire che il 7 è un osso duro. O che il 18 sono due giorni che non parla, spiega Lonnie facendosi serio. Chiede: Ci sono italiani?. Sì, almeno otto.
L'ultimo identificato dagli uomini dell'intelligence, che interrogano in parallelepipedi di cemento armato senza finestre a ridosso del Campo, si chiama Lufti Bin Alì. E' del 1964 ed è nato in Tunisia. Era stato arrestato a Bologna nel '97 perché sospettato di essere membro del Gia. Quindi se ne erano perse le tracce.
Lonnie si fa curioso e come lui il commilitone che gli siede accanto: David Romleski, 24 anni, da Colombia, South Carolina, riservista e operaio in una fabbrica di componenti elettrici. Anche lui ha voglia di parlare: Io mi infilo i guanti la mattina, metto una striscia adesiva a coprire il mio nome sulla mimetica e quando quelli devono uscire, li vesto con il "tre pezzi". Sai no cos'è il tre pezzi? Quando li leghiamo con un'unica catena alle caviglie, alla cintola, alle mani. Non capisco l'arabo, ma so che mi insultano. Anche perché quando vogliono chiedermi qualcosa mi parlano in inglese. E' vero, è vero, interrompe Lonnie. Una volta mi hanno chiesto in inglese di fargli sentire Elvis Presley. Anche quando chiedono aiuto, gridano in inglese...Quando capita che... insomma, è noto, quando capita che tentino di ammazzarsi. Quando si appendono alle grate delle loro stie. Con un asciugamano annodato alla bell'e meglio. Per farla finita con il sarcofago senza tempo.
E' accaduto ventotto volte, annota algida la contabilità ospedaliera del campo. Ventotto volte con diciotto individui. Perché qualcuno ci ha provato più di una volta. Il capitano medico Kelleher, direttore dell'ospedale da campo, ne parla con una qualche laconicità. Sono stati tutti soccorsi per tempo e si sono ripresi, spiega. Uno solo non ha ancora recuperato del tutto. Per qualche mese è rimasto attaccato alla macchina della rianimazione e quindi a quella dell'alimentazione forzata. Ora parla e cammina. Certo, ha difficoltà a tenere in mano una tazza....
La depressione conviene l'ufficiale medico è il virus di "Camp Delta". Lo staff di psichiatri è passato da 3 a 30. I detenuti sotto osservazione sono 90, e almeno la metà di loro assume regolarmente farmaci. Il maggiore Van Natta, che lo ascolta, annuisce: I detenuti non sanno né come, né quando, né se usciranno mai dalle loro gabbie. E questo è un problema. E' il problema di Guantanamo. Che aumenta la loro aggressività. Verso gli altri e verso se stessi. Ma non è affar mio. Stiamo combattendo una guerra al terrorismo. E comunque qualcosa stiamo facendo.
Un blocco di minima sicurezza, "Campo 4". Dove le tute sono bianche e le celle non sono singole, ma dormitori. Dove si pranza insieme all'aperto e l'aria si fa sulla ghiaia, non sul cemento. Chi passa di lì è a un passo da casa. Dal rimpatrio. Da quando la baia dei dannati ha aperto le sue gabbie sono tornati a casa in 42. Altrettanti lascia intendere il portavoce della base, il colonnello Barry Johnson potrebbero tornare nei prossimi mesi. Tra loro, verosimilmente, i quattro minori che alloggiano a "Camp Iguana".
Una finestra di umanità nell'universo concentrazionale di Guantanamo. Un appartamento di colore bianco ad un chilometro dal campo. Niente filo spinato, niente gabbie. Un salotto, quattro poltrone, una tv, un frigo, una cucina, due stanze da letto e un televisore. Di più, un simulacro di prato che si affaccia sulla scogliera. Almeno loro, i "ragazzi", l'Oceano lo possono vedere, sentire, annusare. Possono lasciarsi accarezzare dalla libertà. (1 -continua)
(Repubblica - 13 luglio 2003)
Gabbie, Corano e disperazione ecco i dannati di Guantanamo
I detenuti non possono parlare, non sanno nulla del loro destino "Sono solo terroristi catturati in battaglia"
di CARLO BONINI
GUANTANAMO - Lo chiamano Camp Delta. È un immenso specchio rifrangente di metallo, filo spinato e cemento. Un sarcofago schiacciato su mille stie di ferro che segregano 680 prigionieri di 42 paesi dalle 17 lingue e i 23 dialetti. Ha ingoiato i dannati di "X Ray", il vecchio campo "raggi X", perché se ne diluisse il ricordo, fino a spegnerlo. Almeno così speravano al Pentagono. In ceppi, il 2, il 28 e il 29 aprile del 2002, hanno trascinato i prigionieri nelle loro nuove gabbie a soli duecento metri dal mare. Senza spiegargli che non lo avrebbero mai visto, né sentito. Perché a "Camp Delta", l'Oceano non è né un suono né un odore né un colore.
Se il campo non fosse annunciato da una serpentina tra barriere respingenti e garitte di guardia mangiate dalla salsedine, da un cartello che paradosso vuole sia un omaggio alla libertà (Camp Delta. Onore alla difesa della libertà) e se non fosse per quel luccichio di metallo che lo avvolge in una bolla di fuoco a 40 gradi, ci sbatteresti contro senza immaginare quel che nasconde.
Sì, perché il sarcofago, con i suoi terrapieni, corridoi, cunicoli, è avvolto lungo l'intero perimetro da un'interminabile banda di un nylon spesso e pesante, color verde bottiglia. Impenetrabile allo sguardo. Di chi è fuori, di chi è dentro.
Il maggiore John Van Natta, aspetta al "Sally gate 8", la porta di ingresso numero 8. E' il responsabile di questo termitaio di metallo. Lo chiamano "il dottore". Non per una laurea in medicina, ma per un phd in "scienza della carcerazione". Per il suo mestiere da civile, prima che da riservista lo richiamassero sulla baia: direttore del "Miami county correctional facility", penitenziario di massima sicurezza a nord di Indianapolis. E' un omone dai modi gentili Van Natta e una passione rivelatrice, con cui intrattiene l'interlocutore mentre si sollevano una decina di chiavistelli, si schiudono due porte ad apertura controllata e con loro la "bandana" di nylon. Sa, amo collezionare uccelli esotici. Ne ho in gabbia cinquanta coppie. Li tengo in due grandi voliere in giardino...Quando non lavoro, mi rilassa guardarli. A lei piacciono gli uccelli?.
Il filo spinato è un'unica avvolgente spirale. Che corre sopra la testa, lungo palizzate alte dieci metri. Che obbliga il cammino. Per questo chiamano il Campo "the Wire", il filo. Van Natta: Faccia attenzione... No, non è elettrificato. A casa mia sì che l'ho elettrificato, ma qui non c'è bisogno...Prego, entri pure. Benvenuto a Camp Delta. Ah, mi raccomando se qualche detenuto le rivolge la parola si giri dall'altra parte. Sono molto furbi. Hanno capito che ogni tanto arrivano dei giornalisti e provano a mandare dei messaggi...È incredibile, ma molti di loro parlano un ottimo inglese.
Dal "blocco 1", devono averlo sentito. Uno dei disperati intona una nenia che trova compagni lungo strada. In una delle gabbie si fa il verso: Eeeengliiish... Eeeeengliiish.... Due fantasmi in tuta arancione schiacciano il volto contro le stie di acciaio, fino a segnarsi la fronte. Ne stringono la trama, lasciando gonfiare le dita che la afferrano. Guardano fissi nel vuoto. Mostrano un sorriso immoto. Da prede stordite. Van Natta accelera il passo. Prego...Prego, venga avanti. Nessun contatto con i detenuti. Abbiamo fatto cinquanta passi. Forse meno. Alle nostre spalle si sono richiuse le porte e la banda di plastica che impedisce lo sguardo. Ma è come se avessimo fatto chilometri.
Il perimetro esterno è lì, dietro di noi, ma non se ne avvertono più i rumori. Il mare è ancora più vicino, di fronte a noi, ma ancora la "bandana" ne impedisce lo sguardo e ne filtra l'odore. Siamo al centro di un reticolo di 19 blocchi di detenzione rettangolari da 48 stie ciascuno. Divisi in tre campi (1, 2, 3), numerati in ordine di costruzione e accomunati da un unico indice di sorveglianza, "massimo". Anche loro fasciati allo sguardo. Perché da un blocco all'altro non ci si possa né vedere, né sentire.
Il camminamento di ghiaia tra i blocchi riflette il calore. Il "dottor" Van Natta rassicura. Vedrà, ora che entriamo nel blocco sentirà che fresco.... Ancora un chiavistello. E una vampata insopportabile. Anche Van Natta, ora, è una maschera di sudore. Indicando il soffitto di cemento armato da cui sbuca un generoso bocchettone orientato ad intercettare la brezza che soffia dal mare e urta il sarcofago, spiega: In questa zona abbiamo celle vuote e dunque non è attivato il sistema di ventilazione forzata. Ma dove sono occupati i bracci, vento ce n'è...certo, non è l'aria condizionata. Ma, insomma, si può stare.
Sarà. Dove certo non si può proprio stare è nelle stie di acciaio temperato che dovrebbero far dimenticare X Ray. La società Halliburton, general contractor di cui il vicepresidente degli Stati Uniti Dick Cheney è stato un tempo amministratore delegato, ha incassato dal Pentagono 9 milioni e 700 mila dollari per cancellare con le nuove celle di "Camp Delta" la conca della vergogna. Ma gli ingegneri della segregazione non sono stati generosi. Van Natta annuncia compiaciuto che, ora, ogni detenuto ha il suo bagno, la sua acqua corrente, il suo materassino di preghiera. E invita quindi a verificare di persona entrando in una delle tante gabbie vuote.
Certo, non c'è paragone con gli uomini ridotti conigli sotto il sole di "X Ray". Ma le stie sono rimaste tali. Sigillate alla sommità da un pesante coperchio di cemento e acciaio. Aperte allo sguardo su tutti e quattro i lati, anche se protette da una rete metallica più spessa. Identiche nelle dimensioni. Due metri e mezzo di profondità per 1,8 di larghezza.
Il letto, murato a mezza altezza sul lato sinistro della cella impedisce qualsiasi movimento trasversale. Il cesso alla turca a settanta centimetri dalla testa del letto e il lavandino a poco più di ottanta, si mangiano quel mezzo metro di lunghezza che consentirebbe al detenuto di andare almeno oltre i due passi. Ma sì, conviene Van Natta. Quando il detenuto è in cella può solo sdraiarsi sul letto. Un Corano agganciato alla rete metallica. Un tappetino di preghiera sotto il letto, i libri in distribuzione nei bracci (Ne sono stati ordinati di nuovi per 65 mila dollari qualche settimana fa), gli scacchi o la dama. Anche se non si capisce bene con chi dovrebbe giocare, visto che è da solo. Magari con il suo vicino di stia. Ammesso che il suo sguardo riesca a penetrare oltre la rete. E poi, può pregare quando vuole, chiosa Van Natta. Anche oltre le cinque volte comandate dal Corano. Guardi cosa abbiamo fatto verniciare a fuoco ai piedi di ogni letto. Una freccia nera rivolta alla Mecca. 12.793 chilometri, avverte l'epigrafe.
Il cibo è religiosamente corretto. Arriva congelato da Norfolk una volta ogni 15 giorni, viene scaldato e servito tre volte al dì (6.30; 11.30; 20.00), ingrassa i corpi (mediamente 6 i chili di peso guadagnato per ogni detenuto). Anche perché, persino nei giorni del digiuno di fede, qualcosa nelle stie arriva comunque, per regolamento. Le razioni K dell'esercito da 3 mila calorie. Nelle loro tre varietà: Burrito, Tortellini al formaggio, Pasta in salsa Alfredo. Intrugli sotto vuoto dalla vaga consistenza e mortificante allusività alla cucina italiana. Scadenza, 2006.
Le tute sono rimaste le stesse. Arancioni. E la dotazione individuale (infradito, asciugamani, due coperte, cuscino, spazzolino, saponetta, copricapo per la preghiera) si è arricchita di short. Il sistema di punizioni o incentivi (dipende da dove lo si guardi) ha invece ora una sua scientificità. I grandi spazi di "Camp Delta" (320 celle sono vuote in attesa di impiego), la diversificazione in 19 blocchi dei 680 disperati che li popolano hanno mosso la fantasia della segregazione. Van Natta ancora lui ne illustra il meccanismo con un qualche compiacimento per la sua semplicità ed efficacia. Ha un phd in "scienza della carcerazione", ma quel che sta andando a spiegare è né più e né meno che il sistema italiano del "bonus malus" nelle assicurazioni delle autovetture. State a sentire.
Esistono quattro livelli di detenzione. Al "livello uno" si gode del massimo dei vantaggi. Si può andare a fare l'aria tre volte la settimana per trenta minuti. Che diventano quaranta con i cinque di doccia e i cinque di barba che seguono. Al "livello due", i minuti per ogni "aria" diminuiscono. Lo stesso al "tre". Al "livello quattro" si può uscire al passeggio solo 2 volte. Dunque, solo due docce e solo due barbe. Chiaro. Chi si comporta come si deve, può godere di una spianata di cemento armato al termine del braccio chiusa da gabbie sui quattro lati. E qui, da solo, può correre o dare calci a un pallone (Sapesse quanto sono bravi a giocare, chiosa Van Natta). Ma ecco il "bonus malus".
A Guantanamo ogni detenuto entra al "livello tre di privilegio". Se per trenta giorni consecutivi non commette infrazioni, scende di un livello. Diciamo al due. Ma se durante i trenta giorni del due, viola una delle regole del campo, sale di due livelli. E piomba al 4. Proprio come le assicurazioni. Fai un incidente e ti ritrovi su di due classi.
Le regole di cui parla Van Natta, all'osso, sono cinque: Non rifiutare il cibo; non gridare; non insultare i secondini; non provare ad affrontarli fisicamente, non investirli con getti d'acqua o con secrezioni corporee: urina, feci, saliva. Semplice, mi pare.
"Camp Delta" non è solo un esperimento di segregazione. È un fotogramma della segregazione nella segregazione. Un cozzo di culture. È Fargo contro Khost. Jacksonville contro Kabul. Lo capisci sulle panche dell'Ocean Galley, "La terrazza sul mare", un pallone di cemento armato all'esterno del Campo dalla foggia architettonica curiosamente esotica, con oblò sul mare e aria condizionata che sa di unto. E' la mensa dove, quando "smontano" dai turni di otto ore, si rifugiano gli "Mp". I poliziotti militari. Se preferite, i secondini.
Alle 11.30 e alle 18.30, il pranzo e la cena, li trovi chini sui loro sandwich, sui loro hamburgher, sulle ali di pollo fritte. E scopri che a Guantanamo, una scheggia di Islam è segregata e sorvegliata dalla profonda provincia americana.
Non un solo secondino è militare di carriera. Sono riservisti strappati al ventre dell'America. Alle linee delle fabbriche. Alle casse degli shopping mall. Otto mesi nei bracci di Guantanamo per "servire nella Guerra al Terrorismo", sentirsi degli orgogliosi "veterani", mettere in banca un pugno di mensilità che aiuti ad andare avanti. Lonnie Morren ha 21 anni. Arriva da un paesone del Michigan. Racconta: Faccio il fabbro. Hai presente le sedie da giardino? Quelle delle case come si deve. Insomma, mi chiamano e mi ritrovo qui. Incredibile! A sorvegliare dei veri terroristi. Magari tra di loro c'è qualcuno dell'11 settembre... voi giornalisti ne sapete niente? Lo chiedo perché noi non sappiamo come si chiamano quelli dentro le gabbie.
Nei bracci, nessuno chiama i disperati con il loro nome. A "Camp Delta" gli uomini sono numeri. Quelli della loro cella. E come numeri sono riconosciuti e ricordati da chi li sorveglia. Ti potrei dire che il 7 è un osso duro. O che il 18 sono due giorni che non parla, spiega Lonnie facendosi serio. Chiede: Ci sono italiani?. Sì, almeno otto.
L'ultimo identificato dagli uomini dell'intelligence, che interrogano in parallelepipedi di cemento armato senza finestre a ridosso del Campo, si chiama Lufti Bin Alì. E' del 1964 ed è nato in Tunisia. Era stato arrestato a Bologna nel '97 perché sospettato di essere membro del Gia. Quindi se ne erano perse le tracce.
Lonnie si fa curioso e come lui il commilitone che gli siede accanto: David Romleski, 24 anni, da Colombia, South Carolina, riservista e operaio in una fabbrica di componenti elettrici. Anche lui ha voglia di parlare: Io mi infilo i guanti la mattina, metto una striscia adesiva a coprire il mio nome sulla mimetica e quando quelli devono uscire, li vesto con il "tre pezzi". Sai no cos'è il tre pezzi? Quando li leghiamo con un'unica catena alle caviglie, alla cintola, alle mani. Non capisco l'arabo, ma so che mi insultano. Anche perché quando vogliono chiedermi qualcosa mi parlano in inglese. E' vero, è vero, interrompe Lonnie. Una volta mi hanno chiesto in inglese di fargli sentire Elvis Presley. Anche quando chiedono aiuto, gridano in inglese...Quando capita che... insomma, è noto, quando capita che tentino di ammazzarsi. Quando si appendono alle grate delle loro stie. Con un asciugamano annodato alla bell'e meglio. Per farla finita con il sarcofago senza tempo.
E' accaduto ventotto volte, annota algida la contabilità ospedaliera del campo. Ventotto volte con diciotto individui. Perché qualcuno ci ha provato più di una volta. Il capitano medico Kelleher, direttore dell'ospedale da campo, ne parla con una qualche laconicità. Sono stati tutti soccorsi per tempo e si sono ripresi, spiega. Uno solo non ha ancora recuperato del tutto. Per qualche mese è rimasto attaccato alla macchina della rianimazione e quindi a quella dell'alimentazione forzata. Ora parla e cammina. Certo, ha difficoltà a tenere in mano una tazza....
La depressione conviene l'ufficiale medico è il virus di "Camp Delta". Lo staff di psichiatri è passato da 3 a 30. I detenuti sotto osservazione sono 90, e almeno la metà di loro assume regolarmente farmaci. Il maggiore Van Natta, che lo ascolta, annuisce: I detenuti non sanno né come, né quando, né se usciranno mai dalle loro gabbie. E questo è un problema. E' il problema di Guantanamo. Che aumenta la loro aggressività. Verso gli altri e verso se stessi. Ma non è affar mio. Stiamo combattendo una guerra al terrorismo. E comunque qualcosa stiamo facendo.
Un blocco di minima sicurezza, "Campo 4". Dove le tute sono bianche e le celle non sono singole, ma dormitori. Dove si pranza insieme all'aperto e l'aria si fa sulla ghiaia, non sul cemento. Chi passa di lì è a un passo da casa. Dal rimpatrio. Da quando la baia dei dannati ha aperto le sue gabbie sono tornati a casa in 42. Altrettanti lascia intendere il portavoce della base, il colonnello Barry Johnson potrebbero tornare nei prossimi mesi. Tra loro, verosimilmente, i quattro minori che alloggiano a "Camp Iguana".
Una finestra di umanità nell'universo concentrazionale di Guantanamo. Un appartamento di colore bianco ad un chilometro dal campo. Niente filo spinato, niente gabbie. Un salotto, quattro poltrone, una tv, un frigo, una cucina, due stanze da letto e un televisore. Di più, un simulacro di prato che si affaccia sulla scogliera. Almeno loro, i "ragazzi", l'Oceano lo possono vedere, sentire, annusare. Possono lasciarsi accarezzare dalla libertà. (1 -continua)
(Repubblica - 13 luglio 2003)
CRAXI MORI' IN ESILIO O IN LATITANZA?
Lettera di Paolo Flores D’Arcais all'Unità
Cara Unità, un’importante rivista nel suo ultimo numero pubblica una breve biografia di Craxi, dalla quale apprendiamo che Craxi «travolto dalla traumatica fine del partito socialista e della prima repubblica, muore in esilio il 19 gennaio del 2000». Si tratta della ben nota menzogna dei vari Ferrara, Berlusconi & Co. La verità storica, ribadita costantemente dai tutti i democrati-ci è negata solo dagli spregiatori delle istituzioni repubblicane, è invece che Craxi morì latitante. La rivista che propaganda la volgare menzogna non è però questa volta Ideazione (o il Foglio,o Panorama,o il Giornale), bensì Italianieuropei, di cui sono direttori Giuliano Amato e Massimo D’Alema. Ogni democratico aspetta da loro le scuse per l’incredibile smarronata.
Lettera di Paolo Flores D’Arcais all'Unità
Cara Unità, un’importante rivista nel suo ultimo numero pubblica una breve biografia di Craxi, dalla quale apprendiamo che Craxi «travolto dalla traumatica fine del partito socialista e della prima repubblica, muore in esilio il 19 gennaio del 2000». Si tratta della ben nota menzogna dei vari Ferrara, Berlusconi & Co. La verità storica, ribadita costantemente dai tutti i democrati-ci è negata solo dagli spregiatori delle istituzioni repubblicane, è invece che Craxi morì latitante. La rivista che propaganda la volgare menzogna non è però questa volta Ideazione (o il Foglio,o Panorama,o il Giornale), bensì Italianieuropei, di cui sono direttori Giuliano Amato e Massimo D’Alema. Ogni democratico aspetta da loro le scuse per l’incredibile smarronata.
MIMUN EVITA IL SONORO
Lettera di Vittorio Emiliani all'Unità
Cara Unità,
diamo a Mimun quello che è di Mimun. Clemente J. Ha dichiarato in Vigilanza che è la notizia che conta, mentre il «sonoro» non è poi così importante. Specie se è quello strasburghese del Berlusconi che straparla strapazzando da «turisti della democrazia» gli europarlamentari e da «kapò» l’on. Schulz.
Diciamolo: anche in altre occasioni, sempre imbarazzanti per il governo o per il suo leader, Clemente J.Mimun evitò accuratamente il «sonoro». Per esempio, quando, nel maggio 2001, in conferenza-stampa, Silvio Berlusconi definì l’assassinio del prof. D’Antona un «regolamento di conti a sinistra» e l’allora direttore del Tg2, molte ore dopo, nella edizione di prima serata omise qualunque notizia sul «caso» cancellandolo dalla cronaca.
Nell’edizione di seconda serata «rimediò» con un servizio redazionale: senza «sonoro» di sorta, naturalmente. Oppure quando il contrasto fra Giuliano Urbani ministro e Vittorio Sgarbi sottosegretario ai Beni Culturali, già rovente, toccò il suo culmine: il Tg1, già diretto da Mimun, ne fece un «pastoncino» redazionale del tutto incomprensibile ai più, mentre il Tg2 di Mazza mise (sonoramente) a confronto i duellanti.
Insomma, ognuno ha la sua brava tradizione e Clemente J. coltiva questa: evitare il «sonoro», schivare la «diretta», affidare, ogni volta che si può, al Pionati di turno il compito di scodellare il suo «pastone» debitamente freddo (a meno che non debba incensare il governo).
In certe occasioni, se potesse, lui il Tg lo farebbe muto. Del resto, sordo spesso lo è già. In fondo, dunque basterebbe «cecarlo» e avrebbe raggiunto la perfezione creativa.
Lettera di Vittorio Emiliani all'Unità
Cara Unità,
diamo a Mimun quello che è di Mimun. Clemente J. Ha dichiarato in Vigilanza che è la notizia che conta, mentre il «sonoro» non è poi così importante. Specie se è quello strasburghese del Berlusconi che straparla strapazzando da «turisti della democrazia» gli europarlamentari e da «kapò» l’on. Schulz.
Diciamolo: anche in altre occasioni, sempre imbarazzanti per il governo o per il suo leader, Clemente J.Mimun evitò accuratamente il «sonoro». Per esempio, quando, nel maggio 2001, in conferenza-stampa, Silvio Berlusconi definì l’assassinio del prof. D’Antona un «regolamento di conti a sinistra» e l’allora direttore del Tg2, molte ore dopo, nella edizione di prima serata omise qualunque notizia sul «caso» cancellandolo dalla cronaca.
Nell’edizione di seconda serata «rimediò» con un servizio redazionale: senza «sonoro» di sorta, naturalmente. Oppure quando il contrasto fra Giuliano Urbani ministro e Vittorio Sgarbi sottosegretario ai Beni Culturali, già rovente, toccò il suo culmine: il Tg1, già diretto da Mimun, ne fece un «pastoncino» redazionale del tutto incomprensibile ai più, mentre il Tg2 di Mazza mise (sonoramente) a confronto i duellanti.
Insomma, ognuno ha la sua brava tradizione e Clemente J. coltiva questa: evitare il «sonoro», schivare la «diretta», affidare, ogni volta che si può, al Pionati di turno il compito di scodellare il suo «pastone» debitamente freddo (a meno che non debba incensare il governo).
In certe occasioni, se potesse, lui il Tg lo farebbe muto. Del resto, sordo spesso lo è già. In fondo, dunque basterebbe «cecarlo» e avrebbe raggiunto la perfezione creativa.
12.7.03
Lettera di presentazione di Gianni Vattimo dell'opuscolo "Berlusconi" di Travaglio e Gomez distribuito a tutti i parlamentari europei in cinque lingue
Caro Collega,
il breve testo che troverà in allegato è una sommaria presentazione del personaggio che, secondo le regole della rotazione, occuperà nel prossimo semestre il posto di presidente del Consiglio Europeo. Questa presentazione è stata preparata da due giornalisti italiani, Marco Travaglio e Peter Gomez, che da tempo seguono le vicende politiche e giudiziarie di Silvio Berlusconi e ne scrivono sulla stampa italiana. Non sempre, però, queste vicende sono conosciute adeguatamente negli altri Paesi dell'Unione. So bene che proprio in questi giorni, in occasione dell'inizio del "semestre italiano", molta stampa europea ha fornito più informazioni del solito sul discusso personaggio. Ma siccome si attribuisce agli italiani, anche ai partiti di opposizione, l'intenzione di contribuire al "successo" del semestre europeo del nostro premier, io diffondo questo opuscolo informativo proprio perché non intendo contribuire in alcun modo a tale successo. Anzi, credo che un vero successo dell'Italia, e anche dell'Europa, si possa realizzare solo riducendo al minimo il danno che la democrazia, l'indipendenza dell'Europa dagli Usa, la libertà di informazione, la lotta contro la corruzione, possono ricevere dalla presidenza europea di Silvio Berlusconi. Una conoscenza dettagliata e, nonostante le apparenze, obiettiva, della sua storia affaristico-politico-giudiziaria può, spero, servire a questo scopo.
Un cordiale saluto
Gianni Vattimo
Caro Collega,
il breve testo che troverà in allegato è una sommaria presentazione del personaggio che, secondo le regole della rotazione, occuperà nel prossimo semestre il posto di presidente del Consiglio Europeo. Questa presentazione è stata preparata da due giornalisti italiani, Marco Travaglio e Peter Gomez, che da tempo seguono le vicende politiche e giudiziarie di Silvio Berlusconi e ne scrivono sulla stampa italiana. Non sempre, però, queste vicende sono conosciute adeguatamente negli altri Paesi dell'Unione. So bene che proprio in questi giorni, in occasione dell'inizio del "semestre italiano", molta stampa europea ha fornito più informazioni del solito sul discusso personaggio. Ma siccome si attribuisce agli italiani, anche ai partiti di opposizione, l'intenzione di contribuire al "successo" del semestre europeo del nostro premier, io diffondo questo opuscolo informativo proprio perché non intendo contribuire in alcun modo a tale successo. Anzi, credo che un vero successo dell'Italia, e anche dell'Europa, si possa realizzare solo riducendo al minimo il danno che la democrazia, l'indipendenza dell'Europa dagli Usa, la libertà di informazione, la lotta contro la corruzione, possono ricevere dalla presidenza europea di Silvio Berlusconi. Una conoscenza dettagliata e, nonostante le apparenze, obiettiva, della sua storia affaristico-politico-giudiziaria può, spero, servire a questo scopo.
Un cordiale saluto
Gianni Vattimo
11.7.03
TUTTO CIÒ CHE PENSO DI BERLUSCONI
di Umberto Bossi, ministro delle Riforme Istituzionali del governo Berlusconi
Silvio Berlusconi era il portaborse di Bettino Craxi. E' una costola del vecchio regime. E' il più efficace riciclatore dei calcinacci del pentapartito. Mentre la Lega faceva cadere il regime, lui stava nel Mulino Bianco, col parrucchino e la plastica facciale. Lui è un tubo vuoto qualunquista. Ma non l'avete visto, oggi, tutto impomatato fra le nuvole azzurre?
Berlusconi è bollito. E' un povero pirla, un traditore del Nord, un poveraccio asservito all'Ulivo, segue anche lui l'esercito di Franceschiello dietro il caporale D'Alema con la sua trombetta. Io ho la memoria lunga. Ma chi è Berlusconi? Il suo Polo è morto e sepolto, la Lega non va con i morti. La trattativa Lega-Forza Italia se l'è inventata lui, poveraccio. Il partito di Berlusconi neo-Caf non potrà mai fare accordi con la Lega. Lui è la bistecca e la Lega il pestacarne.
Berlusconi mostra le stesse caratteristiche dei dittatori. E' un kaiser in doppiopetto. Un piccolo tiranno, anzi è il capocomico del teatrino della politica. Un Peròn della mutua. E' molto peggio di Pinochet. Ha qualcosa di nazistoide, di mafioso. Il piduista è una volpe infida pronta a fare razzia nel mio pollaio.
Berlusconi è l'uomo della mafia. E' un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra. C'è qualche differenza fra noi e Berlusconi: lui purtroppo è un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora. Ma il Nord lo caccerà via, di Berlusconi non ce ne fotte niente. Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Dalle finanziarie della mafia? Ci sono centomila giovani del Nord che sono morti a causa della droga. A me personalmente Berlusconi ha detto che i soldi gli erano venuti dalla Banca Rasini, fondata da un certo Giuseppe Azzaretto, di Palermo, che poi è riuscito a tenersi tutta la baracca. In quella stessa banca lavorava anche il padre di Silvio e c'erano i conti di numerosi esponenti di Cosa Nostra.
Bisognerebbe conoscere le sue radici, la sua storia. Gelli fece il progetto Italia e c'era il buon Berlusconi nella P2. Poi nacquero le Holding. Come potrà mai la magistratura fare il suo dovere e andare a vedere da dove vengono quei quattrini, ricordando che la mafia quei quattrini li fa con la droga e che di droga al Nord sono morti decine di migliaia di ragazzi che ora gridano da sottoterra? Se lui vuole sapere la storia della caduta del suo governo, venga da me che gliela spiego io: sono stato io a metter giù il partito del mafioso. Lui comprava i nostri parlamentari e io l'ho abbattuto.
Quel brutto mafioso guadagna soldi con l'eroina e la cocaina. Il mafioso di Arcore vuole portare al Nord il fascismo e il meridionalismo. Discutere di par condicio è troppo poco: propongo una commissione di inchiesta sugli arricchimenti di Berlusconi. In Forza Italia ci sono oblique collusioni fra politica e omertà criminale e fenomeni di riciclaggio. L'uomo di Cosa Nostra, con la Fininvest, ha qualcosa come 38 holding, di cui 16 occulte. Furono fatte nascere da una banca di Palermo a Milano, la banca Rasini, la banca di Cosa Nostra a Milano.
Forza Italia è stata creata da Marcello Dell'Utri. Guardate che gli interessi reali spesso non appaiono. In televisione compaiono volti gentili che te la raccontano su, che sembrano per bene. Ma guardate che la mafia non ha limiti. La mafia, gli interessi della mafia, sono la droga, e la droga ha ucciso migliaia e migliaia di giovani, soprattutto al Nord. Palermo ha in mano le televisioni, in grado di entrare nelle case dei bravi e imbecilli cittadini del Nord.
Berlusconi ha fatto ciò che ha voluto con le televisioni, anche regionali, in barba perfino alla legge Mammì. Molte ricchezze sono vergognose, perché vengono da decine di migliaia di morti. Non è vero che 'pecunia non olet'. C'è denaro buono che ha odore di sudore, e c'è denaro che ha odore di mafia. Ma se non ci fosse quel potere, il Polo si squaglierebbe in poche ore.
Incontrare di nuovo Berlusconi ad Arcore? Lo escludo, niente più accordi col Polo. Tre anni fa pensarono di farci il maleficio. Il mago Berlusconi ci disse: "Chi esce dal cerchio magico, cioè dal mio governo, muore". Noi uscimmo e mandammo indietro il maleficio al mago. Non c'è marchingegno stregato che oggi ci possa far rientrare nel cerchio del berlusconismo. Con questa gente, niente accordi politici: è un partito in cui milita Dell'Utri, inquisito per mafia.
La "Padania" chiede a Berlusconi se è mafioso? Ma è andata fin troppo leggera! Doveva andare più a fondo, con quelle carogne legate a Craxi.
Io con Berlusconi sarò il guardiano del baro. Siamo in una situazione pericolosa per la democrazia: se quello va a Palazzo Chigi, vince un partito che non esiste, vince un uomo solo, il Tecnocrate, l'Autocrate. Io dico quel che penso, lui fa quel che incassa. Tratta lo Stato come una società per azioni. Ma chi si crede di essere: Nembo Kid?
Ma vi pare possibile che uno che possiede 140 aziende possa fare gli interessi dei cittadini? Quando quello piange, fatevi una risata: vuol dire che va tutto bene, che non è ancora riuscito a mettere le mani sulla cassaforte.
Bisogna che Berlusconi-Berluscosa-Berluskaz-Berluskaiser si metta in testa che con i bergamaschi io ho fatto un patto di sangue: gli ho giurato che avrei fatto di tutto per avere il cambiamento. E non c'è villa, non c'è regalo, non c'è ammiccamento che mi possa far cambiare strada... Berluscoso deve sapere che dalle nostre parti la gente è pronta a fargli un culo così: bastano due secondi, e dovrà scappare di notte. Se vedono che li ha imbrogliati, quelli del Nord gli arrotolano su le sue belle ville e i suoi prati all'inglese e scaraventano tutto nel Lambro.
Berlusconi, come presidente del Consiglio, è stato un dramma.
Quando è in ballo la democrazia, a qualcuno potrebbe anche venire in mente di fargli saltare i tralicci dei ripetitori. Perché lui con le televisioni fa il lavaggio del cervello alla gente, col solito imbroglio del venditore di fustini del detersivo. Le sue televisioni sono contro la Costituzione. Bisogna portargliele via. Ci troviamo in una situazione di incostituzionalità gravissima, da Sudamerica. Un uomo ha ottenuto dallo Stato la concessione delle frequenze tv per condizionare la gente e orientarla al voto. Non accade in nessuna parte del mondo. E' ora di mettere fine a questa vergogna. Se lo votate, quello vi porta via anche i paracarri.
Se cade Berlusconi, cade tutto il Polo, e al Nord si prende tutto la Lega. Ma non lo faranno cadere: perché sarà pure un figlio di buona donna, ma è il loro figlio di buona donna, e per questo lo tengono in piedi.
Ma il poveretto di Arcore sente che il bidone forzitalista e polista, il partito degli americani, gli va a scatafascio. Un massone, un piduista come l'arcorista è sempre stato un problema di "Cosa sua" o "Cosa nostra". Ma attento, Berlusconi: né mafia, né P2, né America riusciranno a distruggere la nostra società. E lui alla fine avrà un piccolo posto all'Inferno, perché quello lì non se lo pigliano nemmeno in Purgatorio. Perché è Berlusconi che dovrà sparire dalla circolazione, non la Lega. Non siamo noi che litighiamo con Berlusconi, è la Storia che litiga con lui.
(le frasi contenute nel testo sono state pronunciate testualmente da Umberto Bossi fra il 1994 e il 1999, cioè durante le tensioni del primo governo Berlusconi, dopo la rottura fra Bossi e Berlusconi nel dicembre 1994 e prima della loro riappacificazione alla fine del 1999. Le date esatte delle dichiarazioni, tratte da giornali quotidiani e agenzie di stampa, sono le seguenti: 1,7,9,10,13 marzo 1994; 5 aprile 1994; 4,11,23,31 maggio 1994; 1,12,17 giugno 1994; 29 luglio 1994; 6,8,13 agosto 1994; 1 settembre 1994; 6,20,23 dicembre 1994; 14 gennaio 1995; 22 marzo 1995; 13 aprile 1995; 10 giugno 1995; 29 luglio 1995; 25 gennaio 1996; 14,19,25 agosto 1997; 18 giugno 1998; 22 luglio 1998; 13 settembre 1998; 3, 27 ottobre 1998; 24 febbraio 1999; 13 aprile 1999; 10 settembre 1999; 19 ottobre 1999)
di Umberto Bossi, ministro delle Riforme Istituzionali del governo Berlusconi
Silvio Berlusconi era il portaborse di Bettino Craxi. E' una costola del vecchio regime. E' il più efficace riciclatore dei calcinacci del pentapartito. Mentre la Lega faceva cadere il regime, lui stava nel Mulino Bianco, col parrucchino e la plastica facciale. Lui è un tubo vuoto qualunquista. Ma non l'avete visto, oggi, tutto impomatato fra le nuvole azzurre?
Berlusconi è bollito. E' un povero pirla, un traditore del Nord, un poveraccio asservito all'Ulivo, segue anche lui l'esercito di Franceschiello dietro il caporale D'Alema con la sua trombetta. Io ho la memoria lunga. Ma chi è Berlusconi? Il suo Polo è morto e sepolto, la Lega non va con i morti. La trattativa Lega-Forza Italia se l'è inventata lui, poveraccio. Il partito di Berlusconi neo-Caf non potrà mai fare accordi con la Lega. Lui è la bistecca e la Lega il pestacarne.
Berlusconi mostra le stesse caratteristiche dei dittatori. E' un kaiser in doppiopetto. Un piccolo tiranno, anzi è il capocomico del teatrino della politica. Un Peròn della mutua. E' molto peggio di Pinochet. Ha qualcosa di nazistoide, di mafioso. Il piduista è una volpe infida pronta a fare razzia nel mio pollaio.
Berlusconi è l'uomo della mafia. E' un palermitano che parla meneghino, un palermitano nato nella terra sbagliata e mandato su apposta per fregare il Nord. La Fininvest è nata da Cosa Nostra. C'è qualche differenza fra noi e Berlusconi: lui purtroppo è un mafioso. Il problema è che al Nord la gente è ancora divisa tra chi sa che Berlusconi è un mafioso e chi non lo sa ancora. Ma il Nord lo caccerà via, di Berlusconi non ce ne fotte niente. Ci risponda: da dove vengono i suoi soldi? Dalle finanziarie della mafia? Ci sono centomila giovani del Nord che sono morti a causa della droga. A me personalmente Berlusconi ha detto che i soldi gli erano venuti dalla Banca Rasini, fondata da un certo Giuseppe Azzaretto, di Palermo, che poi è riuscito a tenersi tutta la baracca. In quella stessa banca lavorava anche il padre di Silvio e c'erano i conti di numerosi esponenti di Cosa Nostra.
Bisognerebbe conoscere le sue radici, la sua storia. Gelli fece il progetto Italia e c'era il buon Berlusconi nella P2. Poi nacquero le Holding. Come potrà mai la magistratura fare il suo dovere e andare a vedere da dove vengono quei quattrini, ricordando che la mafia quei quattrini li fa con la droga e che di droga al Nord sono morti decine di migliaia di ragazzi che ora gridano da sottoterra? Se lui vuole sapere la storia della caduta del suo governo, venga da me che gliela spiego io: sono stato io a metter giù il partito del mafioso. Lui comprava i nostri parlamentari e io l'ho abbattuto.
Quel brutto mafioso guadagna soldi con l'eroina e la cocaina. Il mafioso di Arcore vuole portare al Nord il fascismo e il meridionalismo. Discutere di par condicio è troppo poco: propongo una commissione di inchiesta sugli arricchimenti di Berlusconi. In Forza Italia ci sono oblique collusioni fra politica e omertà criminale e fenomeni di riciclaggio. L'uomo di Cosa Nostra, con la Fininvest, ha qualcosa come 38 holding, di cui 16 occulte. Furono fatte nascere da una banca di Palermo a Milano, la banca Rasini, la banca di Cosa Nostra a Milano.
Forza Italia è stata creata da Marcello Dell'Utri. Guardate che gli interessi reali spesso non appaiono. In televisione compaiono volti gentili che te la raccontano su, che sembrano per bene. Ma guardate che la mafia non ha limiti. La mafia, gli interessi della mafia, sono la droga, e la droga ha ucciso migliaia e migliaia di giovani, soprattutto al Nord. Palermo ha in mano le televisioni, in grado di entrare nelle case dei bravi e imbecilli cittadini del Nord.
Berlusconi ha fatto ciò che ha voluto con le televisioni, anche regionali, in barba perfino alla legge Mammì. Molte ricchezze sono vergognose, perché vengono da decine di migliaia di morti. Non è vero che 'pecunia non olet'. C'è denaro buono che ha odore di sudore, e c'è denaro che ha odore di mafia. Ma se non ci fosse quel potere, il Polo si squaglierebbe in poche ore.
Incontrare di nuovo Berlusconi ad Arcore? Lo escludo, niente più accordi col Polo. Tre anni fa pensarono di farci il maleficio. Il mago Berlusconi ci disse: "Chi esce dal cerchio magico, cioè dal mio governo, muore". Noi uscimmo e mandammo indietro il maleficio al mago. Non c'è marchingegno stregato che oggi ci possa far rientrare nel cerchio del berlusconismo. Con questa gente, niente accordi politici: è un partito in cui milita Dell'Utri, inquisito per mafia.
La "Padania" chiede a Berlusconi se è mafioso? Ma è andata fin troppo leggera! Doveva andare più a fondo, con quelle carogne legate a Craxi.
Io con Berlusconi sarò il guardiano del baro. Siamo in una situazione pericolosa per la democrazia: se quello va a Palazzo Chigi, vince un partito che non esiste, vince un uomo solo, il Tecnocrate, l'Autocrate. Io dico quel che penso, lui fa quel che incassa. Tratta lo Stato come una società per azioni. Ma chi si crede di essere: Nembo Kid?
Ma vi pare possibile che uno che possiede 140 aziende possa fare gli interessi dei cittadini? Quando quello piange, fatevi una risata: vuol dire che va tutto bene, che non è ancora riuscito a mettere le mani sulla cassaforte.
Bisogna che Berlusconi-Berluscosa-Berluskaz-Berluskaiser si metta in testa che con i bergamaschi io ho fatto un patto di sangue: gli ho giurato che avrei fatto di tutto per avere il cambiamento. E non c'è villa, non c'è regalo, non c'è ammiccamento che mi possa far cambiare strada... Berluscoso deve sapere che dalle nostre parti la gente è pronta a fargli un culo così: bastano due secondi, e dovrà scappare di notte. Se vedono che li ha imbrogliati, quelli del Nord gli arrotolano su le sue belle ville e i suoi prati all'inglese e scaraventano tutto nel Lambro.
Berlusconi, come presidente del Consiglio, è stato un dramma.
Quando è in ballo la democrazia, a qualcuno potrebbe anche venire in mente di fargli saltare i tralicci dei ripetitori. Perché lui con le televisioni fa il lavaggio del cervello alla gente, col solito imbroglio del venditore di fustini del detersivo. Le sue televisioni sono contro la Costituzione. Bisogna portargliele via. Ci troviamo in una situazione di incostituzionalità gravissima, da Sudamerica. Un uomo ha ottenuto dallo Stato la concessione delle frequenze tv per condizionare la gente e orientarla al voto. Non accade in nessuna parte del mondo. E' ora di mettere fine a questa vergogna. Se lo votate, quello vi porta via anche i paracarri.
Se cade Berlusconi, cade tutto il Polo, e al Nord si prende tutto la Lega. Ma non lo faranno cadere: perché sarà pure un figlio di buona donna, ma è il loro figlio di buona donna, e per questo lo tengono in piedi.
Ma il poveretto di Arcore sente che il bidone forzitalista e polista, il partito degli americani, gli va a scatafascio. Un massone, un piduista come l'arcorista è sempre stato un problema di "Cosa sua" o "Cosa nostra". Ma attento, Berlusconi: né mafia, né P2, né America riusciranno a distruggere la nostra società. E lui alla fine avrà un piccolo posto all'Inferno, perché quello lì non se lo pigliano nemmeno in Purgatorio. Perché è Berlusconi che dovrà sparire dalla circolazione, non la Lega. Non siamo noi che litighiamo con Berlusconi, è la Storia che litiga con lui.
(le frasi contenute nel testo sono state pronunciate testualmente da Umberto Bossi fra il 1994 e il 1999, cioè durante le tensioni del primo governo Berlusconi, dopo la rottura fra Bossi e Berlusconi nel dicembre 1994 e prima della loro riappacificazione alla fine del 1999. Le date esatte delle dichiarazioni, tratte da giornali quotidiani e agenzie di stampa, sono le seguenti: 1,7,9,10,13 marzo 1994; 5 aprile 1994; 4,11,23,31 maggio 1994; 1,12,17 giugno 1994; 29 luglio 1994; 6,8,13 agosto 1994; 1 settembre 1994; 6,20,23 dicembre 1994; 14 gennaio 1995; 22 marzo 1995; 13 aprile 1995; 10 giugno 1995; 29 luglio 1995; 25 gennaio 1996; 14,19,25 agosto 1997; 18 giugno 1998; 22 luglio 1998; 13 settembre 1998; 3, 27 ottobre 1998; 24 febbraio 1999; 13 aprile 1999; 10 settembre 1999; 19 ottobre 1999)
Studio dell´Espresso-Swg in Italia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Francia
Se si votasse oggi per le Politiche Ulivo e Prc al 53%, il centrodestra fermo al 44
VLADIMIRO POLCHI
da Repubblica - 11 luglio 2003
ROMA - La battuta di Berlusconi sul kapo' nazista non è piaciuta agli italiani e ha peggiorato il loro giudizio sul presidente del Consiglio. E´ quanto emerge da un sondaggio Swg per "L´Espresso" oggi in edicola. Per Berlusconi il quadro è desolante. E´ il meno affidabile tra i leader europei e con lui la credibilità del nostro Paese sta crollando. Non solo. Il 68% degli italiani ritiene il suo governo poco o per niente efficace e, se si votasse oggi, il centrosinistra unito vincerebbe sulla Cdl, con 9 punti percentuali di scarto.
L´indagine fotografa l´opinione pubblica italiana e dei quattro maggiori Paesi europei: Germania, Gran Bretagna, Spagna e Francia. Per il 42% del campione italiano, Berlusconi ha commesso una grave scorrettezza nei confronti dell´eurodeputato tedesco Martin Schulz; mentre il 32%, pur esprimendo riprovazione, riduce l´incidente a una gaffe. Per il 43% degli intervistati, con Berlusconi al governo l´immagine dell´Italia in Europa si è indebolita. Dopo l´episodio di Strasburgo, per un quinto degli italiani l´opinione sul premier è peggiorata. Decisamente negativo anche il giudizio sull´efficacia del governo. Meno di un quarto del campione si dichiara soddisfatto. Un forte malcontento che si annida anche all´interno della Cdl: il 51% degli elettori di An esprime un giudizio negativo. La maggioranza degli intervistati (52%) ritiene che Berlusconi non abbia mantenuto le promesse elettorali, e ancora più numerosi (54%) sono quelli che non credono che le manterrà in futuro. Anche il 26% degli elettori della Cdl vedono disattese le proprie aspettative. Se si votasse oggi per le elezioni politiche, l´Ulivo più Rifondazione comunista volerebbe al 53%, mentre il centrodestra si fermerebbe al 44%.
Sul versante europeo, le cose per Berlusconi vanno ancora peggio. Pochi si fidano di lui. E´ considerato affidabile solo dal 17% degli spagnoli, l´11% dei francesi, il 7% degli inglesi e il 2% dei tedeschi. Per il 58% degli europei (e il 73% dei tedeschi) l´esordio di Berlusconi a Strasburgo è stato un fatto istituzionalmente molto grave. Per il 22% del campione l´episodio inciderà in modo irreparabile sul semestre italiano e a sorpresa stavolta la posizione più dura proviene dai francesi. L´opinione prevalente (41%) è per? quella della superabilità dell´incidente diplomatico. Il Cavaliere, infine, è riuscito a indebolire l´immagine dell´Italia all´estero, nei due anni di governo. Il Paese, infatti, ha perso credibilità per il 57% dei francesi, il 45% degli inglesi e il 50% di spagnoli e tedeschi.
E dopo l´attacco a Schulz kapo' cade la credibilità del Cavaliere
Se si votasse oggi per le Politiche Ulivo e Prc al 53%, il centrodestra fermo al 44
VLADIMIRO POLCHI
da Repubblica - 11 luglio 2003
ROMA - La battuta di Berlusconi sul kapo' nazista non è piaciuta agli italiani e ha peggiorato il loro giudizio sul presidente del Consiglio. E´ quanto emerge da un sondaggio Swg per "L´Espresso" oggi in edicola. Per Berlusconi il quadro è desolante. E´ il meno affidabile tra i leader europei e con lui la credibilità del nostro Paese sta crollando. Non solo. Il 68% degli italiani ritiene il suo governo poco o per niente efficace e, se si votasse oggi, il centrosinistra unito vincerebbe sulla Cdl, con 9 punti percentuali di scarto.
L´indagine fotografa l´opinione pubblica italiana e dei quattro maggiori Paesi europei: Germania, Gran Bretagna, Spagna e Francia. Per il 42% del campione italiano, Berlusconi ha commesso una grave scorrettezza nei confronti dell´eurodeputato tedesco Martin Schulz; mentre il 32%, pur esprimendo riprovazione, riduce l´incidente a una gaffe. Per il 43% degli intervistati, con Berlusconi al governo l´immagine dell´Italia in Europa si è indebolita. Dopo l´episodio di Strasburgo, per un quinto degli italiani l´opinione sul premier è peggiorata. Decisamente negativo anche il giudizio sull´efficacia del governo. Meno di un quarto del campione si dichiara soddisfatto. Un forte malcontento che si annida anche all´interno della Cdl: il 51% degli elettori di An esprime un giudizio negativo. La maggioranza degli intervistati (52%) ritiene che Berlusconi non abbia mantenuto le promesse elettorali, e ancora più numerosi (54%) sono quelli che non credono che le manterrà in futuro. Anche il 26% degli elettori della Cdl vedono disattese le proprie aspettative. Se si votasse oggi per le elezioni politiche, l´Ulivo più Rifondazione comunista volerebbe al 53%, mentre il centrodestra si fermerebbe al 44%.
Sul versante europeo, le cose per Berlusconi vanno ancora peggio. Pochi si fidano di lui. E´ considerato affidabile solo dal 17% degli spagnoli, l´11% dei francesi, il 7% degli inglesi e il 2% dei tedeschi. Per il 58% degli europei (e il 73% dei tedeschi) l´esordio di Berlusconi a Strasburgo è stato un fatto istituzionalmente molto grave. Per il 22% del campione l´episodio inciderà in modo irreparabile sul semestre italiano e a sorpresa stavolta la posizione più dura proviene dai francesi. L´opinione prevalente (41%) è per? quella della superabilità dell´incidente diplomatico. Il Cavaliere, infine, è riuscito a indebolire l´immagine dell´Italia all´estero, nei due anni di governo. Il Paese, infatti, ha perso credibilità per il 57% dei francesi, il 45% degli inglesi e il 50% di spagnoli e tedeschi.
9.7.03
FACCI E TRAVAGLIO: ED E' SUBITO RISSA
Lettera di Marco Travaglio al Giornale. «Signor direttore, ai sensi della legge sulla stampa mi vedo costretto ancora una volta a chiederLe di rettificare quanto scritto dal suo collaboratore Filippo Facci, del quale comincio seriamente a sospettare che non sappia neppure leggere. Ogni volta che tenta di smentire qualcosa che ho scritto, infatti, incappa in abbagli incresciosi. Sul Giornale del 5 luglio mi dedica un lungo articolo dandomi ripetutamente del "cane". Il tutto perché sostiene che io l'avrei definito, sull'Unità, "un cane da riporto". Non ho mai definito Facci "cane da riporto", ma "giornalista da riporto". Fa una certa differenza, anche perché non ho mai visto cani con i capelli ossigenati».
Risposta di Filippo Facci: «Io non ho mai visto cani che perdono i capelli: né da riporto, né - spero di no - col riporto. Si auspicava che le frequentazioni tedesche di Marco Travaglio avessero perlomeno affinato una capacità di distinguere un biondo austriaco da quello di Stefania Ariosto, naturale come le sue testimonianze. Può capitare, presumo, a chi da anni non distingue un'assoluzione "perché il fatto non sussiste" da un'assoluzione ?per insufficienza di prove?, estinta dal Codice ma non da certi latrati: si perdono i capelli ma non il vizio.
Ma a Travaglio va riconosciuta almeno una ragione: è vero, per un'errata informazione avevamo capito che avesse scritto "cane da riporto" e non "giornalista da riporto". Immagino che dovrei sentirmi molto meglio, ora. Ecco, ne approfitto per esporre un mio vecchio dubbio personale. Posto che io e Travaglio siamo entrambi dei pluriquerelati e con ciò, direbbe lui, dei pregiudicati (io condannato dalla corporazione che attacco; lui condannato da quella che difende: complimenti) ci manca solo che ci quereliamo tra di noi: cane non mangia cane, e so già che è d'accordo.
Ma allora che altro dovremmo fare? Niente? Se Travaglio, per esempio, ci desse del "giornalista da diporto" in uno dei soliti articoli da raccogliere con l'apposita paletta, ecco che facciamo? Ribattiamo? Scendiamo al suo livello (e al suo libello, quello di Strasburgo) facendo un canaio forse a lui congeniale? Un duello all'alba? Un pubblico confronto? Gli spacco la faccia? Al Giornale, da liberisti; siamo aperti a tutte le soluzioni».
Lettera di Marco Travaglio al Giornale. «Signor direttore, ai sensi della legge sulla stampa mi vedo costretto ancora una volta a chiederLe di rettificare quanto scritto dal suo collaboratore Filippo Facci, del quale comincio seriamente a sospettare che non sappia neppure leggere. Ogni volta che tenta di smentire qualcosa che ho scritto, infatti, incappa in abbagli incresciosi. Sul Giornale del 5 luglio mi dedica un lungo articolo dandomi ripetutamente del "cane". Il tutto perché sostiene che io l'avrei definito, sull'Unità, "un cane da riporto". Non ho mai definito Facci "cane da riporto", ma "giornalista da riporto". Fa una certa differenza, anche perché non ho mai visto cani con i capelli ossigenati».
Risposta di Filippo Facci: «Io non ho mai visto cani che perdono i capelli: né da riporto, né - spero di no - col riporto. Si auspicava che le frequentazioni tedesche di Marco Travaglio avessero perlomeno affinato una capacità di distinguere un biondo austriaco da quello di Stefania Ariosto, naturale come le sue testimonianze. Può capitare, presumo, a chi da anni non distingue un'assoluzione "perché il fatto non sussiste" da un'assoluzione ?per insufficienza di prove?, estinta dal Codice ma non da certi latrati: si perdono i capelli ma non il vizio.
Ma a Travaglio va riconosciuta almeno una ragione: è vero, per un'errata informazione avevamo capito che avesse scritto "cane da riporto" e non "giornalista da riporto". Immagino che dovrei sentirmi molto meglio, ora. Ecco, ne approfitto per esporre un mio vecchio dubbio personale. Posto che io e Travaglio siamo entrambi dei pluriquerelati e con ciò, direbbe lui, dei pregiudicati (io condannato dalla corporazione che attacco; lui condannato da quella che difende: complimenti) ci manca solo che ci quereliamo tra di noi: cane non mangia cane, e so già che è d'accordo.
Ma allora che altro dovremmo fare? Niente? Se Travaglio, per esempio, ci desse del "giornalista da diporto" in uno dei soliti articoli da raccogliere con l'apposita paletta, ecco che facciamo? Ribattiamo? Scendiamo al suo livello (e al suo libello, quello di Strasburgo) facendo un canaio forse a lui congeniale? Un duello all'alba? Un pubblico confronto? Gli spacco la faccia? Al Giornale, da liberisti; siamo aperti a tutte le soluzioni».
7.7.03
il manifesto,7 luglio 2003
CONTRORDINE
Manuale di corte
ALESSANDRO ROBECCHI
Ilavori usuranti, le mansioni più misere e umilianti, il servilismo d'ufficio, inteso come atto dovuto. Come non solidarizzare con tutti i lavoratori italiani costretti a simili mortificazioni? E come non essere vicini dunque, in questi tristi momenti, a tutti i gazzettieri, e colleghi, e commentatori, e direttori delle testate di Silvio e a tutti quelli in qualche modo collegati e/o controllati? Abbiate pietà: è gente che si alza alla mattina e si accinge ad arrampicarsi sugli specchi, che il suo editore di riferimento ha provveduto a insaponare durante la notte. Uno sport estremo, una quotidiana fatica di Sisifo che consiste ogni giorno nel plasmare la realtà in modo che si adatti all'ultima mattana del padrone. Sono dipendenti, in un modo o nell'altro, dell'impero mediatico del capo. Poi ci sono gli aspiranti, gente di cui è stato magari un giorno ventilato questo o quell'incarico a corte e che dunque, giustamente, danno prove di fedeltà preventiva. E' chiaro che un simile dispiego di intelligenze ha bisogno di un coordinamento, o perlomeno di alcune regole di comportamento. Ci dev'essere un decalogo da qualche parte, riservatissimo, dal titolo: Come affrontare l'ultima cazzata del capo. Un manuela di sopravvivenza per cortigiani, di cui crediamo di aver individuato alcuni punti.
Non è successo niente. La strategia del finto tonto è la prima mossa. Non è successo niente, la gaffe, o l'errore politico, o il guaio del capo semplicemente non c'è o viene sminuito a dettaglio e curiosità. Tutti hanno notato gli omissis del Tg1 sulla figuraccia europea di Silvio, ma nessuno ha lodato il Tg4, che ha aperto il suo notiziario lo stesso giorno con un'entusiasmante intervista a Folco Quilici sulla temperatura del Mediterraneo.
Mi hanno frainteso. Come il mal di denti alle interrogazioni di fisica, è un metodo banale ma rischia di funzionare ancora. Si dice una cosa, poi si dice che non la si è detta. Qui la differenza tra un grande editore, primo ministro e boss dei media e un uomo normale è evidente: se ritratta l'uomo normale è un pirla qualsiasi, se ritratta Silvio, invece, è una giusta puntualizzazione a chi lo aveva colpevolmente frainteso.
Un grande innovatore. Quando non funzionano il metodo uno e il metodo due, il rilancio è una buona tecnica. Silvio ne spara una delle sue? Tutti pensano che è matto, ma un buon ragionamento a pera intriso nella malafede potrebbe sostenere che: bravo!, ha rotto le convenzioni e smascherato l'ipocrisia dominante (tendenza Ferrara). La rivendicazione («ha fatto bene») spiazza il senso comune e para il colpo. E al contempo prepara il terreno alle future cazzate del capo (rivendicata questa, le puoi rivendicare tutte, non c'è problema). Attenzione, il meccanismo è delicato: si rischia, rovesciando troppo la realtà, di cadere nel comico (esempio: «gli colpì violentemente un pugno con lo stomaco»).
La spectre. Quando proprio la cazzata è enorme e incalcolabile, si può sempre dare la colpa ai comunisti. I comunisti italiani controllano la stampa italiana, quella straniera, le principali cancellerie d'Europa, l'intero Spd tedesco, scrivono i discorsi ai deputati europei di altre nazioni e riescono addirittura a provocare (magia nera? Voodoo? Ventroloquìa?) le parole di Silvio con cui lui, vittima dei comunisti, si fa autogol. Stupisce davvero che con tutto questo potere sciamanico i comunisti in Italia contino come il due di picche.
La Patria. Ultimo arrivato tra gli accorgimenti di stimolo all'overdose di piaggeria, lo spirito nazionale. Se per sei mesi «comandiamo» in Europa potrebbe essere una buona occasione di diventare europei. E invece ecco che ci si chiede di diventare «più italiani». Se tra Silvio e il deputato tedesco vi trovate più in sintonia con il secondo, se tra Silvio i verdi sbertucciati da Silvio scegliete i verdi, eccovi accusati di intelligenza col nemico, antipatriottici, disfattisti. Silvio è l'Italia, equazione davvero disperante ma comprensibile in un paese dove essere bipartisan ha un solo significato: essere partisan di Silvio.
Come si vede, le tecniche di difesa del capo da parte della stampa controllata dal capo sono molte e varie. Il problema è che vengono applicate tutte insieme, disordinatamente e il rischio di farsi male da soli (fuoco amico) è sempre più consistente. Urge verifica, un paio di paginette via fax dovrebbero bastare. Dopotutto siamo un paese avanzato, che tutta l'Europa invidia. E anche l'unico dove un ex informatore della Cia scrive i discorsi al primo ministro.
CONTRORDINE
Manuale di corte
ALESSANDRO ROBECCHI
Ilavori usuranti, le mansioni più misere e umilianti, il servilismo d'ufficio, inteso come atto dovuto. Come non solidarizzare con tutti i lavoratori italiani costretti a simili mortificazioni? E come non essere vicini dunque, in questi tristi momenti, a tutti i gazzettieri, e colleghi, e commentatori, e direttori delle testate di Silvio e a tutti quelli in qualche modo collegati e/o controllati? Abbiate pietà: è gente che si alza alla mattina e si accinge ad arrampicarsi sugli specchi, che il suo editore di riferimento ha provveduto a insaponare durante la notte. Uno sport estremo, una quotidiana fatica di Sisifo che consiste ogni giorno nel plasmare la realtà in modo che si adatti all'ultima mattana del padrone. Sono dipendenti, in un modo o nell'altro, dell'impero mediatico del capo. Poi ci sono gli aspiranti, gente di cui è stato magari un giorno ventilato questo o quell'incarico a corte e che dunque, giustamente, danno prove di fedeltà preventiva. E' chiaro che un simile dispiego di intelligenze ha bisogno di un coordinamento, o perlomeno di alcune regole di comportamento. Ci dev'essere un decalogo da qualche parte, riservatissimo, dal titolo: Come affrontare l'ultima cazzata del capo. Un manuela di sopravvivenza per cortigiani, di cui crediamo di aver individuato alcuni punti.
Non è successo niente. La strategia del finto tonto è la prima mossa. Non è successo niente, la gaffe, o l'errore politico, o il guaio del capo semplicemente non c'è o viene sminuito a dettaglio e curiosità. Tutti hanno notato gli omissis del Tg1 sulla figuraccia europea di Silvio, ma nessuno ha lodato il Tg4, che ha aperto il suo notiziario lo stesso giorno con un'entusiasmante intervista a Folco Quilici sulla temperatura del Mediterraneo.
Mi hanno frainteso. Come il mal di denti alle interrogazioni di fisica, è un metodo banale ma rischia di funzionare ancora. Si dice una cosa, poi si dice che non la si è detta. Qui la differenza tra un grande editore, primo ministro e boss dei media e un uomo normale è evidente: se ritratta l'uomo normale è un pirla qualsiasi, se ritratta Silvio, invece, è una giusta puntualizzazione a chi lo aveva colpevolmente frainteso.
Un grande innovatore. Quando non funzionano il metodo uno e il metodo due, il rilancio è una buona tecnica. Silvio ne spara una delle sue? Tutti pensano che è matto, ma un buon ragionamento a pera intriso nella malafede potrebbe sostenere che: bravo!, ha rotto le convenzioni e smascherato l'ipocrisia dominante (tendenza Ferrara). La rivendicazione («ha fatto bene») spiazza il senso comune e para il colpo. E al contempo prepara il terreno alle future cazzate del capo (rivendicata questa, le puoi rivendicare tutte, non c'è problema). Attenzione, il meccanismo è delicato: si rischia, rovesciando troppo la realtà, di cadere nel comico (esempio: «gli colpì violentemente un pugno con lo stomaco»).
La spectre. Quando proprio la cazzata è enorme e incalcolabile, si può sempre dare la colpa ai comunisti. I comunisti italiani controllano la stampa italiana, quella straniera, le principali cancellerie d'Europa, l'intero Spd tedesco, scrivono i discorsi ai deputati europei di altre nazioni e riescono addirittura a provocare (magia nera? Voodoo? Ventroloquìa?) le parole di Silvio con cui lui, vittima dei comunisti, si fa autogol. Stupisce davvero che con tutto questo potere sciamanico i comunisti in Italia contino come il due di picche.
La Patria. Ultimo arrivato tra gli accorgimenti di stimolo all'overdose di piaggeria, lo spirito nazionale. Se per sei mesi «comandiamo» in Europa potrebbe essere una buona occasione di diventare europei. E invece ecco che ci si chiede di diventare «più italiani». Se tra Silvio e il deputato tedesco vi trovate più in sintonia con il secondo, se tra Silvio i verdi sbertucciati da Silvio scegliete i verdi, eccovi accusati di intelligenza col nemico, antipatriottici, disfattisti. Silvio è l'Italia, equazione davvero disperante ma comprensibile in un paese dove essere bipartisan ha un solo significato: essere partisan di Silvio.
Come si vede, le tecniche di difesa del capo da parte della stampa controllata dal capo sono molte e varie. Il problema è che vengono applicate tutte insieme, disordinatamente e il rischio di farsi male da soli (fuoco amico) è sempre più consistente. Urge verifica, un paio di paginette via fax dovrebbero bastare. Dopotutto siamo un paese avanzato, che tutta l'Europa invidia. E anche l'unico dove un ex informatore della Cia scrive i discorsi al primo ministro.
PENA MORTE: 4.078 ESECUZIONI NEL 2002, IN TESTA CINA E IRAN
(servizio Ansa)
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ROMA - Lo scorso anno sono state compiute nel mondo 4.078 esecuzioni, un po' in calo rispetto al 2001, quando erano state 4.700. Ben 3.138 (il 77% del totale) sono state effettuate in Cina, il Paese che continua a detenere il record mondiale.
Nel complesso, 34 i Paesi che nel 2002 hanno fatto ricorso alla morte di stato: in Asia si sono svolte 3.925 esecuzioni, in Africa 63, in Europa 19 (15 in Russia, 3 in Biellorussia e 1 in Georgia). 71 (di cui su 3 minori) le esecuzioni avvenute negli Usa. Nel 2003, Cuba ha ripreso le esecuzioni giustiziando 3 persone.
E' il desolante quadro sulla pena di morte nel mondo contenuto nel rapporto 2003, curato annualmente dall'associazione 'Nessuno tocchi Caino', presentato oggi. I Paesi nel mondo dove ancora vige questo tipo di pena sono 66; 52 sono dittatoriali o illiberali. Ma si muore per mano del boia anche nei paesi democratici come gli Stati Uniti, l'India, il Giappone, la Tailandia, Taiwan. Cina, Iran e Iraq i primi paesi boia del 2002. La classifica continua con l'Arabia Saudita (49), il Sudan (40), il Vietnam (34), il Kazakistan (31), il Tagikistan (25). In circa dieci anni, 33 paesi hanno rinunciato a praticare la pena di morte (lo scorso anno e' avvenuto, ad esempio, in Serbia e Montenegro, a Timor Est, in Guatemala). Molti dei Paesi che ancora vi fanno ricorso non forniscono statistiche ufficiali, perche' l'argomento e' considerato segreto di stato. Decapitazioni, lapidazione, impiccagione, fucilazione, iniezione letale sono le forme piu' diffuse scelte dai governi per trasmettere la morte. Ecco una sintesi del fenomeno.
- CINA. Secondo stime, dal 1998 al 2001 sono state mandate a morte 15 mila persone per presunti crimini. Nel 2002 si ritiene siano state 3.138. Anche lo scorso anno si sono registrate voci relative alla pratica degli espianti di organi di condannati a morte poi venduti per i trapianti.
-IRAN. Salgono le esecuzioni in questo paese: da 198 nel 2001 a 316 nel 2002, fra cui una donna lapidata.
-IRAQ. Le esecuzioni registrate sono state 214 esecuzioni contro le 179 dell'anno precedente. Il maggiore dei figli di Saddam Hussein, Uday, era considerato un patito delle esecuzioni pubbliche e, con il fratello Qusay, avrebbe firmato 10 mila decreti di esecuzione. Insieme alla morte altra pena era la tortura, come le lingue mozzate e la marchiatura sulla fronte. Il regime iracheno per svuotare le carceri effettuava esecuzioni di massa fino a centinaia di detenuti alla volta. Esecuzioni in massa si sono verificate anche nel 2002.
-STATI UNITI. Nel 2002 le esecuzioni sono leggermente aumentate (71 contro 66). Dei 38 stati su 50 che prevedono la pena di morte solo 13 hanno compiuto esecuzioni capitali. Il Texas da solo ha compiuto 33 esecuzioni; sempre il Texas ha giustiziato minorenni, 3 nel 2002, tutti neri. Dei 21 minorenni giustiziati in Usa dal 1976, 13 sono stati uccisi in questo Stato. Il rapporto ricorda che nel gennaio 2003, il Governatore dell'Illinois, Gorge Ryan (che firma l'introduzione del rapporto), come ultimo atto del suo mandato, ha commutato in ergastolo le condanne a morte di 167 detenuti nel braccio della morte e ha liberato 4 persone della cui innocenza si era personalmente convinto. Anche il suo successore, Rod Blagojevich, ha continuato la moratoria.
-GIAPPONE. Si rischia la pena di morte per 13 reati. 2 le esecuzioni avvenute lo scorso anno. Di solito si effettuano durante le pause parlamentari.
-TAILANDIA. Una decina le esecuzioni nel 2002. Non c'e' preavviso prima di un'esecuzione. Le esecuzioni avvengono cosi': i prigionieri stanno con le mani dietro la schiena legate ad un palo e vengono fucilati con una mitragliatrice.
-AFGHANISTAN. Nel 2002 per la prima volta dopo moltissimi anni non si sono registrate esecuzioni e vi e' stata una sola condanna a morte. Nel 2001, l'ultimo anno di regime dei talebani, le esecuzioni erano state almeno 68.
PERCHE' LA CONDANNA DI MORTE. Nel 2002 almeno 773 esecuzioni sono state effettuate in 18 paesi o territori a maggioranza musulmana, molte delle quali ordinate da tribunali islamici in base a una stretta applicazione della Sharia. La morte di stato arriva anche per blasfemia (come a Teheran) e per reati legati alla droga: la Cina celebra frequentemente la giornata internazionale contro la droga con un'ondata di esecuzioni pubbliche (nel solo 26 giugno 2002 sono state 64). Dal 1991 l'Iran ha giustiziato circa 5 mila spacciatori di droga. Singapore che e tra i paesi con la piu' alta percentuale di esecuzioni rispetto alla popolazione, piu' della meta' delle persone impiccate erano state condannate per traffico di droga. Pena di morte anche: - per 'terrorismo'; in molti Paesi sono state approvate leggi antiterrorismo che prevedono - afferma il rapporto - ''la pena capitale e, in nome della lotta al terrorismo internazionale, sono state perseguite e giustiziate persone in realta' coinvolte nella opposizione al regime, come e' accaduto, ad esempio, da parte dei russi nei confronti dei ceceni e da parte dei cinesi contro i militanti islamici dello Xiniang, dei Tibetani e del Falun Gong''.
-Per appartenenza a movimenti spirituali: dal 1983, piu' di 23 mila persone sono state arrestate in Cina per pratiche religiose non autorizzate, almeno 123 sono state condannate a morte. -Per reati politici e di opinione: nell' aprile 2002 sono stati impiccati in Iran quattro residenti a Esfahan arrestati dopo scontri con la polizia, accusati di 'teppismo' e 'aggressione'. -Per reati sessuali: molte delle esecuzioni in Arabia Saudita sono state inflitte per omicidi, stupri e traffico di droga ma il 1 gennaio 2002 tre omosessuali sono stati decapitati per sodomia. Il rapporto e' dedicato al presidente del Kenya, Mwai Kibaki per aver annunciato, dopo la vittoria elettorale, di voler abolire la pena di morte e per aver commutato in ergastolo le condanne a morte di 195 detenuti e averne liberato 28.
07/07/2003 14:57
4.7.03
il testo stenografato del discorso di Schulz che ha fatto inquietare Berlsusconi
?Schulz (PSE). ? Signor presidente, signore e signori! Innanzitutto, voglio rivolgermi al collega Poettering. Il collega Poettering ha appena elogiato in maniera euforica le competenze giunte dall’Italia sul bancone del Consiglio: Berlusconi, Fini, Frattini, Buttiglione ? ho temuto elencasse anche Maldini e Del Piero e Garibaldi e Cavour, ma si è dimenticato una persona, ovvero il signor Bossi. Anche lui è membro di questo Governo e la più sparuta dichiarazione che fa quest’uomo è peggio di tutto ciò, contro il quale questo Parlamento ha preso decisioni contro l’Austria e la partecipazione della Fpoe al Governo austriaco. Anche di lui dovremmo parlare.
(applausi)
Signor presidente del Consiglio, Lei non è responsabile per il quoziente d’intelligenza dei suoi ministri, ma lo è per quel che dicono. Le dichiarazioni di Bossi, il suo ministri per la politica d’immigrazione, che Lei ha citato nel Suo discorso, non sono minimamente compatibili con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Lei, in qualità di presidente di turno del Consiglio, è chiamato a difendere questi valori. Allora, li difenda dal suo ministro!
Vorrei riprendere quanto detto dal collega Di Pietro in quest’assise. Il virsu del conflitto d’interesse, ha detto, non deve propagarsi a livello europeo. In questo ha ragione e da giorni in quest’aula siamo in difficoltà. Perché tutti dicono: state attenti a non criticare Berlusconi per quel che succede in Italia, perché tutto ciò non ha nulla a che vedere con il Parlamento europeo. Perché? L’Italia non è forse membro dell’Unione europea?
(applausi)
Certo che ha a che vedere con quest’assise. E Le dico perché: per quello che Lei fa come presidente del Consiglio italiano ne deve discutere con le colleghe e i colleghi del Parlamento italiano, eletti pr questo. Ma quello che fa come presidente di turno del Consiglio (europeo), per quello siamo competenti noi, qui. Allora Le dico: Lei ha usato un concetto: Europol, ma non ne ha usati altri tre, che Le voglio ricordare, chiedendole se in merito a questi tre punti ha qualcosa da dire. Cosa intende fare per accellerare l’istituzione di una procura europea?
(applausi)
Cosa intende fare per accellerare l’entrata in vigore del mandato di arresto europeo? Cosa intende fare per il reciproco riconoscimento di documenti processuali nei procedimenti che valicano i confini nazionali? In questo, tra l’altro, ci sarebbe bisogno di qualche riforma nel suo paese, per quanto riguarda la prova dell’originalità dei documenti. Se Lei introducesse nel suo paese una riforma, infatti, il mandato di cattura europeo potrebbe entrare in vigore più velocemente.
Son comunque contento, che Lei possa sedere oggi qui e io sia in grado di discutere con Lei. Questa è una cosa che dobbiamo non da ultimo a Nicole Fontaine. Perché se Nicole Fontaine non fosse riuscita così bene a dilungare i procedimenti sull’immunità di Berlusconi e Dell’Utri, il Suo assistente, che oggi una volta tanto, è presente in aula, allora Lei non avrebbe più l’immunità che Le serve. Anche questa è una verità che oggi va detta in quest’assise.
(commenti)?
?Schulz (PSE). ? Signor presidente, signore e signori! Innanzitutto, voglio rivolgermi al collega Poettering. Il collega Poettering ha appena elogiato in maniera euforica le competenze giunte dall’Italia sul bancone del Consiglio: Berlusconi, Fini, Frattini, Buttiglione ? ho temuto elencasse anche Maldini e Del Piero e Garibaldi e Cavour, ma si è dimenticato una persona, ovvero il signor Bossi. Anche lui è membro di questo Governo e la più sparuta dichiarazione che fa quest’uomo è peggio di tutto ciò, contro il quale questo Parlamento ha preso decisioni contro l’Austria e la partecipazione della Fpoe al Governo austriaco. Anche di lui dovremmo parlare.
(applausi)
Signor presidente del Consiglio, Lei non è responsabile per il quoziente d’intelligenza dei suoi ministri, ma lo è per quel che dicono. Le dichiarazioni di Bossi, il suo ministri per la politica d’immigrazione, che Lei ha citato nel Suo discorso, non sono minimamente compatibili con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Lei, in qualità di presidente di turno del Consiglio, è chiamato a difendere questi valori. Allora, li difenda dal suo ministro!
Vorrei riprendere quanto detto dal collega Di Pietro in quest’assise. Il virsu del conflitto d’interesse, ha detto, non deve propagarsi a livello europeo. In questo ha ragione e da giorni in quest’aula siamo in difficoltà. Perché tutti dicono: state attenti a non criticare Berlusconi per quel che succede in Italia, perché tutto ciò non ha nulla a che vedere con il Parlamento europeo. Perché? L’Italia non è forse membro dell’Unione europea?
(applausi)
Certo che ha a che vedere con quest’assise. E Le dico perché: per quello che Lei fa come presidente del Consiglio italiano ne deve discutere con le colleghe e i colleghi del Parlamento italiano, eletti pr questo. Ma quello che fa come presidente di turno del Consiglio (europeo), per quello siamo competenti noi, qui. Allora Le dico: Lei ha usato un concetto: Europol, ma non ne ha usati altri tre, che Le voglio ricordare, chiedendole se in merito a questi tre punti ha qualcosa da dire. Cosa intende fare per accellerare l’istituzione di una procura europea?
(applausi)
Cosa intende fare per accellerare l’entrata in vigore del mandato di arresto europeo? Cosa intende fare per il reciproco riconoscimento di documenti processuali nei procedimenti che valicano i confini nazionali? In questo, tra l’altro, ci sarebbe bisogno di qualche riforma nel suo paese, per quanto riguarda la prova dell’originalità dei documenti. Se Lei introducesse nel suo paese una riforma, infatti, il mandato di cattura europeo potrebbe entrare in vigore più velocemente.
Son comunque contento, che Lei possa sedere oggi qui e io sia in grado di discutere con Lei. Questa è una cosa che dobbiamo non da ultimo a Nicole Fontaine. Perché se Nicole Fontaine non fosse riuscita così bene a dilungare i procedimenti sull’immunità di Berlusconi e Dell’Utri, il Suo assistente, che oggi una volta tanto, è presente in aula, allora Lei non avrebbe più l’immunità che Le serve. Anche questa è una verità che oggi va detta in quest’assise.
(commenti)?
1.7.03
Intervista alla radio francese. E nasce un caso con il Quirinale. L?Ulivo: ora nessun documento bipartisan sul semestre europeo
Ue, l'attacco di Berlusconi
"I giudici? Un cancro. La stampa? Dominata dalla sinistra"
da Repubblica - 1 luglio 2003
Intervista alla radio francese. Il portavoce Bonaiuti costretto a rettificare le parole del premier sul Quririnale
L'anatema di Berlusconi
Accuse a giudici e stampa. "Il lodo voluto da Ciampi"
GIANLUCA LUZI
ROMA - I giudici «sono il peggio» e in Italia «c?è un cancro da curare: la politicizzazione della magistratura». E poi «l?impunità non è la mia ma dei giudici che muovono accuse false , sono ancora al loro posto e sono quasi organici ai partiti della sinistra». Quanto agli attacchi della stampa di mezzo mondo, sono orchestrati dalla «stampa italiana di sinistra che mi fa la guerra da quando sono sceso in campo e da quando hanno perso le elezioni». Alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, che comincia oggi, Berlusconi scatena una nuova violenta polemica contro la magistratura, i media italiani ed europei e contro l?opposizione, che solo il giorno prima aveva offerto una disponibilità per garantire il successo del semestre italiano. E, sostenendo la propria estraneità alla legge sull?immunità, non esita a tirare in ballo il presidente della Repubblica quale «sostenitore» della legge medesima. Uno sgarbo istituzionale talmente evidente da costringere il portavoce Bonaiuti a una correzione.
Parlando in francese alla radio Europe 1, il presidente del consiglio - che domani illustrerà al Parlamento europeo di Strasburgo le linee della sua presidenza - ha scelto i toni da campagna elettorale nel tentativo di convincere l?opinione pubblica europea che è in atto un complotto contro di lui da parte della sinistra alleata con i magistrati e gli organi di informazione. Dopo aver definito i giudici «il peggio», Berlusconi dice alla radio francese che vuole curare «il cancro» della «magistratura politicizzata» con una «drastica riforma della giustizia per rendere i giudici imparziali». Quanto ai magistrati di Milano che lo hanno messo sotto processo «sono sicuri di non poter arrivare a una condanna, ma vogliono gettare un?ombra su di me, sul mio partito, sulla mia coalizione».
Berlusconi respinge l?accusa di aver voluto la legge sull?immunità a suo uso e consumo. Si tratta invece di una «iniziativa parlamentare sostenuta dal presidente della Repubblica», a cui lui, il premier, era «contrario». In serata il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, ha precisato che la legge sull?immunità delle più alte cariche dello Stato è «una iniziativa parlamentare che non è stata promossa dal presidente del consiglio, che si è realizzata completamente nell?ambito parlamentare e alla quale il presidente della Repubblica è ovviamente estraneo, come in realtà è estraneo a tutte le iniziative legislative». I toni di Berlusconi nell?intervista radiofonica sono quelli di una campagna elettorale. In Italia è in corso «una grande lotta tra la maggioranza moderata rappresentata da me e dalla mia coalizione e la sinistra», in cui i comunisti «sono ancora molto forti». Per Berlusconi «non è mai stata così chiara la divisione tra i moderati e gli estremisti, l?amore e l?odio, il bene e il male, la verità e la menzogna». E tra le «menzogne» Berlusconi ci mette anche l?accusa di controllare i media. Anzi«una doppia menzogna» perché «le tre tv pubbliche sono molto libere e il 75 per cento dei giornalisti è di sinistra». A Mediaset i giornalisti «vogliono mostrarsi completamente liberi» e quindi criticano il governo. Quanto alla stampa, afferma il presidente del consiglio, «è all?85 per cento a sinistra contro i moderati».
Ue, l'attacco di Berlusconi
"I giudici? Un cancro. La stampa? Dominata dalla sinistra"
da Repubblica - 1 luglio 2003
Intervista alla radio francese. Il portavoce Bonaiuti costretto a rettificare le parole del premier sul Quririnale
L'anatema di Berlusconi
Accuse a giudici e stampa. "Il lodo voluto da Ciampi"
GIANLUCA LUZI
ROMA - I giudici «sono il peggio» e in Italia «c?è un cancro da curare: la politicizzazione della magistratura». E poi «l?impunità non è la mia ma dei giudici che muovono accuse false , sono ancora al loro posto e sono quasi organici ai partiti della sinistra». Quanto agli attacchi della stampa di mezzo mondo, sono orchestrati dalla «stampa italiana di sinistra che mi fa la guerra da quando sono sceso in campo e da quando hanno perso le elezioni». Alla vigilia della presidenza italiana del semestre europeo, che comincia oggi, Berlusconi scatena una nuova violenta polemica contro la magistratura, i media italiani ed europei e contro l?opposizione, che solo il giorno prima aveva offerto una disponibilità per garantire il successo del semestre italiano. E, sostenendo la propria estraneità alla legge sull?immunità, non esita a tirare in ballo il presidente della Repubblica quale «sostenitore» della legge medesima. Uno sgarbo istituzionale talmente evidente da costringere il portavoce Bonaiuti a una correzione.
Parlando in francese alla radio Europe 1, il presidente del consiglio - che domani illustrerà al Parlamento europeo di Strasburgo le linee della sua presidenza - ha scelto i toni da campagna elettorale nel tentativo di convincere l?opinione pubblica europea che è in atto un complotto contro di lui da parte della sinistra alleata con i magistrati e gli organi di informazione. Dopo aver definito i giudici «il peggio», Berlusconi dice alla radio francese che vuole curare «il cancro» della «magistratura politicizzata» con una «drastica riforma della giustizia per rendere i giudici imparziali». Quanto ai magistrati di Milano che lo hanno messo sotto processo «sono sicuri di non poter arrivare a una condanna, ma vogliono gettare un?ombra su di me, sul mio partito, sulla mia coalizione».
Berlusconi respinge l?accusa di aver voluto la legge sull?immunità a suo uso e consumo. Si tratta invece di una «iniziativa parlamentare sostenuta dal presidente della Repubblica», a cui lui, il premier, era «contrario». In serata il portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, ha precisato che la legge sull?immunità delle più alte cariche dello Stato è «una iniziativa parlamentare che non è stata promossa dal presidente del consiglio, che si è realizzata completamente nell?ambito parlamentare e alla quale il presidente della Repubblica è ovviamente estraneo, come in realtà è estraneo a tutte le iniziative legislative». I toni di Berlusconi nell?intervista radiofonica sono quelli di una campagna elettorale. In Italia è in corso «una grande lotta tra la maggioranza moderata rappresentata da me e dalla mia coalizione e la sinistra», in cui i comunisti «sono ancora molto forti». Per Berlusconi «non è mai stata così chiara la divisione tra i moderati e gli estremisti, l?amore e l?odio, il bene e il male, la verità e la menzogna». E tra le «menzogne» Berlusconi ci mette anche l?accusa di controllare i media. Anzi«una doppia menzogna» perché «le tre tv pubbliche sono molto libere e il 75 per cento dei giornalisti è di sinistra». A Mediaset i giornalisti «vogliono mostrarsi completamente liberi» e quindi criticano il governo. Quanto alla stampa, afferma il presidente del consiglio, «è all?85 per cento a sinistra contro i moderati».