29.11.03

IL CONDOMINIO

(parte del monologo di Paolo Rossi al "Varietà di protesta" dell'Auditorium)

Facciamo che Andreotti è stato l'amministratore del nostro condominio per 50 anni. Certo, non era sempre lui l'amministratore, ma comunque lui stava sempre lì, non stava in portineria.
E ammettiamo …
Voi tutti avrete partecipato a quelle manifestazioni di eleganza, educazione civica ed educazione che sono le riunioni condominiali. Giusto?
Ammettiamo che un uomo qualsiasi, un omino, si alza e chiede la parola nell'assemblea condominiale.
Ragioniamo col buonsenso, cominciamo almeno ad usare quello, ragazzi.
Si alza e dice:
Amministratore Andrea Giuliotti [non si sa mai... ho messo un paletto]
- le ricordo che noi al piano terra abbiamo un night rumoroso e pieno di malfattori, scusi non sono abituato a parlare alle riunioni, che Lei si era impegnato a combattere e sfrattare. Ora, io non so se è vero quello che dice la portinaia, che sostiene che Lei ha baciato il proprietario del night lingua in bocca. Quella è la sua vita, è la sua privacy. Quello che so però, è che non ha mai perorato la nostra causa.
- Secondo, mi scusi, quell'ascensore di quella vecchia marca DC9, quello che è saltato in aria con tutti dentro … sì lo so, che è stato per colpa di quella famiglia di libici del condominio di fronte che hanno sparato il petardo, ma … ma era giugno, non era capodanno!
- Terzo. Si ricorda quando ci ha espropriato le cantine per affittarle a quella ditta di export import, la Gladio S.p.A., che Lei sosteneva facessero armi giocattolo. Armi giocattolo un cazzo: il figlio della portinaia c'ha giocato e c'ha perso un occhio. Comunque: che fine hanno fatto questi simpatici imprenditori?
- Quattro. Sto prendendo confidenza. Alla luce dei fatti, io mi chiedo se lo sfortunato scoppio della caldaia nella filiale della Banca sotto casa non avesse a che fare con questa ditta.
- Cinque. Si ricorda quell'anno in agosto? Beh, io me lo ricordo. Io stavo andando alla stazione e per colpa di una valigia è saltato in aria l'appartamento dei Bologna, famiglia che a Lei è sempre stata sui coglioni.
- Sei. Si ricorda il contabile della banca, che lavorava anche nella sua parrocchia, che dopo aver litigato con tutti s'è impiccato alla ringhiera sui tubi innocenti neri dei frati di un ponte di un condominio inglese?
- Sette. Lei a un certo punto, mi scusi, perché no, si mise a fare dei favoritismi a certi condomini per quel club privé: P2. Come no. La dicitura dei pulsanti l'ha cambiata: erano all'ottavo piano e Lei l'ha messo al secondo. E lei ci andava!
- Otto. Io non posso dimenticare la fine che ha fatto il signor Aldo, che era più suo amico che mio. E' morto assiderato in macchina. Non c'era il riscaldamento in casa.
- Nove. Per non parlare del bar di fianco alla banca, che fa un caffè che sembra stricnina. Il bar Sindona, bravo. Quello lì.
- Dieci. Lasciamo perdere la ristrutturazione dell'ala sud del palazzo. Non è mai stato fatto niente.
- Undici. Il giornalaio che parlava male di Lei è sparito.
- Dodici. Recentemente, dal mio lavandino, viene su un terribile e considerevole olezzo di merda. E io volevo chiederLe: è il nuovo amministratore che ha nascosto i fondi neri in cantina, o è Lei che si sta cagando addosso?
[Si stava cagando addosso]
No, io non sto dicendo che Lei è colpevole, no. Io sto dicendo, mi scusi Giuliotti, queste son cose che sono successe, Lei era sempre in amministrazione, allora i casi sono due: o Lei sa chi è stato, oppure porta sfiga. E non credo …
No, allora io non chiedo la galera, a me la galera non piace, per nessuno. Io son fatto così. Non manderei nessuno in galera. Facciamo come si faceva nell'antica Grecia: che uno a un certo punto prende e va via. Va via e non se ne parla più. Facciamo così, meglio: io ho un amico, si chiama Adriano, sta chiuso dentro, Lei va via, lui esce, facciamo zero a zero, pari e patta, e non se ne parla … non se ne parla … più.

FREGHIERI E LA "GIOVINE ITALIANA"

(il pezzo di Corrado Guzzanti all'Auditorium, da leggersi con punti esclamativi di "littoria virilità")

A noi!
Sovversivi di terra di cielo e di mare.
Uomini, donne e balilli d'Italia.
Oggi, 23 novembre di romanissimo autunno, siamo qui alla presenza dei conti Moffa, Buffa e Molliconi, a difendere la satira!
E questa giovine italiana, il cui solo delitto è d'esser nervosa, perché ancora non ha figliato.
Noi ai tempi dell'EIAR, mai si usarono le viscose formule liberal-giolittiane della "sospesa", della "prodotta e non riprodotta", noi si cacciava! Ma non dalla radio, dall'Italia!
Però il coraggio di dirlo, perdio, che cos'è questa ipocrisia!
Questo non è un vero regime, nulla hanno imparato dalla storia. Anche noi all'inizio con Matteotti dicemmo "registra prima i tuoi interventi, poi noi li vediamo": non funzionò!
Ma io non voglio sentir parlare di regime, il regime è una cosa seria. Quando noi facemmo le leggi fascistissime avevamo già fatto il colpo di stato. Prima il "colpo" e poi le leggi, sennò la gente non capisce.
Uno straccio di "marcia" la vogliamo fare … o ci si guasta il fondotinta?
Quando da noi si parlò di televisione, il duce non s'attardò su gasparrismi confusi e digitaloidi, egli intriso di patria fino alle volitive ascelle, da subito studiò la nuova riforma: tre canali al regime, quattro al fascismo e gli ultimi due liberi, con forti disturbi elettromagnetici.
Questo non è regime. Del fascismo essi hanno tutte le idee, ma non hanno il coraggio di sostenerle con littoria virilità. Sono vili. Quello dice le cose, poi le smentisce. Fanno, disfano e aggiustano a piacer loro, ma ancora usano la parola "par condicio". Cosa c'entra, cosa vuol dire, cos'è. Par condicio. E' una bestemmia venuta male?
Il duce non smentiva mai!
Egli, dopo il delitto Cirami o il delitto Lodo Schifani, avrebbe sfidato il Parlamento. Dov'è il coraggio, dov'è l'onore!
Come motosi topi essi si vergognano di ciò che fanno, si muovono nella notte e si passano i malanni attraverso i conti correnti. Vili! E' facile nascondersi dietro Ferrara! Io ci ho parcheggiato un'Audi.
E da noi fascisti veri e littori della storia d'Italia, cosa voglio poi? Che cos'è questo cosiddetto revisionismo? Il regime benevolo. Il regime non ha mai fatto male a nessuno. Ma come, cazzo! Io stesso ho picchiato e smanganellato a destra e mancina tutti i giorni dal '22 al '38. Me lo sono sognato?
Si sarebbe subita l'alleanza con l'imbianchino austriaco? Ma come, scherziamo? Gli s'è insegnato noi! Lo si è svezzato con l'amore di una mamma littoria, lo si veniva a prendere al treno come un bimbo al ritorno dalla villeggiatura. Cosa revisionano! Questa è una milizia di avvocatucoli, commercialisti col riporto cerchiobottaio, plutocrati senza ideali, "corruttori semplici". Corruttori semplici, senza neanche la crema!
Oggi la nobile difesa della razza è un piagnucolio sconnesso da donnette, ci s'accende al riparo dei comizi padani, ma poi in Parlamento ci si nasconde dietro i farfugli e le trepide quisquilie sul lavoro e la sicurezza. Ma cosa? Ma ditelo perdio: non li vogliamo perché sono diversi! Di-ver-si!
Oggi sento dire che le leggi razziali furono un errore. Quell'altro ha dato la mano a Sharon. Chissà se gliel'ha restituita! Satira! Satira. Satira.
E voi! Voi non siete dei veri comunisti. Voi non chiedete la rivoluzione, la dittatura del proletariato. Chiedete solo libertà e giustizia. Chiedete banalmente che vengano applicate le leggi già esistenti. Che venga rispettata la Costituzione. Ma queste sono solo semplici battaglie civili. Dov'è il bolscevismo?
Vedo qui dei semplicissimi cittadini. Volete la democrazia, povere anime. Ma non capite che il problema è aritmetico. Se noi esportiamo tutta la democrazia, a noi quanta ce ne può restare?
Comunisti veri qui neanche l'ombra. E invece là si va a braccetto con quelli veri, e li si difende pure. Che cos'è questa mezza frase "il problema ceceno non esiste". E dilla almeno bene: il problema ceceno non esite più. Satira.
Italiani. Questo non è un regime, ma durerà i vent'anni e forse anche più. Perché voi li lascerete fare. Noi s'ebbe contro quel diavolo di Turati, l'odioso Gramsci, i fratelli Rosselli.
Voi chi avete. Un aventino di post-baciapile, sornioni baffettisti, demopoltronari, margheroidi damerini, marcondirondellisti!
E non sperate nel piccolo Vittorio Emanuele Ciampi. Ch'egli firma tutto. Forse pensa siano ancora cambiali.
Basta via. Il pezzo satirico è finito, manca la chiusa.
Mi auguro stavolta che ce la mettiate voi.
Per quel che ci concerne, noi s'offre ospitalità alla giovane italiana su Marte come fosse una sorella!
Che lì ce n'è di spazio e di calzerotti da lavare.
Ella in fondo è colpevole solo d'aver detto cose dette e risapute, pubblicate e ripubblicate, quindi l'unica che può farle veramente causa è la SIAE!

28.11.03

"Domenica In" censura Paolo Rossi che recita Pericle

di CURZIO MALTESE (Repubblica)

ESISTE un altro episodio di satira censurata in Rai che illustra bene il clima italiano di questi tempi. Stavolta i protagonisti sono il comico Paolo Rossi, il programma Domenica in e Pericle, statista. Qualche settimana fa il comico riceve l'invito a partecipare a Domenica in da Paolo Bonolis, suo amico ed estimatore. Rossi non va in televisione da una vita, eppure è uno degli attori più amati dal pubblico.

Da un anno riempie i teatri di tutta Italia con uno splendido spettacolo sulla Costituzione. Bonolis è uno dei pochi personaggi intelligenti, ironici e non volgari sopravvissuti in video. L'incontro è fatale. Rossi è in tournée, quindi rinvia la partecipazione per quando sarà a Roma. Gli autori di Domenica in sembrano entusiasti. Il comico, che ha una certa esperienza di Ra, chiede: "Siete proprio sicuri?". "Sì! Vieni e fai quello che ti pare!".

La settimana scorsa lo spettacolo diPaolo Rossi arriva a Roma, all'Ambra Jovinelli. Nel frattempo è scoppiato il caso Raiot. Rossi richiama gli autori di Domenica in. "Siete sempre sicuri?". La risposta è ancora sì, senza più l'esclamativo. I funzionari vorrebbero però conoscere in anticipo il testo. Rossi non ha difficoltà a rivelarlo, si tratta di un brano del suo spettacolo. Tre giorni fa, in vista della puntata di domenica prossima cui avrebbe dovuto partecipare, ecco l'ultima telefonata fra il comico e la Rai. "Allora, siete sicuri?". "No". Il testo non è piaciuto ai funzionari, l'hanno trovato troppo forte. Paolo Rossi sarà il benvenuto a Domenica in a patto che si limiti a "una presenza professionale", come per esempio la partecipazione al quiz, due battute, un po' di pubblicità alla tournée, eccetera. L'attore declina.

Il bello della storia è che il testo che Paolo Rossi doveva leggere alle platee della domenica era nientemeno che un discorso di Pericle, il padre della democrazia. Questi i passaggi incriminati. "Qui ad Atene noi facciamo così. Il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi per questo è detto democrazia. Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private. Ma in nessun caso si occupa delle pubbliche faccende per risolvere le sue questioni private. Qui ad Atene noi facciamo così, ci è stato insegnato a rispettare i magistrati e c'è stato insegnato a rispettare le leggi, anche quelle leggi non scritte la cui sanzione risiede soltanto nell'universale sentimento di ciò che è giusto e di buon senso. La nostra città è aperta ed è per questo che noi non cacciamo mai uno straniero. Qui ad Atene noi facciamo così" .

I censori, come si noterà, hanno avuto ancora ragione. Il testo è molto forte e poi non fa ridere. Si tratta, alla lettera, di un comizio politico. Pervaso da una profonda, velenosa e ossessiva intenzione polemica contro Silvio Berlusconi. La circostanza che sia stato scritto 2450 anni fa non può costituire un alibi. Una simile intemerata propagandistica poteva essere recitata sulla tivù pubblica soltanto in presenza di un contraddittorio, meglio più d'uno, per esempio davanti a Gasparri, Schifani e Calderoli.

Pericle era del resto una specie di comunista, uno che odiava i politici ricchi, per invidia naturalmente, tanto da chiamarli con disprezzo plutocrati. Responsabile anche d'aver promosso la politicizzazione del teatro, per favorire i suoi amici Eschilo e Sofocle: un vergognoso costume che gli intellettuali della Cdl stanno ora cercando di smantellare.

L'attacco diretto di Pericle al premier avrebbe oltretutto messo in imbarazzo gli autori di Domenica in, trasmissione già all'indice per il sondaggio noto come "basta con Berlusconi" , trasformato subito in "basta dire basta" .

In Italia i comici devono essere prudenti perché gli intellettuali sono assai severi con la satira, attenti alla virgola e alla minima caduta di gusto. D'altra parte il comico è un mestiere di grande responsabilità. A differenza del politico e del giornalista, si pretende che sia impeccabile.

C'è uno solo che può dire montagne di sciocchezze, rifiutare il contraddittorio anche in periodo elettorale, fare i complimenti ai corruttori e le corna ai ministri, raccontare barzellette sui malati di Aids e sull'olocausto, esaltare Mussolini e i massacri russi in Cecenia: nel totale silenzio dei nostri bravi bacchettoni. Questa però è concorrenza sleale.
Altrove ognuno ha il suo mestiere. In America la satira va in onda in prima serata e Michael Moore, nel ricevere l'Oscar, tiene un comizio satirico in mondovisione contro Bush.

Quanto a Pericle, il problema non è del tutto risolto. Il testo censurato dalla Rai rimane colpevolmente inserito in molte antologie scolastiche. Un altro effetto dell'egemonia culturale della sinistra. Storace sia coerente e ne chieda la sostituzione.

24.11.03

RAGAZZI SFORTUNATI
da Silvia Palombi

Va bene il lutto, il dolore, le lacrime, il profondissimo dispiacere ma non la retorica, la melassa a palate su questi nostri poveri cristi, non definiamo eroi dei ragazzi sfortunatissimi mandati a morire in terra straniera da un governo che ha deciso di partecipare a una guerra illegittima, preventiva, dichiarata sulla base di bugie. Mettiamo le parole giuste al posto giusto per favore e proviamo a chiudere un momento gli occhi, in modo da vederci meglio.

scena prima
In un paese senza guerra, come tutte le mattine un giovane va al lavoro, con il pranzo nella cartella che mangerà coi compagni di cantiere. Il tempo è bello forse si può mangiare all'aperto, lontano dalla polvere e scaldandosi all'ultimo sole dell'autunno. La macchina alla quale lavora il nostro giovane si inceppa ma lui è un bravo meccanico e si mette ad aggiustarla. L'ha messa a posto già tante volte che dopo pochi minuti può ricominciare a lavorare. Guarda l'orologio, manca poco alla pausa e ha fame, pensa al grande panino che la mamma gli ha preparato come ogni giorno. Oggi c'è la frittata con le cipolle, la sua preferita e una birra. Una folata di vento? un bagliore di sole? una mosca che gli da fastidio? non lo sapremo mai, sta di fatto che la macchina si rimette a funzionare alla perfezione. Con lui dentro. Quel panino con la frittata sarà l'unica cosa sua che rimarrà a sua madre, l'unica che può in qualche modo invecchiare.

scena seconda
In un paese con la guerra un soldato regolarmente armato è intento al solito noioso lavoro di controllo della zona che circonda la palazzina dove ha sede il comando del suo paese. Fa caldo, le armi pesano, gli occhi pizzicano per il sudore ma deve tenerli bene aperti. Sa fin da piccolo cosa vuol dire essere in guerra, ha partecipato ad altre, purtroppo e sa che in tutte le guerre si muore. Pur sapendo bene a cosa andava incontro è partito volontario. Gli hanno detto che la loro è una missione di pace anche se, armato fino ai denti com'è quella definizione gli suona strana. A un certo punto non capisce bene se gli arriva prima un lampo di luce negli occhi irritati o un boato nelle orecchie, però fa in tempo a sentire un odore acre, che conosce a memoria, in gola. Poi più niente. Alla madre rimarrà la sua foto in divisa, armato di dutto punto, orgogliosissimo.

Quale dei due sarà stato più sorpreso dall'arrivo della morte?
Quale dei due pesa di più sulla nostra società?
Amen.
LA FETECCHIA
da Primo Casalini, Monza

Ieri sera, nel corso de L'infedele, Sabina Guzzanti ha qualificato Giuliano Ferrara di "fetecchia", ed in tal modo lo ha steso. Poiché avevo sentito qualche volta tale termine, ma ne ignoravo il significato, ho cercato di documentarmi. Nel solito Palazzi-Folena, fetecchia non c'è, ma fetente, fetido ci sono, ed anche fetenzia, definito come comportamento o azione sleale, vile, abbietta. Questo già aiuta, e con l'ausilio di Google ho voluto approfondire. Ecco alcuni dei risultati:

e' fatte fetecchia ; sei andato a vuoto; hai preso una cantonata; non hai indovinato; non hai centrato il bersaglio; hai fatto cilecca; sei andato a buca; parola considerata a torto volgare in quanto accostata per un determinato periodo in maniera inesatta a scorreggia non rumorosa.

.dopo aver visto il Pinocchio di Comencini, ogni altra versione è una fetecchia.

Il professor Fetecchia e' dunque una persona che elargisce insulti per poi ottenere in cambio una replica che lo faccia sentire in qualche modo al centro di quelle puerili diatribe dalle quali riceve linfa e forza per andare avanti.

O'Licaone: Ex scagnozzo di Adalberto O'Muflone, ha a disposizione la nave "La Fetecchia", capitanata da Totonno O'Cuorto suo cugino. Tradisce il gruppo in cambio di pochi denari, ma la pagherà cara.

.ha forse ragione Antonio Ricci quando dice "credo che nessuno riesca a farsi tanto male quanto se ne sta facendo Berlusconi da solo, lui è il tapiro in persona ed è anche l'esempio che il tapiro è d'oro perché qualunque fetecchia può diventare ambita".

Come Wind avremo un mezzo milione di abbonati alla fetecchia, e questo dovrebbe rappresentare circa un quarto degli allocchi digitali.

Non è possibile parlare con una persona mentre nel thread arrivano esibizionisti, tifosi, fetecchia-guru da forum che non ne azzeccano una.

Questa fetecchia di casa polverosa e buia. Proviamo anche questa, disse mio padre, hai visto mai.

Amme' me pare 'na fetecchia d'idea, confida sottovoce Angiola a Yoannis Bacchus.

"Vota Antonio, Vota Antonio, Vota Antonio La Trippa" fino alla dissertazione sulla pernacchia che può essere una fetecchia al contrario.

Parecchi impegni di lavoro a Roma e a Milano, non ho avuto tempo per questa fetecchia di blog.

A questo punto, ne so quanto serve. Si potrebbe quindi ufficializzare la cosa utilizzando la denominazione di Giuliano Fetecchia Ferrara, ma facciamolo all'americana: Giuliano F. Ferrara, proprio come George W. Bush.

23.11.03

Alessandro Robecchi (il Manifesto)

Se il sottosegretario pippa la cocaina, se il deputato "brutto ma simpatico" sgancia 2.500 euro a una signorina per cinquanta minuti d'amore, sinceramente, chissenefrega? Con tutte le ondate di sentimenti popolari che ci sommergono - dal patriottismo alla retorica, alla chiamata alle armi - nessuno sente il bisogno di un'ondata di moralismo bacchettone. Semmai sarebbe il caso di spolverare un po' di senso estetico, perché lo spettacolo non è bello e di questi tempi non è rassicurante avere una "classe dirigente" che sembra uscita da un film dei Vanzina. Più che lo scandaletto in sé, come sempre, fa ridere il contorno. Coca lasciata sotto lo zerbino, vip che non pagano, macchinoni costosi, ristoranti alla moda, papponi di lusso che consigliano la strategia alle ragazze: "da quello lì devi farti fare la casa al mare". Come fiera delle vanità non è un granché, somiglia piuttosto a una giostra di periferia.
Stanchi di suonare i tromboni della retorica patriottica, i media si sono buttati a pesce sulla storia, ma ne hanno cavato pochino. Un sottosegretario, un senatore a vita, qualche esilarante trascrizione su sesso & droga, desolatamente priva di rock'n'roll. Poi, la solita gragnuola di pareri e lezioncine, da "la droga fa male" al "succede in ogni ambiente", chiacchiere in libertà adattabili a ogni notizia e situazione, dei prestampati, più o meno. Sorprendente, invece, il tono di comprensione adottato nei confronti del consumatori della cocaina dello scandalo. Se ne fanno i nomi, sì, ma si precisa che sono soltanto clienti e si bada bene - giustamente - a differenziare la loro posizione da quella dei cattivi, gli spacciatori, che la coca gliela procuravano. Sembra di capire che la stampa italiana non è ancora pronta all'imminente drug war lanciata da Gianfranco Fini, distingue ancora tra consumatori e venditori, non almanacca di dosi medie e non affronta nemmeno di striscio le implicazioni per la società. La necessità del recupero forzoso, di un politico di sottogoverno che si fa una pista di coca non è nemmeno presa in considerazione. Strana distrazione, perché se passa il disegno proibizionista già abbracciato dal governo, quella sarà invece l'emergenza nazionale prossima ventura. Chissà, forse invece di intervistare Tinto Brass per fargli dire che una scopata è comunque meglio di una pera (scusate il francesismo), era meglio provare a capire cosa rischierebbero i famosi para-vip con la legge Fini innestata e operativa. I rampolli dell'imprenditoria in comunità? Il senatore a vita, senza passaporto, che tenta il difficile cammino del recupero? Uno scenario surreale, almeno quanto quello attuale, fatto di cani antidroga nei licei e, domani, di retate anti-cannabis.
Ma c'è un altro dato interessante su come i media e l'opinione pubblica hanno reagito all'ultima pochade a base di coca e generone. E cioè il fatto che la droga in sé pare l'ultimo dei problemi e lo scandalo lo producono invece i traffichini coinvolti, l'ambiente para-malavitoso, la telefonata al pusher, il gergo adottato. Insomma, è chiaro che se il senatore, il sottosegretario, il manager o l'imprenditore si andassero a comprare la coca in farmacia, tutto questo non esisterebbe. Non dovrebbero avere contatti con gentaglia poco affidabile, non finanzierebbero la mafia dei narcos e non sarebbero ricattabili, terrorizzati di finire sul giornale. Aggiungo che tanti bravi lavoratori della giustizia e delle forze dell'ordine non avrebbero perso un anno di pedinamenti e intercettazioni per una pesca tutto sommato così mediocre. Fuori dal giro dei simil-vip di via Veneto e dintorni, la cosa sarebbe applicabile a tutti i livelli dell'uso di sostanze, giù giù fino al tossico che non ha a che fare con l'elegante intrallazzatore con la Porsche, ma con il delinquente di strada con il coltello, e che non sa nemmeno cosa compra, e ogni volta rischia la pelle. A guardarla così, persino una vicenda squallida e ridicola come l'ultimo fatterello di cronaca assume un aspetto diverso, che è quello di ridicolizzare una volta di più il proibizionismo, di svelarne la malafede e di metterne in evidenza i limiti intrinseci. Di svelare insomma il meccanismo per cui la droga si accompagna alla delinquenza soltanto perché è la delinquenza che la vende, la stessa delinquenza che, per i suoi affari, brama, desidera e anela un proibizionismo sempre più proibizionista.

21.11.03

Il diario di Sabina Guzzanti per l’Unità


Prologo
Bene la conferenza stampa. Gli sketch che abbiamo montato hanno funzionato bene, hanno riso su tutto. Il direttore di Rai 3 sembra molto convinto, si è prodigato in apprezzamenti sulla qualità dei testi, l’intelligenza e quant’altro. L’Annunziata mi ha aspettato per salutarmi e farsi fotografare con me. Sembra simpatica, dice di rivolgerci a lei se abbiamo dei problemi. Sembra che tutto fili. Continua a sembrarmi impossibile che ci mandino in onda, anche le domande dei giornalisti erano incredule, ma non sembra che ci sia un solo motivo per dubitarne.

15 Novembre
I contributi sono tutti registrati, sono tutti belli, sono molto contenta. I monologhi in studio pure sono venuti bene. Ruffini è venuto ad assistere alla registrazione. Non ha fatto nessuna obiezione. Sembrava contento.
All’ora di pausa Ruffini è andato via, mi ha salutato chiedendo: sono stato abbastanza discreto? Io scherzando gli ho risposto: puoi anche alzare un po’ la voce se vuoi, ne hai il diritto.
Sono contenta dei monologhi. Continuo a pensare che però ci chiuderanno, tutti dicono di no, Ci avrebbero fermato prima. Effettivamente se ci hanno fatto arrivare fin qui, perché dovrebbero interromperci ora? Però mi sembra strano che si possano dire le cose che dico in una tv come questa.
Se penso che questa è l’ultima occasione che ho di parlare in tv, ci sarebbero forse altre cose più importanti da dire, di quelle che ho scelto. Forse avrei dovuto fare la prima puntata sulle guerre anziché sull’informazione. Ad ogni modo è fatta. Il programma è bellissimo e siamo inattaccabili. Si arrabbieranno per la parte a metà tra la satira e l’informazione, diranno non è satira. Argomenti assurdi. In Inghilterra un sacco di programmi di satira sono così, Michael Moore fa programmi così, ma anche Striscia la Notizia contiene servizi di informazione. D’altra parte la premessa è che siccome l’informazione è scarsa e guardando la tv soprattutto è impossibile farsi un’idea di come stiano le cose, questo rende impossibile fare satira. Se faccio una battuta nessuno la capisce. Quindi se dopo avere visto il programma gli spettatori diranno, cosa ci vieni a dire, fatti che sapevamo già, vuol dire che ho avuto torto, se come penso invece la mia esposizione risulterà chiarificatrice, vuol dire che avevo ragione.

16 Novembre
Alle quattro ho quasi finito di sonorizzare la puntata, sono a metà veramente ma gli scogli più grossi sono superati. Entra Anita nella saletta di montaggio e mi dice che Salerno e Valerio mi vogliono parlare, dico ad Anita che è meglio che vengano loro da me, stiamo correndo per consegnare la cassetta in tempo. Anita mi dice: è meglio se vieni. Prima insistono perché mi sbrighi e poi mi fanno perdere venti minuti ad attraversare la Dear...? Mentre parlo capisco: ci hanno soppresso. Lo dico ad alta voce: ci hanno tagliato? Anita guarda dritto davanti a sé e dice che non lo sa. Camminiamo per i corridoi. Vedo Valerio da lontano, gli urlo: ci hanno tagliato? Ridendo. Lui dice, mi dispiace, sì. Ha chiamato Ruffini, ha detto che ci ha pensato tutta la notte, questo non è il momento storico adatto per un programma del genere. Ma in che senso? Per la strage di Nassyria? No perché la strage c’è stata mercoledì e alla conferenza stampa di giovedì, Ruffini non ha detto nulla a riguardo. Salerno dice che infatti gli ha chiesto: momento storico nel senso dei fatti di Nassyria? E Ruffini ha replicato, no, momento storico in generale. Ha detto che il programma non è in linea con lo spirito della rete. Siamo sconcertati. Pensiamo subito che abbia subìto forti pressioni da qualcuno.
Come può avere cambiato radicalmente opinione dalla mattina alla sera? Forse qualcuno gli ha detto, visto che dopo la Gasparri ve ne andate comunque tutti a casa, se invece dimostri d’essere bravo in questa circostanza puoi restare o ti diamo un altro posto. Indiciamo subito una conferenza stampa. I giornalisti insistono a chiederci cosa c’è dietro, come si spiega un gesto così folle? I soldi buttati per metterlo in piedi, perché non ci hanno pensato prima? Arrivano telefonate di solidarietà da un sacco di gente, da Beppe Grillo a Di Pietro, Santoro, sono tutti esterrefatti. Ci arriva la notizia da una giornalista di Repubblica che l’Annunziata avrebbe convinto Ruffini a ripensarci.
Noi non abbiamo ricevuto nessuna telefonata. La giornalista insiste a dire che andremo in onda. Rispondiamo, se vogliono che andiamo in onda bisogna che ce lo comunichino.
Arriva la notizia ufficiale alle 19 circa. La puntata non è finita, non c’è più tempo per fare quello che volevamo fare. Ci precipitiamo alla Dear per migliorare quello che si può. Alcuni sketch avranno le risate sotto altri no. Anche la musica non facciamo in tempo a metterla. Mettiamo il suono della goccia che cade sulle immagini finali. Mentre Igor e il montatore finiscono di pulire la cassetta io, Anita, Giovanna, Salerno, Valerio, Valentina, Max e Mercuzio aspettiamo nel corridoio e cerchiamo di capire che sta succedendo. Ognuno ha la sua teoria. Certo ci hanno fatto alla fine un sacco di pubblicità, gli sciocchini. Se l’ascolto sarà alto non ci possono fare nulla.
Forse Ruffini ha fatto questa mossa per condividere la responsabilità della messa in onda con qualcun altro. L’hanno convinto a metterlo in onda, ma lui l’aveva detto che non si doveva. Io dico quello che succederà secondo me: lo mandano in onda e poi ci danno tutti addosso dicendo che il programma è brutto. Vengo ricoperta da una marea di buuuu. Non possono dire che è brutto sostengono. È elegante, intelligente, ha un ritmo fortissimo, è pieno di cose esilaranti, ricchissimo, pieno di idee, originale pure nella forma. Con quello che si vede in televisione come fanno a dire che questo è brutto? Mi innervosisco. Non ho detto che hanno ragione di dirlo, ma lo diranno. Questo è il meccanismo che si ripete sempre. Se per incidente riesce a passare un pensiero diverso dal pensiero unico, ti attaccano dicendo che è volgare, che non è satira, che sì alcune cose funzionano ma nel complesso è ingenuo, o inadeguato o altre minchiate.
Insistono a dire che mi sbaglio. Accetto scommesse dico io. Non so cosa si inventeranno per attaccarci, ti sorprendono sempre ma ci attaccheranno. Il consiglio di amministrazione della Rai ha bisogno di un motivo per chiuderci.
La sera guardiamo il programma in una ventina di persone. Ridono tutti. Funziona. Finito il programma i telefoni cominciano a squillare. Fioccano congratulazioni e ringraziamenti da tutte le parti. Non mi era mai successo di ricevere tanti complimenti da quando faccio tv.

17 Novembre
alle 10.30 mi telefona Salerno. Abbiamo fatto il botto. In che senso domando, si sono incazzati tutti? No, abbiamo fatto il 18,37% di media di ascolto. quando il programma è cominciato Rai 3 era al 7% circa dopo due minuti siamo saliti all’11% e abbiamo continuato a salire fino ad arrivare a quasi il 26%. È il record storico di Rai3. abbiamo battuto tutte le altre reti da Rai1 a Canale cinque. È una vittoria incredibile! Ma che bello. Ti hanno chiamato dal settimo piano per farti i complimenti? No, nemmeno Ruffini ha chiamato.
Altra bella notizia, sono arrivate una tonnellata di e-mail e continuano ad arrivare. Il numero è impressionante, sono tutte belle, chi scrive poesie, ringraziamenti, complimenti, chi dice che è come se si fosse accorto d’essere anestetizzato, che sentire dire quello che abbiamo detto l’ha come svegliato. Ne arrivano tantissime così. Moltissimi chiedono di vederci in prima serata. Alle 13 ci vediamo per fare il punto nell’ufficio di Valerio. Pare che chiuderanno il programma. Mercoledì si riunirà il CdA per decidere e decideranno di chiudere. Pare che l’Annunziata si sia inviperita. Pare che questo attacco venga più dal centro sinistra che dal centro destra, da una parte del centrosinistra. Nel senso, anche la destra ci avrebbe attaccato ma non hanno fatto in tempo. Uno dei Ds ha detto che non è il momento per dire certe cose, verrà il giorno, ma non è il momento.
Questo è l’arco del dibattito possibile, si può o essere di destra o pensare che non è il momento per avere un’opinione diversa. Su tutto, sulla guerra, sulla libertà d’espressione, se sei all’opposizione in modo responsabile, sei uno che capisce che non è il momento di opporsi.
Per questo la parodia dell’Annunziata è sacrosanta, perché incarna perfettamente questo punto di vista. Pare che si asterrà nella votazione su raiOt, il presidente di garanzia. Altri guai: Mediaset pare abbia fatto causa alla Rai, più probabilmente ha detto che avrebbe fatto causa, ma questo non è un vero problema.
Loro fanno sempre causa, poi spesso la ritirano. La fanno perché se minaccio fai causa, la direzione della Rai può dire: questo programma danneggia l’azienda e avere uno straccio di argomento in mano per chiuderti. Se la sarebbero presa per i dati sugli spostamenti della pubblicità, ma su questo c’è poco da dire. Sono dati ufficiali pubblicati su La Repubblica di luglio e mai smentiti. Non ti puoi seccare perché una cosa scritta sul giornale la leggono e la capiscono in pochi mentre detta in televisione diventa chiara a tutti.
O è vera o non è vera. L’altra cosa sgradevole è che la comunità ebraica di Milano nella persona di Lu... si è seccata perché ho detto: razza ebraica. Vogliono che mi scusi. Non mi scuso perché l’ho detto in un contesto inequivocabile e appropriato. Ho detto: perché la risposta al sondaggio UE viene considerata antisemita? La risposta è stata: ?Israele?, mica: ?razza ebraica? Sottintendendo: se la risposta fosse stata: ?razza ebraica? sarebbe stata antisemita. Quindi ho usato l’espressione giusta al momento giusto. E questa storia che tutte le volte che si critica la politica di Israele si venga tacciati di antisemitismo è intollerabile. Ti fanno sentire pure in colpa. Forse bisognerebbe querelarli quando ti danno dell’antisemita. È una delle offese più pesanti che si possano proferire, forse è sbagliato stare sempre sulle difensive. Altra cosa sgradevole, su Repubblica da cui ti aspetteresti appoggio per un fatto del genere, danno tanto spazio sì, ma in prima pagina fanno scrivere Sebastiano Messina, un uomo che si è distinto per avere osannato ?Velone? sostenendo che era geniale e che ha scritto bene di un sacco di porcherie. Il suo articolo, in contraddizione con quelli pubblicati accanto a lui, sostiene che abbiamo gridato: a lupo a lupo senza motivo, tanto per fare i martiri e che non è vero che hanno chiesto la soppressione del programma prima della messa in onda. Ci sono una tonnellata di dichiarazioni Ansa che lo dimostrano, i suoi colleghi che erano presenti lo hanno testimoniato, ma lui scrive che non è vero, contraddicendo l’evidenza. È il direttore credo che sceglie chi scrive in prima pagina. Così funziona. Ci sono voci diverse in un giornale, ma il direttore fa scrivere quello che in quel momento esprime l’opinione che fa comodo in quel momento. Mi metto a scrivere la seconda puntata ma non mi viene. Chissà perché?

18 Novembre
I giornali ci attaccano dappertutto. Risulto essere il nemico numero uno del popolo ebraico in questo momento, mi dicono che Feltri ha detto che sono come Hitler. Da Ruffini a Gasparri si affannano tutti a porgere scuse solenni alla comunità ebraica per quello che ho detto. Le critiche al programma sono tutte negative tranne l’Unità, anche il Manifesto ha delle riserve. Sebastiano Messina scrive che quando faccio le imitazioni va bene ma il programma è brutto, Aldo Grasso non ne parliamo, è buona La Stampa. Mi tolgo la soddisfazione di dire che l’avevo detto.
In compenso continuano arrivare incoraggiamenti e congratulazioni da tutto il mondo, le email sono millecinquecento. Me ne leggo un po’ per tirarmi su. Sono proprio belle, commoventi, bisognerebbe pubblicarle. Non siamo soli, non è un mondo di replicanti, ci sono tanti esseri umani come noi che vorrebbero solo avere l’occasione di esprimersi. Ma quanti sono! E come sono intelligenti!
Mi torna la voglia di scrivere. Ci mettiamo là con Paolo, David e le ragazze della produzione e buttiamo giù tre pezzi di Vespa molto forti. Ci metto anche Buttiglione dentro e Previti. Questa è la puntata sulla giustizia. Ci sono una marea di cose da dire. In realtà la puntata è pronta, se ci mandano in onda ci siamo. Buone notizie, la comunità ebraica di Milano a inviato un messaggio di pace. Mi hanno invitato a un dibattito pubblico sulla satira e sulla politica di Israele. Meno male, che gioia! Se penso agli ebrei penso a persone colte, intelligenti e piene di senso dell’umorismo, non a dei bacchettoni che fanno il gioco dei censori. Pare che anche loro abbiano capito d’essere stati strumentalizzati, meno male. Rispondo che accetto l’invito con grande piacere.

19 Novembre
Rivincita sui giornali, tranne che su Repubblica e il Riformista (è proprio con una parte della sinistra il problema), si è sgonfiata l’accusa di antisemitismo, la causa di Mediaset pure s’è capito che non sta in piedi. In più l’associazione dei consumatori ha chiesto che raiOt venga messo in prima serata e ha dichiarato che chiederanno un milione di euro alla Rai se chiude il programma.
Stamattina il cda è riunito per decidere su Raiot. Alle 13 esce la delibera. È incomprensibile. Sospendono la messa in onda ma non la produzione, che vuol dire? Dovremmo registrare cinque puntate, poi loro le vedono e decidono. Ma è un programma basato sull’attualità, sarebbe come dire, voi scrivete il giornale di oggi e noi lo mettiamo in edicola fra due mesi. Mi telefona l’Annunziata, fa la spiritosa, dice che ha messo dei paletti. Rido, replico che chiudere il programma è un paletto bello grosso. Dice che si è astenuta, e considera la sospensione del programma una grande vittoria. Perché mai le chiedo? Perché nella delibera non si entra nel merito dei contenuti. Delirano e non se ne accorgono.
Arrivano altre 2000 e-mail di incoraggiamento. Abbiamo deciso che domenica la puntata la facciamo lo stesso in uno spazio da trovare, Villaggio Globale o il Brancaccio, l’Ambra è piccolo. Invitiamo tutti i satirici, spero che vengano e dopo di questo dobbiamo organizzare una manifestazione vera e propria in piazza contro la censura e per la libertà di informazione. La gente ne ha piene le scatole, hanno fatto uno sbaglio grosso come una casa. Spero che da questa vicenda venga messo qualche seme per riappropriarci della nostra libertà e anche di un po’ di dignità. Penso al pezzo di Vespa con Herlizka intitolato: agli italiani piace la frusta.
Quando l’ho scritto avevo il dubbio che tutto sommato fosse vero che ci piacesse, comincio a pensare che non sia vero. E mi viene uno strano amor di patria.

E FASSINO PERSE LA CALMA

Nell'ultimo capitolo del libro di Mario Lancisi, "Alex Zanotelli. Sfida alla globalizzazione", edito da Piemme, con prefazione -intervista a Gherardo Colombo, viene riportata una breve intervista al missionario comboniano, in cui vengono ricostruiti gli incontri che il movimento pacifista ha tenuto con i partiti per scongiurare la guerra all'Iraq.

(?)Padre Alex - assieme a don Luigi Ciotti e altri amici dei movimenti - bussa anche alla porta dei partiti. Di tutti i partiti, a destra come a sinistra. Obiettivo: ottenere il no dell'Italia alla guerra. Su questi incontri, il 26 marzo 2003, ho registrato questa intervista a padre Zanotelli, in cui il missionario comboniano rivela i retroscena di una trattativa non andata a buon fine perché il centrodestra, maggioranza in parlamento, ha votato sì alla guerra..
Prima dello scoppio della guerra all'Iraq lei, con altri esponenti cattolici del movimento pacifista, si è incontrato con tutti gli schieramenti politici per scongiurare il conflitto. Come sono andati questi incontri?
Con Piero Fassino, segretario dei Ds, il dialogo è stato duro e pesante. Volevamo mettere i Ds alle strette per costringerli a schierarsi contro la guerra senza 'se' e senza 'ma'.
Erano recalcitranti?
Tenga conto che il nostro incontro è avvenuto un mese prima della guerra quando la posizione dei Ds e dell'Ulivo non era ancora ben delineata. Ricordo che Fassino era molto nervoso, ad un certo punto si è persino arrabbiato e ha minacciato di sbattere la porta e andarsene via. Io l'ho ripreso, gli ho detto di stare calmo perché non avevamo chiesto l'incontro con i Ds per metterli sotto processo, volevamo soltanto che i partiti ascoltassero le istanze della società civile.
Che cosa vi divideva?
Noi insistevamo: 'Fassino, dicci se siete contro la guerra senza se e senza ma'. Lui invece era dell'opinione che se l'Onu avesse deciso per la legittimità della guerra, essa era legittima, anche se poi i Ds si sarebbero comunque dichiarati contro per ragioni politiche.
Con il resto dell'Ulivo come è andata?
Bene, perché li abbiamo incontrati nella fase in cui si stava delineando una mozione comune di tutto l'Ulivo contro la guerra e l'uso e il sorvolo delle basi Usa.
Si è anche incontrato con D'Alema?
Con l'ex premier mi sono incontrato due volte. Il primo è stato un incontro privato, era stata la Livia Turco che mi aveva pregato di incontrarlo. Il secondo invece è stato un incontro pubblico, in cui ad un certo punto io gli ho detto che mi faceva compassione e lui si è molto incavolato.
Perché compassione?
Perché D'Alema è convinto di decidere qualcosa e invece le decisioni importanti vengono prese altrove. La politica soggiace all'economia.
Con il centrodestra vi siete incontrati?
Sì, abbiamo incontrato una delegazione guidata dal senatore Schifani. Sono stati molto gentili ma anche fermi nelle loro posizioni. Ci hanno detto che capivano le ragioni della nostra contrarietà alla guerra aggiungendo però che la politica è un'altra cosa.

19.11.03

LETTERA DI DI PIETRO ALLA REPUBBLICA

Pongo una questione di metodo che vorrei si esaminasse nelle discussioni che la Margherita e i DS affrontano nelle riunioni di questi giorni in merito alla lista unica per le Europee. Dicono (nei giornali perché a me non lo dicono nemmeno) che l'Italia dei Valori deve restare fuori dal progetto perché non sarebbe un partito riformista e perché la lista unica è riservata ai partiti dell'Ulivo e non a forze politiche esterne. Entrambe le affermazioni sono ambigue, fuorvianti e servono solo per nascondere la reale ragione per cui ci escludono: non vogliono confrontarsi sui seguenti temi che noi vogliamo porre sul tappeto del programma:
1.l'incompatibilità delle candidature per le persone condannate definitivamente per reati gravi;
2.il divieto dei doppi incarichi (parlamentari italiani ed europei, amministratori locali e parlamentari);
3.la necessità di un'unica tornata elettorale (amministrative, europee, referendum) per risparmiare denaro pubblico, per disturbare meno i cittadini e per permettere a tutti di partecipare);
4.l'impegno diretto delle forze politiche nel sostenere le ragioni del referendum contro il lodo Schifani per cui l'Italia dei Valori ha raccolto le firme;
Domando ai signori segretari del centrosinistra: sono queste ragioni per dire che noi non siamo un partito riformista? Ed allora che vuol dire essere riformisti? Forse chiudere un occhio o tutti e due sulla questione morale? Oppure adattare le elezioni ai propri bisogni e non a quelli della collettività? Far spendere più soldi all'erario quando se ne possono spendere meno? Anche noi dell'Italia dei Valori ci riconosciamo come voi appieno nel "documento Prodi". Addirittura io e Rutelli militiamo al Parlamento Europeo nello stesso eurogruppo, l'ELDR. Perché allora due pesi e due misure? E che vuol dire l'affermazione secondo cui la "lista unica" resta chiusa a noi perché non siamo dell'Ulivo? Prima che non lo eravamo ci avete rimproverato per non esserlo e adesso che vogliamo starci ci dite che non possiamo. Anche il Partito Repubblicano Europeo prima non era dell'Ulivo (tanto è vero che si è presentato da solo alle passate elezioni politiche). Eppure il PRE è stato inserito nella "lista unica" e l'Italia dei Valori no. Perché anche in questo caso due pesi e due misure? La verità è una e una sola: l'Italia dei Valori è una forza politica di cui vorreste volentieri farne a meno perché scuote le vostre coscienze, perché non volete affrontare alla radice la questione morale che essa rilancia, perché volete nascondere la testa sotto la sabbia per non vedere. Sapendo, però, di avere bisogno di noi per vincere le elezioni volete tenerci ibernati per utilizzarci solo al momento delle elezioni e solo per fare cassetta elettorale. A questo gioco al massacro non ci stiamo. Per una questione di dignità personale e di rispetto verso quegli elettori che ci hanno dato la loro fiducia che speriamo si rendano conto dell'inganno e ne traggano le conseguenze. On. Antonio Di Pietro Presidente Italia dei Valori

MA NON CHIAMATELO TERRORISMO: E' GUERRIGLIA


di Massimo Fini (da Il Giorno, 12/11/03)

E' ipocrita piangere ora lacrime di coccodrillo sui militari italiani morti nell'attacco di Nassirya e continuare a raccontarci la favola convenuta dei nostri militari che sono in Iraq per portarvi l'ordine, la pace, la democrazia. Può darsi che noi li si veda così, ma così non li vedono, con tutta evidenza, gli iracheni che li considerano per quello che realmente sono: truppe straniere che occupano il loro territorio, alleate di chi li ha bombardati, invasi, ha instaurato un protettorato nel loro Paese e pretende di deciderne le istituzioni e il futuro. L'attacco di Nassirya non è un atto terroristico, 'vile e ignobile' come ha detto il Capo dello Stato e come ripetono tutti i media (terrorismo si ha quando vengono colpiti dei civili inermi), ma di guerriglia che ha preso di mira un obbiettivo. Guerriglia che è sempre stata praticata dai movimenti indipendentisti, noi italiani compresi quando eravamo occupati dai tedeschi. Perché bisognerebbe anche finirla con l'altra favola che questi atti sono opera esclusivamente dei residuali seguaci di Saddam e degli uomini di Al Qaeda. Un tale sistematico stillicidio di attacchi, di attentati, di cecchinaggi non può avvenire senza un consistente appoggio della popolazione locale. Tant'è che i responsabili o i fiancheggiatori o i basisti non vengono mai trovati, perché la popolazione non li denuncia.
E' vero però che con la pretesa di combattere il terrorismo, siamo riusciti a fare dell'Iraq il covo privilegiato del terrorismo internazionale. L'Iraq di Saddam Hussein non ospitava terroristi 'alla Bin Laden' per la semplice ragione che una dittatura del genere non tollera altri poteri sul suo territorio perché potrebbero sfuggire al suo controllo. E infatti non c'era un solo iracheno nei commandos che attaccarono le Torri Gemelle e non un solo iracheno è stato trovato in seguito nelle cellule di Al Qaeda. Oggi che l'Iraq è 'terra di nessuno', fuori da ogni controllo, diventa il ricettacolo ideale per i terroristi internazionali, che vi hanno spazio, appoggi, mano libera e a disposizione bersagli praticamente fissi. Una vera pacchia. Non si dovrebbero occupare altri Paesi ma una volta che la cosa è fatta è molto difficile tornare indietro. Però chi ha deciso di schierarsi in questa guerra a fianco dell''amico americano' deve assumersene tutte le responsabilità. Anche dei diciassette poveri morti di ieri. Non era pensabile che da colpi di questo genere ci preservassero, secondo la consueta 'autoretorica', la nostra presunta maggior 'simpatia' o lo stellone.

18.11.03

CASSAZIONE: IL PROCESSO SME RESTA A MILANO
dalla'Ansa

ROMA - Il processo Sme, almeno il troncone che vede imputato Cesare Previti, resta a Milano, e non verra' trasferito a Brescia, come avevano chiesto, per la seconda volta, gli avvocati dell' ex ministro della difesa.

Ci mettono due ore i giudici della sesta sezione della corte di Cassazione, dopo aver ascoltato gli interventi del procuratore generale e degli avvocati, a respingere la richiesta presentata da Previti, e accogliere la posizione del procuratore generale, Antonio Veneziano: ''Non c'e' nessuna grave situazione locale'' che giustifichi il trasferimento del processo.

Secondo gli avvocati Sammarco e Perrone, i legali del parlamentare, il processo che riguarda la presunta corruzione dei giudici romani andava invece allontanato da Milano, in seguito all'inchiesta che a Brescia vede indagati i due pm, Gherardo Colombo e Ilda Boccassini per abuso d'ufficio in relazione al fascicolo 9520, quello da cui e' scaturito lo stesso processo Sme.

Si e' creato cosi', secondo i legali, ''un corto circuito istituzionale'' nell'intero apparato inquirente e giudicante di Milano. I due pm, Boccassini e Colombo, sono portatori di ''un conflitto di interessi'', essendo contemporaneamente accusatori e indagati. E a sostegno della tesi, proprio questa mattina, in apertura di udienza, l' avv. Perrone aveva chiesto l'acquisizione della richiesta di archiviazione per Colombo e Boccassini, presentata in questi giorni dalla procura di Brescia, che proverebbe ''il condizionamento dei pm''.

Di opposto parere il pg, Antonio Veneziano: respingere la richiesta di rimessione, perche' ''non c'e' nessuna grave situazione locale'' che giustifichi il trasferimento del processo Sme, anche perche' ''lo ha gia' escluso la sentenza delle sezioni unite e gli elementi nuovi presentati dalla difesa Previti non sono rilevanti ai fini della remissione, che deve riguardare l'intero organo giudicante e non comportamenti di singoli magistrati''.

CASSAZIONE: SME; AVV.PERRONI, DECISIONE INGIUSTA

MILANO - Secondo uno dei legali di Cesare Previti, l'avvocato Giorgio Perroni, la decisione della Cassazione di respingere l'istanza di rimessione del processo Sme e' ''ingiusta''. ''E' una decisione ingiusta - ha detto il legale -, perche' riteniamo di aver portato sufficienti e valide argomentazioni per supportare la richiesta di rimessione''. Per l'avvocato Perroni, a questo punto, ''non c'e' dubbio'' che la sentenza possa essere emessa gia' nelle prossime udienze, la prima delle quali dovrebbe tenersi venerdi' prossimo. (ANSA).

SME: TAORMINA,PER AVERE GIUSTIZIA BISOGNA CHIAMARSI ANDREOTTI

ROMA - ''Bisogna chiamarsi Andreotti per avere sentenze corrette da parte della Corte di Cassazione''. A sostenerlo, commentando la decisione con cui oggi la Cassazione ha rigettato la richiesta di rimessione ad altra sede del processo Sme presentata dai difensori di Cesare Previti, e' l' avvocato e parlamentare di Forza Italia Carlo Taormina. Secondo Taormina, inoltre ''con la sentenza odierna l' istituto della rimessione e' stato cancellato dall' ordinamento italiano ed e' autentica vergogna - ha aggiunto - che in questo paese nulla possa essere fatto per avere una giustizia imparziale, a meno che interessi convergenti di fazioni politiche opposte determinino nella stessa magistratura la volonta' di rendere sentenze corrette''. ''Quando si e' politicamente morti - ha spiegato Taormina - si puo' avere anche ragione e si puo' trovare un giudice che te la da'. Quando si tratta di Berlusconi o di Previti, l' uno e l' altro politicamente vivi, la corte di Cassazione si allinea all' esigenza di rendere sentenze politiche''. Secondo l' on. Taormina ''sulla decisione relativa alla rimessione del processo Sme a Brescia grava un inquietante interrogativo e cioe' quali siano stati i motivi per cui la procura di Brescia ha depositato la richiesta di archiviazione a favore di Colombo e Boccassini tre giorni prima della decisione odierna della Cassazione; quali - ha proseguito - quelli per cui la procura di Brescia ha trasmesso la richiesta di archiviazione alla procura generale della stessa citta' ed infine quali quelli per cui tale procura l' ha trasmessa al procuratore generale della Cassazione che questa mattina l'ha depositata ai componenti del collegio. Occorre accertare - ha concluso Taormina - se una tale sincronia evidenzi un ruolo ancora fortemente preminente degli uffici giudiziari di Milano su ogni altro''. (ANSA).

SME: DOPO CASSAZIONE, SENTENZA POSSIBILE A GIORNI

MILANO - Con la decisione dei giudici della sesta sezione della Corte di Cassazione di respingere l'istanza di rimessione ad altra sede, proposta da Cesare Previti, il processo Sme dovrebbe ricominciare gia' venerdi' prossimo davanti ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano. Il collegio, presieduto da Luisa Ponti, davanti al quale dal marzo del 2002 e' in corso il dibattimento, avrebbe infatti il tempo per notificare ai difensori degli imputati l'avviso per l'udienza che, essendo gia' stata inserita nel calendario prima dello stop imposto dalla legge Cirami, in pendenza della richiesta di trasferimento, non necessita di quei tempi tecnici previsti per una fissazione ex novo. Altre udienze sono previste sabato e lunedi' prossimo. Il processo potrebbe, quindi, vedere il suo epilogo in tempi brevi. Quasi sicuramente a giorni. C'e' chi azzarda anche sabato prossimo, chi invece propende per la prossima settimana. Sono infatti previste solo la replica del pm e le controrepliche degli avvocati e queste ultime dovranno concentrarsi solo sui punti trattati dal rappresentante della pubblica accusa. Le repliche, inoltre, di norma hanno una durata contenuta tale da risolversi, pertanto, in una sola udienza. Gli imputati potranno fare delle dichiarazioni spontanee (per le quali potrebbe essere riservata l'udienza successiva) ed e' poi previsto che i giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano si ritirino in camera di consiglio. Questo lo scenario che si puo' delineare in assenza di casi di legittimo impedimento, eventualmente sollevati da imputati e difensori alla prossima udienza e di ulteriori iniziative delle difese che potrebbero far slittare il verdetto. L'avvocato Alessandro Sammarco, tra le altre cose, aveva ipotizzato un nuovo ricorso in Cassazione, in caso di risposta negativa dei giudici della Suprema Corte (come si e' poi verificato), per ottenere il trasferimento del processo, mentre in passato gli stop erano venuti quando i legali dell'ex ministro della Difesa avevano utilizzato lo strumento dell' istanza di ricusazione del collegio o di alcuni suoi membri, sempre respinta dai giudici della Corte d'appello milanese. (ANSA).








17.11.03

LE ARMI DI DISTRUZIONE DI MASSA
Alessandro Robecchi sul Manifesto

Finalmente trovate le famose armi di distruzione di massa. Hanno tamponato un isolotto alla Maddalena, in Sardegna, senza nemmeno fare la constatazione amichevole. Un sottomarino nucleare americano che pesa quasi 7.000 tonnellate è un bel giocattolino costoso che serve, manco a dirlo, a difenderci dai cattivi. Tutti quei cattivi che stanno nelle acque della Sardegna, estremisti saraghi, militanti della jihad gamberetta. Le astute autorità italiane, sempre vigili, hanno appreso la notizia da un piccolo quotidiano locale americano, situato a circa diecimila miglia dall'incidente, e al momento non sono nemmeno in grado di stabilire quando è avvenuto il tamponamento, forse il 17 ottobre, forse il 25. In questi casi la tempestività è tutto. E infatti: se l'incedente fosse stato irreparabile, nel giro di qualche centinaio di chilometri ora non ci sarebbe nessuno in grado di protestare. Oscurata dai terribili bollettini provenienti dal fronte irakeno, la notizia ha preso qualche timido colonnino sui giornali, ben nascosta tra il cordoglio e la retorica. Di più: dell'incidente si è saputo a causa della rimozione di un paio di alti papaveri yankee, giudicati incapaci di fare manovra con un sottomarino e quindi rimossi. E' l'unico segnale che il possibile disastro non era poi così disastroso: probabilmente se ci fossero state vittime, o fughe radioattive o catastrofi nucleari, gli alti papaveri sarebbero stati promossi, come è successo ai piloti del Cermis, che dopo aver ammazzato degli sciatori europei hanno finalmente fatto carriera. Unico ad avanzare qualche timida protesta, con tre settimane di ritardo, il ministro dell'ambiente Matteoli, un po' seccato - ma comprensivo nei confronti dell'imbarazzo americano - dal fatto che i nostri "alleati" non ci dicano niente di quello che fanno e disfano sul nostro territorio giocando con l'energia atomica e probabilmente anche con le testate nucleari.
Del resto, questo ministro Matteoli è lo stesso prestigiatore che si diletta, in questi giorni con le scorie nucleari, alle quali ha finalmente trovato un posto. A duecento metri dal mar Jonio premiato con la bandiera blu e a centocinquanta dai alcuni villaggi turistici, a Scanzano Jonico, intende seppellire tutte le scorie radioattive italiane. Lì si coltivano fragole e kiwi, si aspettano decine di migliaia di bagnanti, si realizza un'economia locale fatta di agricoltura e di ospitalità: quale posto migliore per portarci tutta la merda nucleare del regno? Si obietta che il luogo non è zona sismica, bella pensata: e allora perché non fare a Scanzano Jonico anche il ponte di Messina? Ribatte qualcuno che è meglio avere una sola sede per le scorie nucleari che tante sedi sparse in giro per l'Italia, che lo stesso ministro definisce "temporanee" e i suoi tecnici "inadeguate". Per capirci: meglio scippare in silenzio un angolo di Basilicata che impestare (sempre in silenzio, mi raccomando) centinaia di paesi italiani dove le scorie radioattive riposano oggi in depositi insicuri, magazzini anonimi, forse scatole in cartone. Questo, secondo il ministro (e i servili cronisti che lo intervistano) dovrebbe rassicurarci; un po' come ci rassicura il fatto che la Maddalena sia un parco nazionale inviolabile dall'uomo. Insomma, un'oasi incontaminata - ma contaminabile - per sottomarini americani.
Con una certa astuzia figlia dei tempi, i sostenitori della Lucania atomica dicono che il nuovo sito sarà supersicuro, scintillante, a prova di bomba e anche (ma tu guarda) di "attacco aereo", forse insinuando che così non potrà far danni nemmeno l'imam di Carmagnola con il suo amico bin Laden. Già s'immagina il sollievo della popolazione: avremo kiwi fosforescenti e fragole con le corna, d'accordo, però al Quaeda ci fa un baffo, tié. Quanto ai bagnanti, peggio per loro, c'è il libero arbitrio e non lo dice mica il dottore che si deve andare ad abbronzarsi a Scanzano Jonico. Possono sempre andare alla Maddalena, no?

15.11.03

DANIELE LUTTAZZI : "SONO STATO TAGLIATO DA PIPPO BAUDO"
dall'Adnkronos

''Certo che alla fine e' stato un intervento soft. Me lo hanno tagliato''. Daniele Luttazzi torna a parlare del suo ritorno in tv a 'Cinquanta' quando la settimana scorsa e' stato ospitato dal programma di Pippo Baudo. ''Sono grato a Baudo che mi ha invitato e ha imposto il mio nome, altrimenti sarebbe stato impossibile per me entrare in Rai -spiega Luttazzi all'ADNKRONOS- Ho accettato l'idea di farmi fare delle battute con lui al fianco che suonava una campana quando avessi esagerato. Questo per sottolineare lo stato attuale della Rai: si possono fare certe cose solo se controllati. Una testimonianza palese che c'e' la censura''.

''Purtroppo -spiega ancora Luttazzi- ho visto che le battute su Tremonti ('appena eletto ministro -questa la battuta 'tagliata'- va al Tg1 a dichiarare che nelle Finanziaria c'e' un buco da 60mila miliardi. Il Fondo monetario internazionale indaga e dice che non e' vero. Allora Ciampi convoca Tremonti e gli chiede spiegazioni:
'Tremonti, quanto fa 7 per 8?'; e ancora: 'Tremonti dice di essere ministro delle Finanze ma io non lo vorrei come amministratore del mio condominio'), Gasparri che favorisce smaccatamente Mediaset ('All'annuncio della Legge Gasparri i titoli Mediaset in borsa sono schizzati subito verso l'alto. A Mediaset gli affari vanno talmente bene che stanno pensando di aprire la Partita Iva').

E ancora, Luttazzi sostiene che la Rai ha tagliato le battute ''sul Tg1 che non informa ('Vi presento Rutelli, nel caso guardiate il Tg1'), sulla Chiesa che si lamenta del razzismo e per la legge Bossi-Fini ma e' la stessa Chiesa che ha fatto votare per Forza Italia alle elezioni. Le situazioni in cui Baudo si e' trovato a dover scampanellare sono state moltissime -spiega il comico- anche un riferimento all'antiproibizionismo che ha provocato l'applauso dell'orchestra''.
''Persino all'inizio -dice- ho fatto un riferimento alla mia intervista fatta a Marco Travaglio ('sono contento di tornare in tv dopo due anni e mezzo di censura avuta per aver ospitato un giornalista che riferiva di fatti riguardanti il candidato alla presidenza del Consiglio') durante 'Satyricon' ed e' stato tagliato. La Rai ha parlato di tagli tecnici ma non si puo' poi accusare me dell'apparente tiepidita' dell'intervento. Me lo hanno tagliato''.

Luttazzi spiega di aver appreso dei tagli solo quando ha visto la messa in onda del programma su Raitre: ''Non ho partecipato a nessuna fase di montaggio -dice il comico che nel corso del suo intervento a 'Cinquanta' ha fatto salire lo share dall'8 al 20%- l'unica cosa che ho suggerito il giorno dopo la registrazione a Baudo e' stata di tagliare la battuta su Fini fascista. Per il resto Baudo mi aveva detto, poco prima della messa in onda, di aver tagliato la battuta su Tremonti. Speravo che i giornalisti si sarebbero resi conto di quel che era accaduto: il mio scopo era parlare di censura invece si e' parlato della mia autocensura inestistente. Assurdo, mi sento strumentalizzato, voglio ristabilire la verita'''.

Critiche che, ammette Luttazzi, ''mi hanno fatto molto male, mi e' parso che i giornali avessero un copione da rispettare, della serie 'diamo addosso all'eroe'. Ma io non sono ne' ingenuo ne' stupido, sapevo che una cosa che non piaceva l'avrebbero tagliata''.
Luttazzi, pero', non si arrende: ''Mi ha invitato Sabina Guzzanti per la sua nuova trasmissione su Raitre 'Raiot' -annuncia- e penso di accettare visto che la prima puntata e' sull'informazione''.
GUIA SONCINI E WALTER NUDO
dal Foglio

Il privato non è politico da tempo immemorabile. Poiché paghiamo il canone,
è un bene che ogni tanto la Rai si ricordi di fare il suo dovere, ovvero di
fare in modo che il privato sia televisivo. Dopo l’Isola, la televisione non
sarà mai più la stessa, al lordo di quella doccia, di quell’appuntamento per
Natale, di quel tozzo di pane e di quello spagnolo da villaggio vacanze. Ma,
da domani, saranno i cittadini a non essere più gli stessi. A non avere più
la stessa capacità di relazionarsi, al netto di tutti quei pretesti per
gruppi d’ascolto, scambi di sms, discussioni e gare di ricostruzione dei
momenti memorabili davanti alla macchinetta del caffè o in fila alla posta.

***

Per fortuna che la cacciata di Adriano Pappalardo ha fatto il 60 per cento
di share. Almeno abbiamo potuto smettere di combattere e iniziare a
esercitarci nella nostra attività favorita: predicare ai convertiti.
All’inizio, era davvero difficile. All’inizio, avevi voglia a spiegare al
direttore che quell’Isola sarebbe diventata un culto, che non vedevi da
tempo i tuoi amici tanto eccitati e non ti trovavi dal primo Grande Fratello
a organizzarti le giornate a seconda delle trasmissioni, che se i giornali
italiani non se ne occupavano per intere pagine era un limite loro, derivato
dal loro essere, appunto, giornali italiani: usi a svegliarsi in ritardo.
All’inizio, capitava di trovarsi a cena in sei e di essere solo in due a
capirsi, mentre gli altri guardavano scettici il vostro entusiasmo e voi lì
ad affannarvi a dire ?credeteci sulla parola, è meraviglioso? e quelli ?mi
stai dicendo che tu ti appassioni alle vicende di Giada de Blanck??, e
qualunque arbitro avrebbe dato ragione a loro, perché non esisteva una
motivazione logica, dignitosa o anche solo plausibile, non esisteva
spiegazione razionale ? o anche solo spiegazione tout court ? al fatto che
l’Isola che non c’è v’avesse preso per incantamento.

***

Ha avuto una funzione sociale, su questo non c’è dubbio. Una funzione
aggregante. Ed è stata una cartina di tornasole democratica. Non vorrei dire
io-l’avevo-detto, ma: io l’avevo detto. L’avevo detto per settimane, che
l’unica ragione per cui Pappalardo era ancora lì era l’imperfezione del
maggioritario isolano. Se solo lo candidassero, predicavo, se solo ce lo
dessero in pasto, lo cacceremmo con plebiscito popolare. Un giorno un
ulivista mi ha detto che secondo lui non era vero. Che io non capivo quanto
Pappalardo fosse amato dalla gente. Che l’intolleranza nei confronti di
Pappalardo era snob ed elitaria. Che il mio giudizio non era
rappresentativo, e che ? ove candidato alla cacciata ? Pappalardo avrebbe
trionfato e sarebbe rimasto sull’Isola. E’ stato allora che ho capito perché
non vinciamo le elezioni.

***

Il più bel messaggio l’ho ricevuto durante una delle prime puntate. A
colloquio catodico coi parenti, c’era Susanna Torretta (catalizzatrice delle
peggiori battute all’interno dei gruppi d’ascolto; sembra che solo per lei,
al mondo, non sia prevista l’applicazione del politicamente corretto e della
presunzione d’innocenza; gli spettatori, neanche fossero tanti Platinette,
appena quella diceva ?Non mi piace questa situazione? chiosavano ?Credo che
butterò qualcuno da una scogliera?; solo un signore seduto sul mio divano,
sentendola dire ?Sono un po’ triste perché penso a Francesca?, ha avuto un
moto di umanità nei sui confronti: ?Sì, anch’io sono un po’ triste ? e
vorrei tanto farmi la Torretta?). La sorella della Torretta (una Laura
Pausini bionda) le stava dicendo che gli amici al bar sentivano tanto la sua
mancanza: ?Ti saluta Pier lo Svizzero?. Il messaggio che è arrivato di lì a
poco sentenziava: ?A casa di Pier lo Svizzero c’è l’eredità Vacca?. Era
inutile invocare il politicamente corretto, lei l’ha capito e appena tornata
ha iniziato a sfoggiare in tutte le dirette delle mises che attirassero
l’attenzione sul suo presente. Susanna Afildicapezzolo Torretta.

***

Non tutti s’intendono di didattica.
Non Maria Teresa Ruta, che s’indigna perché Alfonso Signorini dice che nei
confronti di Walter Nudo hanno avuto un atteggiamento mafioso (?Parole come
‘mafia’ fate il piacere di risparmiarvele?).
Non Simona Ventura, che dice che hanno ricevuto tanti messaggi di protesta
per un insulto che Davide Silvestri ha indirizzato alla de Blanck, e con una
certa foga gli fa chiedere scusa, e lui è così contrito, e noi davanti alla
tele ci scervelliamo, perché sull’insulto ci son sempre stati i bip e non
riusciamo a decifrare che insulto possa mai essere per provocare tale
indignazione; finché Pinketts fa la sua brava battuta e dice che Silvestri
?mongola? lo intendeva nel senso di ?abitante della Mongolia?, e finalmente
non c’è il bip.
Non Ringo, che da Bruno Vespa s’offende perché gli ospiti televisivi Paolo
Crepet e Stefano Zecchi cianciano di ?degrado? rispetto alla scelta di
undici poveri cristi che nessuno ospitava più in televisione di andare a
dimagrire ad abbronzarsi e a scannarsi in televisione dimodoché la
televisione stessa li riscoprisse e riprendesse a invitarli.
Non tutti s’intendono di didattica ? almeno non quanto la coppia di
spettatori che ha trovato il modo di sfruttare le grande bouffe del venerdì
sera, quando fanno fare agli isolani qualche giochino e poi li premiano con
del cibo ?ma avete solo un minuto per mangiare?, e quelli si ficcano in
bocca mezzo chilo di frittata e lo inghiottono senza masticare: la coppia fa
stare sveglio il figlio piccolo e gli indica i deportati dentro al
televisore come un bau bau. ?Lo vedi come finisci se non impari a stare a
tavola??.

***

Nessuno mi toglie dalla testa che quelli della produzione lo sapessero, che
Ringo non avrebbe retto, e l’abbiano mandato lì apposta. Sapendo che poi al
corpo estraneo di un sostituto il gruppo avrebbe reagito, anche se magari
non immaginando a che livelli. Fatto sta che tutte le dinamiche di cinquanta
giorni di programma hanno avuto come perno Walter, l’uomo che osò sostituire
Ringo. (Quelli della produzione naturalmente negano: ?L’abbiamo lanciato
dall’elicottero, gli abbiamo fatto saltare i punti, siamo dei veri
bastardi?). Walter, da parte sua, è stato assai dignitoso. Brillante no, con
quel suo ripetere ?cosa ci posso fare se avete avuto cinque giorni di
pioggia prima che arrivassi?, con quel suo scalciare e grugnire. Brillante
no, però dignitoso. Mai una volta che si sia lasciato scappare ?Che colpa ne
ho, se non ero abbastanza famoso neppure per stare in questo covo di sfigati
dimenticati dai media, che colpa ne ho se neppure in un casting di questo
genere riesco a giocare da titolare?. Dignitoso. Non per nulla è l’unico che
sia in it for the money.

***

A un certo punto ho pensato che il minimo ? esteticamente parlando ? lo si
raggiungesse con quello spagnolo da Righeira, la grotta chiamata ?cueva?, le
zanzare chiamate ?mosquitos?, la Ventura che non sa l’italiano figuriamoci
lo spagnolo e quindi se ne usciva con robe tipo ?Hasta la vista siempre?, il
povero pelato deportato a Santo Domingo che qualunque cosa quelli dovessero
fare augurava ?Suerte?. A un certo punto ho sviluppato un’intolleranza nei
confronti di qualunque cosa suonasse ispanica. Se qualcuno mi avesse offerto
una piña colada avrei dato in escandescenze. Poi sono passate le settimane:
le fissazioni linguistiche si sono aggravate e (coincidenza) si sono
trasferite in zona lingua italiana. Il tricologicamente svantaggiato ha
iniziato a dire a ogni registrazione: ?E’ tutto vero, sull’Isola dei famosi?
(era prima di Panorama, prima che i poveri deportati venissero costretti ?
contratto alla mano ? a procurarsi ferite lacero-contuse per contestare il
resoconto del settimanale ? ma di questo, miei piccoli lettori, vi parlerò
fra un po’). La Ventura ? implacabilmente ossessiva come sa esserlo solo lei
(la ragione per cui vorresti spararle ma allo stesso tempo la sua grandezza)
? ha aperto ogni puntata dicendo che quello era ?il primo reality show
targato Rai2? (un plus? un minus? una minaccia?); ha invitato pressoché ogni
ospite a commentare ?da par tuo?; ha detto di ogni stronzata che non fosse
completamente fuori luogo che ci stava ?come un limone fra le cozze?.
Entrambi hanno buttato lì che il programma, la puntata, i concorrenti
toccavano ?tutto l’arco costituzionale delle emozioni?. Mentre il paese
assisteva perplesso, Vespa ha messo su una puntata di Porta a porta
sull’Isola, ha telefonato a Paolo Bonolis, e quello ha decretato che l’Isola
era stata ?un crescendo rossiniano di emozioni?. E allora è stato chiaro che
è la maledizione dell’Isola: il delirio linguistico colpisce anche i
migliori.

***

La sera in cui l’Italia libera e democratica ha mandato a casa Pappalardo,
quello ha provato a salvarsi in extremis, col ricatto morale dei ?bambini
poveri?: non siamo noi qui quelli che devono lamentarsi ma ? appunto ? i
bambini poveri, probabilmente gli stessi per cui da piccoli non lasciavamo
cibo nel piatto. La sera in cui facemmo la rivoluzione, io c’ero, e ho
votato per cacciare Pappalardo nonostante sapessi che l’sms costava un euro.
La produzione mi ha gentilmente mandato un sms di conferma: ?Voto ricevuto.
Adriano Pappalardo ama la natura e gli animali, è molto affezionato al suo
dobermann di nome Axl. Vota ancora per ricevere altre curiosità?. Al ricatto
morale del bieco Pappalardo, si aggiungeva quello dei biechissimi autori del
programma: stai cacciando uno che ama gli animali. Se non detestassi chi ama
gli animali almeno quanto chi ama i bambini (poveri), forse mi sarei
lasciata commuovere. Se all’Italia libera e democratica fregasse qualcosa
dei dobermann forse Pappalardo sarebbe arrivato alla fine. O se solo ?
subito prima ? non ci fosse stata la domanda di Simona Ventura (?Quanto
prendi per una serata in discoteca??) e la risposta di Walter Nudo:
?L’ultima volta 1000 euro?. Un ventesimo di Luisa Corna. L’Italia libera e
democratica è una livella, e come tale ? non potendo abbassare le quotazioni
della Corna ? ha deciso di alzare quelle di Nudo.
***

Un sublime niente. Quello che i facitori dell’Isola non perdonano, a
Panorama, è lo spavento che il giornale ha causato. I giorni di panico.
Scriveranno che i concorrenti non vengono congelati, nei sette giorni fra il
decreto di espulsione e la ricomparsa in studio? Scriveranno che tornano dai
loro bambini, diamine, è tivvù, mica sequestro di persona, e che il
ricongiungimento in studio è solo una sceneggiata? Scriveranno che
Pappalardo lo sapeva, che sarebbe arrivata la moglie, che gliel’avevamo
detto per paura che in diretta desse troppo in escandescenze, poi lui si è
sbagliato e si è strappato l’auricolare e ha esultato un minuto prima che
lei comparisse e non ha avuto la prontezza di inventarsi una scusa tipo
?Simona tu non ci crederai ma mi era sembrato di sentire l’odore di Lisa? e
c’è stato un attimo di gelo ma tanto non importa? Un niente più sublime che
mai. Il ragazzino vorrebbe farsi una canna, la ragazzina flirta con un
operatore. Ordinaria prevedibilità. Quattro foto con teleobiettivo, e alcune
pagine di testo per descriverle. Era difficile farlo meglio, quell’articolo.
Era difficile cogliere il punto. Che se vuoi parlare di un programma che ha
tenuto la classe dirigente di questo paese incantata davanti al televisore
per trecentosessanta secondi mentre i sei deportati rimasti facevano la loro
prima doccia d’acqua dolce, ma con acqua sufficiente a bagnarsi solo per un
minuto a testa, se vuoi scrivere di quel niente sublime, allora devi entrare
nel gioco. Devi essere sublime come può esserlo solo il niente.

***
La doccia vincit omnia, ma ci sono stati altri momenti di storia della
televisione, in queste settimane.
?A Natale tutti insieme, eh?.
?O tutti e quattro o niente?.
Il rapper di Quarto Oggiaro.
La Chiappini con la zanzariera in testa che chiede al fidanzato rimasto a
Milano ?Ma mi ami ancora? (e sei giorni dopo torna in Italia e lo molla).
E, soprattutto, il tozzo di pane di Pappalardo.
Il tozzo di pane è il primo assaggio della sconfitta elettorale di
Pappalardo. Gli avevano strappato questo benedetto tozzo di pane, d’accordo:
era sempre uno di quei giochini ?un minuto per abbuffarsi?, il minuto era
scaduto e gli hanno tolto pane e prosciutto di mano. Al terzo giorno in cui
Pappalardo la menava con ’sta storia, non c’era donna in Italia che non lo
detestasse. Non c’era donna cui l’ossessivo rimuginare (rigorosamente a voce
alta) di Pappalardo su questo inaccettabile sopruso non ricordasse
l’ossessivo rimuginare del proprio marito allorché gli fu negata la
promozione o invalidato un gol al torneo aziendale di calcetto. Non c’era
donna che non compatisse Lisa, la povera donna costretta per dovere
coniugale a solidarizzare sorridente con Pappalardo. Il tozzo di pane di
Pappalardo è stato il tema ? per una settimana almeno ? di tutte le
registrazioni dell’Isola e di tutte le conversazioni fra spettatori. Una
settimana dopo Michele Serra, nel programma di Fabio Fazio, ha tenuto la sua
rubrica ?Segni della fine del mondo?. Fazio gli ha detto che il messaggio di
uno spettatore suggeriva che uno dei segni della fine del mondo fosse il
fatto che da una settimana si parlasse solo del tozzo di pane di Pappalardo.
Serra ha sorriso, si è detto disposto ad accogliere il suggerimento, ma era
chiaro che non sapeva di cosa si stesse parlando. La mente più lucida della
sinistra italiana impreparata sul tozzo di pane è il primo assaggio delle
sconfitte elettorali che ci toccheranno.

***

?A Natale tutti insieme, eh? e ?O tutti e quattro o niente? possono sembrare
slogan meno efficaci di ?un milione di posti di lavoro?, ma vanno inseriti
nel contesto.
La forza di Walter Nudo è il sensodicolpismo di tutti noi. Noi che quando
parlava al telefono con Elvis e Martin piangevamo. Per i bambini abbandonati
che siamo stati. Per i figli con cui non passiamo abbastanza tempo. Perché
abbiamo visto film lacrimevoli tutta la vita e sappiamo che quando entra in
scena il bambino bisogna piangere. ?A Natale tutti insieme, eh? è Debra
Winger che, sul letto di morte, dice al figlio che un giorno si ricorderà di
quando lei lo lasciava giocare invece di costringerlo a finire i compiti,
capirà che le voleva bene e rimpiangerà di non averglielo mai detto, siamo
noi che piangiamo davanti a ?Voglia di tenerezza? ? un po’ per il povero
bambino che non si meritava di avere una madre così stronza da fargli i
ricatti emotivi in punto di morte, un po’ per Debra Winger che sta pur
sempre morendo, un po’ per noi stessi, perché chi non ha il sospetto di non
aver detto abbastanza il proprio affetto a qualcuno finché si era in tempo
per farlo?
L’ascesa di Walter Nudo è avvenuta per esclusione: non perché lui fosse
niente di che, ma perché gli altri erano troppo stronzi. Non meraviglia che
? con la casuale eccezione di Maria Teresa Ruta ? nessuno di loro negli
ultimi anni avesse messo insieme un contratto retribuito: per essere gente
che di mestiere comunica sono veramente delle pippe di comunicatori. Come
hanno fatto a non capire che il paese avrebbe solidarizzato con il povero
Nudo, uno senz’arte né parte quanto gli altri ma incomprensibilmente
trattato come diverso dal gruppo? Come hanno fatto a fare così di tutto
perché noi simpatizzassimo con Nudo e poi a meravigliarsi dell’effetto da
loro stessi causato? E alla fine, come hanno potuto continuare a non capire,
a non vedere che mandando via quello yacht, dicendo che ?o tutti e quattro o
niente?, che lui da solo non avrebbe passato una notte da pascià lasciando i
suoi sodali digiuni sotto la pioggia, come hanno potuto apprezzare,
ringraziarlo, lodarlo, rivalutarlo, come hanno fatto a non capire che in
quel momento Nudo stava rinunciando a un niente (una notte al coperto in
compagnia di Giada de Blanck ? quale allegria) e in cambio di quel niente si
stava assicurando la vittoria? Come hanno fatto a non rendersi conto che
Nudo stava facendo di se stesso un essere superiore che si preoccupa del
benessere di coloro che l’hanno fin lì squallidamente vessato? Come hanno
fatto a non capire che il Nudismo sarebbe di lì in poi stato una lista
elettorale che non aveva bisogno di alleanze per vincere?

***

In un angolo chissà quanto remoto del cervello, lo sanno anche loro, che
?L’isola dei famosi? era il titolo sbagliato. ?I’m a celebrity, get me out
of here? (titolo dell’edizione inglese) era più ironico. ?L’isola di quelli
che furono famosi per un quarto d’ora troppi quarti d’ora fa? sarebbe stato
troppo lungo, certo, ma avrebbe reso di più l’idea. Lo sanno anche loro, se
ne rendono conto guardando gli altri, se non guardando loro stessi. Appena
ha avuto Susanna Afildicapezzolo in studio, Simona Ventura le ha rinfacciato
di aver detto a uno degli autori: ?Voglio fare della fiction: se ce la fa
Davide Silvestri, non vedo perché non dovrei farcela io?. Susanna Torretta
ha ragione. Sa di essere una celebrità di quarta classe in questo momento
dotata di una visibilità di prima classe, e quindi di avere quel demi-monde
in mano. Lo sanno anche loro, ma chissà se se ne fanno una ragione. Chissà
come si è sentita Carmen Russo l’altra sera da Vespa, quando la scheda che
la presentava ha scandito: ?Da Drive in all’Isola dei famosi? ? e sono
davvero pochi gli spettatori che non sanno che fra i due programmi sono
passati un paio di decenni, e chissà Russo nell’intervallo come ha pagato il
mutuo. La produzione dice che per la seconda edizione le candidature
abbondano. Io non sono così convinta. E’ vero che chi per campare inaugura
profumerie sa che il proprio cachet, con un bagno di visibilità del genere,
come minimo si decuplicherà. E’ vero che i demicelèbre che hanno assistito
alla prima edizione conoscono i numeri del successo, quelli che i
partecipanti non si sarebbero mai aspettati, e sanno di andare sì a
sputtanarsi, ma di fronte a parecchi milioni di persone. E’ vero che, se fai
quel mestiere lì (il mestiere di chi inaugura profumerie, di chi vuol essere
riconosciuto dal lattaio), per un programma di successo faresti qualunque
cosa. Ma è anche vero che, oltre alla quantità di pubblico, ora conoscono
anche la gravità dello sputtanamento. Sanno come ci si riduce, cosa ci si
sente dire al rientro, quanto si viene presi per il culo. Probabilmente la
produzione dice il vero: vorranno andarci lo stesso ? anzi, di più. A
Scherzi a parte continuano ad andarci da anni, no?

***

Modesta proposta di casting per la seconda edizione.
Rosanna Lambertucci.
Simona Izzo.
Francesca Senette.
Alessia Merz.
Marta Flavi.
Paolo Crepet.
Arturo Diaconale.
Pietro Maso.
Otelma.
Stefano Bettarini.

***

Chi glielo doveva dire, a Carmen Russo, che a vent’anni dalla sua maggior
gloria televisiva avrebbe avuto un’altra occasione. Chi glielo doveva dire,
che sarebbe finita addirittura a Porta a porta. Se va avanti così, finisce
che sale un gradino nella gerarchia dei famosi per la loro fama e la
prossima volta Vespa le fa fare addirittura una domanda a un
sottosegretario. Chi ce lo doveva dire, a noi, che dovevamo sentirci
inferiori. Perché alla fine questo ha certificato, l’Isola dei famosi: la
nostra inferiorità. Il minor numero di nozioni in nostro possesso. La nostra
impreparazione in materia di pop culture, settore ampio ma nel quale ci si
sentiva fin qui ferratissime. Poi è arrivato Walter Nudo, sull’Isola dei
famosi. E noi, che pure sapevamo che era lui, lo guardavamo nuotare e
gongolavamo all’idea che nessuno l’avrebbe riconosciuto, e ci sforzavamo di
ricordare una voce, una qualunque, del suo curriculum. E loro l’hanno
guardato, nell’acqua, col giubbotto salvagente e i capelli bagnati sugli
occhi, e hanno detto: ?E’ Walter Nudo?, e non è stato perché li avevano
avvisati, no, è stato perché nel loro ecosistema Nudo non è un corpo
estraneo (anche se di lì in poi hanno scelto di comportarsi come se lo
fosse). E’ per questo che di lì a poco, durante un litigio fra Carmen Russo
e Adriano Pappalardo, Nudo ha dato in escandescenze urlando che quel litigio
era indegno di loro: ?Due professionisti! Per me due miti!? ? e a nessuno
dei deportati è parso dicesse un’enormità. Siamo state noi, sciagurate, che
ne abbiamo riso. Ah ah. Pensa un po’. Uno che ha per miti questi qui. E non
sapevamo che, di lì a poco, avremmo scoperto di essere tali e quali a lui.

13.11.03

In guerra senza saperlo


di Marcello Sorgi - La Stampa


L’attacco al comando dei carabinieri di Nassiriya, con il più alto numero di perdite subito dall’Italia dal 1945 ad oggi, non è certo paragonabile all’11 settembre, tale è la sproporzione di mezzi, strategie e dimensioni, e tale la differenza tra vittime civili e militari. Eppure, come ha spiegato il generale Carlo Cabigiosu, già a capo delle nostre truppe in Kossovo ed ora al fianco della delegazione italiana in Iraq, ha per noi lo stesso significato: non solo un lugubre avvertimento, ma una dichiarazione di guerra.

Tutt’insieme l’illusione di una presenza moderata, umanitaria, solidale nel disgraziato teatro iracheno è finita davanti a quei corpi straziati dei carabinieri in divisa, di quei poveri soldati alla vigilia della licenza, di quel volontario, figlio di un alto ufficiale, che era andato ad accompagnare un regista che voleva vedere e girare da vicino le scene della nostra bontà, della nostra amicizia, della nostra tipica, riconosciuta e apprezzata indole caritatevole.

A ben vedere è proprio quel sogno che l’auto-bomba di Nassiriya ha infranto. L’idea degli «italiani brava gente» che, prima di animare una felice stagione di film neorealisti, ci aveva fatto sopportare, in guerra, la doppia occupazione tedesca - americana e il paese spaccato a metà, e per oltre un trentennio, nel dopoguerra, ci aveva evitato il peggio della prima ondata di terrorismo internazionale. Quel modo metà vaticano e metà andreottiano di convivere con la confusione araba dimostrando un tasso di ambiguità superiore, perfino, a quello mediterraneo dei nostri interlocutori. E ancora quel darsi di gomito, in un mix di furbizia e favori inconfessabili, che ci faceva chiudere un occhio sui missili di Gheddafi contro Lampedusa, o favorire la fuga da Sigonella dell’assassino Abu Abbas.

E’ con questo spirito che noi abbiamo aderito alla maggior parte delle missioni umanitarie di questi ultimi anni, dal Libano alla Somalia, dall’Algeria a Sarajevo, dal Kossovo a Timor Est. E lo abbiamo fatto - va detto - con convinzione e con buona fede, con grande professionalità, lasciando in giro tanta riconoscenza. Le immagini di quel che sappiamo fare le abbiamo viste e riviste, ieri, per un giorno intero in tv: soldati che distribuiscono cibo, che medicano, che giocano a pallone con i ragazzini, che parlano gesticolando, senza sapere le lingue ma facendosi capire.

Nelle missioni di pace, la nostra specialità, tutto ciò ha dato un buon risultato. Qualcosa di cui giustamente andiamo in giro orgogliosi, come risulta ormai dai sondaggi e come è dimostrato dal fatto che iniziative umanitarie o di peace-keeping sono state decise da governi di centrosinistra e centrodestra. Ma è esattamente questo che la bomba di Nassiriya ha cancellato, con un brusco richiamo alle alternative radicali e semplificate del mondo del dopo 11 settembre.

Così, la partecipazione morbida all’intervento in Iraq, la solidarietà «non belligerante» (com’è stata definita dal governo) con l’alleato Usa sono apparsi concetti troppo sofisticati per un terrorismo internazionale che alla fine guarda solo con chi stai. L’amicizia fin troppo sbandierata con il popolo iracheno non ha avuto valore per i commando di feddayn pro-Saddam, per i militari sbandati ma ancora armati, per la mafia in rotta del partito Baath. La copertura tardiva dell’Onu all’intervento, ottenuta finalmente con la seconda risoluzione un mese fa, è diventata un velo da squarciare. E adesso che il velo è caduto, la verità è davanti ai nostri occhi: l’Italia è entrata in guerra quasi senza accorgersene, senza capirlo, senza essere sicura di volerlo fino in fondo.

Strage a Nassiryah


Il Foglio

Colpiti i carabinieri italiani, colpito al cuore l’Iraq che collabora con gli stranieri per rinascere libero .
Nassiryah. Perché proprio i carabinieri? Il loro quartier generale, contro al quale ieri si sono andati a schiantare un camion e un’auto bomba provocando la morte di almeno 17 italiani e otto iracheni, si trova (come altre quattro basi italiane) nel centro di Nassiryah dove l’esposizione agli attentati è certo maggiore che nelle basi campali nonostante le imponenti misure di sicurezza che erano state prese dall’Arma e che includevano “muri” di ghiaia e cemento a protezione del cancello d’ingresso. I carabinieri sono inevitabilmente un bersaglio prioritario per i terroristi. Svolgono attività di controllo del territorio, antisommossa, prevenzione e antiterrorismo e soprattutto si occupano di arruolare, riorganizzare e addestrare la nuova polizia irachena. Nelle ultime settimane sono proprio gli iracheni delle forze di polizia a essere indicati dalla guerriglia come collaborazionisti e a essere al centro degli attacchi del terrorismo. Altra attività dell’Arma dei carabinieri, accanto alla lotta contro la criminalità e le azioni antisommossa, è il lavoro di intelligence e di controllo della sicurezza. La maggior parte dei carabinieri in Iraq fa parte della Seconda Brigata Mobile, costituita per far fronte alle operazioni all’estero e composta da veterani delle operazioni nei Balcani e in Somalia. Questi compiti hanno contribuito a rendere i carabinieri italiani un bersaglio ideale per i gruppi terroristici. Finora la zona di Nassiryah non era stata presa di mira, anche perché area a prevalenza sciita, quindi poco incline a rimpiangere Saddam Hussein, anche se proprio i carabinieri avevano sostenuto il primo scontro a fuoco del contingente italiano, nell’agosto scorso, con una banda di malavitosi. L’attacco di ieri potrebbe non essere opera dei gruppi fedeli all’ex rais ma pare un tipico attentato dei gruppi estremisti islamici legati ad al Qaida, condotto con la stessa tecnica impiegata per distruggere la sede dell’Onu a Baghdad e utilizzata per la prima volta da Hezbollah in Libano negli anni Ottanta per devastare i comandi statunitense e francese delle forze di pace. L’intelligence britannico da Bassora aveva segnalato già nei mesi scorsi l’infiltrazione di terroristi dai confini iraniani, mentre a Sud del settore italiano, dall’Arabia Saudita, si è avuta notizia dell’ingresso di militanti wahabiti in territorio iracheno alcuni dei quali recentemente intercettati con carichi di armi ed esplosivi dalle guardie di frontiera di Riad. Inoltre, secondo l’agenzia di stampa AdnKronos, un doppio allarme rosso, che avvertiva della minaccia di attentati contro obiettivi italiani a Nassiryah, sarebbe arrivato durante la notte precedente all’attentato dall’intelligence militare italiano, il Sismi, e persino dalla Cia. I sospetti e gli infiltrati La minaccia del terrore si sta allargando, da Baghdad gli attacchi si stanno espandendo anche in altre zone del paese, soprattutto dopo l’ultima risoluzione delle Nazioni Unite che ha internazionalizzato la questione irachena. Da allora sono stati colpiti non soltanto gli americani e i britannici, ma anche i polacchi, gli ucraini, perfino la Croce Rossa internazionale, e oggi i Carabinieri italiani, con un tragico bilancio. Obiettivo dei terroristi sembra essere chiaro: indurre gli organismi internazionali e i paesi alleati che sostengono gli anglo-americani a lasciare l’Iraq. Ci sono già i primi effetti. Portogallo e Bangladesh, hanno rinunciato a inviare i propri contingenti a seguito degli ultimi attentati, la Corea del Sud ha preso tempo mentre Onu e Croce Rossa hanno abbandonato Baghdad. Lo stesso attentato contro la base dei carabinieri conferma la presenza di cellule attive ben al di là del “triangolo sunnita” capaci di organizzare e condurre azioni su vasta scala. Un attentato del genere non può essere organizzato in breve tempo ed è stato certamente pianificato a lungo e in dettaglio. Un’ipotesi probabile è che a sostegno dei terroristi abbia giocato anche qualche infiltrato, come quelli che sono stati smascherati nei comandi militari statunitensi a Baghdad dopo gli ultimi attentati. Molti abitanti di Nassiryah lavorano a stretto contatto con i carabinieri e con il contingente italiano (poliziotti, interpreti, maestranze, eccetera) e dunque conoscono bene le basi dei nostri militari.

Ritirateli


di Rossana Rossanda - Il Manifesto

Si richiamino le truppe italiane dall'Iraq: questo dicono i corpi dilaniati dei militari e dei civili. E si richiamino oggi. Ogni giorno che passa quelli che restano sono esposti a una guerriglia più forte, organizzata e - chiunque sia a dirigerla ed è difficile che si tratti di un gruppo terrorista straniero - che ha l'appoggio evidente della popolazione. La guerra all'Iraq non l'abbiamo voluta. L'ha voluta l'amministrazione neoconservatrice americana. Non è stata autorizzata dalle Nazioni Unite. Non abbiamo alcun dovere di inviare un contingente italiano, né dell'esercito, né dei carabinieri, né alcuna ragione di tenervelo. E' stata, come avevamo scritto fin da quando ne gravava la minaccia e non occorreva essere profeti, un'impresa folle, preparata dagli Usa fin nei minimi particolari sotto il profilo dell'invasione e dello schiacciamento di un esercito in campo, e del tutto impreparata per la fase che sarebbe seguita. E ancor meno in vista di una guerriglia che forse, ripiegando sotto l'urto iniziale per la grandissima sproporzione delle forze, avrebbe potuto dispiegarsi dopo l'azione militare vera e propria. Come sta avvenendo.
Sappiamo dallo stesso New York Times che fra Pentagono e il Dipartimento di Stato, e al loro interno, molti militari ed esperti civili avevano messo in guardia i falchi, ma questi, i più stolidi che mai abbiano guidato gli Stati Uniti, hanno proceduto senza alcuna informazione sul paese reale e nella convinzione che le truppe americane sarebbero state accolte con giubilo e gli iracheni, liberati da Saddam Hussein, avrebbero tirato giù alcune statue del dittatore e sarebbero alacremente tornati al lavoro.
Non è stato così. Gli Usa non sono stati accolti come liberatori, ma come occupanti. E dopo giorni di saccheggi senza precedenti cui non si sono opposti, proteggendo ostentatamente soltanto il Ministero del petrolio, è cominciata una guerriglia ogni giorno più mirata. E chiunque sta con gli Stati Uniti o è venuto sotto le loro ali o è stato imposto da Bremer è considerato un occupante o strumento dell'occupante e quindi un bersaglio. Tutti, comprese le organizzazioni umanitarie prima non presenti, compresa la rappresentanza delle Nazioni Unite che ha patito la morte di Sergio Vieira de Mello e dei suoi collaboratori. E' una guerriglia nazionalista furibonda e crudele, che si serve di tutti i mezzi, attentati suicidi inclusi, e della quale non si vede la fine.
Per questo gli Stati Uniti chiedono ai loro alleati, dei quali si ricordano soltanto a posteriori, di mandare in Iraq delle truppe in modo da non essere i soli esposti alle pallottole. Si dice per compiti di pacificazione. Ma quale pacificazione? Li vogliono in funzione antiguerriglia. La linea della new strategy - colpire tutto un paese per abbattere un eventuale santuario di Al Qaeda - li ha indotti a metter fuoco al Medio oriente e ve li incastra. Nessun ordine regna nell'Iraq, come in Afghanistan, dove nessun ordine è tornato, imperversano i signori della guerra, le donne sono costrette al burqa come prima e in più torna a dilagare il papavero. Nessun problema di strutture politiche e sociali in Medio oriente né altrove può essere risolto da una guerra. Al contrario. Questa non può che scatenare il peggio.
Non è lecito al nostro governo incoraggiare su questa strada Bush, tantomeno sulla pelle dei soldati e dei carabinieri italiani. Non c'è segno che Washington abbia imparato qualcosa da quel che è avvenuto. Anzi, le ultime dichiarazioni di Bush non escludono che attacchi da qualche altra parte, chiedendo poi agli alleati di funzionargli da retrovia. E' il contrario di una politica e se l'Italia fosse amica degli Stati Uniti invece che ai loro ordini, oltre a ritirare i propri suggerirebbe a Bush di ritirare i suoi. Questo potrebbe fare il presidente Ciampi che ora lo incontra.
La retorica del lutto non serve a niente. I cocci ormai sono fatti e toccherà alle Nazioni Unite raccoglierli, impresa che appare sempre più dura ed esigerà tutt'altro approccio da quello di Bremer. Ma è l'unica che abbia un senso e offra, forse, una via di uscita.