Denarologia di Mike Bongiorno
di ALESSANDRO ROBECCHI (Il Manifesto)
Tra i tanti sampietrini di fuffa pressofusa che i media ci hanno sparato sulla capoccia in settimana, l'ottantesimo compleanno di Mike Bongiorno mi sembra particolarmente rivelatore. Guarda tu, mi sono detto, dove si va a cacciare l'ideologia (dove l'hanno cacciata, anzi!). E guarda tu - aggiungo - cosa ci può rivelare il compleanno di un ottuagenario. So che sembrerà un dettaglio, un minuscolo pezzo dell'enorme puzzle delle ideologie contemporanee, ma qualche riflessione la merita, e cerco di spiegare perché. Delle facce dei nostri vecchi abbiamo una specie di venerazione. Ricordo gli ottant'anni di Bobbio, un vecchio che parlava di futuro, di passione, di come fosse stato dentro alla sua epoca con la schiena dritta. Altri vecchi, giunti alla boa, raccontano del loro attraversamento della vita, scherzano su disincantati consigli e impastano in modo magistrale il ricordo, il rimpianto e tutte le speranze che loro - fisicamente - non si possono più permettere. Mike Bongiorno no. Del suo attraversare il secolo, richiesto di un aneddoto sulla sua vita, ripete instancabilmente la stessa storiella: il giorno in cui venne chiamato da Silvio che gli offrì seicento milioni. Punto. All'interno del Tg5 la storia ha avuto la sua massima celebrazione. Quell'assegno annuale, sganciato da un cavaliere esordiente che spiegava «qui paga la pubblicità», ha sostituito d'un botto, nei ricordi di nonno Mike, i fasti antichi di Lascia o Raddoppia, Rischiatutto, l'invenzione del quiz e altri brandelli di sociologia televisiva. D'un tratto, nel mezzo del cammin della vita di Mike, si è tracciata una riga. Punto a capo. Seicento milioni laddove - nota malignamente una trasmissione del pomeriggio dello stesso padrone - alla Rai ne prendeva una ventina. Silvio paga in contanti, paga bene, conquista. Tanto che nei ricordi dell'ottantesimo compleanno si rende omaggio a Mike, sì, ma il compleanno pare sia di Silvio. Che ha pagato - giusto - e quindi incassa stima e complimenti.
Abbarbicato a una poltrona papale nel suo salotto, Mike racconta e chiacchiera con la sua notoria naïveté, e non si rende conto di raccontare un pezzo della nostra storia.
Tra i tanti sampietrini di fuffa pressofusa che i media ci hanno sparato sulla capoccia in settimana, l'ottantesimo compleanno di Mike Bongiorno mi sembra particolarmente rivelatore. Guarda tu, mi sono detto, dove si va a cacciare l'ideologia (dove l'hanno cacciata, anzi!). E guarda tu - aggiungo - cosa ci può rivelare il compleanno di un ottuagenario. So che sembrerà un dettaglio, un minuscolo pezzo dell'enorme puzzle delle ideologie contemporanee, ma qualche riflessione la merita, e cerco di spiegare perché. Delle facce dei nostri vecchi abbiamo una specie di venerazione. Ricordo gli ottant'anni di Bobbio, un vecchio che parlava di futuro, di passione, di come fosse stato dentro alla sua epoca con la schiena dritta. Altri vecchi, giunti alla boa, raccontano del loro attraversamento della vita, scherzano su disincantati consigli e impastano in modo magistrale il ricordo, il rimpianto e tutte le speranze che loro - fisicamente - non si possono più permettere. Mike Bongiorno no. Del suo attraversare il secolo, richiesto di un aneddoto sulla sua vita, ripete instancabilmente la stessa storiella: il giorno in cui venne chiamato da Silvio che gli offrì seicento milioni. Punto. All'interno del Tg5 la storia ha avuto la sua massima celebrazione. Quell'assegno annuale, sganciato da un cavaliere esordiente che spiegava «qui paga la pubblicità», ha sostituito d'un botto, nei ricordi di nonno Mike, i fasti antichi di Lascia o Raddoppia, Rischiatutto, l'invenzione del quiz e altri brandelli di sociologia televisiva. D'un tratto, nel mezzo del cammin della vita di Mike, si è tracciata una riga. Punto a capo. Seicento milioni laddove - nota malignamente una trasmissione del pomeriggio dello stesso padrone - alla Rai ne prendeva una ventina. Silvio paga in contanti, paga bene, conquista. Tanto che nei ricordi dell'ottantesimo compleanno si rende omaggio a Mike, sì, ma il compleanno pare sia di Silvio. Che ha pagato - giusto - e quindi incassa stima e complimenti.
Se si vuole datare l'infiltrazione nelle nostre vite dell'ideologia commerciale all'ultimo stadio, del cinismo del mercato che tutto spiega e compra, e che monetizza tutto, anche i ricordi del nonno, bisogna probabilmente andare a cercare lì, alla data di quell'assegno. Alla scoperta (Mike pare un po' stupito pure adesso) di un mercato che nemmeno era immaginabile, di una riserva di soldi e potere che ancora non si era intuita. Un po' come passare dal treno a vapore all'astronave, e questo di colpo, in un botto, pani e pesci moltiplicati d'incanto, oplà! Seicento milioni! Il gentile sponsor che ti ruba l'anima. E la reazione dell'ineffabile Mike, beh, l'anima, che sarà mai... Forse è poco per farne un frammento di ideologia quotidiana, eppure mai l'elogio del mercato è stato tanto palese, quasi incarnato. E che Mike Buongiorno finisca i suoi anni terreni facendo il suo onesto lavoro da testimonial ha pure una sua ironica coerenza. Testimonial del nuovo che avanzava, e che poi è tracimato. L'iperrealismo arcoriano che ha sostituito il neorealismo. Nelle rughe dei nostri vecchi riconosciamo cose antiche, vere, magari non tutte nobili, ma passate per il setaccio della vita. Il serafico Mike vanta una bella ruga soltanto con scritto sopra: seicento milioni! Racconta e riracconta quella storia, che i media del suo padrone rilanciano con frequenza, come in loop. Messaggio. Tutto era fermo e polveroso e democristo, poi venne la luce, zot! E le famose tre I di Berlusconi: I soldi, I soldi, I soldi.
Ce ne dovrebbe fregare qualcosa? Forse no, forse sì. E' soltanto un piccolo aneddoto rivelatore di come si possano comprare, insieme a tutto il resto, anche i ricordi, le vite passate, gli anni, le storie e le anime. Ultima domanda: qual è la trasmissione migliore della tivù? Risposta di Mike: ma la mia no? E giù a snocciolare orari e date della sua prossima fatica televisiva, come un esordiente qualunque che si fa lo spot. Tutto ciò che è stato è stato, solo quel che si può ancora vendere, monetizzare, trasformare in profitto, ha un minimo interesse. Poi dicono che le ideologie sono morte. Macchè. Hanno ottant'anni, e vanno fortissimo.
31.5.04
Real Casa Reality Show
"Satira preventiva" di Michele Serra
Produttori e pubblicitari sono molto preoccupati perché con il matrimonio dell'infante di Spagna si è esaurito il format televisivo 'nozze reali'. Ecco varie soluzioni
Con il matrimonio dell'infante di Spagna, ultimo residuo di magazzino, si è esaurito il format televisivo 'nozze reali'. Produttori e pubblicitari sono molto preoccupati, perché questi eventi sono straordinariamente redditizi. Tutte le spese di produzione, infatti, sono a carico dello Stato organizzatore, compreso lo strepitoso casting di caratteristi (re, regine, principesse, duchi, vecchie befane col cappellino, ambasciatori gottosi, cortigiani imparruccati, cavalli lipizzani, cardinali, generali, cocchieri, popolo bue) che costerebbe un sacco e per giunta è introvabile attraverso le normali agenzie, nessuna delle quali ha a disposizione, per esempio, un attore in grado di rovesciare il minestrone di ostriche sullo strascico della sposa con la magnifica naturalezza di Carlo d'Inghilterra. Neanche il grande Peter Sellers ci sarebbe riuscito. Per non lasciar cadere un genere di successo e a costo zero, si sta pensando a varie soluzioni.
Il remake
Di alcune nozze reali, per esempio quelle tra Ranieri e Grace Kelly, esistono solo registrazioni radiofoniche, usurate e con la voce del radiocronista poco intellegibile perché, relegato nel salone del buffet, parlava con la bocca piena. Per giunta l'idiota era convinto si trattasse del Gran Premio di Monaco e continuava a domandare ai camerieri l'ordine d'arrivo. Si sono perdute le tracce anche del matrimonio tra lo Scià di Persia e Soraya: l'unica telecamera, all'epoca, fu oscurata da un elefante imbizzarrito proprio durante il fatidico 'sì'. Si sta dunque pensando di ricostruire quelle fastose cerimonie, con controfigure laddove gli sposi siano deceduti. Luoghi e arredi saranno restituiti all'antico splendore: dalla Reggia di Monaco, la cui struttura in marzapane si è afflosciata negli anni, al sontuoso Trono del Pavone di Teheran, ben conservato ma usato come scarpiera dall'ayatollah Kalkalì.
L'Oriente
Ancora poco sfruttato, l'Oriente può fornire scorte imprevedibili di cerimonie regali, esotiche e fastose. Il sultano dell'Oman, per esempio, si sposa ogni primo lunedì del mese con una vergine (l'opposizione in esilio sostiene che è sempre la stessa). La sposa indossa uno speciale e prezioso burqua, una pressofusione ricavata dalle coppe dell'olio dei camion Scania. Le nozze seriali omanite si farebbero apprezzare, televisivamente, per la magnificenza dell'ambientazione, la leggendaria reggia di Qmom, un enorme castello nel deserto realizzato a mano con la tecnica dei pirulini di sabbia e costruito dalla dinastia qmomaita utilizzando, secondo la tradizione, solo paletta e secchiello. Favoloso l'imminente matrimonio tra il rajah di Rawalpindi e la principessa di Lahore, con tigri bianche, altare di lapislazzuli, corone di zaffiri, concerto di trombe e tamburi e contributi statali per il circo. Molto ambite, ma introvabili, anche le nozze del Gran Visir dei nomadi.
I Savoia
Le principali case di produzione hanno scovato un rampollo finora sconosciuto di un ramo cadetto, Vittorio Filiberto, detto Vifì, che fa il magazziniere a Cuorgné. Per soffocare lo scandalo (è l'unico dei Savoia che lavora), la famiglia lo ha diseredato. Purtroppo Vittorio Filiberto ha fatto sapere per bocca del suo convivente che odia le donne, e ha rifiutato la proposta di sposare a 'Domenica in' la vincente di una selezione regionale per Miss Mantenuta.
Seconda serata
Ormai da seconda serata, o addirittura da intervista con Cristina Parodi, le quinte nozze di Stephanie di Monaco. Dopo avere sposato uno stunt-man, il gestore di un'agenzia di recupero crediti, un istruttore di deltaplano e un cronometrista della McLaren, la principessa si è innamorata di un giocatore professionista di tresette, conosciuto a un chiosco di angurie. Si sposeranno tra un mese a Frosinone, città d'origine dello sposo. L'asta per i diritti televisivi è andata deserta. Leggermente migliori le quotazioni della sorella maggiore Carolina, alla sua undicesima gravidanza: ha venduto per 200 euro l'ecografia a un sito Internet, che la diffonde nella rubrica 'in breve'.
"Satira preventiva" di Michele Serra
Produttori e pubblicitari sono molto preoccupati perché con il matrimonio dell'infante di Spagna si è esaurito il format televisivo 'nozze reali'. Ecco varie soluzioni
Con il matrimonio dell'infante di Spagna, ultimo residuo di magazzino, si è esaurito il format televisivo 'nozze reali'. Produttori e pubblicitari sono molto preoccupati, perché questi eventi sono straordinariamente redditizi. Tutte le spese di produzione, infatti, sono a carico dello Stato organizzatore, compreso lo strepitoso casting di caratteristi (re, regine, principesse, duchi, vecchie befane col cappellino, ambasciatori gottosi, cortigiani imparruccati, cavalli lipizzani, cardinali, generali, cocchieri, popolo bue) che costerebbe un sacco e per giunta è introvabile attraverso le normali agenzie, nessuna delle quali ha a disposizione, per esempio, un attore in grado di rovesciare il minestrone di ostriche sullo strascico della sposa con la magnifica naturalezza di Carlo d'Inghilterra. Neanche il grande Peter Sellers ci sarebbe riuscito. Per non lasciar cadere un genere di successo e a costo zero, si sta pensando a varie soluzioni.
Il remake
Di alcune nozze reali, per esempio quelle tra Ranieri e Grace Kelly, esistono solo registrazioni radiofoniche, usurate e con la voce del radiocronista poco intellegibile perché, relegato nel salone del buffet, parlava con la bocca piena. Per giunta l'idiota era convinto si trattasse del Gran Premio di Monaco e continuava a domandare ai camerieri l'ordine d'arrivo. Si sono perdute le tracce anche del matrimonio tra lo Scià di Persia e Soraya: l'unica telecamera, all'epoca, fu oscurata da un elefante imbizzarrito proprio durante il fatidico 'sì'. Si sta dunque pensando di ricostruire quelle fastose cerimonie, con controfigure laddove gli sposi siano deceduti. Luoghi e arredi saranno restituiti all'antico splendore: dalla Reggia di Monaco, la cui struttura in marzapane si è afflosciata negli anni, al sontuoso Trono del Pavone di Teheran, ben conservato ma usato come scarpiera dall'ayatollah Kalkalì.
L'Oriente
Ancora poco sfruttato, l'Oriente può fornire scorte imprevedibili di cerimonie regali, esotiche e fastose. Il sultano dell'Oman, per esempio, si sposa ogni primo lunedì del mese con una vergine (l'opposizione in esilio sostiene che è sempre la stessa). La sposa indossa uno speciale e prezioso burqua, una pressofusione ricavata dalle coppe dell'olio dei camion Scania. Le nozze seriali omanite si farebbero apprezzare, televisivamente, per la magnificenza dell'ambientazione, la leggendaria reggia di Qmom, un enorme castello nel deserto realizzato a mano con la tecnica dei pirulini di sabbia e costruito dalla dinastia qmomaita utilizzando, secondo la tradizione, solo paletta e secchiello. Favoloso l'imminente matrimonio tra il rajah di Rawalpindi e la principessa di Lahore, con tigri bianche, altare di lapislazzuli, corone di zaffiri, concerto di trombe e tamburi e contributi statali per il circo. Molto ambite, ma introvabili, anche le nozze del Gran Visir dei nomadi.
I Savoia
Le principali case di produzione hanno scovato un rampollo finora sconosciuto di un ramo cadetto, Vittorio Filiberto, detto Vifì, che fa il magazziniere a Cuorgné. Per soffocare lo scandalo (è l'unico dei Savoia che lavora), la famiglia lo ha diseredato. Purtroppo Vittorio Filiberto ha fatto sapere per bocca del suo convivente che odia le donne, e ha rifiutato la proposta di sposare a 'Domenica in' la vincente di una selezione regionale per Miss Mantenuta.
Seconda serata
Ormai da seconda serata, o addirittura da intervista con Cristina Parodi, le quinte nozze di Stephanie di Monaco. Dopo avere sposato uno stunt-man, il gestore di un'agenzia di recupero crediti, un istruttore di deltaplano e un cronometrista della McLaren, la principessa si è innamorata di un giocatore professionista di tresette, conosciuto a un chiosco di angurie. Si sposeranno tra un mese a Frosinone, città d'origine dello sposo. L'asta per i diritti televisivi è andata deserta. Leggermente migliori le quotazioni della sorella maggiore Carolina, alla sua undicesima gravidanza: ha venduto per 200 euro l'ecografia a un sito Internet, che la diffonde nella rubrica 'in breve'.
Sensi di Polpa
Di Marco Travaglio (L'Unità, 29 maggio 2004)
Uno legge, su "Sette", una rubrica di Barbara Palombelli con un titolo che inizia così "Il mio senso di colpa...". E immagina: forse la signora si sente in colpa per aver accettato di fare la spalla di Giuliano Ferrara ed essersi trasformata progressivamente nel "pungiball" tascabile del Platinette Barbuto. O magari si sente in colpa per aver frequentato, in passato, casa Previti, dove Antonio Baldassarre rivelò di averla conosciuta.
Niente paura, nulla di tutto questo: il titolo completo è "Il mio senso di colpa su Mani Pulite". E allora uno immagina: magari si sente in colpa per non aver difeso con la dovuta energia, negli ultimi anni, i magistrati migliori del Paese, apprezzati e onorati in tutto il mondo e massacrati in patria con linciaggi forsennati, accuse calunniose, processi-farsa a reti unificate. Niente paura, nulla di tutto questo. Anzi, tutto il contrario.
L¹articolo, infatti, svela la vera colpa che la Palombelli non riesce a perdonarsi. Si parte dal cosiddetto "documentario" confezionato su Mani Pulite dal barbuto conduttore del Tg5 Andrea Pamparana, già beatificatore di Di Pietro e del pool finché contavano qualcosa, poi demolitore di Di Pietro e del pool in concomitanza con la rivincita dei ladri.
Scrive la signora: «Rivedendo quelle immagini datate 1992-'94 il numero enorme di persone che non ci sono più, da Raul Gardini a Sergio Moroni, da Gabriele Cagliari a Bettino Craxi che apre e chiude il film non si può non provare un senso di colpa. L¹Italia di oggi non può fare lezioni all'Italia della Prima Repubblica. Valeva la pena massacrare decine di persone? Ho sempre pensato di no, sono felice di vedere che adesso questa sensazione è diffusa e maggioritaria. Ma chi restituirà alle famiglie quei padri che non hanno retto all'onta del processo celebrato nella piazza mediatica?». Ecco, "decine di persone massacrate" dalla "piazza mediatica": questo, nella testolina di Barbara Palombelli, è rimasto di Tangentopoli, cioè di un sistema di corruzione che secondo calcoli del Centro Einaudi di Torino, opera del professor Mario Deaglio - si portava via 10-15mila miliardi all'anno, sfilandoli direttamente dalle tasche dei cittadini sotto forma di estorsioni legalizzate, tasse spropositate, opere pubbliche fatiscenti o inutili, devastazioni ambientali, ruberie persino sulla pelle del Terzo Mondo nella celeberrima "cooperazione" all'italiana. Rimane dunque pochino, e quel pochino è pure sbagliato. Perché non ci fu alcun massacro (a parte le esagerazioni, tipo quella di Francesco Rutelli che augurò a Craxi di "consumare presto il rancio nelle patrie galere"). Craxi, sfuggito a due condanne definitive per aver accumulato almeno 50 miliardi su conti personali e cifrati in Svizzera, morì da latitante di morte naturale.
Gardini e Moroni si tolsero la vita a casa loro dopo un semplice avviso di garanzia, e il prosieguo delle inchieste dimostrò che erano responsabili di gravi reati (come lo stesso Moroni onestamente ammise nella sua ultima lettera). Cagliari fu l'unico indagato milanese che si tolse la vita in carcere, dove peraltro era giustamente recluso (la moglie restituì 9 miliardi sull'unghia, svuotando i conti di famiglia in Svizzera), ma non per l'inchiesta Mani Pulite: Di Pietro l¹aveva già fatto scarcerare, ed era detenuto per un¹altra inchiesta seguita da un pm estraneo al pool, poi approdata a condanne definitive.
A chi altri alluda la signora quando parla di "numero enorme di persone che non ci sono più" e di "massacro di decine di persone", non è dato sapere: i suicidi negli anni di Mani Pulite sono inferiori a quelli degli studenti bocciati agli esami di maturità. A meno che non si vogliano contare anche gli imprenditori costretti a fallire per non piegarsi al racket della tangente, alcuni dei quali finiti in miseria, altri morti suicidi: sono le vere vittime di Tangentopoli, e infatti nessuno le ha mai commemorate.
Mani Pulite, per qualche anno, le riscattò. Ma la signora Palombelli, in tutto questo, non ha nulla da rimproverarsi: lei, con Mani Pulite, non c'entra.
Di Marco Travaglio (L'Unità, 29 maggio 2004)
Uno legge, su "Sette", una rubrica di Barbara Palombelli con un titolo che inizia così "Il mio senso di colpa...". E immagina: forse la signora si sente in colpa per aver accettato di fare la spalla di Giuliano Ferrara ed essersi trasformata progressivamente nel "pungiball" tascabile del Platinette Barbuto. O magari si sente in colpa per aver frequentato, in passato, casa Previti, dove Antonio Baldassarre rivelò di averla conosciuta.
Niente paura, nulla di tutto questo: il titolo completo è "Il mio senso di colpa su Mani Pulite". E allora uno immagina: magari si sente in colpa per non aver difeso con la dovuta energia, negli ultimi anni, i magistrati migliori del Paese, apprezzati e onorati in tutto il mondo e massacrati in patria con linciaggi forsennati, accuse calunniose, processi-farsa a reti unificate. Niente paura, nulla di tutto questo. Anzi, tutto il contrario.
L¹articolo, infatti, svela la vera colpa che la Palombelli non riesce a perdonarsi. Si parte dal cosiddetto "documentario" confezionato su Mani Pulite dal barbuto conduttore del Tg5 Andrea Pamparana, già beatificatore di Di Pietro e del pool finché contavano qualcosa, poi demolitore di Di Pietro e del pool in concomitanza con la rivincita dei ladri.
Scrive la signora: «Rivedendo quelle immagini datate 1992-'94 il numero enorme di persone che non ci sono più, da Raul Gardini a Sergio Moroni, da Gabriele Cagliari a Bettino Craxi che apre e chiude il film non si può non provare un senso di colpa. L¹Italia di oggi non può fare lezioni all'Italia della Prima Repubblica. Valeva la pena massacrare decine di persone? Ho sempre pensato di no, sono felice di vedere che adesso questa sensazione è diffusa e maggioritaria. Ma chi restituirà alle famiglie quei padri che non hanno retto all'onta del processo celebrato nella piazza mediatica?». Ecco, "decine di persone massacrate" dalla "piazza mediatica": questo, nella testolina di Barbara Palombelli, è rimasto di Tangentopoli, cioè di un sistema di corruzione che secondo calcoli del Centro Einaudi di Torino, opera del professor Mario Deaglio - si portava via 10-15mila miliardi all'anno, sfilandoli direttamente dalle tasche dei cittadini sotto forma di estorsioni legalizzate, tasse spropositate, opere pubbliche fatiscenti o inutili, devastazioni ambientali, ruberie persino sulla pelle del Terzo Mondo nella celeberrima "cooperazione" all'italiana. Rimane dunque pochino, e quel pochino è pure sbagliato. Perché non ci fu alcun massacro (a parte le esagerazioni, tipo quella di Francesco Rutelli che augurò a Craxi di "consumare presto il rancio nelle patrie galere"). Craxi, sfuggito a due condanne definitive per aver accumulato almeno 50 miliardi su conti personali e cifrati in Svizzera, morì da latitante di morte naturale.
Gardini e Moroni si tolsero la vita a casa loro dopo un semplice avviso di garanzia, e il prosieguo delle inchieste dimostrò che erano responsabili di gravi reati (come lo stesso Moroni onestamente ammise nella sua ultima lettera). Cagliari fu l'unico indagato milanese che si tolse la vita in carcere, dove peraltro era giustamente recluso (la moglie restituì 9 miliardi sull'unghia, svuotando i conti di famiglia in Svizzera), ma non per l'inchiesta Mani Pulite: Di Pietro l¹aveva già fatto scarcerare, ed era detenuto per un¹altra inchiesta seguita da un pm estraneo al pool, poi approdata a condanne definitive.
A chi altri alluda la signora quando parla di "numero enorme di persone che non ci sono più" e di "massacro di decine di persone", non è dato sapere: i suicidi negli anni di Mani Pulite sono inferiori a quelli degli studenti bocciati agli esami di maturità. A meno che non si vogliano contare anche gli imprenditori costretti a fallire per non piegarsi al racket della tangente, alcuni dei quali finiti in miseria, altri morti suicidi: sono le vere vittime di Tangentopoli, e infatti nessuno le ha mai commemorate.
Mani Pulite, per qualche anno, le riscattò. Ma la signora Palombelli, in tutto questo, non ha nulla da rimproverarsi: lei, con Mani Pulite, non c'entra.
24.5.04
In questo paese di riformisti
di Alessandro Robecchi
In questo paese di riformisti, dove tutti sono riformisti e vogliono fortemente le riforme, il ministro delle riforme è passato in clandestinità, aiutato dai più stretti familiari a darsi alla macchia, a nascondersi in un posto sicuro, in un qualche imprecisato luogo misterioso ubicato tra l'Austria, la Svizzera e le Puglie. Nessuno sa, nessuno dice.
Ogni tanto qualche colonnello del partito del ministro delle riforme spande un po' di unguento e di ottimismo tra i militanti: Bossi sta bene. Migliora. Mangia la minestra. Parla. Scrive sulla lavagnetta. Niente di scientifico, solo qualche pennellata che ricorda un po' le vecchie menzogne dei vecchi regimi: Breznev ha soltanto un raffreddore. Il cuore del generalissimo Franco batte ancora. Il Grande Timoniere è in piena salute.
Mi chiedo come i riformisti italiani - che di solito sono tanto saputelli e portano eleganti baffetti - possano assistere inerti e inoperosi a questo mistero sul ministro delle riforme: se fosse un lavoratore normale il medico fiscale sarebbe già uscito più volte e forse con le riforme già fatte in tema di garanzie dei lavoratori sarebbe già stato licenziato in tronco. Il ministro del lavoro (impropriamente chiamato del welfare) va dicendo in giro che il sei giugno ci sarà un'apparizione, ancora non si sa se live, in video, in audio, in ologramma o semplicemente in spirito, qualcosa come un tuono che oscurerà la piana di Pontida per gridare qualche cazzata delle sue. Insomma in qualche modo apparirà alle masse, con o senza lavagnetta, per rilanciare il verbo.
Il mistero getta una luce inquietante sullo stato di salute del Paese: in quale altra democrazia impegnata in guerra un ministro può sparire nel nulla, volatilizzarsi, restare nascosto? Il mistero fa ancor di più: autorizza qualsiasi illazione. Che ne è di Umberto Bossi? Scrive, parla, argomenta? Riesce a pronunciare parole difficili, tipo "Bingo Bongo", per esempio, o il più classico "vadavialcù"? Non sarà il caso di sostituirlo per lo meno al ministero? La privacy, più volte invocata e difesa, si applica anche per le più alte cariche dello stato, oppure i cittadini - padani e italiani - avrebbero il diritto di sapere dove diavolo si trova, e come sta, il loro ministro delle riforme?
Sono domande che oggi - ai tempi del colera - paiono un po' peregrine. Mentre il ministro delle riforme si trova confinato in luogo sicuro e conosciuto a riprendersi dallo sciopòn, il suo principale, Silvio, si fa bello elencando le 24 riforme che daranno un nuovo volto al paese: sarà questo il vero lifting e, come sanno bene i lavoratori e i ceti meno protetti, sarà fatto senza anestesia, probabilmente passando con la roncola su quei pochi diritti non ancora caduti sul fronte del liberismo. Intanto, colonnelli e caporali del Carroccio, combattono una sorda e patetica guerra per accreditarsi come effettivi eredi del Capo. Maroni versus Calderoli è uno spettacolo epico e divertente, uno scontro di intelligenze dove l'unica cosa a mancare sono, appunto, le intelligenze. Poi c'è Cé, c'è quel giovane Giorgetti, c'è il ministro della giustizia Castelli molto amato dalla base, c'è "la Manuela", la regina di questo drammone medievale, che detta la linea e nasconde a tutti il conducator delle valli, interpreta, consiglia e striglia i fedelissimi un po' troppo burbanzosi. Nel frattempo, la fanzine del movimento, quell'irresistibile foglio satirico che è la Padania, sorvola e tralascia. Non una riga sul povero degente, non un cenno alle sue condizioni, e pure qualche sgarbo al Maroni biblico che annuncia le apparizioni future del desaparecido Bossi. Persino nella pagina delle lettere, solitamente tanto devota e votata al culto del Capo, scompare ogni riferimento all'amato Senatùr. Si parla d'altro, si divaga, ci si rifugia nel feuilletton. Come nella testimonianza del povero lettore Arcangelo Gallo, che - avendo incautamente sposato una musulmana - sa bene "quanto sono cattivi". La sposa lo angaria in ogni modo, il cognato lo picchia come un tamburo gonfiandolo a mo' di zampogna. E lui? Lui niente, china il capino padano, umile e contrito. Forse aspetta un'apparizione sul prato di Pontida, un segno divino, un fulmine dal cielo e l'esibizione solenne del Capo reaparecido. Che, naturalmente, migliora, parla, mangia la minestra.
di Alessandro Robecchi
In questo paese di riformisti, dove tutti sono riformisti e vogliono fortemente le riforme, il ministro delle riforme è passato in clandestinità, aiutato dai più stretti familiari a darsi alla macchia, a nascondersi in un posto sicuro, in un qualche imprecisato luogo misterioso ubicato tra l'Austria, la Svizzera e le Puglie. Nessuno sa, nessuno dice.
Ogni tanto qualche colonnello del partito del ministro delle riforme spande un po' di unguento e di ottimismo tra i militanti: Bossi sta bene. Migliora. Mangia la minestra. Parla. Scrive sulla lavagnetta. Niente di scientifico, solo qualche pennellata che ricorda un po' le vecchie menzogne dei vecchi regimi: Breznev ha soltanto un raffreddore. Il cuore del generalissimo Franco batte ancora. Il Grande Timoniere è in piena salute.
Mi chiedo come i riformisti italiani - che di solito sono tanto saputelli e portano eleganti baffetti - possano assistere inerti e inoperosi a questo mistero sul ministro delle riforme: se fosse un lavoratore normale il medico fiscale sarebbe già uscito più volte e forse con le riforme già fatte in tema di garanzie dei lavoratori sarebbe già stato licenziato in tronco. Il ministro del lavoro (impropriamente chiamato del welfare) va dicendo in giro che il sei giugno ci sarà un'apparizione, ancora non si sa se live, in video, in audio, in ologramma o semplicemente in spirito, qualcosa come un tuono che oscurerà la piana di Pontida per gridare qualche cazzata delle sue. Insomma in qualche modo apparirà alle masse, con o senza lavagnetta, per rilanciare il verbo.
Il mistero getta una luce inquietante sullo stato di salute del Paese: in quale altra democrazia impegnata in guerra un ministro può sparire nel nulla, volatilizzarsi, restare nascosto? Il mistero fa ancor di più: autorizza qualsiasi illazione. Che ne è di Umberto Bossi? Scrive, parla, argomenta? Riesce a pronunciare parole difficili, tipo "Bingo Bongo", per esempio, o il più classico "vadavialcù"? Non sarà il caso di sostituirlo per lo meno al ministero? La privacy, più volte invocata e difesa, si applica anche per le più alte cariche dello stato, oppure i cittadini - padani e italiani - avrebbero il diritto di sapere dove diavolo si trova, e come sta, il loro ministro delle riforme?
Sono domande che oggi - ai tempi del colera - paiono un po' peregrine. Mentre il ministro delle riforme si trova confinato in luogo sicuro e conosciuto a riprendersi dallo sciopòn, il suo principale, Silvio, si fa bello elencando le 24 riforme che daranno un nuovo volto al paese: sarà questo il vero lifting e, come sanno bene i lavoratori e i ceti meno protetti, sarà fatto senza anestesia, probabilmente passando con la roncola su quei pochi diritti non ancora caduti sul fronte del liberismo. Intanto, colonnelli e caporali del Carroccio, combattono una sorda e patetica guerra per accreditarsi come effettivi eredi del Capo. Maroni versus Calderoli è uno spettacolo epico e divertente, uno scontro di intelligenze dove l'unica cosa a mancare sono, appunto, le intelligenze. Poi c'è Cé, c'è quel giovane Giorgetti, c'è il ministro della giustizia Castelli molto amato dalla base, c'è "la Manuela", la regina di questo drammone medievale, che detta la linea e nasconde a tutti il conducator delle valli, interpreta, consiglia e striglia i fedelissimi un po' troppo burbanzosi. Nel frattempo, la fanzine del movimento, quell'irresistibile foglio satirico che è la Padania, sorvola e tralascia. Non una riga sul povero degente, non un cenno alle sue condizioni, e pure qualche sgarbo al Maroni biblico che annuncia le apparizioni future del desaparecido Bossi. Persino nella pagina delle lettere, solitamente tanto devota e votata al culto del Capo, scompare ogni riferimento all'amato Senatùr. Si parla d'altro, si divaga, ci si rifugia nel feuilletton. Come nella testimonianza del povero lettore Arcangelo Gallo, che - avendo incautamente sposato una musulmana - sa bene "quanto sono cattivi". La sposa lo angaria in ogni modo, il cognato lo picchia come un tamburo gonfiandolo a mo' di zampogna. E lui? Lui niente, china il capino padano, umile e contrito. Forse aspetta un'apparizione sul prato di Pontida, un segno divino, un fulmine dal cielo e l'esibizione solenne del Capo reaparecido. Che, naturalmente, migliora, parla, mangia la minestra.
23.5.04
BERLUSCONI FINANZIA LIBRO CRITICO SU COMMISSIONE P2
da www.osservatoriosullalegalita.org
Con i soldi dello Stato, attacca la senatrice Tina Anselmi, in qualita' di presidente della Commissione parlamentare d'indagine sulla famigerata loggia in un libro molto discusso.
Si tratta del volume "Italiane" - edito a cura del Ministero delle Pari Opportunita' - in cui si raccontano la vita di 247 donne del Novecento: intellettuali, scienziate, attrici, scrittrici, artiste, economiste, imprenditrici. E' il terzo di tre volumi, distribuiti gratuitamente nelle edicole a cura della presidenza del Consiglio dei Ministri, dove, tra le altre cose, si rivalutano figure come Claretta Petacci, Rachele Mussolini, Luisa Ferida (nota torturatrice di oppositori del regime fascista), alle quali, come invita a fare nella Presentazione la ministra Stefania Prestigiacomo, "dobbiamo dire comunque grazie". In questo volume Pialuisa Bianco ha scritto una breve biografia di Tina Anselmi attaccandone il ruolo di donna, di partigiana e di parlamentare. Un duro giudizio anche sul suo ruolo come presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla P2, dove - secondo la Bianco - si "cacciavano streghe e acchiappavano fantasmi". La "furbizia contadina" di Tina Anselmi, scrive la Bianco, sarebbe divenuto "il controverso modello della futura demonologia nazionale, distruttiva e futile". L'associazione StoriAmestre - che ritiene Tina Anselmi "vittima di un grave e volgare attacco" - denuncia che "con uno stile tanto sarcastico quanto banale, Pialuisa Bianco spiega che il problema per la democrazia italiana non era - e non è - la P2, ma chi se ne occupava."L'associazione ritiene "questi giudizi di una gravita' intollerabile. Anche perche' il finanziatore dell'opera, il Presidente del Consiglio on.Silvio Berlusconi, della loggia segreta P2 aveva la tessera n.1816". Per la sua falsa testimonianza sulla P2 Berlusconi fu anche condannato in appello dalla Corte di Venezia (poi amnistiato). E' da rilevare che la presidenza del Consiglio dei ministri figura come finanziatrice dell'opera, ma questa sorta di revisionismo storico viene pagato e distribuito con fondi dello Stato, e quindi dei cittadini. Inoltre Pialuisa Bianco e' stata nominata dal Governo Berlusconi direttore dell'Istituto Italiano di cultura a Bruxelles all'epoca del semestre italiano e cio' in base all'articolo 14, comma 6, della legge 400 del 1990 che prevede la possibilita' di conferire la funzione di direttore di tali istituti a persone estranee all'amministrazione e "dotate di prestigio culturale e di elevata competenza anche in relazione all'organizzazione della promozione culturale". Sarebbe troppo chiedere da dove discende tanta elevata competenza e prestigio, attribuiti Pialuisa Bianco?
da www.osservatoriosullalegalita.org
Con i soldi dello Stato, attacca la senatrice Tina Anselmi, in qualita' di presidente della Commissione parlamentare d'indagine sulla famigerata loggia in un libro molto discusso.
Si tratta del volume "Italiane" - edito a cura del Ministero delle Pari Opportunita' - in cui si raccontano la vita di 247 donne del Novecento: intellettuali, scienziate, attrici, scrittrici, artiste, economiste, imprenditrici. E' il terzo di tre volumi, distribuiti gratuitamente nelle edicole a cura della presidenza del Consiglio dei Ministri, dove, tra le altre cose, si rivalutano figure come Claretta Petacci, Rachele Mussolini, Luisa Ferida (nota torturatrice di oppositori del regime fascista), alle quali, come invita a fare nella Presentazione la ministra Stefania Prestigiacomo, "dobbiamo dire comunque grazie". In questo volume Pialuisa Bianco ha scritto una breve biografia di Tina Anselmi attaccandone il ruolo di donna, di partigiana e di parlamentare. Un duro giudizio anche sul suo ruolo come presidente della commissione parlamentare di inchiesta sulla P2, dove - secondo la Bianco - si "cacciavano streghe e acchiappavano fantasmi". La "furbizia contadina" di Tina Anselmi, scrive la Bianco, sarebbe divenuto "il controverso modello della futura demonologia nazionale, distruttiva e futile". L'associazione StoriAmestre - che ritiene Tina Anselmi "vittima di un grave e volgare attacco" - denuncia che "con uno stile tanto sarcastico quanto banale, Pialuisa Bianco spiega che il problema per la democrazia italiana non era - e non è - la P2, ma chi se ne occupava."L'associazione ritiene "questi giudizi di una gravita' intollerabile. Anche perche' il finanziatore dell'opera, il Presidente del Consiglio on.Silvio Berlusconi, della loggia segreta P2 aveva la tessera n.1816". Per la sua falsa testimonianza sulla P2 Berlusconi fu anche condannato in appello dalla Corte di Venezia (poi amnistiato). E' da rilevare che la presidenza del Consiglio dei ministri figura come finanziatrice dell'opera, ma questa sorta di revisionismo storico viene pagato e distribuito con fondi dello Stato, e quindi dei cittadini. Inoltre Pialuisa Bianco e' stata nominata dal Governo Berlusconi direttore dell'Istituto Italiano di cultura a Bruxelles all'epoca del semestre italiano e cio' in base all'articolo 14, comma 6, della legge 400 del 1990 che prevede la possibilita' di conferire la funzione di direttore di tali istituti a persone estranee all'amministrazione e "dotate di prestigio culturale e di elevata competenza anche in relazione all'organizzazione della promozione culturale". Sarebbe troppo chiedere da dove discende tanta elevata competenza e prestigio, attribuiti Pialuisa Bianco?
Decapita solo il medico di base
Per non sbagliare il suo appuntamento con la Storia, l'amministrazione Bush ha minuziosamente preparato la giornata del 30 giugno in l'Iraq. Ecco il programma della giornata
SATIRA PREVENTIVA di Michele Serra (L'Espresso, 21/05/2004)
Stalin provò a realizzare il socialismo in un solo paese. Per non essere da meno, George Bush proverà a realizzare la democrazia in un solo giorno, il 30 di giugno in Iraq. Il 'Guinness dei primati' ha già spedito i suoi commissari a Baghdad, con il compito di registrare lo straordinario record. Sono stati rapiti quando erano ancora sulla scaletta dell'aereo, stabilendo a loro volta un sensazionale primato.
Per non sbagliare il suo appuntamento con la Storia, l'amministrazione Bush ha minuziosamente preparato la giornata del 30 di giugno, curando ogni dettaglio, dalla decorazione dei minareti con festoni di carta colorata all'invio di Ernesto Galli della Loggia che terrà un corso accelerato di tolleranza nel mercato di Bassora, interrompendo la millenaria cerimonia locale della Lapidazione del Montone. Ecco il programma della giornata.
Ore 7 Sveglia. Verrà irradiata in tutto il paese una lettera di Thomas Jefferson alla sorella. Secondo gli esperti del Pentagono, Jefferson è popolarissimo in Iraq.
Ore 8 Ginnastica aerobica. Due milioni di videocassette di Jane Fonda in body pervinca che scandisce "uno-due-tre-quattro", giacenza degli anni Ottanta, sono già state distribuite agli imam di tutto il paese. Si segnalano roghi nei pressi di tutte le moschee, esclusa quella della Facoltà di Ginecologia della capitale che ha ringraziato per l'invio del prezioso materiale didattico.
Ore 8,30 Scuola di democrazia per tutta la popolazione. Gli esperti del Cepu hanno stilato un programma che in sole quattro ore sintetizza circa mille anni di progressi istituzionali, dalla Magna Charta ai libri di Ferdinando Adornato. Ogni iracheno sarà seguito da un tutor. Entro mezzogiorno dovrà saper ripetere a memoria la teoria dei bisogni di Agnes Heller, le principali costituzioni europee e il nuovo codice della strada, che introduce la patente a punti anche se la patente, in Iraq, non esiste (possono guidare tutti gli automobilisti in grado di suonare il clacson). I punti verranno tolti dalla carta d'identità.
Ore 12 Finalmente ammaestrati a dovere, gli iracheni si recano alle urne. Potranno scegliere tra i tre partiti tradizionali (Forza Islam, Sacro Islam e il cartello moderato Islam o Morte) oppure tra Democratici per l'Islam e Repubblicani per l'Islam, emanazioni dei due grandi partiti americani. Gli esperti del Pentagono, che hanno effettuato accurati studi sull'elettorato di origine irachena residente a Miami, assicurano che Democratici e Repubblicani otterranno un plebiscito.
Ore 17 Urne chiuse. Lo spoglio deve essere ultimato in un'ora al massimo, perché alle 18 deve insediarsi il nuovo governo. Per ottenere la massima rapidità, gli scrutatori sono stati reclutati tra i giocolieri e i prestidigitatori di mezzo mondo. Durante le simulazioni, ha destato sorpresa l'alta percentuale di voti ottenuti dalla Regina di Quadri. Per ovviare a eventuali intoppi, gli esperti del Pentagono hanno già preparato un exit-poll che dà il 70 per cento all'attuale capo dell'Autorità Provvisioria, Paul Bremer.
Ore 18 Nel tripudio degli iracheni, si insedia il nuovo governo Bremer. Il premier, per dare un concreto segno di normalizzazione, annuncia di voler prendere la cittadinanza irachena, però mantenendo la residenza a Chattanooga. Con una battuta accattivante, spiega al Gran Consiglio degli Ulema, riunito in seduta solenne, che dell'Iraq gli piacciono soprattutto le belle fiche. Un istante dopo i combattimenti riprendono con intensità inaudita in tutto il paese.
Ore 20 La democrazia in Iraq ottiene i suoi primi effetti. I guerriglieri hanno un regolare porto d'armi, le decapitazioni avvengono solo sotto stretto controllo del medico di base, ai rapiti viene concesso di leggere gli editoriali di Galli della Loggia ai loro carcerieri. Il mondo assiste in diretta al trionfo della legalità: alla Camera di Baghdad i primi scontri a fuoco tra sciiti e sunniti vengono duramente biasimati dal presidente di turno che suona insistentemente il campanello.
Per non sbagliare il suo appuntamento con la Storia, l'amministrazione Bush ha minuziosamente preparato la giornata del 30 giugno in l'Iraq. Ecco il programma della giornata
SATIRA PREVENTIVA di Michele Serra (L'Espresso, 21/05/2004)
Stalin provò a realizzare il socialismo in un solo paese. Per non essere da meno, George Bush proverà a realizzare la democrazia in un solo giorno, il 30 di giugno in Iraq. Il 'Guinness dei primati' ha già spedito i suoi commissari a Baghdad, con il compito di registrare lo straordinario record. Sono stati rapiti quando erano ancora sulla scaletta dell'aereo, stabilendo a loro volta un sensazionale primato.
Per non sbagliare il suo appuntamento con la Storia, l'amministrazione Bush ha minuziosamente preparato la giornata del 30 di giugno, curando ogni dettaglio, dalla decorazione dei minareti con festoni di carta colorata all'invio di Ernesto Galli della Loggia che terrà un corso accelerato di tolleranza nel mercato di Bassora, interrompendo la millenaria cerimonia locale della Lapidazione del Montone. Ecco il programma della giornata.
Ore 7 Sveglia. Verrà irradiata in tutto il paese una lettera di Thomas Jefferson alla sorella. Secondo gli esperti del Pentagono, Jefferson è popolarissimo in Iraq.
Ore 8 Ginnastica aerobica. Due milioni di videocassette di Jane Fonda in body pervinca che scandisce "uno-due-tre-quattro", giacenza degli anni Ottanta, sono già state distribuite agli imam di tutto il paese. Si segnalano roghi nei pressi di tutte le moschee, esclusa quella della Facoltà di Ginecologia della capitale che ha ringraziato per l'invio del prezioso materiale didattico.
Ore 8,30 Scuola di democrazia per tutta la popolazione. Gli esperti del Cepu hanno stilato un programma che in sole quattro ore sintetizza circa mille anni di progressi istituzionali, dalla Magna Charta ai libri di Ferdinando Adornato. Ogni iracheno sarà seguito da un tutor. Entro mezzogiorno dovrà saper ripetere a memoria la teoria dei bisogni di Agnes Heller, le principali costituzioni europee e il nuovo codice della strada, che introduce la patente a punti anche se la patente, in Iraq, non esiste (possono guidare tutti gli automobilisti in grado di suonare il clacson). I punti verranno tolti dalla carta d'identità.
Ore 12 Finalmente ammaestrati a dovere, gli iracheni si recano alle urne. Potranno scegliere tra i tre partiti tradizionali (Forza Islam, Sacro Islam e il cartello moderato Islam o Morte) oppure tra Democratici per l'Islam e Repubblicani per l'Islam, emanazioni dei due grandi partiti americani. Gli esperti del Pentagono, che hanno effettuato accurati studi sull'elettorato di origine irachena residente a Miami, assicurano che Democratici e Repubblicani otterranno un plebiscito.
Ore 17 Urne chiuse. Lo spoglio deve essere ultimato in un'ora al massimo, perché alle 18 deve insediarsi il nuovo governo. Per ottenere la massima rapidità, gli scrutatori sono stati reclutati tra i giocolieri e i prestidigitatori di mezzo mondo. Durante le simulazioni, ha destato sorpresa l'alta percentuale di voti ottenuti dalla Regina di Quadri. Per ovviare a eventuali intoppi, gli esperti del Pentagono hanno già preparato un exit-poll che dà il 70 per cento all'attuale capo dell'Autorità Provvisioria, Paul Bremer.
Ore 18 Nel tripudio degli iracheni, si insedia il nuovo governo Bremer. Il premier, per dare un concreto segno di normalizzazione, annuncia di voler prendere la cittadinanza irachena, però mantenendo la residenza a Chattanooga. Con una battuta accattivante, spiega al Gran Consiglio degli Ulema, riunito in seduta solenne, che dell'Iraq gli piacciono soprattutto le belle fiche. Un istante dopo i combattimenti riprendono con intensità inaudita in tutto il paese.
Ore 20 La democrazia in Iraq ottiene i suoi primi effetti. I guerriglieri hanno un regolare porto d'armi, le decapitazioni avvengono solo sotto stretto controllo del medico di base, ai rapiti viene concesso di leggere gli editoriali di Galli della Loggia ai loro carcerieri. Il mondo assiste in diretta al trionfo della legalità: alla Camera di Baghdad i primi scontri a fuoco tra sciiti e sunniti vengono duramente biasimati dal presidente di turno che suona insistentemente il campanello.
20.5.04
Le dieci posizioni del centrosinistra sul conflitto in Iraq
di Gene Gnocchi (Corriere della Sera, 20/05/2004)
10 Margherita. Sì a una nuova risoluzione dell’Onu, ma no al ritiro «senza se e senza ma». Apertura a un ritiro con un «percome» e qualche «nel frattempo». Ma comunque tutto entro il 30 giugno.
9 Rifondazione Comunista. Sì al ritiro immediato però lasciando in loco la governatrice Barbara Contini a spiegare agli iracheni ad uno ad uno perché ci siamo ritirati. E comunque il tutto entro il compleanno di Bertinotti e cantando Bella ciao.
8 Comunisti Italiani. Stessa posizione di Rifondazione Comunista ma con tre distinguo: no al ritiro immediato, no a lasciare la Contini in loco, sostituzione di Bella ciao con Contessa , ma solo nella versione dei Modena City Ramblers.
7 Lista Occhetto-Di Pietro. Posizione di Occhetto: sì al ritiro del contingente italiano sostituito dal solo Massimo D’Alema in tenuta da parà. Posizione di Di Pietro: sospensione della guerra in Iraq e suo trasferimento al tribunale di Brescia, previa audizione di Sergio Cusani, Primo Greganti e Sandy Marton. E comunque il tutto entro l’inizio della nuova serie tv di Forum.
6 Partito Popolare. Sì al ritiro immediato purché la mozione sia preceduta da un preambolo, da un prologo, da un’introduzione programmatica e dalla prefazione di Ernesto Galli della Loggia. E comunque il tutto entro l’anniversario della frase di Caltagirone a Evangelisti «A Fra', che te serve».
5 Udeur. Ore 9: no al ritiro immediato. Ore 10: sì al ritiro immediato. Ore 11: no al ritiro immediato. Ore 12 pranzo al sacco.
4 Verdi. Posizione di Pecoraro: sì al ritiro immediato ma cercando di rimettere insieme col Bostik tutte le fioriere distrutte dagli americani. E comunque entro il solstizio d'estate. Posizione di Scanio: no al ritiro immediato ma sostituzione della portaerei Usa «Mike Tyson» con trenta golette verdi. E comunque entro il controesodo di Ferragosto.
3 Ds. Posizione dei dalemiani: sì alla mozione Occhetto, no alla mozione di Pecoraro Scanio, forse alla mozione di Alleanza Nazionale. Posizione del correntone: no al ritiro immediato, pieno sostegno a Condoleezza Rice, e pappa e ciccia con i cristiano maroniti di etnia Pashtun. Posizione dei riformisti: Craxi l’aveva detto.
2 Codacons. No al ritiro immediato, ma apertura inchiesta approfondita sui materiali usati dagi alleati nelle torture: pare non avessero il bollino Ce.
1 Sdi. Lo Sdi non ha ancora manifestato la propria posizione che scaturirà dalla convention dello Sdi in corso nella cabina telefonica di Rozzano sul Naviglio.
di Gene Gnocchi (Corriere della Sera, 20/05/2004)
10 Margherita. Sì a una nuova risoluzione dell’Onu, ma no al ritiro «senza se e senza ma». Apertura a un ritiro con un «percome» e qualche «nel frattempo». Ma comunque tutto entro il 30 giugno.
9 Rifondazione Comunista. Sì al ritiro immediato però lasciando in loco la governatrice Barbara Contini a spiegare agli iracheni ad uno ad uno perché ci siamo ritirati. E comunque il tutto entro il compleanno di Bertinotti e cantando Bella ciao.
8 Comunisti Italiani. Stessa posizione di Rifondazione Comunista ma con tre distinguo: no al ritiro immediato, no a lasciare la Contini in loco, sostituzione di Bella ciao con Contessa , ma solo nella versione dei Modena City Ramblers.
7 Lista Occhetto-Di Pietro. Posizione di Occhetto: sì al ritiro del contingente italiano sostituito dal solo Massimo D’Alema in tenuta da parà. Posizione di Di Pietro: sospensione della guerra in Iraq e suo trasferimento al tribunale di Brescia, previa audizione di Sergio Cusani, Primo Greganti e Sandy Marton. E comunque il tutto entro l’inizio della nuova serie tv di Forum.
6 Partito Popolare. Sì al ritiro immediato purché la mozione sia preceduta da un preambolo, da un prologo, da un’introduzione programmatica e dalla prefazione di Ernesto Galli della Loggia. E comunque il tutto entro l’anniversario della frase di Caltagirone a Evangelisti «A Fra', che te serve».
5 Udeur. Ore 9: no al ritiro immediato. Ore 10: sì al ritiro immediato. Ore 11: no al ritiro immediato. Ore 12 pranzo al sacco.
4 Verdi. Posizione di Pecoraro: sì al ritiro immediato ma cercando di rimettere insieme col Bostik tutte le fioriere distrutte dagli americani. E comunque entro il solstizio d'estate. Posizione di Scanio: no al ritiro immediato ma sostituzione della portaerei Usa «Mike Tyson» con trenta golette verdi. E comunque entro il controesodo di Ferragosto.
3 Ds. Posizione dei dalemiani: sì alla mozione Occhetto, no alla mozione di Pecoraro Scanio, forse alla mozione di Alleanza Nazionale. Posizione del correntone: no al ritiro immediato, pieno sostegno a Condoleezza Rice, e pappa e ciccia con i cristiano maroniti di etnia Pashtun. Posizione dei riformisti: Craxi l’aveva detto.
2 Codacons. No al ritiro immediato, ma apertura inchiesta approfondita sui materiali usati dagi alleati nelle torture: pare non avessero il bollino Ce.
1 Sdi. Lo Sdi non ha ancora manifestato la propria posizione che scaturirà dalla convention dello Sdi in corso nella cabina telefonica di Rozzano sul Naviglio.
18.5.04
di VITTORIO ZUCCONI (Repubblica, 17/05/2004)
Negli anni più torvi della guerra fredda e di quella osse
ssione ideologica che stregò brevemente la democrazia americana con il volto di un senatore chiamato McCarthy, l'edificio di oscenità e di menzogne creato dalla caccia alla streghe crollò simbolicamente e definitivamente quando l'avvocato difensore di uno degli accusati chiese, in diretta televisiva, al senatore: "Ma lei non ha più alcun senso di dignità e di pudore?".
Ci sarà qualcuno che avrà il coraggio di ripetere quella domanda, nell'Italia della televisione addomesticata e anestetizzata, al capo dell'esecutivo italiano, al nostro Presidente del Consiglio che festeggiava la propria miserabile gloriuzza in uno (scandaloso) torneo di pallone mentre i suoi soldati, i suoi fratelli d'Italia, si battevano per lui, per la stoltezza dellle sue decisioni di stratega dilettante?
Esiste ancora qualche decenza, qualche comune senso del pudore e del rispetto umano, nel leader politico nazionale che preferisce dedicare un pomeriggio al Milan piuttosto che restare in quello studio a Palazzo Chigi dove noi cittadini lo abbiamo cortesemente inviato a spese e per conto nostro, per mostrare, per almeno creare l'impressione che le gambe di soldati italiani impegnati in battaglia siano più importanti delle gambe dei calciatori miliardari che hanno preso a pedate un pallone per lui?
Sapevamo tutti, domenica pomeriggio che lo scontro di Nassiriya non era un incidente qualsiasi nè una "operazione di pace" andata storta, come la grottesca finzione ufficiale ancora pretende di definire la situazione dei nostri reparti combattenti nel sud dell'Iraq. Eppure la voglia propagandistica di sfruttare ancora una volta le pailettes di un successo sportivo, la vanagloria del tifoso e padrone che vuole apparire il condottiero trionfante di una infantile guerra sportiva vinta mentre è in corso la disfatta nella guerra reale è stata irresistibille. Non basta certamente per salvarsi la coscienza essere informati "minuto per minuto" come se la cronaca di una battaglia fosse l'equivalente di un radiocronaca calcistica e la vita di soldati spediti con l'inganno fosse assimilabile a un rigore o a un gol.
Se a chi ci governa fosse rimasto un briciolo di quel pudore e di quella dignità che l'avvocato difensore delle vittime dell'inquisizione maccarthysta non trovò in quell'America tanto lontana e purtroppo tanto vicina, il solo atteggiamento dignitoso e realmente patri
ottico, anche se ormai inutile, sarebbe stato almeno evitare la festa dell'idiozia pallonara e rinchiudersi nel riserbo del padre che trema per la vita dei propri figli. George Bush, che pure del nostro Presidente sarebbe il maestro di pensiero e il protettore internazionale, ha rinunciato in questi giorni addirittura a partecipare alla cerimonia della laura delle figlie, uno dei momenti di maggiore e giusto orgoglio per un padre, per non creare l'impressione di rallegrarsi per successi privati mentre la famiglia americana subiva i traumi delle torture, dei rovesci militari e delle morti atroci degli ostaggi. Il nostro Presidente non ha rinunciato alla festa del Milan.
I soldati italiani che combattono e muoiono in Iraq sotto la bandiera di una menzogna sfacciata portano cucito sulla manica uno scudetto tricolore, come la squadra che vince il campionato, ma per 18 di loro non ci saranno feste nè premi partita, nè sorrisi compiaciuti e servili di dirigenti tronfi e ciambellani e giullari convocati alla corte del signore. Per loro, soltanto le bare, fasciate nel patriottismo falso di chi li ha mandati a morire, ma, mentre morivano, preferiva "esultare".
La sola coppa possibile, per quelli che restano ancora, sarebbe il ritorno a casa, da una missione falsa, non sconfitti dal nemico, ma da chi li ha adoperati come giocatori di quarta serie, come carne da cannone, senza decenza, senza dignità, senza verità. E ora dovranno subire anche l'ultima umiliazione della retorica patriottarda e impudente di chi accoglierà la bara, tra lacrime di coccodrillo e alè olè alè.
17.5.04
I militari sapevano
dal sito dell'Associazione Articolo21, 13/05/2004
Già nell’agosto 2003 gli ufficiali dell’esercito italiano avevano accesso alle carceri di Nassiriya, conoscevano quell’inferno e si prodigavano per rendere più umana la detenzione dei prigionieri.
Le immagini che lo confermano sono state raccolte dal produttore indipendente Stefano Rolla, l’eroe civile ucciso a Nassiriya insieme ai carabinieri e ai soldati coinvolti nell’attacco del 12 novembre. Tra gli accompagnatori in Iraq di Stefano Rolla vi era anche il maresciallo-biologo del Ris, Massimiliano Bruno, anch’egli caduto a Nassiriya.
Il filmato di 33 minuti prodotto dal regista Massimo Spano fu acquistato dalla rete 2 della Rai e molto parzialmente utilizzato dal programma Excalibur di Socci.
Le immagini raccolte da Stefano Rolla sembrano dettate dalla vedova del maresciallo del Ris, Pina Bruno, cosi’ come proposte nell’intervista di Chiara Rossotto al Tg3.
Il maresciallo Bruno viene inquadrato distintamente da Rolla al termine di un sopralluogo nell’antica babilonia ed appare in altre immagini filmate da Rolla ma non montate dai collaboratori di Massimo Spano.
Nelle immagini successive, il produttore morto a Nassiriya, riprende invece un ufficiale in mimetica dell’esercito italiano a colloquio con un gruppo di detenuti reclusi dentro una gabbia non molto piu’ grande di quelle del canile di Porta Portese. La gabbia e’ stipata. Accanto all’ufficiale italiano vi e’ un iracheno con la divisa della polizia locale e i gradi di capitano sulle spalline. Il militare italiano parla in inglese, tenta di incoraggiare i detenuti e si appresta ad una mediazione con le autorita’ locali. Le immagini di Stefano Rolla testimoniano che Massimiliano Bruno poteva essere a conoscenza di quelle condizioni inumane cosi’ ben descritte nelle interviste concesse dalla vedova Bruno e dal suo comandante, il colonnello Burgio.
L’associazione articolo 21 ha potuto vedere per intero il filmato. Ne traspare non solo la consapevolezza di operare in uno scenario di guerra dove i diritti umani sono limitati da fatti circostanze e usi locali, ma soprattutto l’impegno umanitario dei nostri militari, incluso il maresciallo Bruno e i suoi ufficiali, affinche’ la polizia locale assumesse atteggiamenti ‘occidentali’ nei confronti dei prigionieri iracheni. Nessuno ne aveva mai dubitato.
Ma, visto che i marescialli sapevano, i capitani sapevano, i colonnelli sapevano e persino il generale Spagnuolo sapeva, dove si e’ interrotta la catena di comando e controllo? Come mai il governo non sapeva?
Ah, a proposito, il documentario nei titoli di coda ringrazia per il contributo i ministeri della Difesa e degli Affari Esteri; ma Martino e Frattini lo sapevano? Lo hanno mai visto? Nessuno l’ha mai detto a Berlusconi?
dal sito dell'Associazione Articolo21, 13/05/2004
Già nell’agosto 2003 gli ufficiali dell’esercito italiano avevano accesso alle carceri di Nassiriya, conoscevano quell’inferno e si prodigavano per rendere più umana la detenzione dei prigionieri.
Le immagini che lo confermano sono state raccolte dal produttore indipendente Stefano Rolla, l’eroe civile ucciso a Nassiriya insieme ai carabinieri e ai soldati coinvolti nell’attacco del 12 novembre. Tra gli accompagnatori in Iraq di Stefano Rolla vi era anche il maresciallo-biologo del Ris, Massimiliano Bruno, anch’egli caduto a Nassiriya.
Il filmato di 33 minuti prodotto dal regista Massimo Spano fu acquistato dalla rete 2 della Rai e molto parzialmente utilizzato dal programma Excalibur di Socci.
Le immagini raccolte da Stefano Rolla sembrano dettate dalla vedova del maresciallo del Ris, Pina Bruno, cosi’ come proposte nell’intervista di Chiara Rossotto al Tg3.
Il maresciallo Bruno viene inquadrato distintamente da Rolla al termine di un sopralluogo nell’antica babilonia ed appare in altre immagini filmate da Rolla ma non montate dai collaboratori di Massimo Spano.
Nelle immagini successive, il produttore morto a Nassiriya, riprende invece un ufficiale in mimetica dell’esercito italiano a colloquio con un gruppo di detenuti reclusi dentro una gabbia non molto piu’ grande di quelle del canile di Porta Portese. La gabbia e’ stipata. Accanto all’ufficiale italiano vi e’ un iracheno con la divisa della polizia locale e i gradi di capitano sulle spalline. Il militare italiano parla in inglese, tenta di incoraggiare i detenuti e si appresta ad una mediazione con le autorita’ locali. Le immagini di Stefano Rolla testimoniano che Massimiliano Bruno poteva essere a conoscenza di quelle condizioni inumane cosi’ ben descritte nelle interviste concesse dalla vedova Bruno e dal suo comandante, il colonnello Burgio.
L’associazione articolo 21 ha potuto vedere per intero il filmato. Ne traspare non solo la consapevolezza di operare in uno scenario di guerra dove i diritti umani sono limitati da fatti circostanze e usi locali, ma soprattutto l’impegno umanitario dei nostri militari, incluso il maresciallo Bruno e i suoi ufficiali, affinche’ la polizia locale assumesse atteggiamenti ‘occidentali’ nei confronti dei prigionieri iracheni. Nessuno ne aveva mai dubitato.
Ma, visto che i marescialli sapevano, i capitani sapevano, i colonnelli sapevano e persino il generale Spagnuolo sapeva, dove si e’ interrotta la catena di comando e controllo? Come mai il governo non sapeva?
Ah, a proposito, il documentario nei titoli di coda ringrazia per il contributo i ministeri della Difesa e degli Affari Esteri; ma Martino e Frattini lo sapevano? Lo hanno mai visto? Nessuno l’ha mai detto a Berlusconi?
15.5.04
URBAN: GLI EDITORI COME NON LI AVETE MAI VISTI
La mattina del 12 maggio 2004, appena arrivati in redazione, i lavoratori di Urban, il primo free magazine italiano, hanno trovato una bella sorpresa: lettere di licenziamento - immediato e in tronco - per tutti. Direttore, caporedattore e redattrice, art director e grafica, segretaria di redazione, tutti a spasso su due piedi, con una letterina alquanto peregrina. Titolo: "Licenziamento per giustificato motivo oggettivo". Una formula probabilmente inventata lì per lì per dire: "Ci vediamo a questo punto costretti a terminare l'attività di tutta la redazione, vista la necessità di razionalizzare la struttura dei costi rispetto ai ricavi che si sono potuti ottenere sin ora".
Nessun accenno alla cessazione delle pubblicazioni o alla chiusura del giornale: si chiude "soltanto" la redazione, il che lascia intendere tra le righe l'intenzione di riprendere le pubblicazioni con mano d'opera più conveniente.
Molto sospetta la scelta dei tempi: il numero di Urban previsto per il mese di giugno aveva già venduto (a detta della concessionaria di Pubblicità Johnson Adv) oltre 40 pagine, punto più alto di raccolta pubblicitaria toccato dal magazine nei suoi tre anni e 28 numeri di vita. Gli editori, nella persona del presidente Ivan Veronese, hanno comunicato una perdita operativa. La redazione, del resto, nei suoi tre anni di attività non ha mai avuto il bene di conoscere i reali dati economici dell'azienda, non ha mai visto un bilancio.
Ora, si attende di vedere cosa sarà il nuovo Urban pubblicamente annunciato dall'editore, realizzato con un service per due numeri e poi con una redazione "leggera" (senza giornalisti?) a sostituire la redazione licenziata. Il primo atto della "razionalizzazione", comunque, è stato l'azzeramento di sei posti di lavoro regolari. Niente male come battesimo.
I lavoratori di Urban licenziati, che sono già in contatto con le strutture regionali e nazionali del sindacato e con gli uffici legali, si riservano, naturalmente, di agire in ogni sede opportuna per tutelare i propri diritti.
La mattina del 12 maggio 2004, appena arrivati in redazione, i lavoratori di Urban, il primo free magazine italiano, hanno trovato una bella sorpresa: lettere di licenziamento - immediato e in tronco - per tutti. Direttore, caporedattore e redattrice, art director e grafica, segretaria di redazione, tutti a spasso su due piedi, con una letterina alquanto peregrina. Titolo: "Licenziamento per giustificato motivo oggettivo". Una formula probabilmente inventata lì per lì per dire: "Ci vediamo a questo punto costretti a terminare l'attività di tutta la redazione, vista la necessità di razionalizzare la struttura dei costi rispetto ai ricavi che si sono potuti ottenere sin ora".
Nessun accenno alla cessazione delle pubblicazioni o alla chiusura del giornale: si chiude "soltanto" la redazione, il che lascia intendere tra le righe l'intenzione di riprendere le pubblicazioni con mano d'opera più conveniente.
Molto sospetta la scelta dei tempi: il numero di Urban previsto per il mese di giugno aveva già venduto (a detta della concessionaria di Pubblicità Johnson Adv) oltre 40 pagine, punto più alto di raccolta pubblicitaria toccato dal magazine nei suoi tre anni e 28 numeri di vita. Gli editori, nella persona del presidente Ivan Veronese, hanno comunicato una perdita operativa. La redazione, del resto, nei suoi tre anni di attività non ha mai avuto il bene di conoscere i reali dati economici dell'azienda, non ha mai visto un bilancio.
Ora, si attende di vedere cosa sarà il nuovo Urban pubblicamente annunciato dall'editore, realizzato con un service per due numeri e poi con una redazione "leggera" (senza giornalisti?) a sostituire la redazione licenziata. Il primo atto della "razionalizzazione", comunque, è stato l'azzeramento di sei posti di lavoro regolari. Niente male come battesimo.
I lavoratori di Urban licenziati, che sono già in contatto con le strutture regionali e nazionali del sindacato e con gli uffici legali, si riservano, naturalmente, di agire in ogni sede opportuna per tutelare i propri diritti.
13.5.04
Obbligatorio depositare siti e newsletter
da Punto Informatico
L'allarme da Unione Consumatori: la nuova legge presentata dal ministro
Urbani e già approvata impone a chiunque distribuisca contenuti per via
telematica di consegnarne copia alle biblioteche di Stato. Pesanti le
sanzioni
12/05/04 - News - Roma - Dall'Italia impegnata nel regolamentare Internet
arriva un nuovo allarme per una legge, la 106 del 2004, che obbliga al
deposito in biblioteca dei siti web e delle altre pubblicazioni diffuse per
via telematica. La legge, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 aprile, ha
spinto Unione Consumatori a diffondere nelle scorse ore un preoccupato
comunicato stampa.
"Fra sei mesi - spiega l'Associazione - chiunque abbia un sito Internet con
informazioni a disposizione del pubblico dovrà inviarne il contenuto alle
due Biblioteche centrali di Firenze e di Roma, altrimenti rischierà una
multa fino a 1500 euro".
In realtà, scorrendo l'articolato della 106/2004 si legge che l'obbligo di
deposito riguarda tutti "i documenti destinati all'uso pubblico e fruibili
mediante la lettura, l'ascolto e la visione, qualunque sia il loro processo
tecnico di produzione, di edizione o di diffusione". Una disposizione che
sembra a tutti gli effetti comprendere, dunque, non solo i siti web ma anche
le newsletter o le mailing list che diffondono informazioni al pubblico.
Senza contare le altre modalità di diffusione dei contenuti, dal
peer-to-peer allo streaming video, che internet mette a disposizione.
Unione Consumatori spiega come la nuova legge abbia "modificato le vecchie
norme regie del 1939 sulla consegna obbligatoria alle autorità di 5 copie di
ogni stampato (ai fini del controllo delle notizie sovversive), includendovi
anche i "documenti diffusi tramite rete informatica", che dovranno essere
depositati presso le due Biblioteche centrali anche al fine di consentirne
l'accesso al pubblico".
Si tratta di locuzioni preoccupanti per le ambiguità ma che evidenziano con
chiarezza come la disposizione legislativa sia, come già accade con altre
leggi in via di approvazione relative ad Internet, inapplicabile. Ma,
proprio come con altre leggi, anche in questo caso come accennato sono
previste sanzioni per chi non adempie. In questo senso una "via di fuga"
dalle conseguenze della legge potrebbe essere legata al fatto che le
sanzioni sono associate al valore commerciale del "documento", un valore che
non è chiaro come debba essere individuato e che potrebbe, con una
interpretazione decisamente ardita, svincolare pubblicazioni non
esplicitamente commerciali.
La 106/2004 stabilisce che entro sei mesi dal varo debba essere realizzato
dal Ministero dei Beni culturali un regolamento attuativo: inevitabilmente
le speranze di chi ritiene fallata questa legge sono di trovarsi con un
regolamento che contraddica la lettera della normativa e consenta alla rete
italiana di respingere quello che Unione Consumatori considera un
provvedimento sbagliatissimo. Va detto che quando il ministro ai Beni
culturali Giuliano Urbani ha presentato la proposta legislativa che ha
condotto a questa legge non erano presenti i riferimenti ai documenti
informatici e telematici. Modifiche introdotte in Parlamento che, come
spesso accade in Italia, sono destinate ad impattare direttamente sulle
libertà digitali.
"Centinaia di migliaia di utenti con un sito Internet - scrive infatti
Unione Consumatori - dovranno inviare ogni anno alle due Biblioteche
centrali, per e-mail o dischetto, informazioni che per lo più cambiano o
vengono aggiornate continuamente e che sono già a disposizione del pubblico.
Oltretutto, le due Biblioteche centrali di Firenze e di Roma non avranno
materialmente la possibilità di gestire e catalogare la massa enorme di
informazioni provenienti da centinaia di migliaia di siti e tutto si
risolverà in un obbligo inutile e fastidioso".
da Punto Informatico
L'allarme da Unione Consumatori: la nuova legge presentata dal ministro
Urbani e già approvata impone a chiunque distribuisca contenuti per via
telematica di consegnarne copia alle biblioteche di Stato. Pesanti le
sanzioni
12/05/04 - News - Roma - Dall'Italia impegnata nel regolamentare Internet
arriva un nuovo allarme per una legge, la 106 del 2004, che obbliga al
deposito in biblioteca dei siti web e delle altre pubblicazioni diffuse per
via telematica. La legge, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 27 aprile, ha
spinto Unione Consumatori a diffondere nelle scorse ore un preoccupato
comunicato stampa.
"Fra sei mesi - spiega l'Associazione - chiunque abbia un sito Internet con
informazioni a disposizione del pubblico dovrà inviarne il contenuto alle
due Biblioteche centrali di Firenze e di Roma, altrimenti rischierà una
multa fino a 1500 euro".
In realtà, scorrendo l'articolato della 106/2004 si legge che l'obbligo di
deposito riguarda tutti "i documenti destinati all'uso pubblico e fruibili
mediante la lettura, l'ascolto e la visione, qualunque sia il loro processo
tecnico di produzione, di edizione o di diffusione". Una disposizione che
sembra a tutti gli effetti comprendere, dunque, non solo i siti web ma anche
le newsletter o le mailing list che diffondono informazioni al pubblico.
Senza contare le altre modalità di diffusione dei contenuti, dal
peer-to-peer allo streaming video, che internet mette a disposizione.
Unione Consumatori spiega come la nuova legge abbia "modificato le vecchie
norme regie del 1939 sulla consegna obbligatoria alle autorità di 5 copie di
ogni stampato (ai fini del controllo delle notizie sovversive), includendovi
anche i "documenti diffusi tramite rete informatica", che dovranno essere
depositati presso le due Biblioteche centrali anche al fine di consentirne
l'accesso al pubblico".
Si tratta di locuzioni preoccupanti per le ambiguità ma che evidenziano con
chiarezza come la disposizione legislativa sia, come già accade con altre
leggi in via di approvazione relative ad Internet, inapplicabile. Ma,
proprio come con altre leggi, anche in questo caso come accennato sono
previste sanzioni per chi non adempie. In questo senso una "via di fuga"
dalle conseguenze della legge potrebbe essere legata al fatto che le
sanzioni sono associate al valore commerciale del "documento", un valore che
non è chiaro come debba essere individuato e che potrebbe, con una
interpretazione decisamente ardita, svincolare pubblicazioni non
esplicitamente commerciali.
La 106/2004 stabilisce che entro sei mesi dal varo debba essere realizzato
dal Ministero dei Beni culturali un regolamento attuativo: inevitabilmente
le speranze di chi ritiene fallata questa legge sono di trovarsi con un
regolamento che contraddica la lettera della normativa e consenta alla rete
italiana di respingere quello che Unione Consumatori considera un
provvedimento sbagliatissimo. Va detto che quando il ministro ai Beni
culturali Giuliano Urbani ha presentato la proposta legislativa che ha
condotto a questa legge non erano presenti i riferimenti ai documenti
informatici e telematici. Modifiche introdotte in Parlamento che, come
spesso accade in Italia, sono destinate ad impattare direttamente sulle
libertà digitali.
"Centinaia di migliaia di utenti con un sito Internet - scrive infatti
Unione Consumatori - dovranno inviare ogni anno alle due Biblioteche
centrali, per e-mail o dischetto, informazioni che per lo più cambiano o
vengono aggiornate continuamente e che sono già a disposizione del pubblico.
Oltretutto, le due Biblioteche centrali di Firenze e di Roma non avranno
materialmente la possibilità di gestire e catalogare la massa enorme di
informazioni provenienti da centinaia di migliaia di siti e tutto si
risolverà in un obbligo inutile e fastidioso".
SE QUESTO E' UN VIGILANTE
da Peter Freeman
Caro Claudio, troverai allegato al mio post il testo di un'agenzia relativo ad una dichiarazione resa da tal Michele Bonatesta, senatore di Alleanza Nazionale e membro della Commissione di vigilanza Rai. Nel testo, come vedrai, si chiama in causa "Ballaro'" e, in particolare, il corsivo firmato da me ed Alessandro Robecchi. In buona sostanza, il senatore mi accusa sic et simpliciter di avere realizzato "un servizio nel quale, udite udite, per essere certi di evidenziare soltanto le bandiere della Cgil, i redattori del programma non hanno esitato a sfumare in bianco e nero le rare parti che riproducevano manifestazioni con l'incidentale presenza di altre organizzazioni". Inoltre, sempre secondo il senatore, avrei montato "interviste a persone e dirigenti appartenenti a quello stesso sindacato". Da parte mia ti comunico quanto segue:
1. le immagini in bianco/nero che si vedono nel corsivo appartengono a: "Sciopero" di S. Eisenstein (1925), materiali dell'autunno caldo (1969), "L'uscita dalle officine Lumiere" (1895), "I compagni" di Mario Monicelli (B/n ambientato negli ultimi anni del XIX secolo), "Sapere-Il sindacato in Italia" (Rai, b/n 1970); "Autunno caldo" (RAI, b/n 1970).
2. Nel corsivo l'unica intervista di repertorio e' effettuata ad un operaio edile (4 secondi), munito di bandiera Cgil. L'altro pezzo "parlato" del filmato si riferisce ad uno spezzone di "La classe operaia va in Paradiso" di Elio Petri, con Gian Maria Volonte'. Non compare alcun dirigente sindacale.
In effetti in "Sciopero" di Eisenstein, come negli altri filmati, non compaiono bandiere dell'Ugl. Me ne dolgo, e se ne dolgono lo stesso Eisenstein oltre che Monicelli, Petri e gli operai dell'autunno caldo del 1969 (ma allora l'Ugl si chiamava Cisnal). Quanto a Gian Maria Volonte', pur con tutta la buona volonta' mi riesce difficile inquadrarlo come dirigente nazionale della CGIL.
Questi i fatti, di per se' trascurabili. Meno trascurabile e' che il senatore di An dichiari il falso, accusandomi di avere "sfumato in bianco e nero" un film del 1925. Ma io non posso querelarlo perche' e' protetto da immunita' parlamentare. Ne' posso dire quello che penso di Bonatesta perche' ne verrei querelato. Tuttavia una cosa la dico: questo signore e' un membro di una commissione bicamerale che si occupa di televisione ma non sa distinguere un film in bianco nero da uno a colori. E pero' vigila, interpella, dichiara, convoca e richiede spiegazioni. Noi alla RAI siamo nelle loro mani. E qui mi fermo.
da Peter Freeman
Caro Claudio, troverai allegato al mio post il testo di un'agenzia relativo ad una dichiarazione resa da tal Michele Bonatesta, senatore di Alleanza Nazionale e membro della Commissione di vigilanza Rai. Nel testo, come vedrai, si chiama in causa "Ballaro'" e, in particolare, il corsivo firmato da me ed Alessandro Robecchi. In buona sostanza, il senatore mi accusa sic et simpliciter di avere realizzato "un servizio nel quale, udite udite, per essere certi di evidenziare soltanto le bandiere della Cgil, i redattori del programma non hanno esitato a sfumare in bianco e nero le rare parti che riproducevano manifestazioni con l'incidentale presenza di altre organizzazioni". Inoltre, sempre secondo il senatore, avrei montato "interviste a persone e dirigenti appartenenti a quello stesso sindacato". Da parte mia ti comunico quanto segue:
1. le immagini in bianco/nero che si vedono nel corsivo appartengono a: "Sciopero" di S. Eisenstein (1925), materiali dell'autunno caldo (1969), "L'uscita dalle officine Lumiere" (1895), "I compagni" di Mario Monicelli (B/n ambientato negli ultimi anni del XIX secolo), "Sapere-Il sindacato in Italia" (Rai, b/n 1970); "Autunno caldo" (RAI, b/n 1970).
2. Nel corsivo l'unica intervista di repertorio e' effettuata ad un operaio edile (4 secondi), munito di bandiera Cgil. L'altro pezzo "parlato" del filmato si riferisce ad uno spezzone di "La classe operaia va in Paradiso" di Elio Petri, con Gian Maria Volonte'. Non compare alcun dirigente sindacale.
In effetti in "Sciopero" di Eisenstein, come negli altri filmati, non compaiono bandiere dell'Ugl. Me ne dolgo, e se ne dolgono lo stesso Eisenstein oltre che Monicelli, Petri e gli operai dell'autunno caldo del 1969 (ma allora l'Ugl si chiamava Cisnal). Quanto a Gian Maria Volonte', pur con tutta la buona volonta' mi riesce difficile inquadrarlo come dirigente nazionale della CGIL.
Questi i fatti, di per se' trascurabili. Meno trascurabile e' che il senatore di An dichiari il falso, accusandomi di avere "sfumato in bianco e nero" un film del 1925. Ma io non posso querelarlo perche' e' protetto da immunita' parlamentare. Ne' posso dire quello che penso di Bonatesta perche' ne verrei querelato. Tuttavia una cosa la dico: questo signore e' un membro di una commissione bicamerale che si occupa di televisione ma non sa distinguere un film in bianco nero da uno a colori. E pero' vigila, interpella, dichiara, convoca e richiede spiegazioni. Noi alla RAI siamo nelle loro mani. E qui mi fermo.
- Febbraio 2004 -
SOMMARIO
Introduzione
1. Trattamento durante l’arresto
1.1 Notifica alle famiglie e informazioni per gli arrestati
2. Trattamento durante il trasferimento e la custodia preventiva
3. Trattamento durante gli interrogatori
3.1 Metodi di maltrattamento
3.2 Sezione dell’Intelligence militare, complesso della prigione di Abu Ghraib
3.3 Umm Qasr (JFIT) e Camp Bucca (JIF/ICE)
3.4 Precedenti interventi del Cicr nel 2003 sulla questione del trattamento
3.5 Accuse di maltrattamenti da parte della polizia irachena.
4. Trattamento nelle strutture di detenzione regolari
4.1 Condizioni generali di trattamento
4.2 Sezione dei “Prigionieri di rilievo”. Aeroporto Internazionale di Bagdad
5. Impiego della forza sproporzionato ed eccessivo nei confronti di prigionieri da parte delle autorità carcerarie
6. Sequestro e confisca dei beni personali appartenenti ai prigionieri
7. Esposizione dei prigionieri a mansioni pericolose
8. Protezione dei prigionieri dai bombardamenti
CONTENUTO
Nel presente “Rapporto sul trattamento da parte delle forze della Coalizione dei prigionieri di guerra e altre persone sotto tutela in Iraq” il Comitato Internazionale della Croce Rossa (Cicr) attira l’attenzione delle Forze della Coalizione (da adesso in avanti denominate “FC”) su un certo numero di gravi violazioni del Diritto Umanitario Internazionale. Queste violazioni sono state documentate e spesso osservate durante la visita a prigionieri di guerra, detenuti civili e altre persone tutelate dalle Convenzioni di Ginevra (da adesso in avanti denominati prigionieri, quando il loro status non sia specificatamente menzionato) in Iraq tra i mesi di marzo e novembre 2003. Durante le sue visite ai luoghi di reclusione delle FC, il Cicr ha raccolto delle accuse precise durante colloqui privati con i prigionieri, in relazione al trattamento delle persone sotto tutela ricevuto dalle FC durante la loro cattura, l’arresto, il trasferimento, la reclusione e l’interrogatorio.
Le violazioni principali, che sono descritte nel presente rapporto del Cicr e sono presentate in via confidenziale alle FC, includono:
• Violenza nei confronti delle persone tutelate al momento della cattura e della custodia preventiva, che spesso hanno causato il loro decesso o gravi ferite.
• Mancata notifica dell’arresto dei prigionieri ai loro famigliari, e conseguente angoscia per i prigionieri e i loro famigliari.
• Coercizione fisica o psicologica durante gli interrogatori per strappare delle informazioni.
• Prolungata reclusione in isolamento in celle senza luce naturale.
• Utilizzo eccessivo e sproporzionato della forza contro prigionieri che ha causato il decesso o il ferimento durante il loro periodo di reclusione.
In questo rapporto sono altresì segnalati gravi problemi di comportamento da parte delle FC che hanno avuto impatto sui prigionieri:
• Sequestro e confisca di beni personali appartenenti ai prigionieri.
• Esposizione dei prigionieri a mansioni pericolose.
• Custodia dei prigionieri in luoghi pericolosi, nei quali non erano al riparo dai bombardamenti.
Secondo le dichiarazioni raccolte dai delegati del Cicr durante colloqui privati con i prigionieri, il maltrattamento al momento della cattura era frequente. Se determinate circostanze potrebbero richiedere delle precauzioni difensive e l’impiego della forza da parte delle unità militari, il Cicr ha raccolto dichiarazioni di maltrattamenti che hanno fatto seguito alla cattura avvenuta a Bagdad, Bassora, Ramadi e Tikrit, il che indica un comportamento sistematico in relazione al momento e ai luoghi in cui si sono verificati i comportamenti violenti durante l’arresto. La ripetizione di tale comportamento da parte delle FC pare andare oltre ogni ragionevole, legittimo e proporzionato impiego della forza necessaria a catturare i sospetti o a trattenere le persone che opponevano resistenza all’arresto o alla cattura, e pare riflettere un modus operandi sistematicamente adottato da parte di alcune unità militari delle FC.
Stando alle dichiarazioni raccolte dal Cicr, i maltrattamenti durante gli interrogatori non erano sistematici, tranne per le persone arrestate in connessione con presunti reati contro la sicurezza o che si riteneva rivestissero importanza per l’ “intelligence”. In questi casi i prigionieri sotto la supervisione dell’Intelligence Militare erano ad alto rischio di essere sottoposti a una vasta gamma di duri trattamenti, che andavano dagli insulti, dalle minacce e dalle umiliazioni alla coercizione sia fisica che psicologica, che in alcuni casi equivalevano a tortura, allo scopo di costringerli a cooperare con chi li interrogava.
Il Cicr ha altresì iniziato a documentare quello che appariva un diffuso impiego di abusi e di maltrattamenti a opera della polizia irachena che è sotto la responsabilità delle Potenze Occupanti, tra cui minacce di consegnare le persone in loro custodia alle FC, così da estorcere loro denaro, effettiva consegna di tali individui alla custodia delle FC sulla base di presunte false accuse, o richiesta di ordini o istruzioni alle FC per maltrattare durante gli interrogatori i prigionieri.
Nel caso di “detenuti di rilievo” custoditi presso l’Aeroporto Internazionale di Bagdad, la loro prolungata detenzione, parecchi mesi dopo il loro arresto, in stretto isolamento in celle sprovviste di luce naturale per circa 23 ore al giorno ha costituito una grave violazione della Terza e della Quarta Convenzione di Ginevra.
Il Cicr si è altresì preoccupato per l’eccessivo e sproporzionato impiego della forza da parte delle autorità carcerarie contro prigionieri coinvolti durante la loro detenzione in rivolte o tentativi di fuga che hanno causato decessi o gravi ferite. L’impiego di armi da fuoco contro prigionieri in circostanze in cui l’impiego di altri metodi avrebbe potuto produrre lo stesso risultato, equivale a una grave violazione del Diritto Umanitario Internazionale. Il Cicr ha esaminato un certo numero di incidenti occorsi per colpi di arma da fuoco contro prigionieri con proiettili veri, che hanno provocato il decesso o gravi ferite durante disordini da mettere in relazione alle condizioni di detenzione o ai tentativi di fuga. Le indagini iniziate dalle FC in merito a tali incidenti hanno concluso che l’impiego delle armi da fuoco contro i prigionieri era legittimo. Tuttavia, avrebbero potuto essere presi dei provvedimenti non letali per ottenere i medesimi risultati, e per reprimere le rivolte o neutralizzare i prigionieri che cercavano di fuggire.
Dall’inizio del conflitto il Cicr ha regolarmente portato le sue preoccupazioni all’attenzione delle FC. Le osservazioni riportate nel presente rapporto sono in linea con quelle precedentemente fatte in numerose occasioni, oralmente e per iscritto, alle FC per tutto il 2003. Nonostante qualche miglioramento nelle condizioni materiali di detenzione, le dichiarazioni di maltrattamento perpetrato da membri delle FC contro i prigionieri hanno continuato a essere raccolte dal Cicr, lasciando così intendere che l’utilizzo dei maltrattamenti contro i prigionieri andava al di là di qualche caso sporadico e potrebbe essere pertanto considerato una pratica tollerata dalle FC.
Il rapporto del Cicr non ha la pretesa di essere esaustivo per ciò che concerne la violazione del Diritto Umanitario Internazionale commessa dalle FC in Iraq. Esso intende piuttosto illustrare le aree di priorità che richiedono attenzione e azione correttiva da parte delle FC, ai sensi di quanto previsto dal Diritto Umanitario Internazionale.
Conseguentemente, il Cicr chiede alle autorità delle FC in Iraq quanto segue:
• Di rispettare sempre la dignità della persona umana, l’integrità fisica e la sensibilità culturale delle persone private delle loro libertà e tenute sotto la loro custodia;
• Di instaurare un sistema di notifica degli arresti così da garantire una veloce quanto accurata trasmissione delle informazioni alle famiglie dei prigionieri;
• Di evitare qualsiasi forma di maltrattamento, di coercizione morale o fisica dei prigionieri in relazione ai loro interrogatori;
• Di instaurare un regime di detenzione che assicuri il rispetto dell’integrità psicologica e della dignità umana dei prigionieri;
• Di garantire a tutti i prigionieri un periodo di tempo sufficiente ogni giorno all’aperto e alla luce del sole, e che sia loro consentito di fare moto e esercizio fisico nel cortile esterno;
• Di definire e applicare i regolamenti e le sanzioni compatibili con il Diritto Umanitario Internazionale per far sì che i prigionieri siano esaurientemente informati al momento del loro arrivo su tali regolamenti e sanzioni;
• Di investigare esaurientemente le violazioni del Diritto Umanitario Internazionale allo scopo di determinare le responsabilità e di perseguire chi venisse ritenuto responsabile di violazioni del Diritto Umanitario Internazionale;
• Di assicurare che le unità militari addette all’arresto e incaricate del servizio di detenzione all’interno delle strutture di detenzione ricevano un addestramento adeguato, che consenta loro di operare nella maniera appropriata e di farsi carico delle proprie responsabilità nel momento in cui effettuano un arresto, senza ricorrere a maltrattamenti o a un impiego eccessivo della forza.
INTRODUZIONE
1. Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (International Committee of the Red Cross, Cicr) è autorizzato dalle parti contraenti le Convenzioni di Ginevra a monitorare la piena applicazione e il rispetto della Terza e Quarta Convenzione di Ginevra per ciò che concerne il trattamento dei prigionieri. Il Cicr ricorda alle parti contraenti interessate, solitamente per via riservata, i loro obblighi umanitari in conformità a tutte le quattro Convenzioni di Ginevra e in particolar modo alla Terza e alla Quarta Convenzione di Ginevra per ciò che concerne il trattamento dei prigionieri, e ai sensi del Protocollo I del 1977 aggiuntivo delle Convenzioni di Ginevra, del diritto consuetudinario, da loro confermato e ribadito, e i principi umanitari universalmente riconosciuti.
Le informazioni contenute in questo rapporto si basano su dichiarazioni raccolte dal Cicr nel corso di colloqui privati con i prigionieri nel corso delle visite effettuate nei luoghi di detenzione delle Forze della Coalizione (FC) tra marzo e novembre 2003. Le dichiarazioni sono state esaurientemente controllate in modo tale da presentare questo rapporto nel modo più possibile rispondente ai fatti. Il presente rapporto si basa altresì su altri resoconti forniti o da singoli prigionieri all’interno delle strutture di detenzione o da membri delle loro famiglie. Durante questo periodo il Cicr ha condotto 29 visite in 14 strutture di detenzione nelle zone centrali e meridionali del paese. Le testimonianze sono state raccolte a Camp Cropper (Core Holding Area, Military Intelligence Section, “High Value Detainees” Section); le prigioni di Al-Salihyye, Tasferat e Al-Russafa; il centro detentivo di Abu Ghraib (compresi Camp Vigilant e il Military Intelligence Section); Umm Qasr e Capo Bucca, così come in svariati altri centri provvisori di detenzione come Talil Trans-Shipment Place, Camp Condor, Amarah Camp e l’ospedale di campo di Shaibah.
Le condizioni nelle quali il Cicr può fare visita ai prigionieri nelle strutture di detenzione sono comuni a tutti i paesi nei quali opera l’organizzazione. Possono essere definite come segue:
• Il Cicr deve avere accesso a tutti i prigionieri che nel loro luogo di detenzione rientrano nel suo mandato;
• Il Cicr deve essere in grado di parlare liberamente e in privato con i prigionieri di sua scelta, registrandone i dati personali;
• Il Cicr deve essere autorizzato a ripetere la sua visita ai prigionieri;
• Il Cicr deve ricevere dalle autorità carcerarie la notifica degli arresti, dei trasferimenti e del rilascio dei prigionieri.
Ogni visita ai prigionieri è condotta in conformità con le procedure operative del Cicr, elencate qui di seguito:
• All’inizio di ogni visita i delegati del Cicr parlano con le autorità carcerarie per presentare il mandato del Cicr e per illustrare lo scopo della visita, in modo tale da ottenere da loro delle informazioni di carattere generale sulle condizioni della detenzione, sulla popolazione carceraria complessiva, sui movimenti dei prigionieri (rilascio, arresto, trasferimento, decesso, ospedalizzazione).
• I delegati del Cicr accompagnati dalle autorità carcerarie effettuano un sopralluogo delle strutture di detenzione.
• I delegati del Cicr colloquiano riservatamente con persone da loro prescelte che siano private della loro libertà, senza limiti di tempo, in un luogo scelto liberamente da loro e se necessario registrandone la conversazione.
• Alla fine di ogni visita i delegati hanno un colloquio finale con le autorità carcerarie per informarli su quanto appurato dal Cicr e per esprimere le eventuali raccomandazioni.
2. Scopo del presente rapporto è presentare le informazioni raccolte dal Cicr con riferimento al trattamento dei prigionieri di guerra da parte delle FC, dei detenuti civili e di altre persone tutelate e private della loro libertà durante la fase dell’arresto, del trasferimento, della detenzione e degli interrogatori.
3. I principali luoghi di detenzione nei quali hanno avuto luogo presumibilmente i maltrattamenti comprendevano i centri delle unità militari; i settori dell’intelligence militare di Camp Cropper e il complesso carcerario di Abu Ghraib; Al-Baghdadi, Heat Base e Habbania Camp nel governatorato di Ramadi; l’area detentiva di Tikrit (l’ex Scuola Islamica di Saddam Hussein); una ex stazione ferroviaria a Al-Khaïm, vicino alla frontiera con la Siria, trasformata in una base militare; il palazzo del Ministero della Difesa e il Palazzo Presidenziale di Bagdad, gli uffici dell’ex mukhabarat di Bassora e molte stazioni della polizia irachena di Bagdad.
4. In gran parte dei casi le dichiarazioni di maltrattamento si riferivano ad atti intervenuti prima della reclusione dei prigionieri in strutture di detenzione regolare, mentre erano sotto la custodia delle autorità addette al loro arresto, o del personale dell’intelligence civile e militare. Quando i prigionieri erano trasferiti alle normali strutture di detenzione, come quelle gestite dalla polizia militare, dove il comportamento delle guardie era strettamente controllato, i maltrattamenti del genere di quelli descritti in questo rapporto solitamente cessavano. In questi luoghi le violazioni delle clausole ai sensi del Diritto Umanitario Internazionale per ciò che compete il trattamento dei prigionieri erano il risultato di uno standard solitamente mediocre nelle condizioni di detenzione (reclusione a lungo termine in strutture temporanee inadatte) o di un impiego della forza che è apparso eccessivo per reprimere le rivolte o per evitare i tentativi di fuga.
1. TRATTAMENTO DURANTE L’ARRESTO
5. Le persone sotto tutela ascoltate dai delegati del Cicr hanno riferito uno schema pressoché costante per ciò che concerne il momento e la situazione delle violenza perpetrate dai membri delle FC che le arrestavano.
6. Gli arresti, come risulta da queste dichiarazioni, tendevano a seguire uno schema pressoché fisso. Le autorità militari addette all’arresto entravano nelle case solitamente quando faceva buio, abbattendo le porte, svegliando bruscamente gli abitanti, urlando ordini, costringendo tutti i membri di una famiglia a rimanere in un’unica stanza sotto la custodia dei militari, mentre perquisivano il resto della casa abbattendo ulteriori porte, rompendo mobili e altre proprietà personali. Arrestavano quindi i sospetti, legavano loro i polsi sulla schiena con le manette flessibili di plastica, li incappucciavano e li portavano via. Spesso arrestavano tutti i maschi adulti presenti in una casa, compresi i vecchi, i portatori di handicap o i malati. Il trattamento spesso comprendeva spinte e insulti, puntavano loro addosso i fucili, colpendoli o prendendoli a calci o li percotevano con il calcio del fucile. Spesso gli individui venivano portati via con qualsiasi indumento stessero indossando al momento dell’arresto – spesso il pigiama o la sola biancheria intima – ed era loro negata la possibilità di portare con sé degli oggetti personali essenziali, come capi di abbigliamento, articoli per l’igiene personale, medicine o occhiali. Quanti si arrendevano presentandosi con una valigia, spesso si vedevano sequestrare e confiscare i beni personali. In molti casi i beni personali erano sequestrati al momento dell’arresto, senza che venisse loro consegnata alcuna ricevuta (vedi oltre, sezione 6).
7. Alcuni funzionari dell’intelligence militare delle FC hanno riferito al Cicr che stando ai loro calcoli tra il 70 e il 90 per cento dei prigionieri in Iraq erano stati arrestati per errore. Hanno anche attribuito la violenza di qualche arresto alla mancanza di un’adeguata supervisione da parte delle unità militari addette all’arresto.
8. Ai sensi delle clausole del Diritto Umanitario Internazionale che obbligano le FC a trattare i prigionieri di guerra e altre persone sotto la loro protezione umanamente e a proteggerle contro atti di violenza, minacce consimili, intimidazioni e insulti (Articoli 13, 14, 17, 87 della Terza Convenzione di Ginevra, e Articoli 5, 27, 31, 32, 33 della Quarta Convenzione di Ginevra) il Cicr chiede alle autorità delle FC di rispettare sempre e ovunque la dignità umana, l’integrità fisica e la sensibilità culturale dei prigionieri tenuti sotto il loro controllo. Il Cicr chiede altresì alle autorità delle FC di assicurare che le unità militari addette all’arresto degli individui ricevano adeguato addestramento, che consenta loro di operare in modo appropriato e di ottemperare alle proprie responsabilità senza ricorrere alla violenza o fare un impiego eccessivo della forza.>
1.1 NOTIFICA AI FAMILIARI E INFORMAZIONI PER GLI ARRESTATI
9. In quasi tutti i casi documentati dal Cicr, le autorità incaricate dell’arresto non hanno mai notificato chi fossero, dove fosse situata la loro base, né hanno mai spiegato i motivi dell’arresto. Analogamente, raramente hanno notificato all’arrestato o alla sua famiglia dove lo stessero portando e per quando tempo, dando così luogo di fatto alla sparizione dell’arrestato per settimane o mesi interi prima che un contatto fosse finalmente instaurato.
10. Quando gli arresti avvenivano in strada o ai checkpoint, le famiglie non erano informate di quanto era capitato all’arrestato fino a quando non erano in grado di rintracciarli o ricevevano sue notizie tramite persone che erano state anch’esse private della loro libertà e in seguito rilasciate, e facevano visita alle famiglie dei loro compagni di reclusione, o tramite i Messaggi del Cicr. In assenza di un sistema atto a notificare alle famiglie le circostanze dell’arresto e il centro di detenzione dove erano stati reclusi i loro familiari, molti sono rimasti per lunghi periodi senza sapere che cosa fosse accaduto ai loro familiari, anche per mesi, spesso temendo che la loro assenza equivalesse al loro decesso.
11. Nove mesi dopo l’inizio del presente conflitto ancora non vi è un sistema soddisfacente e funzionante di notifica alle famiglie delle persone catturate o arrestate, sebbene centinaia di arresti continuino a essere effettuati ogni giorno. Mentre i principali centri di reclusione (Camp Bucca e Abu Ghraib) fanno parte di un sistema centralizzato di notificazione tramite il National Information Bureau ( i cui dati vengono inoltrati elettronicamente al Cicr a intervalli regolari), altri luoghi di detenzione, come quelli di Mosul e di Tikrit non lo sono. Pertanto la notificazione da questi luoghi dipende unicamente dalla compilazione della carta di cattura o di reclusione, ai sensi della Terza e Quarta Convenzione di Ginevra. Dal marzo 2003 tali carte di cattura sono state spesso compilate senza cura, causando così un immotivato ritardo di parecchie settimane o di mesi prima che i familiari fossero notificati della cattura di un parente, e spesso causando la totale mancata notificazione. E’ responsabilità delle autorità carcerarie verificare che ogni carta di cattura o di reclusione sia compilata accuratamente, così che il Cicr possa efficacemente farla avere ai familiari. L’attuale sistema dei Centri di Informazione Generale, General Information Centers (Cig), instaurato sotto la responsabilità dei Centri di Coordinazione e Assistenza Umanitaria (Humanitarian Assistance Coordination Centers, Hacc) pur costituendo un miglioramento, resta inadeguato, poiché le famiglie che risiedono fuori dalle città più importanti non vi hanno accesso, le liste messe a disposizione non sono complete e spesso non sono aggiornate né riportano i frequenti trasferimenti da un centro di reclusione a un altro. In assenza di un’alternativa migliore, la consegna da parte del Cicr di carte di cattura precise rimane il sistema più affidabile, più veloce ed efficace per notificare le famiglie, ammesso che le carte siano state correttamente e
debitamente riempite. Il Cicr ha ripetutamente sollevato la questione della notifica degli arresti alle famiglie con le autorità carcerarie sin dal marzo 2003, compresi alcuni dei più alti livelli delle FC informate nell’agosto 2003. Nonostante qualche miglioramento, centinaia di famiglie hanno dovuto attendere nell’ansia per settimane e spesso per mesi prima di venire a sapere dove erano stati portati i membri della loro famiglia che erano stati arrestati. Molte famiglie si sono spostate per settimane intere in lungo e in largo nel paese, da un centro di detenzione a un altro in cerca dei loro familiari e spesso sono venuti a conoscenza del luogo della loro reclusione in via del tutto informale (tramite dei detenuti rilasciati) o quando la persona privata della libertà è stata rilasciata ed è tornata a casa.
12. Analogamente, i trasferimenti, i casi di malattia al momento dell’arresto, il decesso, la fuga, il rimpatrio continuano a essere notificati in modo inadeguato o non sono notificati affatto dalle FC alle famiglie, nonostante le FC siano obbligate a farlo ai sensi del Diritto Umanitario Internazionale.
13. Ai sensi delle clausole sia della Terza Convenzione di Ginevra (Articoli 70, 122, 123) sia della Quarta Convenzione di Ginevra (Articoli 106, 136, 137, 138, 140), il Cicr ricorda alle FC il loro obbligo previsto dal trattato di notificare prontamente le famiglie di tutti i prigionieri di guerra e delle altre persone sotto tutela catturate o arrestate da loro. Entro una settimana, i prigionieri di guerra e i detenuti civili internati devono essere autorizzati a riempire le carte di cattura o di arresto, riportando quanto meno la loro cattura o il loro arresto, il loro indirizzo presso l’attuale centro di detenzione o di reclusione e le condizioni di salute in cui si trovano. Queste carte devono essere inoltrate quanto più rapidamente possibile e non devono essere posticipate per nessuna ragione. Fino a quando non vi sarà alcun sistema centrale di notificazione degli arresti organizzato dalle FC, è di vitale importanza che queste carte di cattura siano compilate accuratamente, così da consentire al Cicr di trasmetterle immediatamente alle famiglie interessate.
14. Lo stesso obbligo di notifica alle famiglie delle persone catturate o arrestate si applica per i casi di trasferimento, malattia, decesso, fuga o rimpatrio e identificazione dei morti della parte avversa. Tutti questi avvenimenti devono essere notificati al Cicr con tutti i dettagli della persona coinvolta, così da consentire al Cicr di informare le famiglie interessate (Articoli 120, 121, 122,123 della Terza Convenzione di Ginevra; Articoli 129, 130, 136, 137, 140 della Quarta Convenzione di Ginevra).
2. TRATTAMENTO DURANTE I TRASFERIMENTI E LA CUSTODIA PREVENTIVA
15. Il Cicr ha raccolto numerose dichiarazioni secondo cui in seguito al loro arresto i prigionieri venivano maltrattati, spesso durante il trasferimento dal luogo dell’arresto alle strutture adibite alla loro custodia preventiva. Solitamente i maltrattamenti si interrompevano quando tali soggetti raggiungevano la struttura di detenzione ordinaria, come Camp Cropper, Camp Bucc o Abu Ghraib. Il Cicr ha altresì raccolto prove su un decesso occorso in seguito alle dure condizioni di reclusione e di maltrattamento durante la custodia preventiva.
16. Una deposizione raccolta dal Cicr riguardava l’arresto di nove uomini da parte delle FC in un hotel di Bassora risalente al 13 settembre 2003. In seguito all’arresto, i nove uomini furono costretti a inginocchiarsi poggiando il volto e le mani per terra come nella posizione solitamente tenuta durante la preghiera. I soldati con i piedi hanno esercitato pressione sul retro del collo di coloro che tentavano di alzare la testa. Hanno confiscato i loro soldi senza rilasciarne debita ricevuta. I sospetti sono stati condotti ad Al-Hakimiya, un ufficio in precedenza utilizzato dalla mukhabarat di Bassora, e lì sono stati picchiati da numerose persone appartenenti al personale delle FC. Uno degli arrestati in seguito al maltrattamento, tale XXX (cancellato nel testo, Ndt), di 28 anni, sposato e padre di due bambini è deceduto. Prima della sua morte coloro che erano stati arrestati con lui lo hanno udito gridare e chiedere aiuto. Il certificato internazionale di morte rilasciato al suo decesso parla di “arresto cardiocircolatorio e asfissia” quale spiegazione certa di morte, ma le cause che hanno portato a tale condizione sono state definite “sconosciute” e riportavano la dicitura “chiedere al Coroner”. Nel certificato non compariva nessuna altra spiegazione. La descrizione del corpo fornita da un testimone oculare al Cicr parlava di rottura del naso, numerose costole rotte, lesioni cutanee sul volto, compatibili con percosse. Il padre della vittima è stato informato della morte del figlio il 18 settembre, ed è stato invitato a identificare il cadavere. Il 3 ottobre il comandante delle FC di Bassora gli ha presentato le sue condoglianze e lo ha informato di aver avviato un’inchiesta, assicurandogli che i colpevoli sarebbero stati puniti. Altri due prigionieri furono in seguito ospedalizzati con gravi ferite. Analogamente, una settimana più tardi, un medico del Cicr ha fatto loro visita in ospedale, riscontrando degli estesi ematomi con croste secche sull’addome, sulle natiche, sui fianchi, sulle cosce, sui polsi, sul naso e sulla fronte, compatibili con il loro resoconto delle percosse ricevute.
17. Durante una visita effettuata dal Cicr nel Camp Bucca il 22 settembre 2003, un 61enne, preso prigioniero, ha dichiarato di essere stato legato, incappucciato e costretto a rimanere seduto su una superficie incandescente che egli ritiene essere stata il motore di un’auto, che gli ha causato delle gravi ustioni alle natiche. La vittima in seguito a ciò ha perduto conoscenza. Il Cicr ha potuto constatare delle estese lesioni ormai in via di cicatrizzazione, compatibili con quanto da lui dichiarato.
18. Il Cicr ha esaminato un altro prigioniero nella sezione dei “Prigionieri di rilievo” nell’ottobre 2003 che era stato sottoposto a un trattamento simile. Anche lui era stato incappucciato, ammanettato dietro la schiena ed era stato costretto a stare sdraiato con la faccia in terra su una superficie rovente durante il suo trasferimento. Tale episodio gli ha causato delle gravi ustioni alla pelle che hanno richiesto tre mesi di cure in ospedale. All’epoca dell’intervista, egli era stato appena dimesso. Aveva dovuto sottoporsi a numerosi trapianti di pelle, all’amputazione del dito indice della mano destra, e aveva perduto permanentemente l’impiego del mignolo della mano sinistra in conseguenza della perdita di pelle dovuta all’ustione. Aveva altresì patito estese ustioni sull’addome, sulla parte anteriore degli arti inferiori, sul palmo della mano destra e sulla pianta del piede sinistro. Il Cicr raccomandò alle FC di investigare sul caso, per determinare le cause e le circostanze delle ferite nonché i responsabili dei maltrattamenti. Al momento in cui il presente rapporto viene redatto, non è ancora giunto un riscontro.
19. Durante il trasferimento che faceva seguito all’arresto, i prigionieri erano quasi sempre incappucciati e solidamente ammanettati con manette flessibili di plastica. Occasionalmente
….(omissis)
20. (omissis)
21. (omissis) … ematomi e dei segni cutanei compatibili con ripetute frustate o percosse. Aveva altresì dei segni ai polsi compatibili con manette flessibili di plastica molto strette. Il Cicr ha anche raccolto le dichiarazioni di decessi provocati dalle dure condizioni di reclusione, maltrattamenti, mancata assistenza medica, o dalla combinazione di queste, specialmente nell’area di reclusione di Tikrit, in passato nota con il nome di Scuola Islamica di Saddam Hussein.
22. Alcuni funzionari dell’intelligence militare delle FC hanno riferito al Cicr che il diffuso maltrattamento dei prigionieri durante l’arresto, la detenzione preventiva e “l’interrogatorio tattico” erano dovuti alla carenza di polizia militare sul terreno in grado di sorvegliare e controllare il comportamento e le attività delle unità militari operative, nonché alla mancanza di esperienza dei funzionari dell’intelligence incaricati di svolgere gli “interrogatori tattici”.
23. Ai sensi delle clausole del Diritto Umanitario Internazionale che obbliga le FC a trattare i prigionieri di guerra e altre persone tutelate in modo umano e a proteggerli contro atti di violenza, minacce di qualsiasi tipo, intimidazioni e insulti (Articoli 13, 14, 17, 87 della Terza Convenzione di Ginevra e Articoli 5, 27, 31, 32, 33 della Quarta Convenzione di Ginevra), il Cicr ha chiesto alle autorità delle FC di rispettare in ogni momento la dignità umana,l’integrità fisica e la sensibilità culturale delle persone private della libertà e tenute in Iraq sotto la loro custodia. Il Cicr ha altresì chiesto alle autorità delle FC di far sì che le unità militari fossero trasferite e/o che ricevessero singolarmente adeguata preparazione per poter operare in maniera conveniente e far fronte alle proprie responsabilità senza mai ricorrere alla violenza o all’impiego eccessivo della forza.
3. TRATTAMENTO DURANTE GLI INTERROGATORI
24. Gli arresti erano solitamente seguiti da una custodia temporanea a livello di unità militari locali o presso delle strutture temporanee adibite agli interrogatori sotto la responsabilità di personale dell’intelligence militare, ma accessibili ad altro personale d’intelligence (specialmente nel caso di prigionieri di massima sicurezza). Il maltrattamento da parte del personale delle FC durante gli interrogatori non era sistematico, ad eccezione delle persone arrestate in relazione a sospetti reati contro la sicurezza o che si credeva rivestissero un considerevole “valore” d’intelligence. In questi casi i prigionieri sorvegliati dall’intelligence militare erano soggetti a una varietà di maltrattamenti, che comprendevano insulti e umiliazioni sia fisiche che di coercizione psicologica, che in alcuni casi equivalevano a pratiche di tortura, allo scopo di costringerli a collaborare con coloro che li interrogavano. In alcuni casi, come nella sezione dell’intelligence militare della struttura carceraria di Abu Ghraib, i metodi di coercizione fisica e psicologica utilizzati da chi praticava gli interrogatori paiono essere stati parte delle procedure operative standard da parte del personale dell’intelligence militare, miranti ad ottenere delle confessioni e a cavarne delle informazioni. Parecchi funzionari dell’intelligence militare hanno confermato al Cicr che rientrava nel processo di interrogatorio del personale dell’intelligence militare tenere un prigioniero nudo, nel buio assoluto, in una cella in isolamento per un periodo prolungato di tempo, e utilizzare un trattamento disumano e degradante, che includeva coercizione fisica e psicologica sui prigionieri per garantirne la collaborazione.
3.1 MODALITÀ DI MALTRATTAMENTO
25. I metodi di maltrattamento più frequentemente riportati durante gli interrogatori comprendevano:
• Incappucciamento, utilizzato per evitare che gli individui vedessero e per disorientarli, e altresì per impedire loro di respirare liberamente. Uno o più spesso due sacchetti, calati sopra a un paraocchi elastico, una volta indossati impedivano ulteriormente una respirazione normale. L’incappucciamento era spesso utilizzato in associazione alle percosse, e ciò accresceva maggiormente l’ansia, non permettendo di sapere quando sarebbero giunte altre percosse. La pratica dell’incappucciamento consentiva inoltre a chi conduceva l’interrogatorio di rimanere anonimo e pertanto di agire nell’impunità. L’incappucciamento poteva protrarsi da qualche ora fino a 2 o 4 giorni consecutivi, durante i quali i cappucci venivano sollevati soltanto per bere, mangiare o andare al gabinetto.
• Ammanettamento con manette di plastica flessibili, spesso fissate così strettamente e utilizzate per così lunghi periodi di tempo da causare delle lesioni cutanee e delle conseguenze a lungo termine, seppur non dei danni permanenti, come è stato riscontrato dal Cicr.
• Percosse con oggetti contundenti duri (comprese pistole e fucili), sberle, pugni, calci con le ginocchia o i piedi in varie parti del corpo (gambe, fianchi, parte inferiore della schiena,inguine).
• Schiacciamento della testa in terra con gli stivali.
• Minacce (di maltrattamenti, di ritorsioni contro i famigliari, di imminente esecuzione o di trasferimento a Guantanamo).
• Denudamento per più giorni di seguito con reclusione in isolamento in una cella vuota e completamente buia comprendente una latrina.
• Reclusione in isolamento accompagnata da minacce (di recludere il soggetto a tempo indeterminato, di arrestare altri membri della sua famiglia, di trasferire il soggetto a Guantanamo), privazione del sonno, privazione di cibo o di acqua, accesso minimo alle docce (due alla settimana), proibizione ad uscire all’aria aperta e proibizione ad avere contatti con altri prigionieri.
• Essere esibiti nudi fuori dalle celle, di fronte ad altre persone private della loro libertà e alle guardie, spesso incappucciati o con indumenti intimi femminili calati sulla testa.
• Atti umilianti come essere costretti a stare in piedi nudi contro il muro della cella con le braccia alzate o con della biancheria intima femminile calata sulla testa per lunghi periodi di tempo, mentre le guardie, tra le quali vi erano delle donne, ridevano e spesso li fotografavano in quelle posizioni.
• Essere ripetutamente attaccati per parecchi giorni di seguito, per parecchie ore alla volta, con le manette alle sbarre delle loro celle in posizioni umilianti (nudi o in mutande) e/o scomode, allo scopo di infliggere sofferenze fisiche.
• Esposizione incappucciati a dei forti rumori o alla musica ad alto volume; esposizione incappucciati al sole per parecchie ore, specialmente nelle ore più calde della giornata, quando la temperatura può raggiungere i 50 gradi Celsius (122 gradi Fahrenhei) o più.
• Essere costretti a rimanere per periodi molto lunghi in posizioni snervanti, come accucciati o in piedi con le mani in alto.
26. Questi metodi di coercizione fisica e psicologica sono stati utilizzati dall’intelligence militare in modo sistematico per ottenere confessioni o strappare informazioni o altre forme di collaborazione da parte delle persone che erano state arrestate in relazione a presunti reati legati alla sicurezza o considerati avere un “valore d’intelligence”.
3.2 SEZIONE DELL’INTELLIGENCE MILITARE, “STRUTTURA CORREZIONALE DI ABU GHRAIB”
27. Alla metà di ottobre del 2003, il Cicr fece visita a dei prigionieri che venivano interrogati da funzionari dell’intelligence militare nel Reparto 1A della “sezione d’isolamento” della struttura correzionale di Abu Ghraib. Gran parte di questi prigionieri erano stati arrestati all’inizio di ottobre. Durante la loro visita i delegati del Cicr hanno direttamente assistito e documentato una varietà di metodi utilizzati per garantire la collaborazione dei prigionieri con chi conduceva gli interrogatori. In particolare hanno assistito alla pratica consistente nel tenere le persone private della libertà completamente nude in celle di cemento assolutamente vuote e nella oscurità più assoluta, si presume per numerosi giorni di seguito. Avendo assistito a questi episodi il Cicr ha interrotto le sue visite esigendo delle spiegazioni dalle autorità. Il funzionario dell’intelligence militare in carica ha spiegato che questa procedura “faceva parte del processo”. Tale processo è parso consistere in una politica del dare per avere, per la quale i prigionieri erano riforniti un po’ alla volta di nuovi articoli (indumenti, materassi, articoli per l’igiene personale, celle illuminate, eccetera) soltanto in cambio della loro collaborazione. Il Cicr ha altresì visitato altri prigionieri tenuti nel buio assoluto, altri in celle solo scarsamente illuminate a cui era stato consentito di indossare degli indumenti dopo un lungo periodo di nudità totale. Molti avevano ricevuto della biancheria intima femminile da indossare sotto la tuta (la biancheria maschile non è stata mai distribuita), e ciò era considerato da loro particolarmente umiliante. Il Cicr ha documentato altre forme di maltrattamento, solitamente associate a quelle sinora descritte, comprese minacce, insulti, violenza verbale, privazione del sonno indotta da musica a volume molto alto o da illuminazione costante in celle prive di finestre, ammanettamento troppo stretto con manette flessibili di plastica che hanno causato lesioni e ferite intorno ai polsi. Le punizioni includevano l’essere obbligati a camminare nei corridoi ammanettati e nudi, o con la biancheria intima femminile calata sulla testa, o essere ammanettati vestiti o nudi alle sbarre del letto o della cella. Alcuni prigionieri presentavano dei segni fisici e dei sintomi psicologici compatibili con queste accuse. Il delegato medico del Cicr ha visitato i prigionieri che presentavano segni di difficoltà di concentrazione, problemi di memoria, difficoltà ad esprimersi, discorsi incoerenti, acute reazioni di ansia, comportamento anormale e tendenze al suicidio. Questi sintomi paiono essere stati causati dai metodi utilizzati durante l’interrogatorio e dalla durata dello stesso. Una persona tenuta in isolamento e visitata dal Cicr è risultata non reagire alle stimolazioni verbali o dolorose. Il battito cardiaco era di 120 battiti al minuto, quello respiratorio di 18. La diagnosi è stata di disordine somatico mentale, specificatamente dovuto ai maltrattamenti subiti durante l’interrogatorio. Secondo le dichiarazioni raccolte dal Cicr, le autorità carcerarie inoltre hanno continuato a tenere i prigionieri durante il periodo del loro interrogatorio all’oscuro delle ragioni del loro arresto. Erano spesso interrogati senza sapere di che cosa fossero accusati. Non era consentito loro fare domande e non avevano alcuna opportunità di chiarire le ragioni del loro arresto. Il loro trattamento tendeva a variare, in relazione al grado di collaborazione dimostrato durante gli interrogatori: coloro che collaboravano venivano autorizzati a un trattamento preferenziale e potevano conseguentemente avere contatti con gli altri prigionieri, potevano telefonare alle famiglie, ricevevano degli indumenti, materassi e coperte, cibo, acqua o sigarette, potevano fare la doccia e stare in celle fornite di luce, eccetera.
3.3 Umm Qasr (JFIT) e Camp Bucca (JIF/ICE)
28. A partire dalla costituzione del campo di Umm Qasr e del successivo Camp Bucca, i prigionieri sottoposti a interrogatorio, che fossero stati arrestati dalle forze armate britanniche, danesi, olandesi o italiane, erano isolati dagli altri reclusi in una sezione distinta del campo destinata alle indagini. Questa sezione inizialmente è stata al comando delle forze armate inglesi, che la denominarono Joint Field Intelligence Team (JFIT). Il 7 aprile la gestione del complesso fu passata alle forze armate americane, che la ribattezzarono Joint Interrogation Facility/Interrogation Control Element (JIF/ICE). Il 25 settembre 2003 la sua amministrazione fu restituita alle truppe armate britanniche.
29. Il personale dell’intelligence delle FC interrogava i prigionieri di loro interesse in questa sezione. O erano accusati di attacchi contro le FC o si presumeva avessero “valore d’intelligence”.
Potevano essere trattenuti lì da pochi giorni a molte settimane, fino al termine del loro interrogatorio. Durante una visita condotta nel settembre 2003, il Cicr ha intervistato in questa sezione numerosi prigionieri che erano stati in custodia lì per periodi che andavano da tre a quattro settimane.
30. Inizialmente, i detenuti erano trattati di routine dalle loro guardie con disprezzo, con violenze meschine, come ordini gridati, ingiurie, calci, colpi con il calcio del fucile o ordini di vario tipo. Erano ammanettati sulla schiena e incappucciati per tutta la durata del loro interrogatorio ed era loro proibito parlare tra loro o rivolgersi alle guardie. L’incappucciamento pare fosse motivato da preoccupazioni relative alla sicurezza, ma risulta anche che fosse una pratica di intimidazione standard utilizzata dal personale dell’intelligence militare per spaventare i detenuti e indurli a collaborare. Ciò era associato ad una deliberata condizione di incertezza nella quale venivano tenuti, in merito a quello che sarebbe potuto succedere loro, e ad un atteggiamento nel complesso ostile da parte delle guardie. Le condizioni di reclusione andavano migliorando a seconda del grado di collaborazione della persona privata della sua libertà. I prigionieri interrogati venivano custoditi in due reparti distinti. Coloro che si trovavano nelle prime fasi del loro interrogatorio non erano autorizzati a parlare tra loro (presumibilmente per evitare scambio di informazioni o accordi sulle “versioni degli avvenimenti da riportare”). Non era loro consentito stare in piedi o camminare fuori dalla loro tenda, ma avevano accesso all’acqua con la quale potevano lavarsi. Quando infine avevano collaborato con chi li interrogava, venivano trasferiti nelle tende dei “privilegiati”, dove le restrizioni precedentemente descritte venivano alleggerite.
31. I prigionieri che erano sottoposti a interrogatorio da parte delle FC erano da quanto risulta soggetti a frequenti invettive, insulti, minacce, sia fisiche che verbali, come vedersi puntare il fucile addosso in modo generale o direttamente alla tempia, alla nuca, allo stomaco. Erano minacciati di essere trasferiti a Guantanamo, di essere uccisi o di essere reclusi a tempo indeterminato. Oltre a menzionare un clima generale di intimidazione prolungato come metodo per esercitare pressione sui prigionieri e indurli a collaborare con chi li interrogava, nessuno di coloro che è stato ascoltato dal Cicr a Umm Qasr o a Camp Bucca ha parlato di maltrattamenti fisici subiti durante gli interrogatori. Tutte le accuse di maltrattamenti si riferivano alla fase dell’arresto, della detenzione preventiva (nei centri di raccolta e nelle aree delimitate) e agli “interrogatori tattici” condotti da funzionari dell’intelligence militare che si associavano alle unità militari prima che avvenisse il loro trasferimento a Camp Bucca.
3.4 PRECEDENTI INTERVENTI DEL CICR NEL 2003 IN RELAZIONE AL TRATTAMENTO DEI PRIGIONIERI
32. Il 1 aprile il Cicr informò a voce il consigliere politico del comandante delle forze armate britanniche presso il comando centrale delle FC di Doha sui metodi di maltrattamento adottati dal personale dell’intelligence militare per interrogare i prigionieri nel campo di detenzione di Umm Qasr. Questo intervento ebbe l’effetto immediato di far cessare l’impiego sistematico dei cappucci e delle manette flessibili di plastica nella sezione degli interrogatori di Umm Qasr. Il trattamento violento dei prigionieri cessò altresì quando la 800esima Brigata della Polizia Militare subentrò alla guardia di quella sezione di Umm Qasr. Le forze britanniche passarono quindi le consegne dell’area di reclusione di Umm Qasr alla 800esima Brigata il 9 aprile 2003. La 800esima Brigata costruì quindi Camp Bucca a due chilometri di distanza.
33. Nel maggio 2003 il Cicr inviò alle FC un memorandum che si basava su oltre 200 dichiarazioni di maltrattamenti di prigionieri di guerra intervenuti durante la cattura e gli interrogatori nei centri di raccolta, nelle stazioni delle unità militari e nelle aree di custodia temporanee. Le dichiarazioni erano compatibili con i segni lasciati sui corpi delle persone visitate dai delegati medici. Il memorandum fu consegnato a XXX (cancellato nel testo, Ndt), nel comando centrale degli Stati Uniti a Doha, in Qatar. In seguito un miglioramento consistette nella eliminazione delle fascette ai polsi con la scritta “terrorista” data ai detenuti stranieri.
34. All’inizio di luglio il Cicr inviò alle FC un foglio di lavoro riportante in dettaglio circa una cinquantina di accuse di maltrattamenti subiti nella sezione dell’intelligence militare di Camp Cropper, presso l’Aeroporto Internazionale di Bagdad. L’elenco comprendeva una varietà di meschini e deliberati atti di violenza finalizzati ad assicurare la collaborazione dei prigionieri a coloro che li interrogavano: minacce (di recluderli a tempo indeterminato, di arrestare altri membri della loro famiglia, di trasferirli a Guantanamo), contro prigionieri o contro la loro famiglia (in particolare moglie e figlie); incappucciamento; manette molto strette; obbligo a rimanere in posizioni snervanti (in ginocchio, accucciati, in piedi con le braccia sollevate sopra la testa) per tre o quattro ore; essere presi di mira dalle armi da fuoco, essere colpiti dal calcio dei fucili, essere schiaffeggiati, presi a pugni o essere esposti per lungo tempo al sole o in celle buie in isolamento. I delegati del Cicr hanno potuto constatare i segni lasciati sui corpi di parecchi prigionieri, segni compatibili con quanto loro denunciavano. In un caso esemplare, una persona privata della sua libertà, arrestata a casa propria dalle FC in quanto sospettata di essere coinvolta in un attacco contro le FC stesse, era stata presumibilmente picchiata durante l’interrogatorio in una località nelle vicinanze di Camp Cropper. L’uomo ha dichiarato di essere stato incappucciato, di essere stato ammanettato con le manette flessibili di plastica, di essere stato costretto ad aprire la bocca nella quale gli è stata incastrata una palla da baseball che è stata fissata con una sciarpa, e di essere stato privato del sonno per quattro giorni consecutivi. Durante l’interrogatorio l’uomo sarebbe stato maltrattato e quando ha detto che se ne sarebbe lamentato con il Cicr è stato picchiato ancora più forte. La visita medica effettuata su di lui da un medico del Cicr ha evidenziato degli ematomi alla parte inferiore della schiena, del sangue nelle urine, la perdita di sensibilità della mano destra per le manette troppo strette e una costola rotta. Subito dopo aver spedito quel memorandum, la sezione di reclusione dell’intelligence militare fu chiusa e i prigionieri furono trasferiti a quella che in seguito divenne la sezione dell’aeroporto destinata ai “prigionieri di rilievo”, una struttura di reclusione regolare al comando del 115esimo Battaglione della Polizia Militare. Da quel punto in avanti il Cicr osservò che il maltrattamento di questa categoria di prigionieri da parte dell’intelligence militare calò significativamente e alla fine si arrestò del tutto, mentre gli interrogatori proseguirono fino alla fine dell’anno 2003.
3.5 DICHIARAZIONI DI MALTRATTAMENTI SUBITI DALLA POLIZIA IRACHENA
35. Il Cicr ha raccolto un considerevole insieme di accuse relative a un diffuso abuso di potere e di maltrattamento delle persone in custodia alla polizia irachena. Tale comportamento comprendeva la pratica diffusa di minacciare di consegnare queste persone alle FC affinché fossero messe in prigione, o la pretesa di agire seguendo le istruzioni delle FC allo scopo di abusare del proprio potere e di estorcere denaro dalle persone sotto la loro custodia. Le dichiarazioni raccolte dal Cicr indicano che numerose persone sono state consegnate alle FC sulla base di accuse infondate (di ostilità nei confronti delle FC, di far parte delle forze di opposizione) perché non erano state in grado o non avevano voluto pagare delle bustarelle alla polizia. Le accuse di maltrattamento durante l’arresto e il trasferimento comprendevano l’incappucciamento, l’impiego di manette molto strette, abusi verbali, percosse con pugni e calci, botte con il calcio del fucile. Durante gli interrogatori le autorità carcerarie avrebbero frustato i prigionieri con cavi elettrici sulla schiena, li avrebbero presi a calci nelle parti basse del corpo, compresi i testicoli, li avrebbero ammanettati e lasciati appesi a sbarre situate alle finestre delle celle o alle porte delle stesse in posizioni dolorose per parecchie ore alla volta, li avrebbero bruciati con le sigarette (i segni delle conseguenti ustioni sono stati osservati direttamente dai delegati del Cicr). Numerosi prigionieri hanno dichiarato di essere stati costretti a firmare una dichiarazione senza averla potuta leggere preventivamente. Queste dichiarazioni erano riferibili a numerose stazioni della polizia di Bagdad, tra le quali Al-Qana, Al-Jiran, Al-Kubra ad al Amariyya, Al-Hurriyyeh a Al-Doura. Al-Salhiyye a Salhiyye, e Al-Baiah. Molti prigionieri hanno instaurato dei paralleli tra le procedure della polizia sotto l’occupazione e quelle dell’ex regime.
36. All’inizio del giugno 2003, per esempio, dopo il loro arresto un gruppo di prigionieri è stato portato alla ex accademia di polizia. Lì sarebbero stati incappucciati e ammanettati e costretti a stare contro un muro mentre un poliziotto puntava loro alla testa una pistola fingendo un’esecuzione e tirando il grilletto (la pistola di fatto era scarica). Sarebbero anche stati costretti a sedere su alcune sedie sulle quali sarebbero stati colpiti alle gambe, sotto i piedi e ai fianchi con dei bastoni. Su di loro sarebbe stata versata acqua sulle gambe e avrebbero ricevuto delle scosse elettriche tramite cavi elettrici scoperti. La madre di una delle persone private della libertà è stata condotta lì e i poliziotti hanno minacciato di maltrattarla. Un altro prigioniero è stato minacciato e gli è stato detto che avrebbero condotto lì e violentato la moglie. Sono stati costretti a lasciare le loro impronte digitali su una presunta confessione di colpevolezza, che ha avuto come esito il loro trasferimento alle FC per essere reclusi in attesa di giudizio.
37. Il Cicr ricorda alle autorità delle FC che i prigionieri di guerra e altre persone tutelate sotto la custodia delle forze di occupazione devono sempre essere trattate umanamente: non devono essere soggette a un trattamento crudele o degradante, e devono essere protette da qualsivoglia azione violenta (Articoli 13 e 14 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 27 della Quarta Convenzione di Ginevra). La tortura e altre forme di coercizione fisica e psicologica contro i prigionieri di guerra e altre persone recluse allo scopo di strapparne delle confessioni o delle informazioni è proibito in ogni caso e in tutte le circostanze senza eccezione alcuna (Articoli 17 e 87 della Terza Convenzione di Ginevra; Articoli 5, 31 e 32 della Quarta Convenzione di Ginevra).
Le confessioni estorte con la coercizione o con la tortura non possono mai essere utilizzate come prove di colpevolezza (Articolo 99 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 31 della Quarta Convenzione di Ginevra). Simili violazioni del Diritto Umanitario Internazionale devono essere esaurientemente investigate allo
scopo di accertarne le responsabilità e di perseguire penalmente chi ne fosse trovato responsabile (Articolo 129 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 146 della Quarta Convenzione di Ginevra).
4. TRATTAMENTO NELLE REGOLARI STRUTTURE DI RECLUSIONE
4.1. Condizioni generali di trattamento
38. Il Cicr ha potuto constatare che il trattamento dei prigionieri custoditi nelle strutture di reclusione regolari da parte del personale delle FC è rispettoso, con qualche eccezione dovuta a singole personalità o ad occasionale perdita di controllo da parte delle guardie. Il comportamento abusivo delle guardie, qualora riscontrato e riportato ai loro superiori, era solitamente ammonito e disciplinato immediatamente.
39. Il Cicr ha spesso notato un grave gap nelle comunicazioni tra il personale carcerario e le persone private della loro libertà, essenzialmente dovuto alla barriera della lingua, che ha dato adito a frequenti incomprensioni. Ciò era inoltre associato ad un diffuso atteggiamento di disprezzo da parte delle guardie. In conseguenza di ciò, i prigionieri hanno spesso lamentato di essere trattati come esseri inferiori, e hanno adottato un simile atteggiamento.
40. Il Cicr ha occasionalmente osservato i prigionieri essere schiaffeggiati, maltrattati, strattonati o gettati a terra per difficoltà di comunicazione (impossibilità a capire o fraintendimenti di ordini dati in inglese erano considerati dalle guardie resistenza o disobbedienza), o per atteggiamento poco rispettoso da parte delle guardie, una riluttanza da parte del prigioniero a eseguire gli ordini o anche alla perdita del controllo da parte delle guardie.
41. I provvedimenti disciplinari adottati comprendevano la possibilità di essere portati fuori dal complesso, essere ammanettati, essere costretti a stare in piedi, seduti, accucciati o sdraiati nella sabbia sotto il sole fino a tre o quattro ore, a seconda della infrazione disciplinare commessa (comportamento irriguardoso nei confronti delle guardie, comunicazioni con altre persone private della libertà durante il trasferimento da un complesso ad un altro, o disobbedienza agli ordini), la temporanea sospensione della distribuzione di sigarette, la temporanea segregazione in sezioni di isolamento disciplinare delle strutture di reclusione.
42. Nonostante siano state osservate delle occasionali riduzioni o sospensioni nella distribuzione di acqua o di razioni di cibo o più comunemente di sigarette, la proibizione a comminare pene collettive ai sensi del Diritto Umanitario Internazionale (Articoli 26.6, 87.3 della Terza Convenzione di Ginevra, e Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra) pare essere stata in generale rispettata dalle autorità carcerarie.
4.2 Sezione dei “Prigionieri di rilievo”, Aeroporto Internazionale di Bagdad
43. A partire dal giugno 2003, un centinaio di “prigionieri di rilievo” sono stati tenuti per circa 23 ore al giorno in stretto isolamento, in piccole celle di cemento sprovviste di luce naturale. Questo regime di isolamento totale impediva rigorosamente qualsiasi contatto con altri prigionieri, con le guardie e con i membri della famiglia (ad eccezione della possibilità di contattarli tramite i Messaggi della Croce Rossa) e con il resto del mondo. Persino le mogli e i membri della stessa famiglia erano soggetti a questo regime. I prigionieri la cui “inchiesta” poteva dirsi pressoché conclusa erano autorizzati a fare esercizio fisico insieme fuori dalle celle per circa venti minuti due volte al giorno o a recarsi insieme alle docce e ai gabinetti. Gli altri prigionieri ancora sotto interrogatorio, invece, continuavano ad essere internati in totale “isolamento” (per esempio avevano il permesso di recarsi fuori dalle loro celle per venti minuti due volte al giorno, di recarsi alle docce o al gabinetto ma sempre da soli e senza mai nessun contatto con gli altri). Gran parte di questi prigionieri è stata soggetta a questo regime per i passati cinque mesi. I tentativi di contattare altri prigionieri o semplicemente di scambiare qualche occhiata o saluto erano sanzionate da ammonizioni o da temporanee privazioni del tempo trascorso fuori della cella. A partire dall’agosto 2003 i detenuti hanno potuto avere con sé il Corano, ed è stato loro consentito di ricevere libri di genere non politico, ma nessun giornale o rivista che riportasse gli avvenimenti in corso. Il regime di reclusione è parso essere motivato da un misto di preoccupazione in relazione alla sicurezza (l’isolamento dei prigionieri dal mondo esterno), e alla necessità di raccogliere intelligence. Tutti hanno dovuto sottostare a degli interrogatori a partire dal momento della loro reclusione, nonostante il fatto che a nessuno siano state fatte presenti le accuse a carico. Il 30 ottobre 2003 il Cicr ha scritto alle autorità carcerarie raccomandando loro di interrompere immediatamente le loro procedure e di sostituirle con un regime di reclusione conforme agli obblighi previsti per le FC ai sensi delle Convenzioni di Ginevra.
44. La reclusione di persone in isolamento totale, per mesi di seguito, in celle prive di luce naturale per circa 23 ore al giorno è un regime più rigido di quanto prevedano le forme di isolamento previste dalla Terza e dalla Quarta Convenzione di Ginevra (indagini su criminali o punizioni disciplinari). Pertanto tale pratica non può essere utilizzata come una procedura regolare e ordinaria da adottare con i prigionieri di guerra o con i detenuti civili. Il Cicr ricorda alle autorità delle Forze della Coalizione in Iraq che l’isolamento di questo tipo viola gli Articoli 21, 25, 89, 90, 95 e 103 della Terza Convenzione di Ginevra e gli Articoli 27, 41, 42, 78, 82, 118 e 125 della Quarta Convenzione di Ginevra. Il Cicr raccomanda pertanto alle autorità delle FC di instaurare un regime di isolamento che garantisca il rispetto dell’integrità psicologica e della dignità umana dei prigionieri e di assicurarsi che a tutti i prigionieri sia garantito un tempo sufficiente da trascorrere all’aperto alla luce del sole, nonché la possibilità di muoversi e di praticare esercizio fisico nel cortile interno.
5. IMPIEGO ECCESSIVO E SPROPORZIONATO DELLA FORZA SUI PRIGIONIERI DA PARTE DELLE AUTORITA’ CARCERARIE
45. Dal marzo 2003 il Cicr ha registrato e in alcuni casi assistito a un numero di incidenti nel corso dei quali le guardie hanno sparato ai prigionieri con veri proiettili nell’ambito di qualche ribellione scoppiata in relazione alle condizioni di carcerazione oppure durante dei tentativi di fuga da parte di singoli detenuti:
• Camp Cropper, 24 maggio 2003: nel contesto di uno sciopero della fame, è scoppiata una rivolta nel campo poco prima della visita del Cicr. Una persona privata della sua libertà è stata ferita da un colpo di pistola.
• Camp Cropper, 9 giugno 2003: sei prigionieri sono stati feriti da colpi di arma da fuoco dopo che una guardia ha aperto il fuoco contro il gruppo, nel tentativo di sedare una dimostrazione.
• Camp Cropper, 12 giugno 2003: due o forse tre prigionieri sono stati raggiunti da colpi di arma da fuoco mentre tentavano di scappare attraverso il filo spinato. Uno di loro, Akheel Abd Al-Hussein di Bagdad è stato ferito e più tardi è deceduto dopo essere stato trasportato all’ospedale. L’altro prigioniero è stato catturato e ha ricevuto le cure per le ferite riportate dai colpi di pistola.
• Abu Ghraib, 13 giugno 2003: Quando una rivolta è scoppiata, le guardie da tre torrette di controllo hanno aperto il fuoco contro i dimostranti, ferendo sette prigionieri e uccidendone uno, Alaa Jasim Hassan. Le autorità hanno svolto un’inchiesta sull’accaduto, arrivando alla conclusione che “i colpi di arma da fuoco erano giustificati poiché le tre guardie sulle torrette hanno ritenuto che la vita delle guardie interne fosse in pericolo”.
• Abu Ghraib, fine giugno 2003: durante una rivolta, un prigioniero è stato ferito da un proiettile sparato da una guardia.
• Abu Ghraib, 24 novembre 2003: durante una rivolta quattro detenuti sono stati uccisi dalle guardie appartenenti alla Polizia Militare degli Stati Uniti. Le loro morti hanno avuto luogo in conseguenza di una rivolta scoppiata in uno dei compound, il numero 4. I detenuti lamentavano di non essere soddisfatti delle condizioni della loro detenzione. Specificatamente lamentavano la mancanza di cibo e di vestiti, ma ancora più importante, la mancanza di garanzie giuridiche e, cosa specialmente importante nel periodo di Eid al-Fitr, la mancanza di visite da parte della famiglia o di contatti in generale. I detenuti si sarebbero radunati nei pressi del cancello, in cima al quale le guardie sono state prese dal panico e hanno iniziato a sparare. Inizialmente sono stati usati proiettili non letali, poi sostituiti da pallottole vere. Il rapporto consegnato dalle FC al Cicr riporta che i detenuti stavano cercando di aprire con la forza il cancello e più avanti specifica che furono lanciati degli ammonimenti verbali mentre contro la folla venivano usati dei proiettili non letali. Dopo circa 25 minuti i proiettili furono sostituiti da quelli veri e ciò provocò la morte di quattro detenuti. (Seguono i nomi cancellati nel testo originale, Ndt). Il rapporto dettagliato fornito dalle FC non indica la ragione per la quale scoppiò la rivolta e non fornisce alcuna raccomandazione su come un simile incidente avrebbe potuto essere evitato. Il documento non mette in questione il ricorso alla forza letale durante questo incidente.
• Camp Bucca, 16-22 aprile 2003: i delegati del Cicr hanno assistito ad un incidente che ha provocato il decesso per colpo di arma da fuoco di un prigioniero e il ferimento di un altro. Un colpo di arma da fuoco è stato sparato per terra da un soldato situato fuori dal compound nel tentativo di portare soccorso ad una delle guardie che pare fosse minacciata da un prigioniero di guerra armato di bastone. Il secondo colpo ha ferito il prigioniero di guerra all’avambraccio sinistro e il terzo colpo ha ucciso un altro prigioniero di guerra.
• Camp Bucca, 22 settembre 2003: In seguito a una rivolta scoppiata in una sezione del campo, un prigioniero che pare stesse lanciando delle pietre, è stato colpito da un colpo di arma da fuoco sparato da una guardia su una torretta. E’ stato ferito nella parte alta del torace, attraversato dalla pallottola che è entrata davanti e uscita dietro. Le indagini condotte dalle FC hanno concluso che “le guardie del compound hanno correttamente applicato le regole di ingaggio e che numerosi colpi non letali erano stati in precedenza sparati senza frutto”. Il prigioniero “è stato vittima di una sparatoria legittima”. Un delegato del Cicr e un interprete hanno assistito all’episodio quasi nella sua interezza. In nessun momento i prigionieri, compreso la vittima che è stata colpita, sono parsi costituire una seria minaccia alla vita o alla sicurezza delle guardie che avrebbero potuto reagire all’accaduto con provvedimenti meno violenti. La sparatoria ha evidenziato un chiaro disprezzo per la vita umana e per la sicurezza dei prigionieri.
46. Questi incidenti sono stati investigati superficialmente dalle FC. In tutti i casi esse hanno concluso che era stato fatto un ricorso legittimo alla forza con colpi di arma da fuoco contro prigionieri che, ad eccezione forse dell’episodio del 13 giugno 2003 presso Abu Ghraib, non erano armati e non parevano poter costituire nessuna grave minaccia per la vita di nessuno, cosa che avrebbe potuto giustificare l’impiego delle armi da fuoco. In tutti i casi avrebbero potuto essere adottati dei provvedimenti meno estremi per sedare le rivolte e i disordini o per neutralizzare i prigionieri che tentavano di scappare.
47. In relazione all’incidente del 22 settembre 2003, il Cicr scrisse il 23 ottobre al comandante dell’800esima Brigata raccomandandogli l’adozione di provvedimenti per il controllo degli assembramenti compatibili con le regole e i principi statuiti dalla Terza e dalla Quarta Convenzione di Ginevra, e altre normative applicabili, in relazione all’impiego della forza o delle armi da fuoco da parte del personale delle forze dell’ordine.
48. Dal maggio 2003 il Cicr ha ripetutamente raccomandato alle FC di ricorrere a mezzi non letali per far fronte alle dimostrazioni, alle rivolte o ai tentativi di fuga. A Camp Cropper si è tenuto conto di tali raccomandazioni: dopo qualche iniziale deplorevole incidente, non vi sono stati altri ferimenti di prigionieri da novembre 2003 in poi. A metà luglio il Cicr è stato testimone di una dimostrazione in quel campo: nonostante alcuni atti di violenza commessi dai prigionieri, il problema è stato efficientemente risolto dal comandante del campo senza ricorrere a un impiego eccessivo della forza. Egli fece intervenire dei poliziotti militari esperti nelle pratiche necessarie a sedare le rivolte, e si è astenuto da qualsiasi ulteriore azione che potesse scatenare l’ira dei prigionieri, aspettando pazientemente che gli animi si calmassero e poi cercando di instaurare un dialogo con i prigionieri tramite i rappresentanti delle varie sezioni. La sommossa è stata sedata senza nessuna violenza.
49. Il Cicr ricorda alle autorità delle FC che l’impiego delle armi da fuoco contro prigionieri, specialmente contro coloro che tentano di fuggire o stanno fuggendo è una misura estrema che non deve mai essere sproporzionata al legittimo obiettivo che si vuole ottenere (la cattura dei soggetti) e deve sempre essere preceduta da avvisi e moniti adeguati alle circostanze (Articolo 42 della Terza Convenzione di Ginevra). Il personale carcerario delle FC dovrebbe essere dotato di un adeguato addestramento per poter gestire gli incidenti che dovessero verificarsi nelle strutture carcerarie. Le armi da fuoco non dovrebbero essere mai usate, tranne quando un sospetto colpevole ingaggia resistenza armata o mette a repentaglio seriamente le vite degli altri e soltanto quando misure meno estreme non sarebbero sufficienti a trattenerlo o a catturarlo (Articolo 3 del Codice di comportamento degli agenti delle forze dell’ordine e Articolo 9 dei principi di base per l’impiego della forza e delle armi da fuoco da parte degli agenti delle forze dell’ordine). In qualsiasi circostanza in cui dovessero essere sparati dei colpi di arma da fuoco, dovrebbe essere immediatamente redatto un rapporto dettagliato per le autorità competenti. Qualsiasi decesso o ferimento grave di una persona privata della propria libertà causato o che si sospetta sia stato causato da una sentinella deve essere immediatamente seguito da un’adeguata indagine da parte della Autorità Carceraria che dovrebbe garantire la perseguibilità del responsabile o dei responsabili riconosciuti colpevoli (Articolo 121 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 131 della Quarta Convenzione di Ginevra).
6. SEQUESTRO E CONFISCA DI BENI PERSONALI APPARTENENTI AI PRIGIONIERI
50. Il Cicr ha raccolto numerose dichiarazioni di sequestro e confisca di proprietà private (denaro, auto, altri beni di valore) da parte delle FC avvenute contestualmente all’arresto. Soltanto in rari casi sono state rilasciate delle ricevute o agli arrestati o alle loro famiglie, riportanti in dettaglio ciò che era stato confiscato. Questo comportamento è stato considerato dai prigionieri come un vero e proprio furto o alla stregua di un saccheggio. I seguenti esempi possono servire a documentare tali accuse:
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) ha dichiarato che le FC durante il suo arresto hanno prelevato 22.000 dollari in contanti e il suo bagaglio personale.
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) ha lamentato che quando è stato arrestato nella sua casa tra il 27 e il 28 maggio 2003 le FC hanno confiscato una ingente somma di denaro e dei beni personali. I beni personali includevano 71.450.000 dinari iracheni, 14.000 dollari americani, due fedi nuziali, una videocamera, un orologio, i documenti di una proprietà immobiliare, i documenti di residenza della moglie, il testamento del padre, i suoi diari personali, e gran parte dei documenti privati e di identità di tutti i membri della famiglia, oltre a numerose altre carte.
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) ha denunciato la confisca della sua macchina al momento del suo arresto ad opera delle FC a Bassora il 16 luglio 2003.
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) ha denunciato la confisca al momento del suo arresto a casa sua il 21 agosto 2003 di due milioni di dinari iracheni.
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) ha denunciato che il suo denaro e due automobili sono state confiscate al momento del suo arresto da parte delle FC avvenuto l’11 agosto 2003.
51. A Camp Cropper, Camp Bucca e Abu Ghraib è stato progressivamente instaurato un sistema grazie al quale i beni personali in possesso dei prigionieri al momento del loro arrivo nelle strutture di detenzione, che non potevano tenere con sé (denaro, altri oggetti di valore, indumenti di ricambio, documenti di identità) sono stati registrati e custoditi fino al momento del loro rilascio. In questi casi solitamente il prigioniero ha ottenuto una ricevuta dettagliata e i suoi beni gli sono stati restituiti al momento del rilascio. Tuttavia il sistema non ha preso in considerazione i beni personali confiscati al momento dell’arresto.
52. In seguito alla perdita dei beni personali o ai danni causati alla proprietà dalle FC durante i suoi raid, nonché alle lamentele riguardanti le pensioni o gli stipendi, le FC hanno instaurato un sistema compensativo aperto a tutti, compresi i detenuti e la popolazione in generale. Le denunce devono essere presentate presso i Centri di Informazione Generale (General Information Centers, Gic), allestiti sotto la responsabilità dei Centri di coordinazione per l’assistenza umanitaria (Humanitarian Assistance Coordination Centers, Haac). A tal fine insieme alle denunce devono essere presentate delle prove di appoggio, spesso problematiche da presentare visto che le autorità che hanno proceduto all’arresto molto raramente hanno rilasciato delle ricevute dettagliate. Il Cicr non è in grado di valutare l’efficienza di questo sistema di risarcimento, sebbene abbia avuto l’opportunità di visitare uno di questi Gic. Nella città di Bagdad vi sono nove Gic e uno nella città di Mosul, ma in altre zone del paese non ve ne sono e pertanto questo priva una vasta parte delle persone interessate della possibilità di presentare una denuncia.
53. Ai sensi delle clausole del diritto internazionale, il Cicr ricorda alle autorità delle FC che il saccheggio è severamente punito dal Diritto Umanitario Internazionale (Articolo 33 della Quarta Convenzione di Ginevra), che la proprietà privata non può essere confiscata (Articolo 46.2 della Convenzione n. IV dell’Aja, 1907), e che l’esercito di occupazione può prendere possesso unicamente del denaro contante e dei fondi che sono di esclusiva proprietà dello Stato (articolo 53 della Convenzione n. IV dell’Aja, 1907). Inoltre ricorda che i prigionieri devono poter essere autorizzati a tenere con sé gli articoli di uso personale. I beni di valore non devono essere loro tolti tranne che ai sensi delle procedure autorizzate e previo rilascio di una ricevuta (Articolo 18.68.2 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 97 della Quarta Convenzione di Ginevra).
7. ESPOSIZIONE DEGLI INTERNATI/DETENUTI A MANSIONI PERICOLOSE
54. Il 3 settembre 2003 a Camp Bucca tre prigionieri sono stati gravemente feriti dall’esplosione di quella che è parsa essere una bomba a grappolo, riportando:
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) amputazione bilaterale sotto il ginocchio.
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) amputazione bilaterale sopra il ginocchio.
• XXX (cancellato nel testo, Ndt) amputazione della gamba sinistra sopra il ginocchio.
Queste persone appartenevano a un gruppo di dieci prigionieri coinvolti in un lavoro volontario per ripulire l’area in prossimità del filo spinato del campo. Questi tre prigionieri sono stati trasferiti presso l’Ospedale militare britannico da campo dove hanno ricevuto adeguato trattamento sanitario. Le loro ferite hanno reso necessaria l’amputazione degli arti.
55. Il 23 ottobre 2003 il Cicr ha scritto all’ufficiale di comando della 800esima Brigata di Polizia Militare per richiedere che fosse avviata un’inchiesta sull’accaduto. Il Cicr ha esortato le FC a non impegnare i prigionieri in mansioni pericolose.
56. Il Cicr raccomanda alle autorità delle FC che tutte e tre le vittime siano adeguatamente risarcite, conformemente sia alla Terza che alla Quarta Convenzione di Ginevra (Articolo 68 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 95 della Quarta Convenzione di Ginevra).
8. PROTEZIONE DEI PRIGIONIERI DAI BOMBARDAMENTI
57. Sin dalla sua riapertura a opera delle FC, la prigione di Abu Ghraib è sempre stata bersaglio di frequenti bombardamenti notturni con colpi di mortaio e altre armi, che hanno provocato in parecchie occasioni decessi o ferimenti di prigionieri. Durante il mese di luglio, il comandante della struttura ha riportato almeno 25 attacchi di questo tipo. Il 16 agosto tre colpi di mortaio sono caduti nel compound della prigione, uccidendo almeno cinque prigionieri e provocando il ferimento di altre 67 persone. Altri attacchi in seguito hanno provocato ulteriori morti e ferimenti. Un team del Cicr il 17 agosto ha visitato Abu Ghraib e ha riscontrato la mancanza di adeguate contromisure: mentre il personale delle FC vive in edifici di cemento, tutti i prigionieri sono ospitati in tende all’interno del compound, che non ha bunker o altra forma di protezione, il che li rende del tutto vulnerabili ai bombardamenti. I prigionieri dichiararono di non essere stati messi a conoscenza di che cosa fare per proteggersi nell’eventualità di un bombardamento. Erano molto costernati e ritenevano che alle autorità “non interessasse”. Dopo quegli attacchi, la sicurezza è aumentata intorno al recinto della prigione per ridurre i rischi di ulteriori attacchi. Tuttavia, le misure adottate per garantire la sicurezza dei prigionieri non sono parse adeguate. I detenuti sono stati autorizzati a riempire e sistemare dei sacchi di sabbia contro il perimetro di ogni tenda. Alla fine di ottobre i sacchi di sabbia non erano ancora stati collocati intorno a tutte le tende e gli stessi non parevano offrire una protezione adeguata in caso di bombardamento o di esplosione.
58. Ai sensi di quanto previsto dal Diritto Umanitario Internazionale, il Cicr ricorda alle autorità delle FC che le autorità carcerarie non devono allestire luoghi di detenzione in aree particolarmente esposte ai rischi della guerra (Articolo 23.1 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 83 della quarta Convenzione di Ginevra). Ricorda che nelle zone di detenzione esposte ai raid aerei e ad altri rischi correlati alla guerra, devono essere messi a disposizione dei prigionieri adeguati ripari il cui numero e la cui struttura siano in grado di garantire la protezione necessaria. Nel caso di allarmi tutti i detenuti devono essere liberi di accedere a tali ripari quanto più velocemente possibile (Articolo 23.2 della Terza Convenzione di Ginevra e Articolo 88 della quarta Convenzione di Ginevra). Quando un luogo di detenzione viene ritenuto insicuro, i prigionieri dovrebbero essere trasferiti in altro luogo di detenzione, ricevendo adeguata sicurezza e condizioni di vita compatibili con quanto espressamente previsto dalla Terza e dalla Quarta Convenzione di Ginevra.
CONCLUSIONE
59. Il presente rapporto del Cicr documenta delle gravi violazioni del Diritto Umanitario Internazionale in relazione alle condizioni di trattamento dei prigionieri custoditi dalle FC in Iraq. In particolare esso denuncia che i prigionieri corrono il rischio di essere soggetti a procedure di coercizione fisica e psicologica, che in alcuni casi equivalgono a tortura vera e propria, nelle prime fasi del loro processo di detenzione.
60. Una volta conclusasi la fase dell’interrogatorio, le condizioni di trattamento dei prigionieri generalmente migliorano, ad eccezione della sezione dei “Prigionieri di rilievo” presso l’Aeroporto internazionale di Bagdad, dove i prigionieri sono custoditi per circa 23 ore al giorno in rigido isolamento totale, in piccole celle di cemento, prive di luce naturale. Questo regime non è conforme a quanto previsto dalla Terza e dalla Quarta Convenzione di Ginevra.
61. Durante la loro carcerazione, questi prigionieri rischiano altresì di essere vittime di un impiego eccessivo e sproporzionato della forza da parte delle autorità carcerarie nel tentativo di riportare l’ordine in caso di rivolta o per evitare fughe.
62. Un’altra grave violazione del Diritto Umanitario Internazionale descritto nel rapporto del Cicr è la incapacità o la mancanza di volontà di mettere in atto un sistema di notifica degli arresti per le famiglie dei prigionieri. Questa violazione delle clausole previste dal Diritto Umanitario Internazionale provoca enorme logorio nei prigionieri e nelle loro famiglie, visto che queste ultime temono che i loro parenti scomparsi siano deceduti. Il noncurante comportamento da parte delle FC e la loro incapacità a provvedere rapidamente a notificare tali informazioni con precisione alle famiglie dei prigionieri arrestati ha oltre tutto delle gravi ripercussioni sull’immagine delle Potenze Occupanti tra la popolazione irachena.
63. Oltre alle raccomandazioni evidenziate dal presente rapporto in relazione alle condizioni di detenzione dei prigionieri, di notifica degli arresti ai familiari e della necessità di svolgere indagini per le violazioni contro il Diritto Umanitario Internazionale, per perseguire quanti venissero ritenuti responsabili, il Cicr desidera espressamente ricordare alle FC i suoi doveri:
• Rispettare sempre la dignità umana, l’integrità fisica e la sensibilità culturale dei prigionieri custoditi sotto il loro controllo.
• Instaurare un sistema di notifica degli arresti che garantisca una rapida e accurata informazione alle famiglie dei prigionieri.
• Evitare qualsiasi forma di maltrattamento e di coercizione fisica o psicologica dei prigionieri durante gli interrogatori.
• Istruire le autorità che procedono agli arresti o che si occupano delle carceri che provocare delle gravi ferite corporee o danneggiare gravemente la salute dei prigionieri è proibito ai sensi della Terza e della Quarta Convenzione di Ginevra.
• Instaurare un regime di detenzione che garantisca il rispetto dell’integrità psichica e della dignità umana dei prigionieri.
• Garantire che le unità militari incaricate di procedere all’arresto, o di sovrintendere alle strutture di detenzione ricevano un addestramento adeguato, che consenta loro di agire in maniera adeguata e di ottemperare alle proprie responsabilità senza far ricorso a maltrattamenti o all’impiego eccessivo della forza.
Le procedure descritte in questo rapporto sono proibite ai sensi del Diritto Umanitario Internazionale. Essi impongono una immediata attenzione da parte delle Fc. In particolare le FC dovrebbero rivedere le loro procedure, prendendo gli opportuni provvedimenti per migliorare il trattamento dei prigionieri di guerra e di altre persone protette che siano sotto la loro autorità. Questo rapporto è parte di un dialogo bilaterale e confidenziale tra il Cicr e le FC. In futuro il Cicr continuerà a dialogare in via bilaterale e confidenziale con le FC ai sensi del Diritto Umanitario Internazionale sulla base del monitoraggio delle condizioni in cui vengono svolti gli arresti, gli interrogatori, e la reclusione dei prigionieri custoditi sotto l’autorità delle FC. Fine del rapporto.
Traduzione di Anna Bissanti