L'invasione dei Liberali Giganti
"Contrordine" di Alessandro Robecchi
Le idee liberali andrebbero vendute in farmacia. Con l'attuale mercato selvaggio, chi si nutre di idee liberali ne vuole di più, poi ancora di più, vuole aumentare le dosi, non gli basta mai, finisce col fregarti la pensione per comprarsi il liberismo. Seguo quindi con una certa ansia l'invasione dei Liberali Giganti, la cui missione è ovviamente conquistare il mondo, abbattere a testate il welfare e sostituirlo al più presto con le mirabilie del mercato. La storia è vecchia e gira sempre intorno alle stesse parole: (sociale, libertà, eccetera) e in certe analisi il liberissimo mercato pare proprio un paradiso con i fiumi di latte e miele. Tanto bello e mirabolante che una domanda viene spontanea: dov'è la sòla? Come spiega Giuseppe De Rita (sul Corriere), due concezioni del «sociale» si danno battaglia in campo aperto. Una, vecchia, barbogia e polverosa (lui dice «declinante») sarebbe quella che vuole il sociale come «impegno alla copertura pubblica dei bisogni collettivi». Cioè lo stato sociale: tu paghi (in proporzione) e lo stato ti assicura scuole, sanità, pensioni e altri servizietti dannatamente illiberali (mi consenta). L'altra concezione del sociale è invece più moderna e luccicante: «l'accesso popolare a beni e servizi resi sempre meno costosi dal mercato e dalla concorrenza». Insomma si dibatte su cos'è veramente sociale: avere un ospedale a portata di mano oppure comprarsi il letto svedese in truciolato per cento euro? Prendere una pensione dopo quarant'anni di lavoro oppure volare a Londra con cinquanta euro? Tutti aspettiamo il momento del Grande Baratto, quando ci verrà detto chiaro e tondo: ehi, amico, vorresti anche la scuola pubblica? Non essere avido, ti abbiamo già dato la tendina della doccia a soli 9 euro e 90! Lascerò perdere qui, per carità di patria, la boutade del professor Padoa-Schioppa (sempre sul Corriere) che i Liberali Giganti prendono tanto sul serio. Papale-papale: «Oggi la giovane coppia che vive con mille euro al mese può arredare casa, ascoltare ottima musica o andare con facilità a Londra grazie ai prezzi di Ikea, Naxos e Ryan Air... Dove sta il sociale?».
Capito che culo, gente? Vivete in due con mille euro, magari con contrattini chewingum, precari, a termine o a progetto, però dovete ammettere che vi vendiamo i dischi con lo sconto. Ganzi, eh! Cominciavo a preoccuparmi. Com'è - mi dicevo - che queste lungimiranti teorie non vengono al più presto riprese e rilanciate? Detto, fatto. Ecco Piero Ostellino che (sempre sul Corriere, è un'epidemia!) ci invita a «pensare liberale» e rilancia alla grande, passando dal supermarket alla filosofia. Cosa ci impedisce di essere liberali? Il nostro ottuso identificare l'idea di benessere con l'idea di libertà, mentre è chiaro ai Liberali Giganti che benessere e libertà sono due cose completamente diverse e slegate tra loro. Testuali parole: «In realtà più benessere non genera più libertà. Chi dorme al Grand Hotel non è più libero di chi dorme sotto i ponti». Visto? Non è una questione di libertà, semmai di artrite! Non è che ti costringiamo a vivere sotto i ponti, amico, cerca di capire, sei tu che sei povero. E invece i cattivi che non vogliono abbassare le tasse e si oppongono a un «ridimensionamento del welfare» minano sì la libertà, eccome. Quale libertà viene violata? Dice Ostellino: «la libertà del cittadino di disporre a proprio piacimento di una maggiore porzione del proprio reddito». Traduco in italiano: perché dovrei privarmi di una fettina del mio reddito per farti un ospedale? Sei malato? Sei povero? Cazzi tuoi, che mi sembra una buona sintesi del «pensare liberale».
Ora non voglio essere barbogio e polveroso (e nemmeno «declinante» se De Rita permette), e voglio anzi mostrarmi aperto e disponibile agli esperimenti sul corpaccione sociale del Paese. Sono dunque pronto ad accettare una sperimentazione dei metodi teorizzati. Propongo che De Rita, Padoa-Schioppa e Ostellino vivano insieme con mille euro al mese. Potrebbero arredare la loro casetta, sentire ottima musica e ogni tanto volare a Londra a prezzi bassi. In cambio, dovrebbero soltanto rinunciare alla pensione, alla sanità e alla scuola pubblica. Siccome secondo loro questo è un buono scambio, direi di provare ad applicarlo, almeno in via sperimentale, e cominciare proprio da loro. Credo che basterebbero pochi mesi di battaglie con le bollette, l'affitto, l'inflazione, i ticket e il generale incarognimento dei prezzi e l'inarrestabile precarizzazione del lavoro per riparlare poi, un po' più sensatamente, del significato della parola «sociale».
28.9.04
23.9.04
UN CASO DA STUDIARE
da Peter Freeman
Caro Csf, il mestiere di giornalista nasconde numerose incognite. Sogni di fare l'inviato e finisci a curare la rubrica delle lettere; prevedi una carriera da desk-man e ti ritrovi magari catapultato in un angolo sperduto del globo; desideri la cronaca bianca e ti rifilano invece la nera. Eccetera eccetera. Anche questo lavoro ha le sue incognite. Esistono pero' dei casi particolari che non smettono di stupirmi, tra questi quello degli "intervistatori di fiducia", dove la fiducia, sia chiaro, e' quella che ti sei guadagnato non tanto dall'intervistato ('che' sarebbe a rischio di piaggeria) quanto dal tuo direttore, e questo e' segno di indubbia professionalita'.
L'intervistatore di fiducia in genere si occupa di politica interna. Ogni grande testata ne ha uno. "Repubblica", ad esempio, ha Massimo Giannini. Un gigante. Quante interviste effettua ogni anno Giannini? Non lo so ma credo che bisognerebbe contarle: scopriremmo un futuro, benemerito Cavaliere del Lavoro. Di solito, ma non sempre, Giannini si occupa dei leaders (?) del centrosinistra. Prodi, Fassino, Rutelli, D'Alema sono il suo poker d'assi. Qualche volta anche Bertinotti (ultimamente nel listino degli intervistabili Fausto va forte). Un tempo, prima che finisse a fare il sindaco di Bologna, anche Cofferati. Gli altri niente, o quasi niente, ma un intervistatore di fiducia sotto un certo standard non scende mai. Giustamente.
Certo pero' che e' una fatica. Sbobinarsi una conversazione con Rutelli (cfr Repubblica di oggi) e tirarne fuori almeno 10mila battute dotate di un senso compiuto e' impresa meritevole di menzione. Provare per credere. "On. Rutelli, dunque lei e' il frenatore capo del centrosinistra?" "Sciocchezze". Caspita. Oppure: "Tutti abbiamo indicato Prodi come nostro candidato premier". Perbacco. Con Fassino le cose sono piu' semplici. Male che vada gia' sai che prima o poi, nel corso dell'intervista, il segretario tirera' fuori i tre punti irrinunciabili sui quali l'opposizione edifichera' le magnifiche sorti e progressive. Ovvero: 1) costruire un'alleanza forte di tutto il centrosinistra, compresa Rifondazione; 2) fare della federazione il nucleo forte riformista e la cabina di regia (in alternativa, il timone) dell'alleanza; 3) definire le regole per le primarie che indicheranno in Prodi il candidato premier. Col che affronti la giornata piu' sollevato. D'Alema, invece, e' piu' insidioso: capita che voglia parlare di politica estera e non sai mai se intenda incenerire qualcuno. Ma questo fa parte, appunto, del mestiere dell'intervistatore: navigare in acque non dico agitate ma certamente lontane e profonde.
Insomma, io l'intervistatore di fiducia lo rispetto. E un po' lo temo. Metti caso che un giorno la sua calma olimpica venga meno, che si rompa le scatole, come noi tutti, dei virgolettati apodittici, che insomma si faccia impossessare dal desiderio di mandarli tutti a quel paese, a quel punto che si fa? Noi, tapini, come svolteremo la giornata e poi la settimana e poi la mesata senza le due-interviste-a-settimana di Giannini ai leaders di cui sopra? Come ci districheremo nel mare magnum della "politique politicienne" (cit. George Pompidou), chi soddisfera' la nostra fame di sapere? Sarebbe un brutto giorno, credetemi.
da Peter Freeman
Caro Csf, il mestiere di giornalista nasconde numerose incognite. Sogni di fare l'inviato e finisci a curare la rubrica delle lettere; prevedi una carriera da desk-man e ti ritrovi magari catapultato in un angolo sperduto del globo; desideri la cronaca bianca e ti rifilano invece la nera. Eccetera eccetera. Anche questo lavoro ha le sue incognite. Esistono pero' dei casi particolari che non smettono di stupirmi, tra questi quello degli "intervistatori di fiducia", dove la fiducia, sia chiaro, e' quella che ti sei guadagnato non tanto dall'intervistato ('che' sarebbe a rischio di piaggeria) quanto dal tuo direttore, e questo e' segno di indubbia professionalita'.
L'intervistatore di fiducia in genere si occupa di politica interna. Ogni grande testata ne ha uno. "Repubblica", ad esempio, ha Massimo Giannini. Un gigante. Quante interviste effettua ogni anno Giannini? Non lo so ma credo che bisognerebbe contarle: scopriremmo un futuro, benemerito Cavaliere del Lavoro. Di solito, ma non sempre, Giannini si occupa dei leaders (?) del centrosinistra. Prodi, Fassino, Rutelli, D'Alema sono il suo poker d'assi. Qualche volta anche Bertinotti (ultimamente nel listino degli intervistabili Fausto va forte). Un tempo, prima che finisse a fare il sindaco di Bologna, anche Cofferati. Gli altri niente, o quasi niente, ma un intervistatore di fiducia sotto un certo standard non scende mai. Giustamente.
Certo pero' che e' una fatica. Sbobinarsi una conversazione con Rutelli (cfr Repubblica di oggi) e tirarne fuori almeno 10mila battute dotate di un senso compiuto e' impresa meritevole di menzione. Provare per credere. "On. Rutelli, dunque lei e' il frenatore capo del centrosinistra?" "Sciocchezze". Caspita. Oppure: "Tutti abbiamo indicato Prodi come nostro candidato premier". Perbacco. Con Fassino le cose sono piu' semplici. Male che vada gia' sai che prima o poi, nel corso dell'intervista, il segretario tirera' fuori i tre punti irrinunciabili sui quali l'opposizione edifichera' le magnifiche sorti e progressive. Ovvero: 1) costruire un'alleanza forte di tutto il centrosinistra, compresa Rifondazione; 2) fare della federazione il nucleo forte riformista e la cabina di regia (in alternativa, il timone) dell'alleanza; 3) definire le regole per le primarie che indicheranno in Prodi il candidato premier. Col che affronti la giornata piu' sollevato. D'Alema, invece, e' piu' insidioso: capita che voglia parlare di politica estera e non sai mai se intenda incenerire qualcuno. Ma questo fa parte, appunto, del mestiere dell'intervistatore: navigare in acque non dico agitate ma certamente lontane e profonde.
Insomma, io l'intervistatore di fiducia lo rispetto. E un po' lo temo. Metti caso che un giorno la sua calma olimpica venga meno, che si rompa le scatole, come noi tutti, dei virgolettati apodittici, che insomma si faccia impossessare dal desiderio di mandarli tutti a quel paese, a quel punto che si fa? Noi, tapini, come svolteremo la giornata e poi la settimana e poi la mesata senza le due-interviste-a-settimana di Giannini ai leaders di cui sopra? Come ci districheremo nel mare magnum della "politique politicienne" (cit. George Pompidou), chi soddisfera' la nostra fame di sapere? Sarebbe un brutto giorno, credetemi.
21.9.04
Un ministro di cartoon
CONTRORDINE - di ALESSANDRO ROBECCHI
Oggi è domenica. Persino il ministro Sirchia sarebbe in grado di prevedere - con buona approssimazione e sostenuto dal parere dei suoi esperti - che domani sarà lunedì. Domani sera a mezzanotte scade il termine per la raccolta di firme per fare un referendum (alcuni referendum) contro la legge sulla fecondazione assistita. So che la presenza dei radicali può causare itterizia, che i tentennamenti diessini provocano la pellagra (e peggio, anche: altri quattro anni di Silvio) e che i testacoda della Margherita nuocciono gravemente alla salute. Però in mezz'oretta ve la cavate, i banchetti sono parecchi e se non li trovate vi restano gli uffici del comune. Io l'ho fatto e non ne ho subito danni né effetti collaterali: ho messo qualche firma, ho lasciato in pegno un documento per qualche istante, e me ne sono andato. Con un solo rammarico: non ho trovato tra i referendum, quello che potrebbe giovare sul serio alla salute del paese, il referendum per l'abrogazione del ministro Sirchia. Siamo italiani e ce ne capitano di tutti i colori, ma ritrovarsi come ministro della sanità Mr. Magoo in persona non è che fa piacere. Quando i medici hanno scioperato contro di lui, Mr. Magoo ha tuonato: «Sono al vostro fianco!». In un altro cartoon Mr. Magoo verga dotti opuscoli sull'Aids, per dire in soldoni che la prevenzione migliore contro questo orribile male è l'astinenza sessuale. Cane morde bambino? Ecco la lista dei cento cani-killer (ce n'è anche alcuni di peluche), che l'anno dopo scendono a una decina. Caldo? Si mandino i vecchietti al supermarket o alle caserme dei pompieri. L'ultima gag l'ha fatta pochi giorni fa, plaudendo allo «straordinario risultato scientifico» di un'operazione che ha salvato un bambino e che - con la sua legge - non si sarebbe potuta fare. Visto? Vi state già affezionando. La legge sulla fecondazione assistita appartiene però a un'altra fiction, un po' più drammatica. Il nuovo (vecchio) credo liberal-arcoriano impone che lo stato stia a distanza dalle cose private, specie se si tratta di tasse di successione o falsi in bilancio.
Ma il vecchio retaggio democristiano impone che tutti, con grande gusto e sadismo, mettano le mani nelle mutande delle ragazze, decidendo al posto loro come mettere al mondo i bambini. Per «porre fine al far west» si inventano regole che alcuni teorici talebani, lassù sulle montagne dell'Afghanistan, già ci invidiano. La legge contiene anche alcuni testacoda e quiproquò e paradossi, la zampata di Mr. Magoo è inconfondibile. Dal testo si evince che l'embrione ha già il telefonino e la patente, è una persona; mentre la mamma che cerca di metterlo al mondo deve giocare alla lotteria tra interventi chirurgici e cure ormonali. Però non si può fare l'analisi preimpianto, cioè non si può controllare se l'embrione è sano. Dopo, in caso di dramma, via la patente e via il telefonino, zac! Si ricorre alla vecchia legge 194, l'aborto. Che Sirchia peraltro vorrebbe tassare. Insomma, il sadismo è compreso nel prezzo. Naturalmente la questione è diversa. Perché non si tratta solo di termini tecnici, di articoli e di commi di una legge. Quello di cui si parla è ben altro: sangue, sudore, lacrime, risate, speranze, paure, gioie, strabilianti effetti speciali e tutte le altre cose che riguardano il fatto di fare un bambino. Specie per chi ha problemi e difficoltà nel farlo. Mettere al mondo uno che prima non c'era (a tua immagine e somiglianza? Wow!), che gattona, poi cammina, poi parla, poi gioca alla playstation, poi ti frega le chiavi della macchina e forse un giorno ti chiederà: «Papà, ma chi diavolo era il ministro Sirchia?». Sono cose che - più della Cirami, più della Gasparri - riguardano la vita delle persone nei sui angolini più privati e intimi e preziosi. Angolini che - se passa questa legge - saranno trasferiti (per chi può permetterselo) in cliniche straniere di paesi che hanno leggi meno assurde. Sono cose che persino la gente che si ama si dice sottovoce e con pudore. Cose un po' troppo delicate per lasciarle maneggiare a Mr.Magoo e ai suoi esperti.
CONTRORDINE - di ALESSANDRO ROBECCHI
Oggi è domenica. Persino il ministro Sirchia sarebbe in grado di prevedere - con buona approssimazione e sostenuto dal parere dei suoi esperti - che domani sarà lunedì. Domani sera a mezzanotte scade il termine per la raccolta di firme per fare un referendum (alcuni referendum) contro la legge sulla fecondazione assistita. So che la presenza dei radicali può causare itterizia, che i tentennamenti diessini provocano la pellagra (e peggio, anche: altri quattro anni di Silvio) e che i testacoda della Margherita nuocciono gravemente alla salute. Però in mezz'oretta ve la cavate, i banchetti sono parecchi e se non li trovate vi restano gli uffici del comune. Io l'ho fatto e non ne ho subito danni né effetti collaterali: ho messo qualche firma, ho lasciato in pegno un documento per qualche istante, e me ne sono andato. Con un solo rammarico: non ho trovato tra i referendum, quello che potrebbe giovare sul serio alla salute del paese, il referendum per l'abrogazione del ministro Sirchia. Siamo italiani e ce ne capitano di tutti i colori, ma ritrovarsi come ministro della sanità Mr. Magoo in persona non è che fa piacere. Quando i medici hanno scioperato contro di lui, Mr. Magoo ha tuonato: «Sono al vostro fianco!». In un altro cartoon Mr. Magoo verga dotti opuscoli sull'Aids, per dire in soldoni che la prevenzione migliore contro questo orribile male è l'astinenza sessuale. Cane morde bambino? Ecco la lista dei cento cani-killer (ce n'è anche alcuni di peluche), che l'anno dopo scendono a una decina. Caldo? Si mandino i vecchietti al supermarket o alle caserme dei pompieri. L'ultima gag l'ha fatta pochi giorni fa, plaudendo allo «straordinario risultato scientifico» di un'operazione che ha salvato un bambino e che - con la sua legge - non si sarebbe potuta fare. Visto? Vi state già affezionando. La legge sulla fecondazione assistita appartiene però a un'altra fiction, un po' più drammatica. Il nuovo (vecchio) credo liberal-arcoriano impone che lo stato stia a distanza dalle cose private, specie se si tratta di tasse di successione o falsi in bilancio.
Ma il vecchio retaggio democristiano impone che tutti, con grande gusto e sadismo, mettano le mani nelle mutande delle ragazze, decidendo al posto loro come mettere al mondo i bambini. Per «porre fine al far west» si inventano regole che alcuni teorici talebani, lassù sulle montagne dell'Afghanistan, già ci invidiano. La legge contiene anche alcuni testacoda e quiproquò e paradossi, la zampata di Mr. Magoo è inconfondibile. Dal testo si evince che l'embrione ha già il telefonino e la patente, è una persona; mentre la mamma che cerca di metterlo al mondo deve giocare alla lotteria tra interventi chirurgici e cure ormonali. Però non si può fare l'analisi preimpianto, cioè non si può controllare se l'embrione è sano. Dopo, in caso di dramma, via la patente e via il telefonino, zac! Si ricorre alla vecchia legge 194, l'aborto. Che Sirchia peraltro vorrebbe tassare. Insomma, il sadismo è compreso nel prezzo. Naturalmente la questione è diversa. Perché non si tratta solo di termini tecnici, di articoli e di commi di una legge. Quello di cui si parla è ben altro: sangue, sudore, lacrime, risate, speranze, paure, gioie, strabilianti effetti speciali e tutte le altre cose che riguardano il fatto di fare un bambino. Specie per chi ha problemi e difficoltà nel farlo. Mettere al mondo uno che prima non c'era (a tua immagine e somiglianza? Wow!), che gattona, poi cammina, poi parla, poi gioca alla playstation, poi ti frega le chiavi della macchina e forse un giorno ti chiederà: «Papà, ma chi diavolo era il ministro Sirchia?». Sono cose che - più della Cirami, più della Gasparri - riguardano la vita delle persone nei sui angolini più privati e intimi e preziosi. Angolini che - se passa questa legge - saranno trasferiti (per chi può permetterselo) in cliniche straniere di paesi che hanno leggi meno assurde. Sono cose che persino la gente che si ama si dice sottovoce e con pudore. Cose un po' troppo delicate per lasciarle maneggiare a Mr.Magoo e ai suoi esperti.
20.9.04
grazie a Macchianera
Innanzitutto sono molto contenta di essere qui oggi, in un posto bellissimo come la Puglia: ci torno sempre molto volentieri.
Eeeh, ultimamente il mio rapporto con la politica si è ampliato tantissimo, soprattutto dopo l’11 settembre io seguo veramente i teleggiornali: ogni ggiorno mi vedo Tiggiuno, Tiggiddue, Tiggiquattro e Tiggicinque, quindi? veramente? [ride, ovazione del pubblico] quindi devo dire che? ecco? sicuramente mi piace molto la politica? [brusio del pubblico] scusate, se potete alzare il silenzio, perché non è carino che ridete così! Grazie, eh!
Eeh? quindi sono molto contenta.
Allora, innanzitutto il rapporto dei giovani con la politica credo che sia molto in difficoltà. Questo perché, chiaramente, leggendo il quotidiano, diversi titoli sono fatti in maniera illeggibbile per un ragazzo di quattordici anni, che sicuramente passa alla paggina sportiva, piuttosto che leggere? io mi sono presa dei ritagli? Ecco, ad esempio, questo titolo: ?Primarie: l’allarmo? l’allarme della Quercia. Fassino e Veltroni: Prodi leader, ma niente giochetti, serve un vertice?. Allora, un ragazzo di quattordici anni, chiaramente, ?primarie? non sa cosa? che cosa vuol dire? [ride] ?l’allarme della Quercia? neanche, quindi sicuramente si va a leggere la pagina sportiva. Quindi io credo che bisognerebbe? appunto, come diceva la? [indica la persona al suo fianco, ma non se ne ricorda il nome]? sì, Bruna [ride]? credo che veramente bisognerebbe fare un’ora a scuola di politica: insegnare ai giovani la politica a scuola. Anche un’ora: per sapere com’è nata la politica, com’è la storia della politica? E quindi credo che questo sia una cosa? ‘nsomma, che servirebbe sicuramente ai ggiovani.
Eppoi, uhm? ecco, io metterei anche la mia faccia per? per degli ideali? che sono, appunto, la guerra. Io sono assolutamente contro la guerra. Credo che quello che sta succedendo in Irak sia una cosa veramente? triste? E credo che l’Italia è un popolo cattolico, un popolo che crede nella Chiesa, e allora se crediamo nella Chiesa, la Bibbia dice che? ehm? praticamente? [non si ricorda la citazione] ?porgi l’altra guancia?: quindi, assolutamente, io non credo nella vendetta e nell’odio. Quindi, la prima cosa che bisognerebbe esserci in Italia è? nel levare subbito le truppe dall’Irak. E un’altra? [applausi] Grazie!
Speriamo che le prossime elezioni non vinca Bush, perché sennò staremo altri quattro anni nel terrore [ride, applausi].
E poi, un’altra informazione che volevo dare, visto che qua sono ggiovani sicuramente della mia età? eeh? contro la droga. Assolutamente credo che la droga sia una cosa veramente? stupida? So che i ragazzi sono influenzati da persone più grandi, che sicuramente il sabbato sera in discoteca prendono extasy o si drogano. Questo credo sia totalmente sbagliato, perché? la vita è una e bisogna gestirla al meglio. E quindi, veramente, un no contro la droga [applausi].
Eppoi? io sono? amo molto gli animali [brusio, si interrompe]? Scusate: è veramente di cattivo gusto, questo fruscio? Ehm? So che in Italia ci sono molti combattimenti di animali? di cani?. e questa è una cosa che veramente per me non ci dovrebbe essere più. Quindi: una legge più severa nei confronti degli animali? Perché veramente gli animali sono i migliori amici dell’uomo? Io? tengo molto ai cani, soprattutto, faccio volontariato nei canili? E credo sia molto importante salvaguardare, appunto? gli animali.
Questo volevo dire, grazie! [applausi]
15.9.04
«Armiamoci e partite»
"Contrordine" di Alessandro Robecchi
«Mi rallegro che la guerra è finita e che sia stata rapida e che abbiamo prodotto meno vittime di quanto si poteva temere». (Silvio Berlusconi, 10 aprile 2003) Era già abbastanza stupefacente che un così lungimirante leader fosse capo del governo un anno e mezzo fa, quando abbiamo cominciato (e vinto!) la guerra. Ancor più stupefacente è che lo sia oggi, dopo aver preso una simile cantonata, essersi alleato per vincere con quelli che stanno perdendo, e che sia proprio lui a gestire la delicatissima fase di salvare ostaggi, dialogare, implorare prudenza e moderazione. La guerra è diventata - come sempre accade alle guerre - un ginepraio di azioni e reazioni, di porcate da ogni parte, un'infamia fatta del gioco al rialzo di tante infamie che paiono senza fine. Come un alien schifoso e sputacchiante la guerra «giusta», che poi così giusta non era, ne ha prodotta un'altra, e poi un'altra, e un'altra ancora, tanto che ora è difficile distinguere dove finisce la divisione corazzata e dove comincia il killer di bambini, dove sbaglia il missile intelligente e dove cominciano i rapimenti di donne. I testacoda semantici non sono pochi: si tende a distinguere la guerra (l'invasione dell'Iraq) dal terrorismo, fingendo candidamente che le cose non siano strettamente collegate. E' un gioco delle tre carte planetario a cui gioca anche Putin, per cui l'orribile incendio del Caucaso è - a seconda delle convenienze - l'offensiva del terrorismo mondiale (per cui li attaccheremo ovunque, guerra preventiva) o una questione interna russa (per cui non fate domande e non rompete le palle).
Quel che sappiamo è che l'orrore rimane e si allarga: che si tratti di una guerra o di due guerre non è facile dire, ma non è che alla fine sia questione così importante; meno importante comunque del fatto che migliaia di innocenti continuano a morire, essere feriti, rapiti, sgozzati, sparati e bombardati.
E ora che la guerra (bombardare, invadere, «colpire e terrorizzare» e poi - cretini - conquistare «teste e cuori») è diventata un'altra cosa, ecco i migliori talenti e paladini della guerra chiedersi se per caso non la stiano perdendo. Se lo chiedono al Pentagono, se lo sussurrano mentre ammettono di non controllare il territorio (né in Iraq né in Afghanistan). Se lo chiede il Financial Times, che addirittura teorizza il ritiro delle truppe dei volenterosi. Se lo chiede il New York Times. Se lo chiede Sergio Romano sul Corriere della Sera: «Nessuno può dire se sia ancora possibile, in Afghanistan e in Iraq, raddrizzare la situazione». Se le parole hanno un senso, quel «raddrizzare la situazione» spaventa. Raddrizzare cosa? Dire: ok, come non fatto? Tornare a casa come da una vacanza e far finta di niente? Da qualunque parte la si guardi, pare che «raddrizzare» la situazione non sarà possibile: per l'odio innestato, per gli affari avviati, per i miliardi di dollari spesi, per le facce contrite, un po' sperse, dei burbanzosi leader che in guerra non ci vanno, ma che la vendono a piene mani come un toccasana per tutti noi. Rimane, a ostentare la sicurezza del samurai, quel minuscolo staterello antifrancese e neocon (finanziato con fondi pubblici) che è Giuliano Ferrara. »Stiamo perdendo? No, stiamo combattendo, bene e con coraggio». Perbacco, questo sì che si chiama andare controcorrente. «Bene e con coraggio» è una bella espressione, che comprende forse (Ferrara non dice) anche le cartoline da Abu Grahib, gli affarucci della Halliburton, le armi chimiche di distruzione di massa che Rumsfield fornì a Saddam e che quello fece sparire nascondendole nei cadaveri dei curdi. Si dice che la speranza sia l'ultima a morire. Sbagliato: l'ultimo a morire è l'ufficio stampa, gli impiegati della sezione propaganda, che continuano a sostenere (forse persino a pensare, ma spero di no) che il disastro compiuto sia stato fatto bene e con coraggio. Sapere che qualcuno ha le idee così chiare è fonte di grande conforto: c'è infine una cosa - almeno una cosa - che sappiamo fare bene e con coraggio: peggiorare la situazione, insistere nell'errore, correre armati e bellicosi verso il bordo del precipizio. Sbraitare «armiamoci e partite», come fa l'italianissimo Ferrara, ai margini del gorgo che si sta mangiando tanti innocenti, rimanendone a distanza di sicurezza, possibilmente al calduccio, a leggere i sacri testi neocon e a cambiare il nome alle patatine fritte. Troppo francesi, quelle disfattiste.
"Contrordine" di Alessandro Robecchi
«Mi rallegro che la guerra è finita e che sia stata rapida e che abbiamo prodotto meno vittime di quanto si poteva temere». (Silvio Berlusconi, 10 aprile 2003) Era già abbastanza stupefacente che un così lungimirante leader fosse capo del governo un anno e mezzo fa, quando abbiamo cominciato (e vinto!) la guerra. Ancor più stupefacente è che lo sia oggi, dopo aver preso una simile cantonata, essersi alleato per vincere con quelli che stanno perdendo, e che sia proprio lui a gestire la delicatissima fase di salvare ostaggi, dialogare, implorare prudenza e moderazione. La guerra è diventata - come sempre accade alle guerre - un ginepraio di azioni e reazioni, di porcate da ogni parte, un'infamia fatta del gioco al rialzo di tante infamie che paiono senza fine. Come un alien schifoso e sputacchiante la guerra «giusta», che poi così giusta non era, ne ha prodotta un'altra, e poi un'altra, e un'altra ancora, tanto che ora è difficile distinguere dove finisce la divisione corazzata e dove comincia il killer di bambini, dove sbaglia il missile intelligente e dove cominciano i rapimenti di donne. I testacoda semantici non sono pochi: si tende a distinguere la guerra (l'invasione dell'Iraq) dal terrorismo, fingendo candidamente che le cose non siano strettamente collegate. E' un gioco delle tre carte planetario a cui gioca anche Putin, per cui l'orribile incendio del Caucaso è - a seconda delle convenienze - l'offensiva del terrorismo mondiale (per cui li attaccheremo ovunque, guerra preventiva) o una questione interna russa (per cui non fate domande e non rompete le palle).
Quel che sappiamo è che l'orrore rimane e si allarga: che si tratti di una guerra o di due guerre non è facile dire, ma non è che alla fine sia questione così importante; meno importante comunque del fatto che migliaia di innocenti continuano a morire, essere feriti, rapiti, sgozzati, sparati e bombardati.
E ora che la guerra (bombardare, invadere, «colpire e terrorizzare» e poi - cretini - conquistare «teste e cuori») è diventata un'altra cosa, ecco i migliori talenti e paladini della guerra chiedersi se per caso non la stiano perdendo. Se lo chiedono al Pentagono, se lo sussurrano mentre ammettono di non controllare il territorio (né in Iraq né in Afghanistan). Se lo chiede il Financial Times, che addirittura teorizza il ritiro delle truppe dei volenterosi. Se lo chiede il New York Times. Se lo chiede Sergio Romano sul Corriere della Sera: «Nessuno può dire se sia ancora possibile, in Afghanistan e in Iraq, raddrizzare la situazione». Se le parole hanno un senso, quel «raddrizzare la situazione» spaventa. Raddrizzare cosa? Dire: ok, come non fatto? Tornare a casa come da una vacanza e far finta di niente? Da qualunque parte la si guardi, pare che «raddrizzare» la situazione non sarà possibile: per l'odio innestato, per gli affari avviati, per i miliardi di dollari spesi, per le facce contrite, un po' sperse, dei burbanzosi leader che in guerra non ci vanno, ma che la vendono a piene mani come un toccasana per tutti noi. Rimane, a ostentare la sicurezza del samurai, quel minuscolo staterello antifrancese e neocon (finanziato con fondi pubblici) che è Giuliano Ferrara. »Stiamo perdendo? No, stiamo combattendo, bene e con coraggio». Perbacco, questo sì che si chiama andare controcorrente. «Bene e con coraggio» è una bella espressione, che comprende forse (Ferrara non dice) anche le cartoline da Abu Grahib, gli affarucci della Halliburton, le armi chimiche di distruzione di massa che Rumsfield fornì a Saddam e che quello fece sparire nascondendole nei cadaveri dei curdi. Si dice che la speranza sia l'ultima a morire. Sbagliato: l'ultimo a morire è l'ufficio stampa, gli impiegati della sezione propaganda, che continuano a sostenere (forse persino a pensare, ma spero di no) che il disastro compiuto sia stato fatto bene e con coraggio. Sapere che qualcuno ha le idee così chiare è fonte di grande conforto: c'è infine una cosa - almeno una cosa - che sappiamo fare bene e con coraggio: peggiorare la situazione, insistere nell'errore, correre armati e bellicosi verso il bordo del precipizio. Sbraitare «armiamoci e partite», come fa l'italianissimo Ferrara, ai margini del gorgo che si sta mangiando tanti innocenti, rimanendone a distanza di sicurezza, possibilmente al calduccio, a leggere i sacri testi neocon e a cambiare il nome alle patatine fritte. Troppo francesi, quelle disfattiste.
13.9.04
Moratti computer e gessetto
Satira Preventiva di Michele Serra
Con il nuovo anno scolastico gli studenti italiani troveranno importanti novita' , primi frutti della riforma Moratti. Che, come si sa, e' un coraggioso esperimento che fonde elementi apparentemente in contrasto: tradizione cattolica italiana e atmosfera da campus americano (la messa sara' in inglese, la comunione sara' somministrata con ostie McDonald's), taglio dei costi e miglioramento del servizio, licenziamento degli insegnanti e loro aumento di numero. Simbolo di questa riforma saranno i nuovi computer con schermo di lavagna, identici a quelli normali ma senza tastiera: si scrive con il gessetto. Pesano trentotto chili ma sono molto convenienti, la cava di ardesia che ha vinto l'appalto con il ministero si e' impegnata a fornire anche il cancellino di pezza. Improbabile, in tempi stretti, l'introduzione dei piu' moderni computer a calamaio, piu' costosi e con il difetto di un fortissimo scricchiolio del pennino sullo schermo. Per ottimizzare il tempo, si comincera' a studiare gia' sullo scuola-bus.
La nuova figura professionale dell'autista-tutor (due ruoli, un solo stipendio) recitera' l'Eneide scandendo la difficile metrica latina col clacson. Cambia anche la vecchia figura del bidello: anziché ricevere gli alunni con la tradizionale formula della scuola gentiliana, 'ragazzi non fate casino', il bidello-tutor accogliera' le scolaresche sottolineando le istanze motivazionali della giornata e promuovendo un corretto planning delle attivita' didattiche. Per svolgere meglio questo difficile compito il bidello-tutor sara' protetto da guardiole antiproiettile.
Qualche polemica per le ore di inglese: sono state ridotte da cinque a una sola, ma il ministero garantisce le altre quattro, a pagamento, a bordo di uno scuola-charter che atterra a Londra e riparte mezz'ora dopo. Sullo stesso modello, saranno differenziati l'orario di base, gratuito, e quello executive, a pagamento. Nell'orario di base le lezioni prevedono i banchi, le sedie e la cartina geografica dell'Europa che penzola lacera dalla parete. Per avere anche l'insegnante si deve passare alla tariffa executive. Con la golden-card, ogni studente avra' il diritto a una merendina confezionata a San Patrignano e, durante le interrogazioni, a una telefonata a un numero verde.
La palestra con la spalliera svedese e le pertiche, retaggio della vecchia scuola gentiliana, sara' sostituita da moderne gym-room con sauna, cyclette e solarium, basta pagare un abbonamento annuale all'American Contourella e uscire dalla scuola. Chi non vorra' affrontare la spesa potra' sempre ricorrere alla palestra scolastica tradizionale, con un precario-tutor che gli fara' fare i piegamenti leggendo la Gazzetta dello Sport.
Il preside-tutor avra' compiti speciali e straordinari: con un solo stipendio, sara' in grado di perquisire gli studenti tossicomani, aggiornare la bacheca, affrontare a mani nude le madri dei somari convinte che loro figlio sia perseguitato dagli insegnanti, stirare la bandiera, frequentare corsi di aggiornamento, rilegare i libri della biblioteca e comperarsi la ventiquattrore di pecari che il nuovo regolamento impone ai direttori di istituto. Le nuove divise da preside sono invece offerte dal ministero: qualche malumore per il disguido che ha fatto recapitare tailleur e filo di perle a presidi maschi, e il dopobarba di San Patrignano alle presidi femmine.
Nuove materie: informatica soprattutto, con il primo biennio dedicato allo studio del bottone On-Off e il triennio conclusivo a spiegare correttamente per telefono al tecnico che al posto dei propri file appare un sito di back-gammon on line. Restano anche le vecchie materie di impronta classico-filologica, ma riformate: Omero sara' riletto in chiave aziendale ('quantificare il gap motivazionale tra Achei e Troiani', 'Il viaggio di Ulisse nell'esperienza dei tour-operator', 'Se Enea avesse avuto un tutor, sarebbe morto?').
Un crocifisso sara' presente in ogni aula, ma per renderlo bene accetto anche agli studenti non cristiani verra' chiarito che non si tratta di un simbolo religioso, ma del fondatore dell'albo professionale dei tutor.
Satira Preventiva di Michele Serra
Con il nuovo anno scolastico gli studenti italiani troveranno importanti novita' , primi frutti della riforma Moratti. Che, come si sa, e' un coraggioso esperimento che fonde elementi apparentemente in contrasto: tradizione cattolica italiana e atmosfera da campus americano (la messa sara' in inglese, la comunione sara' somministrata con ostie McDonald's), taglio dei costi e miglioramento del servizio, licenziamento degli insegnanti e loro aumento di numero. Simbolo di questa riforma saranno i nuovi computer con schermo di lavagna, identici a quelli normali ma senza tastiera: si scrive con il gessetto. Pesano trentotto chili ma sono molto convenienti, la cava di ardesia che ha vinto l'appalto con il ministero si e' impegnata a fornire anche il cancellino di pezza. Improbabile, in tempi stretti, l'introduzione dei piu' moderni computer a calamaio, piu' costosi e con il difetto di un fortissimo scricchiolio del pennino sullo schermo. Per ottimizzare il tempo, si comincera' a studiare gia' sullo scuola-bus.
La nuova figura professionale dell'autista-tutor (due ruoli, un solo stipendio) recitera' l'Eneide scandendo la difficile metrica latina col clacson. Cambia anche la vecchia figura del bidello: anziché ricevere gli alunni con la tradizionale formula della scuola gentiliana, 'ragazzi non fate casino', il bidello-tutor accogliera' le scolaresche sottolineando le istanze motivazionali della giornata e promuovendo un corretto planning delle attivita' didattiche. Per svolgere meglio questo difficile compito il bidello-tutor sara' protetto da guardiole antiproiettile.
Qualche polemica per le ore di inglese: sono state ridotte da cinque a una sola, ma il ministero garantisce le altre quattro, a pagamento, a bordo di uno scuola-charter che atterra a Londra e riparte mezz'ora dopo. Sullo stesso modello, saranno differenziati l'orario di base, gratuito, e quello executive, a pagamento. Nell'orario di base le lezioni prevedono i banchi, le sedie e la cartina geografica dell'Europa che penzola lacera dalla parete. Per avere anche l'insegnante si deve passare alla tariffa executive. Con la golden-card, ogni studente avra' il diritto a una merendina confezionata a San Patrignano e, durante le interrogazioni, a una telefonata a un numero verde.
La palestra con la spalliera svedese e le pertiche, retaggio della vecchia scuola gentiliana, sara' sostituita da moderne gym-room con sauna, cyclette e solarium, basta pagare un abbonamento annuale all'American Contourella e uscire dalla scuola. Chi non vorra' affrontare la spesa potra' sempre ricorrere alla palestra scolastica tradizionale, con un precario-tutor che gli fara' fare i piegamenti leggendo la Gazzetta dello Sport.
Il preside-tutor avra' compiti speciali e straordinari: con un solo stipendio, sara' in grado di perquisire gli studenti tossicomani, aggiornare la bacheca, affrontare a mani nude le madri dei somari convinte che loro figlio sia perseguitato dagli insegnanti, stirare la bandiera, frequentare corsi di aggiornamento, rilegare i libri della biblioteca e comperarsi la ventiquattrore di pecari che il nuovo regolamento impone ai direttori di istituto. Le nuove divise da preside sono invece offerte dal ministero: qualche malumore per il disguido che ha fatto recapitare tailleur e filo di perle a presidi maschi, e il dopobarba di San Patrignano alle presidi femmine.
Nuove materie: informatica soprattutto, con il primo biennio dedicato allo studio del bottone On-Off e il triennio conclusivo a spiegare correttamente per telefono al tecnico che al posto dei propri file appare un sito di back-gammon on line. Restano anche le vecchie materie di impronta classico-filologica, ma riformate: Omero sara' riletto in chiave aziendale ('quantificare il gap motivazionale tra Achei e Troiani', 'Il viaggio di Ulisse nell'esperienza dei tour-operator', 'Se Enea avesse avuto un tutor, sarebbe morto?').
Un crocifisso sara' presente in ogni aula, ma per renderlo bene accetto anche agli studenti non cristiani verra' chiarito che non si tratta di un simbolo religioso, ma del fondatore dell'albo professionale dei tutor.
10.9.04
Noi e loro
"Contrordine" di Alessandro Robecchi, Il Manifesto 05/09/2004
Vale sempre quello che diceva il vecchio Vonnegut: non c'è niente di intelligente da dire a proposito di un massacro. Solo, forse, che il concetto di scontro di civiltà tanto in voga tra i crociati di entrambe le parti andrebbe rivisto. Non ci sono due civiltà che si ammazzano barbaramente a vicenda (noi contro loro) come piacerebbe a Oriana & Osama, ma i vertici, le élites politiche ed economiche di due schieramenti che ammazzano la gente che sta in mezzo. I ragazzini di Beslan sono la fotografia della situazione: presi in trappola tra due follie contrapposte, tirassegno d'allenamento tra due eserciti stupidi e rozzi come soltanto gli eserciti sanno essere. Di qui l'indipendentista aspirante martire e di là lo zar che non cede e mostra i muscoli: in mezzo rimane il ragazzino osseto, stritolato, innocente, effetto collaterale, briciola inevitabile. Questa volta. Le altre volte erano i pendolari madrileni, gli impiegati di New York, i civili di Falluja, i passeggeri degli autobus di Gerusalemme o degli aeroplani russi, i bambini palestinesi bombardati e chiusi dietro un muro, i ragazzini di Kabul. Ecc. ecc, aggiungete a piacere, riempite qualche riga pure voi di gente innocente che ci lascia la pelle, l'elenco della barbarie è infinito. Dalla Cecenia a Guantanamo, è uno scontro di civiltà? Se ammettiamo questa ipotesi bisogna subito aggiungere un corollario: civiltà comandate da teste di cazzo.
Il (debolissimo) pensiero emergente vorrebbe questo: che si considerasse il mattatoio quotidiano come uno scontro tra occidente e islam, tra buoni che devono difendersi (noi, ovviamente) e cattivi che attaccano (loro). Mentre se si fa la conta dei morti e dei feriti, delle sofferenze e dei traumi, si scopre che ci sono due leadership di pazzi (loro Bush, loro Osama, loro Putin, loro terroristi) contro circa sei miliardi di persone che non c'entrano niente e che temono di finirci in mezzo (noi). Noi che andiamo a scuola o a prendere il treno, o che finiamo per sbaglio sulla traiettoria di un missile o con gli elettrodi attaccati alle palle in una prigione. E' solo un piccolo cambio di prospettiva, uno spostamento della visuale, ma credo che in questo senso sì, sia possibile vedere una reale contrapposizione tra «noi» e «loro»: noi le vittime e loro quelli che sparano, da una parte o dall'altra, circondati da ideologi e consiglieri e affaristi e strateghi della forza furbi come faine, che abitino in una grotta sperduta o in una casa bianca a Washington. Tanto per piccolo esercizio, basta un'occhiata ai manifesti ideologici: i siti più trucidi della Jihad non hanno nulla da insegnare quanto a desiderio di dominio, alle patinate home page dei pensatoi Usa che spiegano e spingono il New American Century. C'è una specularità tra queste due follie, una somiglianza ideologica: da entrambe le parti il pallino è in mano ai falchi, la prevalenza dello stronzo è conclamata in ognuna delle fazioni in lotta. Sei miliardi di moderati guardano attoniti e stanno nel mezzo. Intendo in questo caso per "moderati" tutti quelli che rivendicano come un diritto di non essere ammazzati né da un falco né dall'altro e né da tutti e due come nella scuola di Beslan. Anche altre letture convincono poco. Le democrazie sono sotto attacco, ci dice Mauro su Repubblica. Vero, ma non ci dice quanto virtuali siano queste democrazie. Che se ci fosse stata una vera democrazia in Spagna, in Iraq non ci sarebbero andati, e non avrebbero raccolto duecento cadaveri (nostri!) alla stazione di Atocha. Uguale per l'Italia. Uguale per il Regno Unito di mr. Blair. Se gli americani fossero informati come tutti pensiamo dovremmo essere in una democrazia, saprebbero che Saddam non era Osama e forse si sarebbero opposti alla guerra, chissà, non si sa mai cosa può combinarti la democrazia se per caso ti metti ad applicarla. L'esercizio di cercare chi ha cominciato, che è stato il primo, indagare su chi è stato più stronzo con chi negli ultimi duecento anni, può spiegare molte cose, ma non allontana il mirino da quelli che stanno in mezzo, che siamo noi, parecchi miliardi di scudi umani. Sinceramente, credo che dovremmo cominciare a prenderla proprio come una questione personale, dopotutto è a noi - a noi sei miliardi di ragazzini di Beslan - che queste due bande di stronzi sparano addosso.
"Contrordine" di Alessandro Robecchi, Il Manifesto 05/09/2004
Vale sempre quello che diceva il vecchio Vonnegut: non c'è niente di intelligente da dire a proposito di un massacro. Solo, forse, che il concetto di scontro di civiltà tanto in voga tra i crociati di entrambe le parti andrebbe rivisto. Non ci sono due civiltà che si ammazzano barbaramente a vicenda (noi contro loro) come piacerebbe a Oriana & Osama, ma i vertici, le élites politiche ed economiche di due schieramenti che ammazzano la gente che sta in mezzo. I ragazzini di Beslan sono la fotografia della situazione: presi in trappola tra due follie contrapposte, tirassegno d'allenamento tra due eserciti stupidi e rozzi come soltanto gli eserciti sanno essere. Di qui l'indipendentista aspirante martire e di là lo zar che non cede e mostra i muscoli: in mezzo rimane il ragazzino osseto, stritolato, innocente, effetto collaterale, briciola inevitabile. Questa volta. Le altre volte erano i pendolari madrileni, gli impiegati di New York, i civili di Falluja, i passeggeri degli autobus di Gerusalemme o degli aeroplani russi, i bambini palestinesi bombardati e chiusi dietro un muro, i ragazzini di Kabul. Ecc. ecc, aggiungete a piacere, riempite qualche riga pure voi di gente innocente che ci lascia la pelle, l'elenco della barbarie è infinito. Dalla Cecenia a Guantanamo, è uno scontro di civiltà? Se ammettiamo questa ipotesi bisogna subito aggiungere un corollario: civiltà comandate da teste di cazzo.
Il (debolissimo) pensiero emergente vorrebbe questo: che si considerasse il mattatoio quotidiano come uno scontro tra occidente e islam, tra buoni che devono difendersi (noi, ovviamente) e cattivi che attaccano (loro). Mentre se si fa la conta dei morti e dei feriti, delle sofferenze e dei traumi, si scopre che ci sono due leadership di pazzi (loro Bush, loro Osama, loro Putin, loro terroristi) contro circa sei miliardi di persone che non c'entrano niente e che temono di finirci in mezzo (noi). Noi che andiamo a scuola o a prendere il treno, o che finiamo per sbaglio sulla traiettoria di un missile o con gli elettrodi attaccati alle palle in una prigione. E' solo un piccolo cambio di prospettiva, uno spostamento della visuale, ma credo che in questo senso sì, sia possibile vedere una reale contrapposizione tra «noi» e «loro»: noi le vittime e loro quelli che sparano, da una parte o dall'altra, circondati da ideologi e consiglieri e affaristi e strateghi della forza furbi come faine, che abitino in una grotta sperduta o in una casa bianca a Washington. Tanto per piccolo esercizio, basta un'occhiata ai manifesti ideologici: i siti più trucidi della Jihad non hanno nulla da insegnare quanto a desiderio di dominio, alle patinate home page dei pensatoi Usa che spiegano e spingono il New American Century. C'è una specularità tra queste due follie, una somiglianza ideologica: da entrambe le parti il pallino è in mano ai falchi, la prevalenza dello stronzo è conclamata in ognuna delle fazioni in lotta. Sei miliardi di moderati guardano attoniti e stanno nel mezzo. Intendo in questo caso per "moderati" tutti quelli che rivendicano come un diritto di non essere ammazzati né da un falco né dall'altro e né da tutti e due come nella scuola di Beslan. Anche altre letture convincono poco. Le democrazie sono sotto attacco, ci dice Mauro su Repubblica. Vero, ma non ci dice quanto virtuali siano queste democrazie. Che se ci fosse stata una vera democrazia in Spagna, in Iraq non ci sarebbero andati, e non avrebbero raccolto duecento cadaveri (nostri!) alla stazione di Atocha. Uguale per l'Italia. Uguale per il Regno Unito di mr. Blair. Se gli americani fossero informati come tutti pensiamo dovremmo essere in una democrazia, saprebbero che Saddam non era Osama e forse si sarebbero opposti alla guerra, chissà, non si sa mai cosa può combinarti la democrazia se per caso ti metti ad applicarla. L'esercizio di cercare chi ha cominciato, che è stato il primo, indagare su chi è stato più stronzo con chi negli ultimi duecento anni, può spiegare molte cose, ma non allontana il mirino da quelli che stanno in mezzo, che siamo noi, parecchi miliardi di scudi umani. Sinceramente, credo che dovremmo cominciare a prenderla proprio come una questione personale, dopotutto è a noi - a noi sei miliardi di ragazzini di Beslan - che queste due bande di stronzi sparano addosso.
9.9.04
CECENI
da Erico Menczer
"Così la facciamo finita e smettiamo di soffrire", è il lamento di una donna cecena, una delle tante che sopravvivono in mezzo alle macerie di Grozny. Il figlio di 14 anni è stato portato via dagli squadroni della morte russi assieme ad altri 2 ragazzini della stessa età. Giocavano a pallone.
Caro Claudio, non mi pare giusto prendersela con quel ceceno perchè dalla Cecenia arrivano notizie come questa:
------------------
... a quest'altra donna hanno portato via la sorella di 34 anni e le due figliolette di 6 e 9 anni. Ogni giorno è andata in cerca della sorella. Un giorno esamina 7 cadaveri decapitati. Un giorno dei corpi pescati dal fiume. Un altro giorno ha saputo di un corpo di donna trovato in un terreno, senza testa, braccia né gambe. Non ce l'ha fatta. "Il mio cuore non avrebbe retto, non potevo andarci", si scusa.
Ogni giorno i soldati russi portano via gente, uomini finora, ma ora anche donne. La scorsa settimana una studentessa di 22 anni, nel bel mezzo della facoltà, che, miracolosamente, continua a funzionare... insomma, più o meno...
Sparano col kalashnikov anche sulle ambulanze, anche da dietro, anche di notte, soprattutto di notte, quando queste escono solo per casi di estrema gravità. A Grozny, raccontano gli studenti, anche avere 20 anni è un privilegio. E' così difficile arrivarci, a 20 anni. Un uomo è appena tornato. Era stato rapito, e tutte le donne di sua conoscenza hanno messo insieme i 2000 dollari necessari al riscatto, pagabili ai soldati russi. E' stato tenuto nudo, per 40 giorni, in fondo a un pozzo. Picchiato. Torturato. Gli è andata bene, non lo hanno violentato, o almeno lui non lo ha detto. Gli è andata bene, di solito in mancanza di riscatto li uccidono dopo 48 ore. Quel giorno è festa grande, queste donne sanno di aver fatto una cosa grandissima.
Nella maternità di Grosny nascono più bambini di prima. 30 al giorno. Rappresentano la speranza di queste donne a cui hanno rubato gli anni più belli. Loro dicono che bisogna far nascere uomini, ne sono rimasti così pochi. Nella maternità ci sono 10 gradi, la mortalità infantile è altissima, eppure le donne sorridono, ridono, hanno una gran voglia di vivere. "Guarda", dice una, esibendo un fagottino, "è il futuro presidente della cecenia".
E fra quelle che hanno perso tutto, che si sono viste uccidere mariti e figli sotto gli occhi, qualcuna si allaccia una cintura di esplosivo, qualcuna si infiltra a Mosca e uccide qualche soldato. Per farlo magari raggiungono gli estremisti islamici che sono pochi. Ma loro non sono islamiche, sono solo disperate e non hanno più nulla da perdere...
------------------------
Da un reportage effettuato da 2 giornalisti di France 2, entrati in clandestinità in Cecenia, là dove non arrivano né ONG, né giornalisti, né osservatori esteri. Tutta la zona è off-limits ed è in atto un vero e proprio genocidio.
Complimenti, signor Putin.
Questo non giustifica qualcosa che è assolutamente ingiustificabile, ma, forse, contribuisce a trovare una causa (che non è una ragione, ma è pur sempre una causa) per quanto di così ignobile è successo.
da Erico Menczer
"Così la facciamo finita e smettiamo di soffrire", è il lamento di una donna cecena, una delle tante che sopravvivono in mezzo alle macerie di Grozny. Il figlio di 14 anni è stato portato via dagli squadroni della morte russi assieme ad altri 2 ragazzini della stessa età. Giocavano a pallone.
Caro Claudio, non mi pare giusto prendersela con quel ceceno perchè dalla Cecenia arrivano notizie come questa:
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... a quest'altra donna hanno portato via la sorella di 34 anni e le due figliolette di 6 e 9 anni. Ogni giorno è andata in cerca della sorella. Un giorno esamina 7 cadaveri decapitati. Un giorno dei corpi pescati dal fiume. Un altro giorno ha saputo di un corpo di donna trovato in un terreno, senza testa, braccia né gambe. Non ce l'ha fatta. "Il mio cuore non avrebbe retto, non potevo andarci", si scusa.
Ogni giorno i soldati russi portano via gente, uomini finora, ma ora anche donne. La scorsa settimana una studentessa di 22 anni, nel bel mezzo della facoltà, che, miracolosamente, continua a funzionare... insomma, più o meno...
Sparano col kalashnikov anche sulle ambulanze, anche da dietro, anche di notte, soprattutto di notte, quando queste escono solo per casi di estrema gravità. A Grozny, raccontano gli studenti, anche avere 20 anni è un privilegio. E' così difficile arrivarci, a 20 anni. Un uomo è appena tornato. Era stato rapito, e tutte le donne di sua conoscenza hanno messo insieme i 2000 dollari necessari al riscatto, pagabili ai soldati russi. E' stato tenuto nudo, per 40 giorni, in fondo a un pozzo. Picchiato. Torturato. Gli è andata bene, non lo hanno violentato, o almeno lui non lo ha detto. Gli è andata bene, di solito in mancanza di riscatto li uccidono dopo 48 ore. Quel giorno è festa grande, queste donne sanno di aver fatto una cosa grandissima.
Nella maternità di Grosny nascono più bambini di prima. 30 al giorno. Rappresentano la speranza di queste donne a cui hanno rubato gli anni più belli. Loro dicono che bisogna far nascere uomini, ne sono rimasti così pochi. Nella maternità ci sono 10 gradi, la mortalità infantile è altissima, eppure le donne sorridono, ridono, hanno una gran voglia di vivere. "Guarda", dice una, esibendo un fagottino, "è il futuro presidente della cecenia".
E fra quelle che hanno perso tutto, che si sono viste uccidere mariti e figli sotto gli occhi, qualcuna si allaccia una cintura di esplosivo, qualcuna si infiltra a Mosca e uccide qualche soldato. Per farlo magari raggiungono gli estremisti islamici che sono pochi. Ma loro non sono islamiche, sono solo disperate e non hanno più nulla da perdere...
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Da un reportage effettuato da 2 giornalisti di France 2, entrati in clandestinità in Cecenia, là dove non arrivano né ONG, né giornalisti, né osservatori esteri. Tutta la zona è off-limits ed è in atto un vero e proprio genocidio.
Complimenti, signor Putin.
Questo non giustifica qualcosa che è assolutamente ingiustificabile, ma, forse, contribuisce a trovare una causa (che non è una ragione, ma è pur sempre una causa) per quanto di così ignobile è successo.
Oligarchi e guerriglieri, attacco al cuore dello stato di zar Putin
di GIULIETTO CHIESA, Il Manifesto 03/09/2004
La micidiale successione di attacchi del terrorismo ceceno contro la Russia di Vladimir Putin induce a pensare a qualche cosa di più complesso, di più importante che un'offensiva terroristica. Molti indizi lasciano pensare che Shamil Bassaev non sia solo in questa impresa. Il cui scopo evidente, pianificato, è quello di indurre nell'opinione pubblica russa (e in quella internazionale) un'idea semplice e devastante per la figura del presidente russo: Vladimir Putin non è in grado di controllare la situazione. Due aerei abbattuti da bombe, in partenza da Mosca; un'autobomba nel centro della capitale; un assalto militare contro un obiettivo civile in una città dell'Ossetia del nord, tutt'ora in corso: vogliono dimostrare che il governo centrale russo non può parare nessun colpo ed è in balia del terrorismo.
Ma non si può fare tanto, e tutto insieme, senza alleati in Russia. Probabilmente non si può fare tutto questo, e tutto insieme, senza potenti alleati esterni, che finanziano, armano, progettano.
Del resto - a chi dubitasse di questa inerpretazione - basterebbe ricordare la data d'inizio della seconda guerra cecena. In quell'agosto 1999 Shamil Bassaev (ex agente dei servizi segreti militari russi), incoraggiato e finanziato dai banchieri di Mosca, capitanati da colui che era allora il più in auge degli oligarchi, Boris Berezovskij, sferrò un'offensiva «inspiegabile» contro il Daghestan russo. Era stata ideata a Mosca per portare al potere Vladimir Putin al posto di un Boris Eltsin imbolsito dall'alcol, ormai impresentabile, indecente. Quei legami non sono mai stati recisi e ci sono buone ragioni per ritenere che siano stati ripristinati. Ma perché ora?
La risposta è evidente a chi legga con attenzione le mosse del presidente-zar. Vladimir Putin ha da tempo intrapreso una marcia in una direzione che gli oligarchi non gradiscono. Ma gli oligarchi non hanno strumenti per fermarlo. E temono per la loro sorte. L'esempio di Mikhail Khodorkovskij, il miliardario «padrone» della Yukos, in galera da oltre un anno, è lì ad ammonire chiunque volesse tentare una scalata al potere in Russia. Altri due oligarchi di grande nome, Boris Berezovskij appunto e Vladimir Gusinskij (ex padroni dei due maggiori canali televisivi) sono in esilio con mandati di cattura pendenti sulle loro teste. Putin ha preso tutto. La Duma è nelle sue mani. I partiti di opposizione sono stati o cancellati o debellati, o comprati. La stampa e le televisioni sono state azzittite. Negli ultimi due mesi il presidente russo ha piazzato altri colpi definitivi prendendo sotto il suo diretto controllo i consigli di amministrazione dei cosiddetti «monopoli naturali» dell'energia del paese. Suoi uomini sono stati messi a capo di giganti come Gasprom (Dmitrij Medvedev, capo dell'Amministrazione Presidenziale), Transneft (Evghenij Shkolov, vice di Medvedev), Rosneft (Igor Secin, aiutante di Medvedev), Transnefteprodukt (Vladislav Surkov, altro vice di Medvedev). A questi si aggiunge Aleksandr Voloshin, ex capo dell'A.P., piazzato due anni fa alla testa di RAO-EES, il colosso elettro-energetico della Russia.
A questo punto il presidente russo e i suoi diretti collaboratori controllano direttamente quasi tutti i profitti dell'energia russa, qualcosa come 7 miliardi di dollari all'anno. Non si tratta di un ritorno al socialismo, né di una virata verso il capitalismo di stato. Si tratta piuttosto di un'operazione per costruire un regime personale incontrastabile negli anni a venire. Sul quale Putin conta di costruire la «sua» Russia. Coloro che lo hanno portato al potere non era a questo che pensavano. Erano convinti, dopo avere comprato Eltsin, di avere un potere politico a loro disposizione. Adesso che capiscono di essersi sbagliati, ne hanno paura. Ma la Russia non ha le istituzioni per lo sviluppo di quella che in Occidente si usa chiamare una «normale dialettica democratica». Inoltre il rating di Vladimir Putin rimane altissimo. Forse non proprio stratosferico come dicono i suoi sondaggisti, ma certamente assai alto: in ogni caso incomparabilmente più alto di quello di ogni eventuale - del resto non all'orizzonte - concorrente.
Mikhail Khodorkovskij aveva appena accennato una scalata e, sapendone la difficoltà, si era fatto spalleggiare dalla Exxon-Mobil e dai potenti banchieri di Wall Street che erano pronti a comprarsi un terzo della Jukos, per 25 miliardi di dollari. Putin lo ha fermato senza nemmeno usare i trucchi dello stato di diritto: l'ha fatto arrestare. E ai mentori-amici-nemici di New York ha mandato un segnale: non provateci un'altra volta, perché «gli interessi della Russia si decidono in Russia», cioè li decido io. L'offensiva di Shamil Bassaev, o di quelli che lo guidano, è spiegabile perfettamente in questo contesto. Come disse il marchese De Coustine, due secoli fa, «bisogna andare in Russia per capire ciò che non può fare colui che può tutto». Putin ha preso tutto, ma non riesce a prendere la Cecenia. Questo è il suo tallone d'Achille. Chi vuole rovesciarlo, o anche soltanto indebolirlo, costringerlo a venire a patti, deve colpire esattamente in quel punto. Chiunque siano i burattinai, stanno giocando una partita all'ultimo sangue, anche se è sangue altrui.
Vladimir Putin ha saputo giocarli tutti, fino ad ora, ma sulla Cecenia non è riuscito mai a prendere il piatto. E i trucchi qui non servono. Inutile dire che si è parte del fronte comune contro il terrorismo internazionale, se non si è capito che in quel fronte si possono annidare alcuni degli organizzatori del terrorismo ceceno.
di GIULIETTO CHIESA, Il Manifesto 03/09/2004
La micidiale successione di attacchi del terrorismo ceceno contro la Russia di Vladimir Putin induce a pensare a qualche cosa di più complesso, di più importante che un'offensiva terroristica. Molti indizi lasciano pensare che Shamil Bassaev non sia solo in questa impresa. Il cui scopo evidente, pianificato, è quello di indurre nell'opinione pubblica russa (e in quella internazionale) un'idea semplice e devastante per la figura del presidente russo: Vladimir Putin non è in grado di controllare la situazione. Due aerei abbattuti da bombe, in partenza da Mosca; un'autobomba nel centro della capitale; un assalto militare contro un obiettivo civile in una città dell'Ossetia del nord, tutt'ora in corso: vogliono dimostrare che il governo centrale russo non può parare nessun colpo ed è in balia del terrorismo.
Ma non si può fare tanto, e tutto insieme, senza alleati in Russia. Probabilmente non si può fare tutto questo, e tutto insieme, senza potenti alleati esterni, che finanziano, armano, progettano.
Del resto - a chi dubitasse di questa inerpretazione - basterebbe ricordare la data d'inizio della seconda guerra cecena. In quell'agosto 1999 Shamil Bassaev (ex agente dei servizi segreti militari russi), incoraggiato e finanziato dai banchieri di Mosca, capitanati da colui che era allora il più in auge degli oligarchi, Boris Berezovskij, sferrò un'offensiva «inspiegabile» contro il Daghestan russo. Era stata ideata a Mosca per portare al potere Vladimir Putin al posto di un Boris Eltsin imbolsito dall'alcol, ormai impresentabile, indecente. Quei legami non sono mai stati recisi e ci sono buone ragioni per ritenere che siano stati ripristinati. Ma perché ora?
La risposta è evidente a chi legga con attenzione le mosse del presidente-zar. Vladimir Putin ha da tempo intrapreso una marcia in una direzione che gli oligarchi non gradiscono. Ma gli oligarchi non hanno strumenti per fermarlo. E temono per la loro sorte. L'esempio di Mikhail Khodorkovskij, il miliardario «padrone» della Yukos, in galera da oltre un anno, è lì ad ammonire chiunque volesse tentare una scalata al potere in Russia. Altri due oligarchi di grande nome, Boris Berezovskij appunto e Vladimir Gusinskij (ex padroni dei due maggiori canali televisivi) sono in esilio con mandati di cattura pendenti sulle loro teste. Putin ha preso tutto. La Duma è nelle sue mani. I partiti di opposizione sono stati o cancellati o debellati, o comprati. La stampa e le televisioni sono state azzittite. Negli ultimi due mesi il presidente russo ha piazzato altri colpi definitivi prendendo sotto il suo diretto controllo i consigli di amministrazione dei cosiddetti «monopoli naturali» dell'energia del paese. Suoi uomini sono stati messi a capo di giganti come Gasprom (Dmitrij Medvedev, capo dell'Amministrazione Presidenziale), Transneft (Evghenij Shkolov, vice di Medvedev), Rosneft (Igor Secin, aiutante di Medvedev), Transnefteprodukt (Vladislav Surkov, altro vice di Medvedev). A questi si aggiunge Aleksandr Voloshin, ex capo dell'A.P., piazzato due anni fa alla testa di RAO-EES, il colosso elettro-energetico della Russia.
A questo punto il presidente russo e i suoi diretti collaboratori controllano direttamente quasi tutti i profitti dell'energia russa, qualcosa come 7 miliardi di dollari all'anno. Non si tratta di un ritorno al socialismo, né di una virata verso il capitalismo di stato. Si tratta piuttosto di un'operazione per costruire un regime personale incontrastabile negli anni a venire. Sul quale Putin conta di costruire la «sua» Russia. Coloro che lo hanno portato al potere non era a questo che pensavano. Erano convinti, dopo avere comprato Eltsin, di avere un potere politico a loro disposizione. Adesso che capiscono di essersi sbagliati, ne hanno paura. Ma la Russia non ha le istituzioni per lo sviluppo di quella che in Occidente si usa chiamare una «normale dialettica democratica». Inoltre il rating di Vladimir Putin rimane altissimo. Forse non proprio stratosferico come dicono i suoi sondaggisti, ma certamente assai alto: in ogni caso incomparabilmente più alto di quello di ogni eventuale - del resto non all'orizzonte - concorrente.
Mikhail Khodorkovskij aveva appena accennato una scalata e, sapendone la difficoltà, si era fatto spalleggiare dalla Exxon-Mobil e dai potenti banchieri di Wall Street che erano pronti a comprarsi un terzo della Jukos, per 25 miliardi di dollari. Putin lo ha fermato senza nemmeno usare i trucchi dello stato di diritto: l'ha fatto arrestare. E ai mentori-amici-nemici di New York ha mandato un segnale: non provateci un'altra volta, perché «gli interessi della Russia si decidono in Russia», cioè li decido io. L'offensiva di Shamil Bassaev, o di quelli che lo guidano, è spiegabile perfettamente in questo contesto. Come disse il marchese De Coustine, due secoli fa, «bisogna andare in Russia per capire ciò che non può fare colui che può tutto». Putin ha preso tutto, ma non riesce a prendere la Cecenia. Questo è il suo tallone d'Achille. Chi vuole rovesciarlo, o anche soltanto indebolirlo, costringerlo a venire a patti, deve colpire esattamente in quel punto. Chiunque siano i burattinai, stanno giocando una partita all'ultimo sangue, anche se è sangue altrui.
Vladimir Putin ha saputo giocarli tutti, fino ad ora, ma sulla Cecenia non è riuscito mai a prendere il piatto. E i trucchi qui non servono. Inutile dire che si è parte del fronte comune contro il terrorismo internazionale, se non si è capito che in quel fronte si possono annidare alcuni degli organizzatori del terrorismo ceceno.
8.9.04
VACANZE INTELLIGENTI
di RENATO FARINA - Libero, 25/08/2004
Alle 16 di ieri, come quarta notizia di Al Jazeera, è stata mostrata la faccia barbuta di un uomo. In inglese ha detto: «Sono Enzo Baldoni». Aveva una polo grigia e l'aria tranquilla. Forse un po' troppo. Pareva un turista per caso. Il comunicato dell'"Esercito islamico in Iraq" (Al-Jeish Al- Islami-si-Iraq) ha posto un ultimatum a Berlusconi: o ritira entro 48 ore le sue truppe, e lo fa in modo chiaro, con un decreto firmato, o «non garantiamo la sicurezza di Baldoni ». Vuol dire che lo ammazzano. Il gruppo ha un simbolo molto simile a quello di Al Zarqawi, il decapitatore professionista per conto di Osama Bin Laden. Si deve questo simpatico esercito l'uccisione di un ingegnere e di un autista pachistani il 28 luglio scorso in Iraq. Al Jazeera non ha trasmesso le immagini dei pachistani perché «sconvolgenti". Abbiamo capito cosa gli hanno fatto. Eppure Baldoni appare straordinariamente rilassato. Come se avesse un asso nella manica. Lo sappiamo su che cosa conta: sulle proprie idee. In fondo, è un loro simpatizzante. Perché dovrebbero fargli del male? È un giocherellone della rivoluzione. Repubblica ha pubblicato un suo decisivo reportage: «Le mie vacanze col brivido». Dopo le ferie intelligenti, proviamo a fare quelle sconvolgenti. Ecco il ritratto che dedica sui Linus" al Chapas: «Marcos: culo e carisma». E questo sarebbe giornalismo di sinistra? Vogliamo dirlo: è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. Restituitecelo, farà in futuro altri danni all'Occidente come testimonial della crudeltà capitalistica. Vedendo com'era attrezzato, i rapitori hanno dubitato fosse davvero un giornalista. Sarà uno 007 finito fuori pista - hanno pensato. Imad El Atrache ha provato a salvargli la vita parlando un'ora dopo allo stesso tg. Mi ha chiesto notizie e ho confermato: ha scritto diari di viaggio dal Chapas, dovunque senta odore di Che Guevara corre in soccorso e poi manda articoli a giornali di sinistra che glieli pubblicano. Enrico Deaglio de Il Diario ha confermato: scrive per noi ed è pacifista. Il governo italiano in fondo è sulla stessa linea. In una nota fa sapere: «Siamo impegnati a ottenere il risultato di far tornare in libertà il signor Baldoni, che si trova in Iraq per la sua attività privata di giornalista e quindi assolutamente non collegato al nostro governo ». Ovvio che dichiari di non cedere al ricatto, è scontato, ma intanto con quelle tre paroline - "signor", "privata", "assolutamente" - marca una distanza da Baldoni idonea a salvargli la pelle. Come dire: quest'uomo è italiano, ma è più roba vostra che nostra, si è messo nei guai per le sue privatissime cose, perché rompete le scatole a noi? Garantiamo, nel nostro piccolo, ai suoi rapitori islamici: tifa per voi, per la resistenza irachena. Non èmusulmano, è milanese; non aderisce ad Al Qaeda, per carità, ma in fondo giustifica chi spara ai marines. Li conosciamo i documenti antimperialisti dove si solidarizza con «le ragioni economiche, politiche, morali che spingono gli oppressi del mondo a combattere con le armi contro l'America e i suoi servi sciocchi, ad esempio Berlusconi». Baldoni era di tale fatta. Lo ribadiamo volentieri, Signori dai lunghi coltelli: è del tipo di occidentale che piace a voi: antiamericano. Confidiamo basti. Abbiamo molti dubbi, ma c'è un precedente positivo. Nei giorni scorsi un reporter statunitense, Micah Garen, è stato liberato dalle milizie di Al Sadr. Ma, appunto, erano sciiti. Non sono del giro di Al Qaeda, non sono come Al Zarqawi. Gli sciiti di Najaf si lasciano commuovere dalla opinione politica, dai sentimenti personali. Garen ha stramaledetto Bush e si è salvato. Al Zarqawi invece ha decapitato Nick Berg anche se aveva un pedigree pacifista d'alto rango e di provata affidabilità. Era però ebreo e americano. Per questo abbiamo paura non sia sufficiente a Baldoni dire quanto pensa del Cavaliere. Una speranziella. Gli esperti dell'intelligence atlantica hanno molti dubbi su tutta la vicenda. Il volto del prigioniero non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull'orlo dell'abisso. Non appaiono intorno all'italiano uomini armati e mascherati. Potrebbe essere una recita. Anche se il precedente di Nick Berg, il quale pareva sereno, ci inquieta. È necessaria un'operazione di verità. Nei giorni scorsi si è registrato un curioso fenomeno. Basta leggere l'Unità per capirlo. Siccome a sinistra, sotto sotto, credono che i tagliatori di teste siano persone perbene, hanno ritenuto impossibile che ad essere rapito fosse un giornalista del genere terzomondista. Per cui all'unisono si è accreditata l'ipotesi dei "predoni". Nulla che fare con la resistenza. Banditi di strada. Ma il quotidiano di Furio Colombo e Antonio Padellaro è andato oltre. Secondo il foglio rosso la morte dell'interprete e il rapimento di Baldoni erano probabilmente opera di «forze governative». Hanno scritto proprio questo. Per loro il legittimo governo di Allawi (nomina Onu) è fatto di predoni assassini. Inutile aspettarsi autocritiche. Martelleranno noi perché non ci caschiamo a questa storia di reporter dediti ai poveri. Andiamo anche noi a soccorrere Baldoni. Per solidarietà umana confermiamo: ha sempre scritto cronache dall'Iraq contro gli americani. E prima in Colombia, in Messico, ovunque. Salvatelo. Ma per favore, una volta sano e salvo qualcuno dovrebbe spiegare ai vacanzieri del brivido che non si gioca con le cose serie per scrivere pagine palpitanti. Dalle parti di Bagdad non c'è un Rotary islamico, o la confraternita frati benedettini musulmani che porgono la minestra e l'altra guancia. Lì si spara, e chi non è attrezzato fa danni a se stesso ma soprattutto agli altri. Ammazzano gente di destra e di sinistra, li rapiscono per ricavarne favori. In passato ho scritto la stessa cosa a proposito di turisti che giravano con il cammello in Yemen e in Somalia, salvo poi far spendere miliardi al governo per portarli a casa. Quando sono tornati, mi sono arrivate maledizioni. Mi auguro che Baldoni mi aspetti presto sotto casa. Basta che lui, e la gente come lui, con tutto il rispetto, faccia il proprio mestiere di creatore di spot. Gli venivano meglio. Non si va alla ventura come facili prede. Poi il prezzo lo pagano persone che non contano niente (l'interpreteautista), la propria famiglia, e il governo. Torna Baldoni, e lìmitati agli aperitivi in piazza san Babila. E in vacanza cogli le pesche dell'agriturismo di famiglia.
di RENATO FARINA - Libero, 25/08/2004
Alle 16 di ieri, come quarta notizia di Al Jazeera, è stata mostrata la faccia barbuta di un uomo. In inglese ha detto: «Sono Enzo Baldoni». Aveva una polo grigia e l'aria tranquilla. Forse un po' troppo. Pareva un turista per caso. Il comunicato dell'"Esercito islamico in Iraq" (Al-Jeish Al- Islami-si-Iraq) ha posto un ultimatum a Berlusconi: o ritira entro 48 ore le sue truppe, e lo fa in modo chiaro, con un decreto firmato, o «non garantiamo la sicurezza di Baldoni ». Vuol dire che lo ammazzano. Il gruppo ha un simbolo molto simile a quello di Al Zarqawi, il decapitatore professionista per conto di Osama Bin Laden. Si deve questo simpatico esercito l'uccisione di un ingegnere e di un autista pachistani il 28 luglio scorso in Iraq. Al Jazeera non ha trasmesso le immagini dei pachistani perché «sconvolgenti". Abbiamo capito cosa gli hanno fatto. Eppure Baldoni appare straordinariamente rilassato. Come se avesse un asso nella manica. Lo sappiamo su che cosa conta: sulle proprie idee. In fondo, è un loro simpatizzante. Perché dovrebbero fargli del male? È un giocherellone della rivoluzione. Repubblica ha pubblicato un suo decisivo reportage: «Le mie vacanze col brivido». Dopo le ferie intelligenti, proviamo a fare quelle sconvolgenti. Ecco il ritratto che dedica sui Linus" al Chapas: «Marcos: culo e carisma». E questo sarebbe giornalismo di sinistra? Vogliamo dirlo: è un simpatico pirlacchione. Lo scriviamo tremando. Sappiamo che ci sono moglie, genitori e fratelli in lacrime. Desideriamo gli sia restituito vivo e vegeto. Evitiamoci le tirate patetiche però. Signori di Al Qaeda, proprio dal vostro punto di vista, non vale la pena di ammazzarlo. Restituitecelo, farà in futuro altri danni all'Occidente come testimonial della crudeltà capitalistica. Vedendo com'era attrezzato, i rapitori hanno dubitato fosse davvero un giornalista. Sarà uno 007 finito fuori pista - hanno pensato. Imad El Atrache ha provato a salvargli la vita parlando un'ora dopo allo stesso tg. Mi ha chiesto notizie e ho confermato: ha scritto diari di viaggio dal Chapas, dovunque senta odore di Che Guevara corre in soccorso e poi manda articoli a giornali di sinistra che glieli pubblicano. Enrico Deaglio de Il Diario ha confermato: scrive per noi ed è pacifista. Il governo italiano in fondo è sulla stessa linea. In una nota fa sapere: «Siamo impegnati a ottenere il risultato di far tornare in libertà il signor Baldoni, che si trova in Iraq per la sua attività privata di giornalista e quindi assolutamente non collegato al nostro governo ». Ovvio che dichiari di non cedere al ricatto, è scontato, ma intanto con quelle tre paroline - "signor", "privata", "assolutamente" - marca una distanza da Baldoni idonea a salvargli la pelle. Come dire: quest'uomo è italiano, ma è più roba vostra che nostra, si è messo nei guai per le sue privatissime cose, perché rompete le scatole a noi? Garantiamo, nel nostro piccolo, ai suoi rapitori islamici: tifa per voi, per la resistenza irachena. Non èmusulmano, è milanese; non aderisce ad Al Qaeda, per carità, ma in fondo giustifica chi spara ai marines. Li conosciamo i documenti antimperialisti dove si solidarizza con «le ragioni economiche, politiche, morali che spingono gli oppressi del mondo a combattere con le armi contro l'America e i suoi servi sciocchi, ad esempio Berlusconi». Baldoni era di tale fatta. Lo ribadiamo volentieri, Signori dai lunghi coltelli: è del tipo di occidentale che piace a voi: antiamericano. Confidiamo basti. Abbiamo molti dubbi, ma c'è un precedente positivo. Nei giorni scorsi un reporter statunitense, Micah Garen, è stato liberato dalle milizie di Al Sadr. Ma, appunto, erano sciiti. Non sono del giro di Al Qaeda, non sono come Al Zarqawi. Gli sciiti di Najaf si lasciano commuovere dalla opinione politica, dai sentimenti personali. Garen ha stramaledetto Bush e si è salvato. Al Zarqawi invece ha decapitato Nick Berg anche se aveva un pedigree pacifista d'alto rango e di provata affidabilità. Era però ebreo e americano. Per questo abbiamo paura non sia sufficiente a Baldoni dire quanto pensa del Cavaliere. Una speranziella. Gli esperti dell'intelligence atlantica hanno molti dubbi su tutta la vicenda. Il volto del prigioniero non rivela contrazioni inevitabili per chi si trovi sull'orlo dell'abisso. Non appaiono intorno all'italiano uomini armati e mascherati. Potrebbe essere una recita. Anche se il precedente di Nick Berg, il quale pareva sereno, ci inquieta. È necessaria un'operazione di verità. Nei giorni scorsi si è registrato un curioso fenomeno. Basta leggere l'Unità per capirlo. Siccome a sinistra, sotto sotto, credono che i tagliatori di teste siano persone perbene, hanno ritenuto impossibile che ad essere rapito fosse un giornalista del genere terzomondista. Per cui all'unisono si è accreditata l'ipotesi dei "predoni". Nulla che fare con la resistenza. Banditi di strada. Ma il quotidiano di Furio Colombo e Antonio Padellaro è andato oltre. Secondo il foglio rosso la morte dell'interprete e il rapimento di Baldoni erano probabilmente opera di «forze governative». Hanno scritto proprio questo. Per loro il legittimo governo di Allawi (nomina Onu) è fatto di predoni assassini. Inutile aspettarsi autocritiche. Martelleranno noi perché non ci caschiamo a questa storia di reporter dediti ai poveri. Andiamo anche noi a soccorrere Baldoni. Per solidarietà umana confermiamo: ha sempre scritto cronache dall'Iraq contro gli americani. E prima in Colombia, in Messico, ovunque. Salvatelo. Ma per favore, una volta sano e salvo qualcuno dovrebbe spiegare ai vacanzieri del brivido che non si gioca con le cose serie per scrivere pagine palpitanti. Dalle parti di Bagdad non c'è un Rotary islamico, o la confraternita frati benedettini musulmani che porgono la minestra e l'altra guancia. Lì si spara, e chi non è attrezzato fa danni a se stesso ma soprattutto agli altri. Ammazzano gente di destra e di sinistra, li rapiscono per ricavarne favori. In passato ho scritto la stessa cosa a proposito di turisti che giravano con il cammello in Yemen e in Somalia, salvo poi far spendere miliardi al governo per portarli a casa. Quando sono tornati, mi sono arrivate maledizioni. Mi auguro che Baldoni mi aspetti presto sotto casa. Basta che lui, e la gente come lui, con tutto il rispetto, faccia il proprio mestiere di creatore di spot. Gli venivano meglio. Non si va alla ventura come facili prede. Poi il prezzo lo pagano persone che non contano niente (l'interpreteautista), la propria famiglia, e il governo. Torna Baldoni, e lìmitati agli aperitivi in piazza san Babila. E in vacanza cogli le pesche dell'agriturismo di famiglia.