Per chi suona il call center
"Satira preventiva" di Michele Serra
L'entrata in vigore dei nuovi contratti di lavoro flessibile produrrà profondi cambiamenti nella società italiana. Il primo capoverso di questo articolo, ad esempio, è ancora soggetto al vecchio contratto dei giornalisti, completo di mutua, pensione e garanzie reciproche, e dunque si intende che lo scrivente, anche nel suo interesse, si senta tenuto a fornire un prodotto corretto nella forma e nella sostanza, avendo cura della propria carriera.
Hil secondo capoverzo invesce succede che e sotto il nuovo contrato del lavoro flezzibile e duncue ki se ne fote, tanto il kontrato scadee tra pochi minuti ah ah ah io me ne stropiccio de la forma edel contenuto pure mica sono shemo di farmi un mazzzo cosi in cambio di gnente!!! Ze il patrone mi puote licensiare tra tre minuti e macari il proximo contrattto lo facio da machinista ferroviere o pure da geometro, io diko alora che a contrato di merda lavoro di merda, cari amizi letori!
Cattivi esempi a parte, la galassia del lavoro precario pullula di casi-limite: dal venticinquenne che ha fatto 30 lavori differenti senza avere capito quali, al trentenne che ha fatto sempre lo stesso lavoro, ma con 25 mini-contratti consecutivi, e si ritrova con dieci anni di lavoro, la gotta (non mutuabile), zero scatti di anzianità e solo sei mesi di contributi versati.
Celebre il caso di Mirko che, assunto come trasportatore di materassi, si è reso conto che gli scadeva il contratto mentre era sul pianerottolo di un condominio e stava per consegnare un due-piazze a molle. Telefonando dal suo cellulare è riuscito a farsi riassumere come acrobata e ha dunque cominciato ad allenarsi sul pianerottolo saltando sul materasso non consegnato. In seguito alle proteste dei condomini, Mirko è stato licenziato lo stesso pomeriggio. Ma nel frattempo aveva accumulato mezz'ora di ferie come trasportatore e 20 secondi come acrobata, e dunque è stato costretto a dormire per mezz'ora e 20 secondi sul materasso.
Al risveglio, Mirko era già stato assunto, grazie all'ufficio di collocamento, come centralinista di un call center erotico, e dunque gli inquilini dello stabile si sono trovati di fronte a un ragazzo sulla trentina, sdraiato su un materasso, che gemeva al telefonino sussurrando "toccati, io lo sto già facendo". Arrestato, tradotto in Questura e denunciato per atti osceni, Mirko riuscì a farsi assumere da un poliziotto come badante dell'anziana madre, con contratto di tre mesi, ma la madre morì la sera stessa, non appena Mirko, sempre con il suo materasso, ebbe preso servizio.
Nel corso della veglia funebre Mirko fu raggiunto dalla telefonata di congratulazioni della presidente dei giovani confindustriali, che gli avevano attribuito un premio di produttività per avere sottoscritto quattro contratti in un giorno solo. Il premio consisteva nell'assunzione, con contratto di una settimana, come stagionatore del famoso formaggio 'toma di Matusalemme', che matura in 12 anni.
Deposto sul materasso il cadavere della sua ex datrice di lavoro, e consegnati entrambi a un addetto alle pompe funebri che li depositò in mezzo a un rondò perché aveva il contratto in scadenza, Mirko si presentò al suo nuovo posto di lavoro, una malga a 2.300 metri, proprio nel giorno in cui la toma, dopo 12 anni di invecchiamento, era matura e pronta per essere consegnata. Licenziato da stagionatore di tome, tentò di farsi riassumere come consegnatore di tome, ma venne minacciato dal consegnatore di tome già attivo, un precario (ex supplente di francese, ex tornitore, ex gigolò, ex casellante) esasperato dal fatto che era costretto a consegnare i formaggi ancora con la divisa da casellante.
Dopo essersi picchiati selvaggiamente, e resisi conto che la toma da consegnare era rotolata in un crepaccio durante la coluttazione, Mirko e il suo rivale si abbracciarono e piansero a lungo. Dopodiché decisero che avrebbero fondato il primo Sindacato Precari, il CIPERTFUTRFZIE (Confederazione Italiana Precari Edili, Rottamatori, Tornitori, Fabbri, Uscieri, Taxisti, Restauratori, Fonditori, Zappatori, Imbianchini Eccetera), e organizzarono uno straordinario corteo, a Roma, composto solamente da loro due, ma in rappresentanza di 6.300 professioni diverse, tutte svolte, con regolare contratto, dalla coppia di giovani manifestanti.
29.10.04
27.10.04
INTERVISTA A CSF
di Caterina Soffici (Il Giornale)
Dopo duecentocinquanta interviste, Claudio Sabelli Fioretti i voltagabbana li conosce bene. A un certo punto veniva sempre fuori la frase fatidica: "La coerenza è la virtù degli imbecilli". "La odio quella frase - dice Sabelli -. La coerenza è la virtù delle persone sane". Gli altri segnali che siamo di fronte a un voltagabbana sono nel seguente identikit: il voltagabbana è uno che dice di non aver mai cambiato idea ("ho sempre scritto queste cose"), rifiuta di dare spiegazioni ("sono cose intime che riguardano solo me"), racconta il proprio passato con un personale lifting della memoria ("mai dette queste cose") e spara a zero sui vecchi compagni colpevoli di essere rimasti coerenti ("sono loro i veri voltagabbana"). Dalla A di Giano Accame alla Zeta di Iva Zanicchi, negli ultimi cinque anni Sabelli ha rivoltato come calzini giornalisti, politici, conduttori tv, attori, cantanti, scrittori, personaggi più o meno famosi. Ore e ore di interrogatorio per estorcere una serie di informazioni riservate che hanno fatto delle sue interviste su Sette un appuntamento seguitissimo del giovedì mattina. Ora Sabelli ha raccolto 36 di queste confessioni in un libro (che esce oggi per Marsilio), dal titolo quasi scontato: Voltagabbana. Sottotitolo: "Manuale per galleggiare come un tappo di sughero".
Tu galleggi? Hai mai voltato gabbana?
"No, direi di essere sempre stato coerente. Politicamente a sinistra. Giornalisticamente anche. Ci sono cose su cui ho cambiato idea, ma mai per interesse. Il voltagabbana lo fa per interesse. Non necessariamente sono i soldi. Potere, visibilità, carriera".
Su cosa hai cambiato idea?
"Io sono della scuola di Lamberto Sechi, la notizia separata dalle opinioni, articoli brevi, poche interviste. Oggi sono arrivato alla prima persona singolare e faccio interviste lunghissime".
Solo questo?
"Politicamente da ragazzino ero una specie di democristiano. Frequentavo l'oratorio, i compagni di scuola erano di sinistra, io non lo ero. Mi sono perfino candidato all'Università per i liberali, figurati. Ne ho fatte di tutte, però non ho mai votato Dc".
Sei uno dei rari esemplari di voltagabbana passato da destra a sinistra?
"Io non sosterrò mai che Spadolini era un voltagabbana perché da ragazzino aderì alla Rsi. La formazione politica e intellettuale è tale perché uno gira intorno alle cose finché non trova la sua strada".
Hai litigato con Battista perché lui dice che voltagabbana sono tutti quelli che cambiano parte politica, tu invece sostieni che voltagabbana è solo chi passa da sinistra a destra mentre chi fa il percorso inverso è un illuminato. Lo pensi ancora?
"No, voltagabbana sono entrambi. Ma penso che esistano voltagabbana migliori e peggiori. Io penso che le scelte della vita si fanno in base a dei valori. E che i valori della sinistra siano meglio di quelli della destra. La solidarietà, l'uguaglianza, la giustizia non le ritrovo nella destra. Che banalizzando è: a ciascuno secondo il merito, se uno nasce ricco deve rimanere ricco, della giustizia sociale ce ne sbattiamo le palle, siamo per il liberismo".
A destra tutti ricchi e biechi profittatori, a sinistra tutti poveri e buoni. Mi sembra un po' ingenuo.
"Sto parlando di valori, non di persone. Se una guardia diventa ladro non è la stessa cosa che se un ladro diventa guardia".
No, nelle tue interviste si parla di persone. Tra i voltagabbana più citati ci sono Buttiglione, Adornato, Renzo Foa, Paolo Guzzanti, Ferrara, Liguori, Marcenaro. Tutti da sinistra a destra. È un caso?
"È stato il momento storico, quando il potere è a destra, la sinistra va da quelle parti. Quando la sinistra sembra poter vincere, si intravedono transumanze contrarie".
Pensi a Cirino Pomicino?
"E anche a Mastella. Ma in passato ho intervistato Scognamiglio e la Pivetti. E c'è anche Misserville, il fascista che è diventato sottosegretario con D'Alema".
Qual è il peggior vizio del voltagabbana?
"Romiti disse: se uno cambia gabbana deve restituire la dote. Deve dimettersi. Qua non c'è mai nessuno che si dimettte. Addirittura Mastella sostiene che i voti sono suoi. Io dico: se uno cambia ma si dimette e quindi perde, non è un voltagabbana. Romiti ha ragione".
Romiti ha sempre ragione. Quando facevi la serie degli adulatori ti hanno chiesto come mai non parlavi mai male di Romiti...
"E io avevo risposto la verità: perché parlarne male, è una così brava persona...".
Adesso parlami di Vittorio Colao.
"Anche lui, un'ottima persona. È incredibile, sono circondato da bravissime persone...".
È peggio essere voltagabbana o adulatore?
"Normalmente i voltagabbana sono anche lecchini. Un lecchino può essere anche fedelissimo. Diciamo che il voltagabbana è più completo".
Tra i tuoi intervistati ci sono poche voltagabbana donne. Siamo più coerenti?
"È vero, tranne la Pivetti, che per riconoscenza avrebbe dovuto essere leghista a vita, non ci sono voltagabbana femmine".
Forse perché le donne di potere sono poche?
"E anche perché hanno un modo diverso di gestirlo. Guardano alle cose concrete e i potenti non le ritengono affidabili perché sono più corrette. Però è un po' come la volpe e l'uva: anche io non sono voltagabbana forse perché nessuno mi ha mai offerto niente".
Chi sono i tuoi amici? Qual è il tuo network?
"Il mio network è sempre quello di Panorama di Lamberto Sechi. Per il breve periodo che ho lavorato a Repubblica ho sfiorato il network dell'Espresso, ma quello è di gente bene, io non venivo ammesso. I miei amici sono Rachele Enriquez, Valeria Gandus, Luca Grandori, Silvia Di Rienzo, Valentina Strada, Giulio Anselmi. Anche se io abito a Trento, ci vediamo a cena spesso".
Nemici?
"Le querele definiscono automaticamente dei nemici. Previti per esempio mi ha querelato due volte. È un doppio nemico. Ma in realtà non è nemico mio, è nemico dell'Italia. Poi c'è Feltri, mi ha querelato per un articolo su Cuore. Anche se trovo veramente sconvolgente che un giornalista usasse l'arma della diffamazione contro un collega, io non ce l'ho con lui perché mi ha querelato, ce l'ho con lui perché non è più il grande giornalista di una volta".
Sei litigioso?
"A Cuore litigavo tutti i giorni".
Perché avevi deciso di cambiare la linea di Michele Serra, cioè abbandonare la satira pura e fare più giornalismo d'inchiesta?
"Non solo. Avere rapporti con i disegnatori di satira politica vuol dire essere masochisti. La banda dei romani, Vincino, Vauro, Mannelli, dei rompicoglioni incredibili. Ogni volta che usciva il numero mi telefonavano per insultarmi. Siamo rimasti grandi amici, ma era una rissa continua".
A Cuore hanno minacciato di scioperare perché volevi far scrivere Massimo Fini.
"Protestarono, ma Fini scrisse tranquillamente. La solita intolleranza della sinistra per chiunque non sia assolutamente di sinistra come sono loro. Poi come sono loro non si sa, ma Massimo a quei tempi passava addirittura per fascista. Che non fosse vero lo dimostra il fatto che oggi è considerato un pericoloso comunista".
Chi ti ha chiesto di essere intervistato?
"All'inizio c'era gente che mi chiamava e mi diceva: "Bella l'intervista che hai fatto a tizio, ma anche io ne avrei di cose da raccontare...". Una volta mi scrisse una lettera il figlio di Ettore Bernabei: la smetta di intervistare sempre i soliti noti, intervisti la gente che sa le cose. Allora intervistai lui che è un famosissimo gerontologo. Altri mi scrivono: basta coi vip, faccia parlare la casalinga di Voghera. Ma ormai la casalinga di Voghera è più famosa di Andreotti".
Essere intervistati da Sabelli è diventato uno status symbol?
"C'era un periodo che sul Foglio Diaco continuava a scrivere: perché Sabelli non mi intervista? Mi telefonava, io vigliaccamente non mi facevo trovare. Me l'hanno riproposto ancora l'altro ieri. È una cosa opprimente. Ma ci sono anche richieste legittime. Ferdinando Adornato ha domandato di essere intervistato "per fatto personale", per polemizzare con Barbara Palombelli. Pretese che scrivessi che era stato lui a chiederlo. Poi hanno fatto la pace".
C'è qualcuno sul quale hai posto il veto?
"Ovviamente su Diaco, anche se nessuno mi aveva chiesto di intervistarlo. E poi su Cecchi Paone".
Che ti ha fatto Cecchi Paone?
"Cecchi Paone è un mio amico. Quando ha fatto outing e ha scelto Vanity Fair io ci sono rimasto male. Poi quando Vattimo in un'altra intervista l'ha definito "una cloaca umana" mi ha chiesto un'intervista riparatoria. Ma io ce l'avevo con lui e gli ho detto no".
C'è qualcuno che ha detto no a te?
"Mi hanno detto di no la Cancellieri, Afef, la Gruber, Socci, Formica, Deaglio, Luttazzi, Girotto "Fratello Mitra" e tanti altri. Alcuni prima ti dicono di no, poi finiscono in disgrazia o scrivono un libro e allora ti cercano. Santoro e la De Filippi prima dissero no e poi sì. Gianni Letta disse no, ed è l'unico che capisco: è depositario di troppi segreti. Alain Elkann ha interrotto l'intervista a metà".
Perché?
"Non ho mai capito perché. Mi ha detto: ho cambiato idea, non la voglio più fare. Tra l'altro io do a tutti il diritto di rileggere l'intervista e anche di ripensarci".
Ma che allievo di Sechi sei, fai rileggere le interviste?
"Non trovo che far rileggere le interviste sia un atto di sottomissione. In genere cambiano pochissimo. Le parole dell'intervistato appartengono a lui".
Qualcuno ti ha chiesto di fare modifiche?
"Ci sono i signori e i maestrini. Teodoro Buontempo si è rifiutato di rileggerla. Ombretta Colli non ha cambiato una virgola, Filippo Ceccarelli mi ha telefonato: "Pura poesia". Gad Lerner invece voleva correggere anche le virgole. E tu questa intervista me la fai rileggere?".
Certo, a patto che non cambi niente. E a patto che facciamo il gioco della torre. Chi butti tra Rutelli e Prodi?
"Premetto che ti rispondo come i miei intervistati. Cazzullo me l'aveva fatto notare, che spesso gli intervistati rispondono per fatto personale. Hitler o Madre Teresa? Hitler, perché non mi ha risposto al telefono. E quindi ti dico: Rutelli, perché una volta si è arrabbiato con me per un articolo sulla sua casa al mare".
Veltroni o D'Alema?
"Butto D'Alema, perché ha detto che non bisogna leggere i giornali".
Feltri o Belpietro?
"Butto Feltri".
Ma ce l'hai proprio con Feltri. Sarà perché siamo sul giornale di Belpietro?
"Se l'adulatore che è in fondo al mio cuore vincesse direi che è per questo e perché Belpietro mi ha fatto un'intervista più bella di quella di Feltri. In realtà butto Feltri così almeno non mi querela più".
Costanzo o Vespa?
"Assolutamente in maniera prioritaria e godendo intensamente, butto Vespa. Perché ha inventato e imposto una formula di giornalismo che non cessa di spiacermi. Perché lo trovo un grande adulatore di chiunque sia potente, anche se è vero che molti potenti adulano lui. È un incrocio di adulazione tremendo. Consente tutto ai suoi intervistati, i teatrini coi cani, coi risotti, con le racchette da tennis e con le scrivanie di ciliegia. L'infotainment mi fa schifo".
Il Foglio o il Riformista?
"Ho sempre comprato il Foglio e ho smesso di comprare il Riformista. Del Foglio mi piaceva la letterina di Mattia Feltri, Guia Soncini, Marcenaro. Adesso Marcenaro s'è incarognito, la Soncini dà segnali di stanchezza, Feltri se n'è andato a Libero e comunque non mi piace più. Mattia Feltri si è infeltrito. Ferrara rimane sempre una grande lettura, anche per dire: guarda che cazzate scrive".
Palombelli o Ritanna Armeni?
"Ritanna, che avevo sconsigliato ad accettare il programma, è molto brava a reggere Ferrara".
Istituiamo un premio Zelig, da assegnare al più voltagabbana che hai mai intervistato. Chi lo vince?
"Carlo Rossella in assoluto. Per numero di voltafaccia se la gioca con Giulio Savelli, ma Giulio è passato dai trotzkisti alla Lega e Forza Italia con un certo candore. Figurati che noi di Panorama già allora Rossella lo chiamavamo Zelig. Lui ogni volta che cambia ci crede, si traveste e assume le sembianze. Avresti dovuto vederlo quando faceva il cossuttiano".
Faccio una certa fatica a immaginarmi Rossella cossuttiano...
"A quell'epoca se lo vedevi per strada dicevi: guarda quel cossuttiano. Sembrava un sovietico triste. Quando faceva Il Grande Gatsby, era Il Grande Gatsby. Ha fatto Il Grande Inviato Speciale, il capo degli anarchici di Pavia, il militante di Lotta Continua. Ne ha fatte di tutti i colori. E noi che lo conoscevamo ci domandavamo: da che si è mascherato oggi Carlo? Quando l'avevano fatto direttore del Tg1, aveva convinto perfino Cossutta che telefonò a un amico e disse: ma lo sa che hanno fatto uno dei miei direttore del Tg1? Rossella è Zelig, in questo non è un voltagabbana".
Ps. Come da richiesta Sabelli Fioretti ha riletto l'intervista. Ha chiesto una sola modifica, che gli accordiamo: "Vedrai una splendida intervista a Cecchi Paone in uno dei prossimi numeri. In fondo sono anch'io un voltagabbana".
di Caterina Soffici (Il Giornale)
Dopo duecentocinquanta interviste, Claudio Sabelli Fioretti i voltagabbana li conosce bene. A un certo punto veniva sempre fuori la frase fatidica: "La coerenza è la virtù degli imbecilli". "La odio quella frase - dice Sabelli -. La coerenza è la virtù delle persone sane". Gli altri segnali che siamo di fronte a un voltagabbana sono nel seguente identikit: il voltagabbana è uno che dice di non aver mai cambiato idea ("ho sempre scritto queste cose"), rifiuta di dare spiegazioni ("sono cose intime che riguardano solo me"), racconta il proprio passato con un personale lifting della memoria ("mai dette queste cose") e spara a zero sui vecchi compagni colpevoli di essere rimasti coerenti ("sono loro i veri voltagabbana"). Dalla A di Giano Accame alla Zeta di Iva Zanicchi, negli ultimi cinque anni Sabelli ha rivoltato come calzini giornalisti, politici, conduttori tv, attori, cantanti, scrittori, personaggi più o meno famosi. Ore e ore di interrogatorio per estorcere una serie di informazioni riservate che hanno fatto delle sue interviste su Sette un appuntamento seguitissimo del giovedì mattina. Ora Sabelli ha raccolto 36 di queste confessioni in un libro (che esce oggi per Marsilio), dal titolo quasi scontato: Voltagabbana. Sottotitolo: "Manuale per galleggiare come un tappo di sughero".
Tu galleggi? Hai mai voltato gabbana?
"No, direi di essere sempre stato coerente. Politicamente a sinistra. Giornalisticamente anche. Ci sono cose su cui ho cambiato idea, ma mai per interesse. Il voltagabbana lo fa per interesse. Non necessariamente sono i soldi. Potere, visibilità, carriera".
Su cosa hai cambiato idea?
"Io sono della scuola di Lamberto Sechi, la notizia separata dalle opinioni, articoli brevi, poche interviste. Oggi sono arrivato alla prima persona singolare e faccio interviste lunghissime".
Solo questo?
"Politicamente da ragazzino ero una specie di democristiano. Frequentavo l'oratorio, i compagni di scuola erano di sinistra, io non lo ero. Mi sono perfino candidato all'Università per i liberali, figurati. Ne ho fatte di tutte, però non ho mai votato Dc".
Sei uno dei rari esemplari di voltagabbana passato da destra a sinistra?
"Io non sosterrò mai che Spadolini era un voltagabbana perché da ragazzino aderì alla Rsi. La formazione politica e intellettuale è tale perché uno gira intorno alle cose finché non trova la sua strada".
Hai litigato con Battista perché lui dice che voltagabbana sono tutti quelli che cambiano parte politica, tu invece sostieni che voltagabbana è solo chi passa da sinistra a destra mentre chi fa il percorso inverso è un illuminato. Lo pensi ancora?
"No, voltagabbana sono entrambi. Ma penso che esistano voltagabbana migliori e peggiori. Io penso che le scelte della vita si fanno in base a dei valori. E che i valori della sinistra siano meglio di quelli della destra. La solidarietà, l'uguaglianza, la giustizia non le ritrovo nella destra. Che banalizzando è: a ciascuno secondo il merito, se uno nasce ricco deve rimanere ricco, della giustizia sociale ce ne sbattiamo le palle, siamo per il liberismo".
A destra tutti ricchi e biechi profittatori, a sinistra tutti poveri e buoni. Mi sembra un po' ingenuo.
"Sto parlando di valori, non di persone. Se una guardia diventa ladro non è la stessa cosa che se un ladro diventa guardia".
No, nelle tue interviste si parla di persone. Tra i voltagabbana più citati ci sono Buttiglione, Adornato, Renzo Foa, Paolo Guzzanti, Ferrara, Liguori, Marcenaro. Tutti da sinistra a destra. È un caso?
"È stato il momento storico, quando il potere è a destra, la sinistra va da quelle parti. Quando la sinistra sembra poter vincere, si intravedono transumanze contrarie".
Pensi a Cirino Pomicino?
"E anche a Mastella. Ma in passato ho intervistato Scognamiglio e la Pivetti. E c'è anche Misserville, il fascista che è diventato sottosegretario con D'Alema".
Qual è il peggior vizio del voltagabbana?
"Romiti disse: se uno cambia gabbana deve restituire la dote. Deve dimettersi. Qua non c'è mai nessuno che si dimettte. Addirittura Mastella sostiene che i voti sono suoi. Io dico: se uno cambia ma si dimette e quindi perde, non è un voltagabbana. Romiti ha ragione".
Romiti ha sempre ragione. Quando facevi la serie degli adulatori ti hanno chiesto come mai non parlavi mai male di Romiti...
"E io avevo risposto la verità: perché parlarne male, è una così brava persona...".
Adesso parlami di Vittorio Colao.
"Anche lui, un'ottima persona. È incredibile, sono circondato da bravissime persone...".
È peggio essere voltagabbana o adulatore?
"Normalmente i voltagabbana sono anche lecchini. Un lecchino può essere anche fedelissimo. Diciamo che il voltagabbana è più completo".
Tra i tuoi intervistati ci sono poche voltagabbana donne. Siamo più coerenti?
"È vero, tranne la Pivetti, che per riconoscenza avrebbe dovuto essere leghista a vita, non ci sono voltagabbana femmine".
Forse perché le donne di potere sono poche?
"E anche perché hanno un modo diverso di gestirlo. Guardano alle cose concrete e i potenti non le ritengono affidabili perché sono più corrette. Però è un po' come la volpe e l'uva: anche io non sono voltagabbana forse perché nessuno mi ha mai offerto niente".
Chi sono i tuoi amici? Qual è il tuo network?
"Il mio network è sempre quello di Panorama di Lamberto Sechi. Per il breve periodo che ho lavorato a Repubblica ho sfiorato il network dell'Espresso, ma quello è di gente bene, io non venivo ammesso. I miei amici sono Rachele Enriquez, Valeria Gandus, Luca Grandori, Silvia Di Rienzo, Valentina Strada, Giulio Anselmi. Anche se io abito a Trento, ci vediamo a cena spesso".
Nemici?
"Le querele definiscono automaticamente dei nemici. Previti per esempio mi ha querelato due volte. È un doppio nemico. Ma in realtà non è nemico mio, è nemico dell'Italia. Poi c'è Feltri, mi ha querelato per un articolo su Cuore. Anche se trovo veramente sconvolgente che un giornalista usasse l'arma della diffamazione contro un collega, io non ce l'ho con lui perché mi ha querelato, ce l'ho con lui perché non è più il grande giornalista di una volta".
Sei litigioso?
"A Cuore litigavo tutti i giorni".
Perché avevi deciso di cambiare la linea di Michele Serra, cioè abbandonare la satira pura e fare più giornalismo d'inchiesta?
"Non solo. Avere rapporti con i disegnatori di satira politica vuol dire essere masochisti. La banda dei romani, Vincino, Vauro, Mannelli, dei rompicoglioni incredibili. Ogni volta che usciva il numero mi telefonavano per insultarmi. Siamo rimasti grandi amici, ma era una rissa continua".
A Cuore hanno minacciato di scioperare perché volevi far scrivere Massimo Fini.
"Protestarono, ma Fini scrisse tranquillamente. La solita intolleranza della sinistra per chiunque non sia assolutamente di sinistra come sono loro. Poi come sono loro non si sa, ma Massimo a quei tempi passava addirittura per fascista. Che non fosse vero lo dimostra il fatto che oggi è considerato un pericoloso comunista".
Chi ti ha chiesto di essere intervistato?
"All'inizio c'era gente che mi chiamava e mi diceva: "Bella l'intervista che hai fatto a tizio, ma anche io ne avrei di cose da raccontare...". Una volta mi scrisse una lettera il figlio di Ettore Bernabei: la smetta di intervistare sempre i soliti noti, intervisti la gente che sa le cose. Allora intervistai lui che è un famosissimo gerontologo. Altri mi scrivono: basta coi vip, faccia parlare la casalinga di Voghera. Ma ormai la casalinga di Voghera è più famosa di Andreotti".
Essere intervistati da Sabelli è diventato uno status symbol?
"C'era un periodo che sul Foglio Diaco continuava a scrivere: perché Sabelli non mi intervista? Mi telefonava, io vigliaccamente non mi facevo trovare. Me l'hanno riproposto ancora l'altro ieri. È una cosa opprimente. Ma ci sono anche richieste legittime. Ferdinando Adornato ha domandato di essere intervistato "per fatto personale", per polemizzare con Barbara Palombelli. Pretese che scrivessi che era stato lui a chiederlo. Poi hanno fatto la pace".
C'è qualcuno sul quale hai posto il veto?
"Ovviamente su Diaco, anche se nessuno mi aveva chiesto di intervistarlo. E poi su Cecchi Paone".
Che ti ha fatto Cecchi Paone?
"Cecchi Paone è un mio amico. Quando ha fatto outing e ha scelto Vanity Fair io ci sono rimasto male. Poi quando Vattimo in un'altra intervista l'ha definito "una cloaca umana" mi ha chiesto un'intervista riparatoria. Ma io ce l'avevo con lui e gli ho detto no".
C'è qualcuno che ha detto no a te?
"Mi hanno detto di no la Cancellieri, Afef, la Gruber, Socci, Formica, Deaglio, Luttazzi, Girotto "Fratello Mitra" e tanti altri. Alcuni prima ti dicono di no, poi finiscono in disgrazia o scrivono un libro e allora ti cercano. Santoro e la De Filippi prima dissero no e poi sì. Gianni Letta disse no, ed è l'unico che capisco: è depositario di troppi segreti. Alain Elkann ha interrotto l'intervista a metà".
Perché?
"Non ho mai capito perché. Mi ha detto: ho cambiato idea, non la voglio più fare. Tra l'altro io do a tutti il diritto di rileggere l'intervista e anche di ripensarci".
Ma che allievo di Sechi sei, fai rileggere le interviste?
"Non trovo che far rileggere le interviste sia un atto di sottomissione. In genere cambiano pochissimo. Le parole dell'intervistato appartengono a lui".
Qualcuno ti ha chiesto di fare modifiche?
"Ci sono i signori e i maestrini. Teodoro Buontempo si è rifiutato di rileggerla. Ombretta Colli non ha cambiato una virgola, Filippo Ceccarelli mi ha telefonato: "Pura poesia". Gad Lerner invece voleva correggere anche le virgole. E tu questa intervista me la fai rileggere?".
Certo, a patto che non cambi niente. E a patto che facciamo il gioco della torre. Chi butti tra Rutelli e Prodi?
"Premetto che ti rispondo come i miei intervistati. Cazzullo me l'aveva fatto notare, che spesso gli intervistati rispondono per fatto personale. Hitler o Madre Teresa? Hitler, perché non mi ha risposto al telefono. E quindi ti dico: Rutelli, perché una volta si è arrabbiato con me per un articolo sulla sua casa al mare".
Veltroni o D'Alema?
"Butto D'Alema, perché ha detto che non bisogna leggere i giornali".
Feltri o Belpietro?
"Butto Feltri".
Ma ce l'hai proprio con Feltri. Sarà perché siamo sul giornale di Belpietro?
"Se l'adulatore che è in fondo al mio cuore vincesse direi che è per questo e perché Belpietro mi ha fatto un'intervista più bella di quella di Feltri. In realtà butto Feltri così almeno non mi querela più".
Costanzo o Vespa?
"Assolutamente in maniera prioritaria e godendo intensamente, butto Vespa. Perché ha inventato e imposto una formula di giornalismo che non cessa di spiacermi. Perché lo trovo un grande adulatore di chiunque sia potente, anche se è vero che molti potenti adulano lui. È un incrocio di adulazione tremendo. Consente tutto ai suoi intervistati, i teatrini coi cani, coi risotti, con le racchette da tennis e con le scrivanie di ciliegia. L'infotainment mi fa schifo".
Il Foglio o il Riformista?
"Ho sempre comprato il Foglio e ho smesso di comprare il Riformista. Del Foglio mi piaceva la letterina di Mattia Feltri, Guia Soncini, Marcenaro. Adesso Marcenaro s'è incarognito, la Soncini dà segnali di stanchezza, Feltri se n'è andato a Libero e comunque non mi piace più. Mattia Feltri si è infeltrito. Ferrara rimane sempre una grande lettura, anche per dire: guarda che cazzate scrive".
Palombelli o Ritanna Armeni?
"Ritanna, che avevo sconsigliato ad accettare il programma, è molto brava a reggere Ferrara".
Istituiamo un premio Zelig, da assegnare al più voltagabbana che hai mai intervistato. Chi lo vince?
"Carlo Rossella in assoluto. Per numero di voltafaccia se la gioca con Giulio Savelli, ma Giulio è passato dai trotzkisti alla Lega e Forza Italia con un certo candore. Figurati che noi di Panorama già allora Rossella lo chiamavamo Zelig. Lui ogni volta che cambia ci crede, si traveste e assume le sembianze. Avresti dovuto vederlo quando faceva il cossuttiano".
Faccio una certa fatica a immaginarmi Rossella cossuttiano...
"A quell'epoca se lo vedevi per strada dicevi: guarda quel cossuttiano. Sembrava un sovietico triste. Quando faceva Il Grande Gatsby, era Il Grande Gatsby. Ha fatto Il Grande Inviato Speciale, il capo degli anarchici di Pavia, il militante di Lotta Continua. Ne ha fatte di tutti i colori. E noi che lo conoscevamo ci domandavamo: da che si è mascherato oggi Carlo? Quando l'avevano fatto direttore del Tg1, aveva convinto perfino Cossutta che telefonò a un amico e disse: ma lo sa che hanno fatto uno dei miei direttore del Tg1? Rossella è Zelig, in questo non è un voltagabbana".
Ps. Come da richiesta Sabelli Fioretti ha riletto l'intervista. Ha chiesto una sola modifica, che gli accordiamo: "Vedrai una splendida intervista a Cecchi Paone in uno dei prossimi numeri. In fondo sono anch'io un voltagabbana".
26.10.04
La parola all'esperto
"BANANAS" di Marco Travaglio
Va affermandosi in Italia un nuovo mestiere di sicuro avvenire: il commentatore di sentenze mai lette. E' un po' come il recensore di film mai visti, che pretende di spiegare a chi li ha visti di che cosa parlano e come gli sono sembrati. Naturalmente, non avendoli visti, non ha la più pallida idea di che si tratti e dunque procede a tentoni, tira a indovinare, si barcamena come lo scolaro interrogato che non ha studiato. Ma mentre il recensore e lo scolaro rimediano figure barbine e voti bassissimi, il commentatore di sentenze mai lette ha l'applauso assicurato. Perché nel regime italiota si ritrova in assoluta maggioranza, circondato da persone che le sentenze non le hanno mai lette ma, come lui, le commentano copiosamente. A trovarsi a disagio, nel regime italiota, è colui - esemplare rarissimo, pressoché estinto - che le sentenze le conosce. Dunque, non ha diritto di parola. E, se per caso dice qualcosa, viene immediatamente zittito, sputacchiato, svergognato, minacciato, proposto per punizioni esemplari. L'ultimo caso del genere s'è verificato a proposito della sentenza della Cassazione su Andreotti, gabellata a reti unificate per un'assoluzione liberatoria, una beatificazione plenaria. Gian Carlo Caselli, uno dei tre o quattro in Italia che la conoscono (o meglio, conoscono la sentenza d'appello che la Cassazione ha confermato), ha tentato timidamente in un articolo sulla Stampa di ricordare di che si sta parlando: "La Cassazione - ha scritto - ribadendo l'assoluzione per i fatti successivi, ha confermato che fino alla primavera del 1980 l'imputato ha commesso il reato di associazione con i mafiosi dell'epoca, capeggiati da Stefano Bontade, autori di gravissimi delitti". Apriti cielo. Nessuno ha potuto smentire, sentenza alla mano, quel che ha scritto Caselli, anche perché la sentenza non l'ha letta nessuno. Ma nel regime italiota non ci si perde d'animo per così poco. Così, a Camere unificate, i politici di destra e di sinistra (con la lodevole eccezione dei Ds e Di Pietro) hanno zittito Caselli all'insegna del "come si permette?". E' come se le tv dicessero che il film "Troy" parla dell'attacco a Pearl Harbour e il regista provasse a obiettare che, in realtà, si parla della guerra di Troia, ma venisse zittito come un impiccione importuno.
"Quello di Caselli - dice al Giornale Paolo Cento dei Verdi - è un intervento inopportuno perché il processo si è concluso con un'assoluzione e bisogna rispettare la sentenza". Non gli viene neppure in mente che, per rispettarla, bisognerebbe almeno darle un'occhiata. Così magari si scoprirebbe che l'assoluzione riguarda il periodo 1980-1993, mentre per il periodo fino al 1980 il reato è stato commesso e accertato, ma l'imputato sé salvato per prescrizione. Poi c'è l'onorevole Enrico Buemi dello Sdi, quello che l'anno scorso propose in tandem con Carlo Taormina di depenalizzare il reato di furto. Stavolta pontifica su Andreotti e sostiene che "Caselli si arrampica sugli specchi per difendere quello che ha fatto" e che "tutto il processo Andreotti nasce da una pericolosissima confusione tra le responsabilità politiche e quelle penali che attivano processi mostruosi come quello che lo ha riguardato". Ma qui di pericolosissimo e mostruoso c'è solo l'ignoranza (dal verbo ignorare) del Buemi sul processo Andreotti: Se la Corte d'appello di Palermo ha accertato che il sette volte presidente del Consiglio incontrò due volte il boss dei boss Stefano Bontade, prima e dopo il delitto Mattarella, e intrattenne "amichevoli relazioni" con i vertici di Cosa nostra, "chiedendo favori" e fornendo "suggerimenti", di quali "responsabilità politiche" va cianciando questo Buemi? Le "amichevoli relazioni", i suggerimenti e gli scambi di favori con la mafia sono responsabilità penali, configurano un reato ben preciso che si chiama associazione mafiosa (prima del 1982, quando fu introdotto quel delitto specifico, si chiama associazione per delinquere semplice). Anche Giuseppe Fanfani della Margherita ha censurato Caselli, dicendo che "le sentenze non si commentano mai": ora, a parte il fatto che i politici non fanno altro che commentare sentenze, Caselli non ha affatto commentato quella della Cassazione e della Corte d'appello. Ha semplicemente informato i lettori della Stampa del contenuto di quelle sentenze, perché ciascuno potesse farsene un'idea. Magari criticare aspramente i giudici, ma sapendo almeno che cosa avevano scritto. Formidabile il commento di Ottaviano Del Turco, già presidente dell'Antimafia, che qualche sillaba della sentenza avrebbe dovuto pur leggerla: "Non capisco perché una parte della sinistra italiana continui a sottoscrivere una visione della storia d'Italia come se fosse stata governata per 50 anni da mafiosi e piduisti". Dunque non solo la mafia non ha mai avuto rapporti con la politica, ma nemmeno la P2. Gelli non è mai esistito, Berlusconi non è mai stato iscritto alla P2 insieme a generali, ministri, sottosegretari, giornalisti, lo dice l'ex presidente dell'Antimafia, allegria.
Se il centrosinistra ha reagito così, figurarsi il centrodestra. Il prof. pres. on. avv. Pecorella sostiene che "prescrizione non significa che il reato è stato commesso, ma che non c'era l'evidenza che fosse stato commesso". Se avesse letto almeno il dispositivo (12 righe) della sentenza d'appello confermata in Cassazione, avrebbe trovato proprio ciò che lui nega: e cioè che il reato di associazione per delinquere è stato "commesso", è "concretamente ravvisabile", è provato, ma "estinto per prescrizione". Poi c'è il leggendario Giovanardi, quello che fa addirittura il ministro e che riesce a scrivere libri (anzi uno solo, sempre lo stesso) sulle sentenze, senza conoscerle. "Caselli - dice il Giovanardi - persevera nel gettare fango su Andreotti, confermando che per alcuni pm malati di ideologia il loro imputato sia comunque colpevole anche se assolto in tre gradi di giudizio". Il concetto di prescrizione non riesce proprio a entrargli in testa: è più grande di lui.
"BANANAS" di Marco Travaglio
Va affermandosi in Italia un nuovo mestiere di sicuro avvenire: il commentatore di sentenze mai lette. E' un po' come il recensore di film mai visti, che pretende di spiegare a chi li ha visti di che cosa parlano e come gli sono sembrati. Naturalmente, non avendoli visti, non ha la più pallida idea di che si tratti e dunque procede a tentoni, tira a indovinare, si barcamena come lo scolaro interrogato che non ha studiato. Ma mentre il recensore e lo scolaro rimediano figure barbine e voti bassissimi, il commentatore di sentenze mai lette ha l'applauso assicurato. Perché nel regime italiota si ritrova in assoluta maggioranza, circondato da persone che le sentenze non le hanno mai lette ma, come lui, le commentano copiosamente. A trovarsi a disagio, nel regime italiota, è colui - esemplare rarissimo, pressoché estinto - che le sentenze le conosce. Dunque, non ha diritto di parola. E, se per caso dice qualcosa, viene immediatamente zittito, sputacchiato, svergognato, minacciato, proposto per punizioni esemplari. L'ultimo caso del genere s'è verificato a proposito della sentenza della Cassazione su Andreotti, gabellata a reti unificate per un'assoluzione liberatoria, una beatificazione plenaria. Gian Carlo Caselli, uno dei tre o quattro in Italia che la conoscono (o meglio, conoscono la sentenza d'appello che la Cassazione ha confermato), ha tentato timidamente in un articolo sulla Stampa di ricordare di che si sta parlando: "La Cassazione - ha scritto - ribadendo l'assoluzione per i fatti successivi, ha confermato che fino alla primavera del 1980 l'imputato ha commesso il reato di associazione con i mafiosi dell'epoca, capeggiati da Stefano Bontade, autori di gravissimi delitti". Apriti cielo. Nessuno ha potuto smentire, sentenza alla mano, quel che ha scritto Caselli, anche perché la sentenza non l'ha letta nessuno. Ma nel regime italiota non ci si perde d'animo per così poco. Così, a Camere unificate, i politici di destra e di sinistra (con la lodevole eccezione dei Ds e Di Pietro) hanno zittito Caselli all'insegna del "come si permette?". E' come se le tv dicessero che il film "Troy" parla dell'attacco a Pearl Harbour e il regista provasse a obiettare che, in realtà, si parla della guerra di Troia, ma venisse zittito come un impiccione importuno.
"Quello di Caselli - dice al Giornale Paolo Cento dei Verdi - è un intervento inopportuno perché il processo si è concluso con un'assoluzione e bisogna rispettare la sentenza". Non gli viene neppure in mente che, per rispettarla, bisognerebbe almeno darle un'occhiata. Così magari si scoprirebbe che l'assoluzione riguarda il periodo 1980-1993, mentre per il periodo fino al 1980 il reato è stato commesso e accertato, ma l'imputato sé salvato per prescrizione. Poi c'è l'onorevole Enrico Buemi dello Sdi, quello che l'anno scorso propose in tandem con Carlo Taormina di depenalizzare il reato di furto. Stavolta pontifica su Andreotti e sostiene che "Caselli si arrampica sugli specchi per difendere quello che ha fatto" e che "tutto il processo Andreotti nasce da una pericolosissima confusione tra le responsabilità politiche e quelle penali che attivano processi mostruosi come quello che lo ha riguardato". Ma qui di pericolosissimo e mostruoso c'è solo l'ignoranza (dal verbo ignorare) del Buemi sul processo Andreotti: Se la Corte d'appello di Palermo ha accertato che il sette volte presidente del Consiglio incontrò due volte il boss dei boss Stefano Bontade, prima e dopo il delitto Mattarella, e intrattenne "amichevoli relazioni" con i vertici di Cosa nostra, "chiedendo favori" e fornendo "suggerimenti", di quali "responsabilità politiche" va cianciando questo Buemi? Le "amichevoli relazioni", i suggerimenti e gli scambi di favori con la mafia sono responsabilità penali, configurano un reato ben preciso che si chiama associazione mafiosa (prima del 1982, quando fu introdotto quel delitto specifico, si chiama associazione per delinquere semplice). Anche Giuseppe Fanfani della Margherita ha censurato Caselli, dicendo che "le sentenze non si commentano mai": ora, a parte il fatto che i politici non fanno altro che commentare sentenze, Caselli non ha affatto commentato quella della Cassazione e della Corte d'appello. Ha semplicemente informato i lettori della Stampa del contenuto di quelle sentenze, perché ciascuno potesse farsene un'idea. Magari criticare aspramente i giudici, ma sapendo almeno che cosa avevano scritto. Formidabile il commento di Ottaviano Del Turco, già presidente dell'Antimafia, che qualche sillaba della sentenza avrebbe dovuto pur leggerla: "Non capisco perché una parte della sinistra italiana continui a sottoscrivere una visione della storia d'Italia come se fosse stata governata per 50 anni da mafiosi e piduisti". Dunque non solo la mafia non ha mai avuto rapporti con la politica, ma nemmeno la P2. Gelli non è mai esistito, Berlusconi non è mai stato iscritto alla P2 insieme a generali, ministri, sottosegretari, giornalisti, lo dice l'ex presidente dell'Antimafia, allegria.
Se il centrosinistra ha reagito così, figurarsi il centrodestra. Il prof. pres. on. avv. Pecorella sostiene che "prescrizione non significa che il reato è stato commesso, ma che non c'era l'evidenza che fosse stato commesso". Se avesse letto almeno il dispositivo (12 righe) della sentenza d'appello confermata in Cassazione, avrebbe trovato proprio ciò che lui nega: e cioè che il reato di associazione per delinquere è stato "commesso", è "concretamente ravvisabile", è provato, ma "estinto per prescrizione". Poi c'è il leggendario Giovanardi, quello che fa addirittura il ministro e che riesce a scrivere libri (anzi uno solo, sempre lo stesso) sulle sentenze, senza conoscerle. "Caselli - dice il Giovanardi - persevera nel gettare fango su Andreotti, confermando che per alcuni pm malati di ideologia il loro imputato sia comunque colpevole anche se assolto in tre gradi di giudizio". Il concetto di prescrizione non riesce proprio a entrargli in testa: è più grande di lui.
25.10.04
Lettera agli elettori di Elisabetta Gardini
Cara Elettrice, caro Elettore,
voglio aprirti il mio cuore con semplicità e invitarti ad una riflessione, fuori dai clamori elettorali di questi giorni.
Vivo come te un momento quanto mai difficile, con il tormento in più che hanno i cattolici e le madri.
Come a te, mi sta a cuore la libertà, la mia, quella di mio figlio e della mia famiglia. Per essa è stato versato molto sangue, anche americano, inglese e polacco.
L'occidente subisce nel suo insieme un attacco violento e inaspettato, con migliaia di morti sotto la minaccia costante del terrorismo di matrice islamica, della cui crudeltà siamo tutti consapevoli.
L'attentato alle torri gemelle di New York ha cambiato il corso della storia, ha incrinato le nostre certezze, generato due guerre, rinvigorito i focolai nazionalisti, riacceso le spinte separatiste e rianimato la lotta armata dei gruppi antimperialisti.
Tanti terroristi italiani vivono indisturbati all'estero e molte cellule islamiche si sono sviluppate in questi anni in Italia, favorite anche da un'immigrazione senza regole e adeguati controlli.
L' Europa è coinvolta nel conflitto, come l'America. Non può sottrarsi: ne va del benessere delle sue genti, della sua civiltà, del suo futuro.
L'Europa riscopre ed esalta le sue radici cristiane, che non hanno solo un significato religioso. Mi riempie di gioia l'ingresso nella Comunità di paesi finalmente sottratti alle dittature.
Per oltre cinquant'anni vissero sotto il giogo comunista, separati dalla Casa comune ed esclusi dal processo di sviluppo delle altre nazioni.
Con il Muro di Berlino è caduta anche l'infamia aberrante del Patto di Yalta.
Un errore che l'Occidente ha pagato a caro prezzo con il rischio di vedere sventolare le bandiere del totalitarismo a Trieste, se non fossero intervenuti il coraggio, l'orgoglio e il sacrificio giuliano.
Oggi si sente la necessità di ricompattarsi intorno ai valori fondanti del vivere civile, contro un nemico comune che si fa beffe della sacralità della vita.
L'Europa é debole. Il vento della paura piega le sue democrazie al ricatto del terrore. Aleggia il fantasma di una Guerra Santa che celebra la morte, contro cui non è in grado di opporre i suoi modelli, la sua tradizione, la sua spiritualità: l'Europa rischia di spegnersi.
L'Europa deve innanzitutto imparare a parlare al mondo con una politica univoca, che tenga conto delle sue origini e dei suoi principi, come la vollero i padri fondatori De Gasperi, Adenauer e Shuman, cristiani temprati dalla storia e dalla fede.
Se ami la vita, perchè deve essere rispettata dal concepimento fino all'ultimo respiro, se intendi che "pace" significa anche "stare in pace" con sé e con gli altri, se, come me, non puoi fare a meno della libertà di esistere e sei pronta a difenderla, mi permetto di chiedere il tuo voto e quello dei tuoi.
Nel nome di questi ideali considerami, in questo, a tua disposizione.
Elisabetta Gardini
Cara Elettrice, caro Elettore,
voglio aprirti il mio cuore con semplicità e invitarti ad una riflessione, fuori dai clamori elettorali di questi giorni.
Vivo come te un momento quanto mai difficile, con il tormento in più che hanno i cattolici e le madri.
Come a te, mi sta a cuore la libertà, la mia, quella di mio figlio e della mia famiglia. Per essa è stato versato molto sangue, anche americano, inglese e polacco.
L'occidente subisce nel suo insieme un attacco violento e inaspettato, con migliaia di morti sotto la minaccia costante del terrorismo di matrice islamica, della cui crudeltà siamo tutti consapevoli.
L'attentato alle torri gemelle di New York ha cambiato il corso della storia, ha incrinato le nostre certezze, generato due guerre, rinvigorito i focolai nazionalisti, riacceso le spinte separatiste e rianimato la lotta armata dei gruppi antimperialisti.
Tanti terroristi italiani vivono indisturbati all'estero e molte cellule islamiche si sono sviluppate in questi anni in Italia, favorite anche da un'immigrazione senza regole e adeguati controlli.
L' Europa è coinvolta nel conflitto, come l'America. Non può sottrarsi: ne va del benessere delle sue genti, della sua civiltà, del suo futuro.
L'Europa riscopre ed esalta le sue radici cristiane, che non hanno solo un significato religioso. Mi riempie di gioia l'ingresso nella Comunità di paesi finalmente sottratti alle dittature.
Per oltre cinquant'anni vissero sotto il giogo comunista, separati dalla Casa comune ed esclusi dal processo di sviluppo delle altre nazioni.
Con il Muro di Berlino è caduta anche l'infamia aberrante del Patto di Yalta.
Un errore che l'Occidente ha pagato a caro prezzo con il rischio di vedere sventolare le bandiere del totalitarismo a Trieste, se non fossero intervenuti il coraggio, l'orgoglio e il sacrificio giuliano.
Oggi si sente la necessità di ricompattarsi intorno ai valori fondanti del vivere civile, contro un nemico comune che si fa beffe della sacralità della vita.
L'Europa é debole. Il vento della paura piega le sue democrazie al ricatto del terrore. Aleggia il fantasma di una Guerra Santa che celebra la morte, contro cui non è in grado di opporre i suoi modelli, la sua tradizione, la sua spiritualità: l'Europa rischia di spegnersi.
L'Europa deve innanzitutto imparare a parlare al mondo con una politica univoca, che tenga conto delle sue origini e dei suoi principi, come la vollero i padri fondatori De Gasperi, Adenauer e Shuman, cristiani temprati dalla storia e dalla fede.
Se ami la vita, perchè deve essere rispettata dal concepimento fino all'ultimo respiro, se intendi che "pace" significa anche "stare in pace" con sé e con gli altri, se, come me, non puoi fare a meno della libertà di esistere e sei pronta a difenderla, mi permetto di chiedere il tuo voto e quello dei tuoi.
Nel nome di questi ideali considerami, in questo, a tua disposizione.
Elisabetta Gardini
L'ordinanza del GIP di Bari sul rapimento di italiani in Iraq
(dal sito di Magistratura Democratica)
TRIBUNALE DI BARI
Sezione del giudice per le indagini preliminari
ORDINANZA DI APPLICAZIONE DI MISURA CAUTELARE
NON RESTRITTIVA
Proc. n. 8880/04-21 R.N.R.
Proc. n. 12546/04 R.G.G.I.P.
Il giudice
Giuseppe De Benedictis
In relazione alla richiesta presentata dal Pubblico Ministero, pervenuta a questo Ufficio in data 30.9.2004 per ottenere l’applicazione della misura cautelare del divieto di espatrio, nei confronti di:
SPINELLI (omissis), res. Sammichele di Bari (omissis), persona attualmente indagata per il delitto di cui all’art. 288 C.p. perché, in concorso con altre persone, procedeva nel territorio dello Stato e senza l’approvazione del Governo all’arruolamento di Forese Dridi, Agliana Maurizio e Cupertino Umberto affinché militassero in territorio irakeno in favore di forze armate straniere (angloamericane, per la precisione), in concerto ed in cooperazione con le medesime, in contrapposizione a gruppi armati stranieri.
Fatto commesso in Sammichele di Bari in epoca antecedente e prossima al 4 aprile del 2004.
Letti gli atti del fascicolo inviato in visione dal P.M., in particolare l’interrogatorio dell’indagato stesso, reso al P.M. di Bari il 20.9.2004, la nota della Procura di Brescia n. 12736/04 mod. 44 del 24.4.2004, la informativa della DIGOS di Bari del 30.4.2004, quella del 26.5.2004, quella del 9.6.2004 e quella del 9.7.2004, nonché le dichiarazioni testimoniali rese alla Questura di Pratoi da Vernis Andrè Gabriel Joseph il 5.5.2004, alla Questura di Genova da Forese Dridi il 12.5.2004 con la allegata copia del cosiddetto “accordo professionale” tra il Forese e la “Presidium International Corporation” con sede legale alle Seychelles, da Meli Cristiano il 5.7.2004 e da Casti Paolo il 17.6.2004 (con allegata email inviata il 12.1.2004 da tale “Paolo Simeone” all’indirizzo paol.casti@(omissis) dove il Casti è indicato come “Mamutones” e la risposta del Casti al Simeone, all’indirizzo closeprotectioniraq@hotmail.com del giorno dopo le dichiarazioni di Agliana Maurizio e Cupertino Umberto alla Procura Antimafia della Repubblica di Genova (rese però presso gli uffici della D.N.A. di Roma) il 6.7.2004; preso atto infine che, così come richiesto dal primo comma dell’art. 313 C.p., per tale delitto ipotizzato a carico dello SPINELLI il Ministero della Giustizia, con propria nota n. prot. 212-2-676/2004/2971/04 del 20.7.2004 ha concesso l’autorizzazione a procedere a scioglimento della riserva precedentemente formulata, osserva quanto segue.
***
Appare invero inutile in questa sede, non fosse altro che per il clamore sollevato per settimane durante e dopo la vicenda dei quattro ostaggi italiani sequestrati in Irak da uno dei tanti gruppuscoli islamici che compongono attualmente il panorama di guerriglieri anti-americani (rectius anti-occidentali) in quello sfortunato paese, ricordare quella vicenda, che si concluse peraltro con la barbara esecuzione di uno dei quattro; quello che preme, invece, in questa vicenda, è ricostruire le responsabilità penali di una persona che ebbe un ruolo primario nella partenza di quei quattro cittadini italiani per l’Irak e, soprattutto, per la definizione dell’incarico che in quel paese straniero gli stessi avrebbero svolto.
Premesso che il procedimento in questione ha preso le mosse da una iscrizione a carico di ignoti n. 5828 mod. 44 del corrente anno, per i reati di cui agli art. 288, 289 bis in relazione all’art. 575 C.p. commesso nel territorio dell’Irak da ignoti ai danni di Quattrocchi Fabrizio (gli atti relativi all’omicidio del cittadino italiano sono stati comunque trasmessi alla Procura della Repubblica di Roma, che per prima aveva proceduto alla iscrizione del relativo procedimento penale per l’eventuale identificazione dei relativi responsabili) proseguendo la Procura di Bari le indagini relative all’ipotizzato delitto di cui all’art. 288 C.p.p., che dai primi accertamenti risultava essersi consumato nel territorio di Bari, realizzando all’uopo un proficuo scambio di informazioni con la Procura del Tribunale di Genova, per analogo reato commesso in quel territorio.
A seguito di tali indagini una prima informativa a carico dello SPINELLI era redatta il 26.5.2004 dalla DIGOS locale ed il 3.6.2004 si iscriveva il fascicolo mod. 21 a suo nome (del quale trattiamo in questa sede) per il delitto di cui all’art. 288 C.p. da lui commesso in Sammichele di Bari, in concorso con altri, in epoca prossima ed anteriore al 4 aprile del corrente anno.
Invero le indagini hanno consentito sinora di accertare che era effettivamente vero quanto ipotizzato, subito dopo il sequestro dei quattro italiani in Irak, che essi erano sul territorio di quel paese in veste di mercenari, o, quantomeno, di “gorilla” a protezione di uomini di affari in quel martoriato paese.
Per la precisione, in un articolo di stampa apparso anche sul locale quotidiano de “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 21.4.2004 (pag. 3), il giornalista Boccardi Stefano riportava una intervista rilasciata telefonicamente dall’Irak da un quinto cittadino italiano, lo SPINELLI, appunto, amico e compaesano del Cupertino, nella quale lo SPINELLI, appresa la notizia dell’apertura di una inchiesta sulla vicenda degli ostaggi in Irak, difendeva i quattro amici, additati come “mercenari” e si rendeva disponibile a qualsiasi tipo di chiarimento sul tipo di servizio che gli stessi di fatto svolgevano in quel paese, identificati dallo SPINELLI come – ed unicamente – addetti alla sicurezza dei civili. In quello stesso articolo sif aceva cenno ad una società con sede centrale alle Seychelles, la “Presidium”, della quale lo SPINELLI affermava pubblicamente di essere il referente per l’Italia, asserendo addirittura di averne istituito una succursale nel suo paese (Sammichele di Bari).
In realtà le indagini espletate, ed in particolare le dichiarazioni dei due ostaggi Agliana e Cupertino e di altri testi, nonché i testi di vari e-mail (ed in particolare quelle ricordate sopra, intercorse il 12 e 13 gennaio 2004 tra Casto e Simeoni) permettevano di approfondire la natura dei rapporti tra SPINELLI e la “Presidium Corporation” e, soprattutto, la reale funzione svolta in Irak dagli uomini arruolati in Italia dallo SPINELLI per conto di tale società estera.
La “Presidium”, infatti, così come si legge nel suo sito internet, si autodescrive come società “leader nell’addestramento operativo in Paesi ad alto rischio”, ed oltre la sede centrale nel paradiso fiscale delle Seychelles, ha alcune succursali in altri Paesi, Italia inclusa; le ulteriori, e meglio particolareggiate, finalità della “Presidium” sono poi riportate nelle pagine web del sito di tale società, e tutte indicano servizi non solo relativi alla sicurezza di persone ad alto rischio (quindi si tratta di gorilla o bodyguard, che dir si voglia), ma addirittura offrono corsi di formazione per persone che vogliano intraprendere attività a dir poco peculiari quali “negoziazione per la risoluzione di rapimenti”, “controspionaggio”, “piani di evacuazione”, “ricognizioni”, “sminamento e bonifica nel territorio” e, in modo ancor più palese, “combattimento nella jungla”, in ambiente “urbano”, nel “deserto”, “commandos”, “controterrorismo”, “controguerriglia” e, addirittura, “controsorveglianza” (cioè tecniche per elude la sorveglianza di altri bodyguard, il che vuol dire per scopi solitamente poco edificanti, quali il rapimento e l’omicidio della persona protetta), attività che caratterizzano in maniera abbastanza palese, qualsiasi cosa ne dicesse SPINELLI nel suo articolosopra citato pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, la “Presidium Corporation” come un centro di addestramento ed arruolamento di mercenari (o peggio, come farebbe pensare la scelta della sede centrale in un paradiso fiscale e la relativa tranquillità che offre, per la proprio pubblicità, l’uso di un sito internet, consultabile da tutti ma rintracciabile, nella sua fonte, da pochi e come avvalora, almeno per il nostro Paese, la politica “aziendale” di detta società estera di aprire delle succursali praticamente solo virtuali, in quanto, per esempio, la sede di Olbia della “Presidium” corrisponde praticamente ad una scuola per addestramento di sommozzatori denominata “Stemasud” – il cui titolare, come da rapporto in atti della P.S. di quel centro sardo, sembra essere estraneo alle attività oggi contestate allo SPINELLI – e la sede di Sammichele di Bari pubblicizzata dall’odierno indagato corrisponde ad una vecchia abitazione fatiscente e disabitata da lungo tempo).
Il ruolo dello SPINELLI nell’arruolamento di cittadini italiani da mandare in Irak con compiti del tutto identici a quelli di militari, invece, emerge da alciune dichiarazioni rese da testimoni, in particolare dal Forese, ed hanno evidenziato il suo centrale ed insostituibile ruolo di anello di collegamento tra la “Presidium” ed i cittadini italiani sequestrati.
Lo SPINELLI, anzitutto, può essere – alla luce delle indagini svolte dalla DIGOS – considerato una guardia del corpo professionista, come si può dedurre da una sua specia di lettera di referenze rilasciata dal medesimo nel sito internet www.kali.it, decantando la sua abilità con le arti marziali e tecniche di combattimento ravvicinato e nello stesso documento lo SPINELLI si definiva altresì come socio di una società di protezione e sicurezza con sede a Nizza di nome “Bodyguard Europe 2000”, che si occupava anch’essa, guarda caso, di formazione ed addestramento di operatori per la sicurezza privati, esaltando i metodi particolarmente “duri” di addestramento, affermando che per entrare a frequentare tali corsi occorreva avere già una pregressa esperienza, come quella in possesso di giovani ex militanti di reparti speciali di Forze Armate e di praticanti abituali di arti marziali, parlando nella stessa di “tecniche di tiro operativo antiterrorismo”, terminolgia che richiama l’addestramento tattico militare degli snipers (cecchini), quindi di tipo offensivo e non certo difensivo.
Ma il quadro indiziario definitivo a carico dello SPINELLI, quale coordinatore e mediatore dell’arruolamento dei quattro italiani in Irak, si è avuto grazie alle dichiarazioni dei parenti di costoro, oltre che dall’articolo apparso sulla cronaca di Prato sul quotidiano locale “Il Tirreno” il 4.5.2004 intitolato “Il maestro di Maurizio Agliana rivela i retroscena del reclutamento”: il maestro in questione era il francese Vernis che, sentito dalla DIGOS di Genova, confermava il contenuto di detto articolo e dichiarava di essere socio unico della ditta di “protezione di beni e persone in Francia, precisamente a Nizza, denominata Bodyguard Europe 2000s.a.r.l., avente a oggetto la protezione ravvicinata e la scorta, la sicurezza ravvicinata delle persone e dei beni materiali privati”, società che non aveva una sede stabile vera e propria, ma all’occorrenza era contattata dai clienti tramite casella postale, confermando inoltre Vernis che all’estero si serviva di collaborazione esterna di operatori francesi e, per quello che più ci riguarda, di avere conosciuto lo SPINELLI e di avere lavorato con lui, affermando (particolare indicato anche dalla sorella di Cupertino) che lo SPINELLI era ancora occupato in Irak (attualmente alle dipendenze della “Dyncorp – CSC Company”, società americana del tutto identica, nel peculiare oggetto sociale, alla “Presidium”).
Il Forese, invece, premesso di essere una guardia giurata e quindi come tale pratica nell’uso di armi da fuoco e di avere conosciuto il Vernis, consegnava all’esito della sua escussione a Genova una copia del contratto preliminare sottoscritto in Italia e propostogli dallo SPINELLI per conto della “Presidium Corporation”, nel quale, in cambio di settemila dollari al mese, egli accettava di operare in Irak (dove, di fatto, invece che per la “Presidium” aveva operato per altra società denominat DTS) come operatore di sicurezza con in dotazione una mitraglietta tedesca MP-5 calibro 9 Parabellum ed una pistola semiautomatica del medesimo calibro (le stesse, identiche, armi indicate nelle e-mail intercorse tra Casto e Simeoni, sopra citate, versate in atti, armi considerate da guerra secondo la legislazione italiana, le stesse armi fornite da Simeoni ad Agliana e Cupertino al momento del loro arrivo a Baghdad).
Il fatto che lo SPINELLI arruolasse e contattasse in Italia, per conto della “Presidium Corporation” persone con caratteristiche professionali idonee ad affrontare situazioni ad alto rischio in territori di guerra, è dimostrato, oltre che dalle dichiarazioni di Agliana, Cupertino e Forese, anche dal fatto che egli sia l’unico del gruppo di italiani partito dall’Italia il 4.4.2004 ad aver poi ottenuto un contratto a lungo termine con la “DynCorp” (come ricordato anche da Agliana nelle sue dichiarazioni), proponendo per 7000 dollari al mese un contratto con le persone assunte le cui quanto mai generiche e vaghe clausole contrattuali mostrano non tanto che la “Presidium” pretendeva dagli stessi un operato di vigilanza e protezione di singole persone, civili, ovviamente, quanto che dovevano operare, non si sa bene con quali scopi, anche per altre società avallate dalla “Presidium”, quale appunto la DTS ricordata dal Forese, in una sorta di cruenta “intermediazione di mano d’opera” per operazioni di tipo apertamente militare, come dimostra il fatto che Cupertino, nelle sue dichiarazioni, abbia detto che i quattro italiani avevano formato una squadra denominata “Delta”, particolare da lui appreso soltanto durante la prigionia.
Ancor più chiaramente Meli ha dichiarato il 5.7.2004 di avere lavorato con il Simeoni a Bassora (“piccoli lavoretti”) a protezione di società umanitarie americane e nell’addestramento di guardie irakene, addestramento, come da lui ricordato, soprattutto a base di kalashnikov, e che i quattro italiani sequestrati vennero richiesti in Iraq in quanto tale Malcom, cittadino americano di un’altra agenzia di “sicurezza”, tale Bearing Point, aveva detto loro che avevano bisogno di una squadra di protezione “seria” presso l’hotel “Babilon” di Baghdad ed allora Simeoni contattò gli italiani, fra cui Quattrocchi, per la prima volta; in seguito i rapporti con Simeoni, che egli sapeva essere in contatto con la “Presidium”, si deteriorano e l’ultimo lavoro che svolse per lui fu quello di andare a prendere Cupertino, Stefio, Agliana, Forese e SPINELLI ad Amman ed il giorno dopo passò alla “Dyncorp”, seguito poco dopo dallo SPINELLI (giova ricordare che mentre rendeva tali dichiarazioni Meli era convalescente in Italia per un colpo di arma da fuoco da lui ricevuto in Irak sotto l’occhio sinistro mentre scortava dei tecnici americani per conto della “Dyncorp”) e ricordava dello SPINELLI che era stato addestrato militarmente in Israele, avendogli fatto notare che portava sul passaporto un timbro di visto di ingresso in Israele, cosa molto poco salubre in Irak, confermando di avere fatto arrivare in Irak per tale tipo di “lavoro”, insieme a Simeoni e tale Castellani ben undici italiani.
Che poi tale attività per cui (anche) lo SPINELLI reclutava in Irak cittadini italiani fosse tutt’altro che attività di scorta e protezione di civili, lo ha detto anche Casto, il quale, reclutato nel febbraio 2004, prima di Agliana, Cupertino, SPINELLI, Forese e Stefio, affermò di avere già trovato sul posto Simeoni, Meli e Quattrocchi e che Simeoni doveva reclutare una squadra di undici persone; il loro compito consisteva in vera e propria attività militare a supporto delle forze della coalizione anglo-americana, dicendo testualmente che, armati di pistola e mitraglietta MP5 dello stesso calibro: “Avevamo il potere di fermare e controllare le persone, ed in caso di necessità di aprire il fuoco, sempre e solo in risposta ad attacco armato. Preciso che questa attività era svolta con l’avallo della sicurezza dell’albergo, della polizia irakena ivi presente, e delle stesse forze della coalizione, che autonomamente o su nostra richiesta, ci coadiuvavano nell’espletamento delle nostre attività. Preciso che le stesse forze della coalizione (militari americani) in più occasioni hanno usufruito del comprensorio dell’albergo e delle sue strutture interne per porre delle basi di osservazione e postazioni di attacco (installazione di lanciarazzi” (…) “Secondo quanto riferitomi da Paolo Simeoni, la ragione di ciò poteva risiedere nel fatto che, come riferito a lui dai servizi americani, in esso vi fossero un nucleo dei <Feddayn Saddam>, verso il quale, verso il quale, per motivi strategici, le forze della coalizione ritenevano di non dover intervenire”: gli italiani, dunque, erano veri e propri fiancheggiatori delle forze della coalizione e questo spiega, se non giustifica, l’atteggiamento dei sequestratori nei loro confronti.
Tanto premesso, quindi, in tema di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza attualmente esistenti ex art. 273 C.p.p. a carico dello SPINELLI, le cui dichiarazioni al P.M. del 27.9.2004 non sembrano affatto negare i fatti, ma solo minimizzarli (peraltro cercando di attribuire la responsabilità principalmente all’altro “arruolatore” di professione, lo Stefio, pure sequestrato con gli altri tre arruolati) va detto come – sotto il profilo della sussistenza di esigenze cautelari attualmente esistenti a suo carico – non abbia alcuna valenza il fatto che egli sia persona del tutto incensurata, tenuto conto anche del tipo di misura cautelare (non restrittiva) chiesta nei suoi confronti dal P.M. e tenuto conto che l’alta pena edittale (da quattro a quindici anni di reclusione) prevista per l’articolo del codice penale al momento contestatogli esclude in radice, allo stato degli atti, la possibilità dello SPINELLI di ottenere, anche con l’eventuale ricorso ad un rito alternativo, una pena contenibile nei limiti edittali necessari per la sospensione condizionale della medesima e, tanto malgrado tale suo stato di formale incensuratezza, infatti, il giudizio prognostico a suoi carico, comunque, non può, allo stato che essere negativo, non solo all’esito dell’esame delle modalità, invero socialmente allarmanti, professionali e reiterate, di commissione del fatto per cui oggi é processo a suo carico, ma anche e soprattutto da tutta una serie di criteri all’uopo dettati da una costante ed unanime giurisprudenza di legittimità - anche per scegliere la misura più adeguata e proporzionale all’entità del fatto contestato ad una determinata persona - quali sono appunto quello dell’id quod plerumque accidit (cfr. Cass. VI nr. 7 del 29.3.90), quello già esaminato prima delle specifiche modalità e circostanze del fatto, nonché quello della personalità dell’imputato (cfr. Cass. V nr. 5290 dell’11.12.90), degli elementi enunciati nell’art. 133 c.p. (cfr. Cass. VI, nr. 2828 del 15/2/91) e, peraltro, secondo un uniforme e consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte in materia di possibilità di emissione di una misura cautelare a carico di soggetti del tutto incensurati, si rileva come una prognosi di pericolosità sociale sfavorevole allo SPINELLI ben può fondarsi anche sulla valutazione, filtrata ex art. 133 c.p., dei motivi a delinquere dell’indagato, la cui condotta risulta, in atti, davvero estremamente allarmante, ove si pensi ai motivi per cui egli arruola suoi concittadini da inviare all’estero, motivi che si ritengono al momento chiari indici di una personalità criminogena, sintomatici di una personalità da ritenere ragionevolmente incline al delitto e che inducono, pertanto, questo Giudice ad una valutazione di attuale e rilevante pericolosità sociale dello SPINELLI e, quindi, ad una prognosi infausta di recidivazione criminosa nei suoi confronti, prognosi che è infausta anche sotto il profilo del pericolo di fuga all’estero del predetto, donde la peculiare misura cautelare richiesta dal P.M., l’unica allo stato che, senza sacrificare la libertà personale dello SPINELLI, consenta comunque di impedirgli di allontanarsi dal territorio dello Stato e reiterare, nel contempo, fatti della stessa specie di quelli per cui è processo a suo carico.
In effetti, proprio per il pericolo di fuga, va detto come nella nota del 24.9.2004 della DIGOS precedentemente ricordata emerge chiaramente che lo SPINELLI ha intenzione di emigrare a breve per il Brasile insieme alla madre, e di aprire in quel Paese latino-americano una identica attività “nell’ambito della sicurezza”, per cui appare evidente come il divieto di espatrio chiesto ex artt. 280-281 c.p.p. a suo carico dal P.M. appaia oggi l’unica misura appena efficace ad impedirgli non solo il pericolo di fuga concreto e quanto mai reale e prossimo per lo SPINELLI, quanto e soprattutto, vista la intima connessione con le sue peculiari attività “lavorative”, la possibilità di reiterare in futuro comportamenti delittuosi analoghi a quello per cui attualmente si indaga a suo carico, motivi questi per cui la richiesta cautelare nei confronti dello SPINELLI così come formulata dal P.M. in data odierna, appare integralmente accoglibile.
P. Q. M.
Il Giudice, letti gli artt. 273, 274, 275, 280 e 281 C.p.p.
Dispone per SPINELLI (omissis), come sopra generalizzato, il divieto di espatrio dal territorio nazionale senza previa autorizzazione del Giudice che procede, disponendo il sequestro del passaporto dello SPINELLI e l’apposizione, sugli altri documenti di identità eventualmente in suo possesso e validi per l’espatrio, della dicitura - a cura delle Pubbliche Amministrazioni che li hanno rilasciati – “non valido per l’espatrio”.
Manda la propria Cancelleria di trasmettere immediatamente la presente ordinanza -in duplice copia- al Pubblico Ministero che ne ha fatto richiesta, perché ne curi l’esecuzione ed i successivi adempimenti.
Così deciso in Bari, il 01.10.2004
Il G.I.P.
(dal sito di Magistratura Democratica)
TRIBUNALE DI BARI
Sezione del giudice per le indagini preliminari
ORDINANZA DI APPLICAZIONE DI MISURA CAUTELARE
NON RESTRITTIVA
Proc. n. 8880/04-21 R.N.R.
Proc. n. 12546/04 R.G.G.I.P.
Il giudice
Giuseppe De Benedictis
In relazione alla richiesta presentata dal Pubblico Ministero, pervenuta a questo Ufficio in data 30.9.2004 per ottenere l’applicazione della misura cautelare del divieto di espatrio, nei confronti di:
SPINELLI (omissis), res. Sammichele di Bari (omissis), persona attualmente indagata per il delitto di cui all’art. 288 C.p. perché, in concorso con altre persone, procedeva nel territorio dello Stato e senza l’approvazione del Governo all’arruolamento di Forese Dridi, Agliana Maurizio e Cupertino Umberto affinché militassero in territorio irakeno in favore di forze armate straniere (angloamericane, per la precisione), in concerto ed in cooperazione con le medesime, in contrapposizione a gruppi armati stranieri.
Fatto commesso in Sammichele di Bari in epoca antecedente e prossima al 4 aprile del 2004.
Letti gli atti del fascicolo inviato in visione dal P.M., in particolare l’interrogatorio dell’indagato stesso, reso al P.M. di Bari il 20.9.2004, la nota della Procura di Brescia n. 12736/04 mod. 44 del 24.4.2004, la informativa della DIGOS di Bari del 30.4.2004, quella del 26.5.2004, quella del 9.6.2004 e quella del 9.7.2004, nonché le dichiarazioni testimoniali rese alla Questura di Pratoi da Vernis Andrè Gabriel Joseph il 5.5.2004, alla Questura di Genova da Forese Dridi il 12.5.2004 con la allegata copia del cosiddetto “accordo professionale” tra il Forese e la “Presidium International Corporation” con sede legale alle Seychelles, da Meli Cristiano il 5.7.2004 e da Casti Paolo il 17.6.2004 (con allegata email inviata il 12.1.2004 da tale “Paolo Simeone” all’indirizzo paol.casti@(omissis) dove il Casti è indicato come “Mamutones” e la risposta del Casti al Simeone, all’indirizzo closeprotectioniraq@hotmail.com del giorno dopo le dichiarazioni di Agliana Maurizio e Cupertino Umberto alla Procura Antimafia della Repubblica di Genova (rese però presso gli uffici della D.N.A. di Roma) il 6.7.2004; preso atto infine che, così come richiesto dal primo comma dell’art. 313 C.p., per tale delitto ipotizzato a carico dello SPINELLI il Ministero della Giustizia, con propria nota n. prot. 212-2-676/2004/2971/04 del 20.7.2004 ha concesso l’autorizzazione a procedere a scioglimento della riserva precedentemente formulata, osserva quanto segue.
***
Appare invero inutile in questa sede, non fosse altro che per il clamore sollevato per settimane durante e dopo la vicenda dei quattro ostaggi italiani sequestrati in Irak da uno dei tanti gruppuscoli islamici che compongono attualmente il panorama di guerriglieri anti-americani (rectius anti-occidentali) in quello sfortunato paese, ricordare quella vicenda, che si concluse peraltro con la barbara esecuzione di uno dei quattro; quello che preme, invece, in questa vicenda, è ricostruire le responsabilità penali di una persona che ebbe un ruolo primario nella partenza di quei quattro cittadini italiani per l’Irak e, soprattutto, per la definizione dell’incarico che in quel paese straniero gli stessi avrebbero svolto.
Premesso che il procedimento in questione ha preso le mosse da una iscrizione a carico di ignoti n. 5828 mod. 44 del corrente anno, per i reati di cui agli art. 288, 289 bis in relazione all’art. 575 C.p. commesso nel territorio dell’Irak da ignoti ai danni di Quattrocchi Fabrizio (gli atti relativi all’omicidio del cittadino italiano sono stati comunque trasmessi alla Procura della Repubblica di Roma, che per prima aveva proceduto alla iscrizione del relativo procedimento penale per l’eventuale identificazione dei relativi responsabili) proseguendo la Procura di Bari le indagini relative all’ipotizzato delitto di cui all’art. 288 C.p.p., che dai primi accertamenti risultava essersi consumato nel territorio di Bari, realizzando all’uopo un proficuo scambio di informazioni con la Procura del Tribunale di Genova, per analogo reato commesso in quel territorio.
A seguito di tali indagini una prima informativa a carico dello SPINELLI era redatta il 26.5.2004 dalla DIGOS locale ed il 3.6.2004 si iscriveva il fascicolo mod. 21 a suo nome (del quale trattiamo in questa sede) per il delitto di cui all’art. 288 C.p. da lui commesso in Sammichele di Bari, in concorso con altri, in epoca prossima ed anteriore al 4 aprile del corrente anno.
Invero le indagini hanno consentito sinora di accertare che era effettivamente vero quanto ipotizzato, subito dopo il sequestro dei quattro italiani in Irak, che essi erano sul territorio di quel paese in veste di mercenari, o, quantomeno, di “gorilla” a protezione di uomini di affari in quel martoriato paese.
Per la precisione, in un articolo di stampa apparso anche sul locale quotidiano de “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 21.4.2004 (pag. 3), il giornalista Boccardi Stefano riportava una intervista rilasciata telefonicamente dall’Irak da un quinto cittadino italiano, lo SPINELLI, appunto, amico e compaesano del Cupertino, nella quale lo SPINELLI, appresa la notizia dell’apertura di una inchiesta sulla vicenda degli ostaggi in Irak, difendeva i quattro amici, additati come “mercenari” e si rendeva disponibile a qualsiasi tipo di chiarimento sul tipo di servizio che gli stessi di fatto svolgevano in quel paese, identificati dallo SPINELLI come – ed unicamente – addetti alla sicurezza dei civili. In quello stesso articolo sif aceva cenno ad una società con sede centrale alle Seychelles, la “Presidium”, della quale lo SPINELLI affermava pubblicamente di essere il referente per l’Italia, asserendo addirittura di averne istituito una succursale nel suo paese (Sammichele di Bari).
In realtà le indagini espletate, ed in particolare le dichiarazioni dei due ostaggi Agliana e Cupertino e di altri testi, nonché i testi di vari e-mail (ed in particolare quelle ricordate sopra, intercorse il 12 e 13 gennaio 2004 tra Casto e Simeoni) permettevano di approfondire la natura dei rapporti tra SPINELLI e la “Presidium Corporation” e, soprattutto, la reale funzione svolta in Irak dagli uomini arruolati in Italia dallo SPINELLI per conto di tale società estera.
La “Presidium”, infatti, così come si legge nel suo sito internet, si autodescrive come società “leader nell’addestramento operativo in Paesi ad alto rischio”, ed oltre la sede centrale nel paradiso fiscale delle Seychelles, ha alcune succursali in altri Paesi, Italia inclusa; le ulteriori, e meglio particolareggiate, finalità della “Presidium” sono poi riportate nelle pagine web del sito di tale società, e tutte indicano servizi non solo relativi alla sicurezza di persone ad alto rischio (quindi si tratta di gorilla o bodyguard, che dir si voglia), ma addirittura offrono corsi di formazione per persone che vogliano intraprendere attività a dir poco peculiari quali “negoziazione per la risoluzione di rapimenti”, “controspionaggio”, “piani di evacuazione”, “ricognizioni”, “sminamento e bonifica nel territorio” e, in modo ancor più palese, “combattimento nella jungla”, in ambiente “urbano”, nel “deserto”, “commandos”, “controterrorismo”, “controguerriglia” e, addirittura, “controsorveglianza” (cioè tecniche per elude la sorveglianza di altri bodyguard, il che vuol dire per scopi solitamente poco edificanti, quali il rapimento e l’omicidio della persona protetta), attività che caratterizzano in maniera abbastanza palese, qualsiasi cosa ne dicesse SPINELLI nel suo articolosopra citato pubblicato dalla Gazzetta del Mezzogiorno, la “Presidium Corporation” come un centro di addestramento ed arruolamento di mercenari (o peggio, come farebbe pensare la scelta della sede centrale in un paradiso fiscale e la relativa tranquillità che offre, per la proprio pubblicità, l’uso di un sito internet, consultabile da tutti ma rintracciabile, nella sua fonte, da pochi e come avvalora, almeno per il nostro Paese, la politica “aziendale” di detta società estera di aprire delle succursali praticamente solo virtuali, in quanto, per esempio, la sede di Olbia della “Presidium” corrisponde praticamente ad una scuola per addestramento di sommozzatori denominata “Stemasud” – il cui titolare, come da rapporto in atti della P.S. di quel centro sardo, sembra essere estraneo alle attività oggi contestate allo SPINELLI – e la sede di Sammichele di Bari pubblicizzata dall’odierno indagato corrisponde ad una vecchia abitazione fatiscente e disabitata da lungo tempo).
Il ruolo dello SPINELLI nell’arruolamento di cittadini italiani da mandare in Irak con compiti del tutto identici a quelli di militari, invece, emerge da alciune dichiarazioni rese da testimoni, in particolare dal Forese, ed hanno evidenziato il suo centrale ed insostituibile ruolo di anello di collegamento tra la “Presidium” ed i cittadini italiani sequestrati.
Lo SPINELLI, anzitutto, può essere – alla luce delle indagini svolte dalla DIGOS – considerato una guardia del corpo professionista, come si può dedurre da una sua specia di lettera di referenze rilasciata dal medesimo nel sito internet www.kali.it, decantando la sua abilità con le arti marziali e tecniche di combattimento ravvicinato e nello stesso documento lo SPINELLI si definiva altresì come socio di una società di protezione e sicurezza con sede a Nizza di nome “Bodyguard Europe 2000”, che si occupava anch’essa, guarda caso, di formazione ed addestramento di operatori per la sicurezza privati, esaltando i metodi particolarmente “duri” di addestramento, affermando che per entrare a frequentare tali corsi occorreva avere già una pregressa esperienza, come quella in possesso di giovani ex militanti di reparti speciali di Forze Armate e di praticanti abituali di arti marziali, parlando nella stessa di “tecniche di tiro operativo antiterrorismo”, terminolgia che richiama l’addestramento tattico militare degli snipers (cecchini), quindi di tipo offensivo e non certo difensivo.
Ma il quadro indiziario definitivo a carico dello SPINELLI, quale coordinatore e mediatore dell’arruolamento dei quattro italiani in Irak, si è avuto grazie alle dichiarazioni dei parenti di costoro, oltre che dall’articolo apparso sulla cronaca di Prato sul quotidiano locale “Il Tirreno” il 4.5.2004 intitolato “Il maestro di Maurizio Agliana rivela i retroscena del reclutamento”: il maestro in questione era il francese Vernis che, sentito dalla DIGOS di Genova, confermava il contenuto di detto articolo e dichiarava di essere socio unico della ditta di “protezione di beni e persone in Francia, precisamente a Nizza, denominata Bodyguard Europe 2000s.a.r.l., avente a oggetto la protezione ravvicinata e la scorta, la sicurezza ravvicinata delle persone e dei beni materiali privati”, società che non aveva una sede stabile vera e propria, ma all’occorrenza era contattata dai clienti tramite casella postale, confermando inoltre Vernis che all’estero si serviva di collaborazione esterna di operatori francesi e, per quello che più ci riguarda, di avere conosciuto lo SPINELLI e di avere lavorato con lui, affermando (particolare indicato anche dalla sorella di Cupertino) che lo SPINELLI era ancora occupato in Irak (attualmente alle dipendenze della “Dyncorp – CSC Company”, società americana del tutto identica, nel peculiare oggetto sociale, alla “Presidium”).
Il Forese, invece, premesso di essere una guardia giurata e quindi come tale pratica nell’uso di armi da fuoco e di avere conosciuto il Vernis, consegnava all’esito della sua escussione a Genova una copia del contratto preliminare sottoscritto in Italia e propostogli dallo SPINELLI per conto della “Presidium Corporation”, nel quale, in cambio di settemila dollari al mese, egli accettava di operare in Irak (dove, di fatto, invece che per la “Presidium” aveva operato per altra società denominat DTS) come operatore di sicurezza con in dotazione una mitraglietta tedesca MP-5 calibro 9 Parabellum ed una pistola semiautomatica del medesimo calibro (le stesse, identiche, armi indicate nelle e-mail intercorse tra Casto e Simeoni, sopra citate, versate in atti, armi considerate da guerra secondo la legislazione italiana, le stesse armi fornite da Simeoni ad Agliana e Cupertino al momento del loro arrivo a Baghdad).
Il fatto che lo SPINELLI arruolasse e contattasse in Italia, per conto della “Presidium Corporation” persone con caratteristiche professionali idonee ad affrontare situazioni ad alto rischio in territori di guerra, è dimostrato, oltre che dalle dichiarazioni di Agliana, Cupertino e Forese, anche dal fatto che egli sia l’unico del gruppo di italiani partito dall’Italia il 4.4.2004 ad aver poi ottenuto un contratto a lungo termine con la “DynCorp” (come ricordato anche da Agliana nelle sue dichiarazioni), proponendo per 7000 dollari al mese un contratto con le persone assunte le cui quanto mai generiche e vaghe clausole contrattuali mostrano non tanto che la “Presidium” pretendeva dagli stessi un operato di vigilanza e protezione di singole persone, civili, ovviamente, quanto che dovevano operare, non si sa bene con quali scopi, anche per altre società avallate dalla “Presidium”, quale appunto la DTS ricordata dal Forese, in una sorta di cruenta “intermediazione di mano d’opera” per operazioni di tipo apertamente militare, come dimostra il fatto che Cupertino, nelle sue dichiarazioni, abbia detto che i quattro italiani avevano formato una squadra denominata “Delta”, particolare da lui appreso soltanto durante la prigionia.
Ancor più chiaramente Meli ha dichiarato il 5.7.2004 di avere lavorato con il Simeoni a Bassora (“piccoli lavoretti”) a protezione di società umanitarie americane e nell’addestramento di guardie irakene, addestramento, come da lui ricordato, soprattutto a base di kalashnikov, e che i quattro italiani sequestrati vennero richiesti in Iraq in quanto tale Malcom, cittadino americano di un’altra agenzia di “sicurezza”, tale Bearing Point, aveva detto loro che avevano bisogno di una squadra di protezione “seria” presso l’hotel “Babilon” di Baghdad ed allora Simeoni contattò gli italiani, fra cui Quattrocchi, per la prima volta; in seguito i rapporti con Simeoni, che egli sapeva essere in contatto con la “Presidium”, si deteriorano e l’ultimo lavoro che svolse per lui fu quello di andare a prendere Cupertino, Stefio, Agliana, Forese e SPINELLI ad Amman ed il giorno dopo passò alla “Dyncorp”, seguito poco dopo dallo SPINELLI (giova ricordare che mentre rendeva tali dichiarazioni Meli era convalescente in Italia per un colpo di arma da fuoco da lui ricevuto in Irak sotto l’occhio sinistro mentre scortava dei tecnici americani per conto della “Dyncorp”) e ricordava dello SPINELLI che era stato addestrato militarmente in Israele, avendogli fatto notare che portava sul passaporto un timbro di visto di ingresso in Israele, cosa molto poco salubre in Irak, confermando di avere fatto arrivare in Irak per tale tipo di “lavoro”, insieme a Simeoni e tale Castellani ben undici italiani.
Che poi tale attività per cui (anche) lo SPINELLI reclutava in Irak cittadini italiani fosse tutt’altro che attività di scorta e protezione di civili, lo ha detto anche Casto, il quale, reclutato nel febbraio 2004, prima di Agliana, Cupertino, SPINELLI, Forese e Stefio, affermò di avere già trovato sul posto Simeoni, Meli e Quattrocchi e che Simeoni doveva reclutare una squadra di undici persone; il loro compito consisteva in vera e propria attività militare a supporto delle forze della coalizione anglo-americana, dicendo testualmente che, armati di pistola e mitraglietta MP5 dello stesso calibro: “Avevamo il potere di fermare e controllare le persone, ed in caso di necessità di aprire il fuoco, sempre e solo in risposta ad attacco armato. Preciso che questa attività era svolta con l’avallo della sicurezza dell’albergo, della polizia irakena ivi presente, e delle stesse forze della coalizione, che autonomamente o su nostra richiesta, ci coadiuvavano nell’espletamento delle nostre attività. Preciso che le stesse forze della coalizione (militari americani) in più occasioni hanno usufruito del comprensorio dell’albergo e delle sue strutture interne per porre delle basi di osservazione e postazioni di attacco (installazione di lanciarazzi” (…) “Secondo quanto riferitomi da Paolo Simeoni, la ragione di ciò poteva risiedere nel fatto che, come riferito a lui dai servizi americani, in esso vi fossero un nucleo dei <
Tanto premesso, quindi, in tema di sussistenza di gravi indizi di colpevolezza attualmente esistenti ex art. 273 C.p.p. a carico dello SPINELLI, le cui dichiarazioni al P.M. del 27.9.2004 non sembrano affatto negare i fatti, ma solo minimizzarli (peraltro cercando di attribuire la responsabilità principalmente all’altro “arruolatore” di professione, lo Stefio, pure sequestrato con gli altri tre arruolati) va detto come – sotto il profilo della sussistenza di esigenze cautelari attualmente esistenti a suo carico – non abbia alcuna valenza il fatto che egli sia persona del tutto incensurata, tenuto conto anche del tipo di misura cautelare (non restrittiva) chiesta nei suoi confronti dal P.M. e tenuto conto che l’alta pena edittale (da quattro a quindici anni di reclusione) prevista per l’articolo del codice penale al momento contestatogli esclude in radice, allo stato degli atti, la possibilità dello SPINELLI di ottenere, anche con l’eventuale ricorso ad un rito alternativo, una pena contenibile nei limiti edittali necessari per la sospensione condizionale della medesima e, tanto malgrado tale suo stato di formale incensuratezza, infatti, il giudizio prognostico a suoi carico, comunque, non può, allo stato che essere negativo, non solo all’esito dell’esame delle modalità, invero socialmente allarmanti, professionali e reiterate, di commissione del fatto per cui oggi é processo a suo carico, ma anche e soprattutto da tutta una serie di criteri all’uopo dettati da una costante ed unanime giurisprudenza di legittimità - anche per scegliere la misura più adeguata e proporzionale all’entità del fatto contestato ad una determinata persona - quali sono appunto quello dell’id quod plerumque accidit (cfr. Cass. VI nr. 7 del 29.3.90), quello già esaminato prima delle specifiche modalità e circostanze del fatto, nonché quello della personalità dell’imputato (cfr. Cass. V nr. 5290 dell’11.12.90), degli elementi enunciati nell’art. 133 c.p. (cfr. Cass. VI, nr. 2828 del 15/2/91) e, peraltro, secondo un uniforme e consolidato orientamento giurisprudenziale della Suprema Corte in materia di possibilità di emissione di una misura cautelare a carico di soggetti del tutto incensurati, si rileva come una prognosi di pericolosità sociale sfavorevole allo SPINELLI ben può fondarsi anche sulla valutazione, filtrata ex art. 133 c.p., dei motivi a delinquere dell’indagato, la cui condotta risulta, in atti, davvero estremamente allarmante, ove si pensi ai motivi per cui egli arruola suoi concittadini da inviare all’estero, motivi che si ritengono al momento chiari indici di una personalità criminogena, sintomatici di una personalità da ritenere ragionevolmente incline al delitto e che inducono, pertanto, questo Giudice ad una valutazione di attuale e rilevante pericolosità sociale dello SPINELLI e, quindi, ad una prognosi infausta di recidivazione criminosa nei suoi confronti, prognosi che è infausta anche sotto il profilo del pericolo di fuga all’estero del predetto, donde la peculiare misura cautelare richiesta dal P.M., l’unica allo stato che, senza sacrificare la libertà personale dello SPINELLI, consenta comunque di impedirgli di allontanarsi dal territorio dello Stato e reiterare, nel contempo, fatti della stessa specie di quelli per cui è processo a suo carico.
In effetti, proprio per il pericolo di fuga, va detto come nella nota del 24.9.2004 della DIGOS precedentemente ricordata emerge chiaramente che lo SPINELLI ha intenzione di emigrare a breve per il Brasile insieme alla madre, e di aprire in quel Paese latino-americano una identica attività “nell’ambito della sicurezza”, per cui appare evidente come il divieto di espatrio chiesto ex artt. 280-281 c.p.p. a suo carico dal P.M. appaia oggi l’unica misura appena efficace ad impedirgli non solo il pericolo di fuga concreto e quanto mai reale e prossimo per lo SPINELLI, quanto e soprattutto, vista la intima connessione con le sue peculiari attività “lavorative”, la possibilità di reiterare in futuro comportamenti delittuosi analoghi a quello per cui attualmente si indaga a suo carico, motivi questi per cui la richiesta cautelare nei confronti dello SPINELLI così come formulata dal P.M. in data odierna, appare integralmente accoglibile.
P. Q. M.
Il Giudice, letti gli artt. 273, 274, 275, 280 e 281 C.p.p.
Dispone per SPINELLI (omissis), come sopra generalizzato, il divieto di espatrio dal territorio nazionale senza previa autorizzazione del Giudice che procede, disponendo il sequestro del passaporto dello SPINELLI e l’apposizione, sugli altri documenti di identità eventualmente in suo possesso e validi per l’espatrio, della dicitura - a cura delle Pubbliche Amministrazioni che li hanno rilasciati – “non valido per l’espatrio”.
Manda la propria Cancelleria di trasmettere immediatamente la presente ordinanza -in duplice copia- al Pubblico Ministero che ne ha fatto richiesta, perché ne curi l’esecuzione ed i successivi adempimenti.
Così deciso in Bari, il 01.10.2004
Il G.I.P.
19.10.04
Rocco e i suoi sfracelli
"CONTRORDINE" di Alessandro Robecchi
Da queste parti siamo piuttosto liberali in materia di faccende private e se Buttiglione non vuole sposare un gay io non ci trovo niente di male, che non se lo sposi e basta. Sarebbe davvero un'Europa atea e nichilista quella che costringesse Buttiglione a sposare un gay! Oltretutto sarebbe troppo punitiva per il malcapitato gay. Già mi vedo i titoli sul Corriere, il fondo di Panebianco e il sermone sul Foglio: Europa dissoluta, costringe un ministro a sposare un gay! Stavo quasi per indignarmi e scendere in campo a difesa del mio filosofo preferito quando ho capito che le cose non stanno così: è lui (Buttiglione) a voler impedire le nozze dei gay, a voler imporre le sue opinioni su donne, maternità, vita in famiglia, morale, etica, eccetera eccetera. E per uno che vuol far coincidere la vita reale (nostra) con i precetti del credo religioso (suo), la sedia di commissario europeo alle libertà non mi pare esattamente quella giusta. La faccenda potrebbe finire qui se non fosse che - preceduta da un intenso profumo di rose e da un solenne suono d'organo - scende in campo l'intellighenzja liberale italiana che si arrovella su un quesito: c'è forse un pregiudizio anticristiano? I cattolici sono una minoranza vessata e perseguitata? Rassicuriamo subito i neocatecumeni del libero mercato e i giulianiferrara del settimo giorno: sarà un vero problema in Europa perseguitare i cristiani. Le tigri sono quasi estinte, in settimana ci sono le coppe europee, sabato, domenica e lunedì c'è il campionato, trovare uno stadio libero per far mangiare i cristiani dalle fiere sarà molto difficile. Ma ormai la valanga è partita e l'ultima moda dei liberali laici è proprio questa, una tardiva conversione, un vibrante allarme sul pregiudizio anticristiano dell'Europa. Eccoli tutti che corrono con l'aspersorio in mano a difendere i sacri valori. Quelli della pace, o della tolleranza? Certo che no.
La critica cattolica alle spaventose disugliaglianze create dal sistema liberista? Nemmeno. L'importante è che non si sposino i gay, così ecco i rutilanti discorsi sull'Europa dei «culattoni», che fa il paio con l'Europa «massonica» di cui parla la Padania, quella «nichilista» dei teorici fascisti di An, quella «anticristiana e secolarizzata» di Panebianco. Perbacco, corro subito a comprarmi un'armatura. Il tutto innestato su quel comodo scenario che è lo scontro di civiltà che tanto piace a Pera & Oriana. Insomma, i grandi pensatori liberali italiani, forse per non parlare del monopolista che li ha assunti e se li è mangiati, o della costituzione che ci hanno cambiato sotto il naso, volgono lo sguardo verso temi alti: la persecuzione dei cristiani in Europa nel ventunesimo secolo. Ammetterete che è un tema affascinante, e anche un ottimo fumogeno per non parlare di quello che accade qui.
I pilastri del nuovo look liberale sono parecchi: Zapatero è una specie di anticristo, sempre per quella faccenda dei gay, ovvio, ma anche perché si è ritirato dalle crociate. L'Europa è un'entità smidollata che non vede l'ora di perdere il derby con i musulmani. Tra un po' anche i polacchi - notoriamente laici, atei e mangiapreti - ritireranno le truppe. Almodovar è un puzzone salvato dal rogo soltanto perché Ferrara ha finito i fiammiferi. Dove andremo a finire? Meno male che ci sono loro, i salvatori del cristianesimo, a scrivere i loro editoriali, sennò gireremmo tutti con due dita di barba e le ragazze col burqua (cosa che tra l'altro non mi pare spiacerebbe a Buttiglione).
Naturalmente io non ho nulla contro i pensatori liberali e anzi: per leggere Galli della Loggia basta un euro, sette volte meno di quel che costa un film dei Vanzina, dunque conviene. Però mi sforzo di essere più avanti di loro. Cioè: quale sarà la prossima moda? Dopo aver osannato come «liberale» Silvio, dopo aver teorizzato che ci vuole meno stato e più mercato, dopo aver lavorato incessantemente per tagliare le pensioni e andare in guerra, dopo aver difeso i cristiani dalla terrificante ondata di persecuzioni che li minaccia, dopo, dico, cosa si inventeranno? Molti di questi grandi pensatori liberali sono stati comunisti, poi socialisti craxiani, poi ultraliberisti e paladini della concorrenza, poi amici e teorici e dipendenti del grande monopolista. Ora eccoli accorrere in difesa dei cristiani che l'orribile Europa sta per sterminare. Quale sarà la prossima mossa? Un'apertura alle tesi venusiane? Un riconoscimento aperto e sincero dell'animismo di certe tribù del Borneo? Mi aspetto di tutto, essi sono imprevedibili. Proprio come chi, teorizzato un metodo piuttosto feroce (il liberismo) lo ha trasformato in ideologia e, convincendosi della sua stessa propaganda, lo ha scambiato per cultura. All'apparir del vero, poi, e vista la mala parata, ecco la crema del pensiero liberale che si compra un costume da integralista e fa la coda in Vaticano. Proviamo pure questa - si saranno detti i grandi pensatori liberali - non si sa mai.
"CONTRORDINE" di Alessandro Robecchi
Da queste parti siamo piuttosto liberali in materia di faccende private e se Buttiglione non vuole sposare un gay io non ci trovo niente di male, che non se lo sposi e basta. Sarebbe davvero un'Europa atea e nichilista quella che costringesse Buttiglione a sposare un gay! Oltretutto sarebbe troppo punitiva per il malcapitato gay. Già mi vedo i titoli sul Corriere, il fondo di Panebianco e il sermone sul Foglio: Europa dissoluta, costringe un ministro a sposare un gay! Stavo quasi per indignarmi e scendere in campo a difesa del mio filosofo preferito quando ho capito che le cose non stanno così: è lui (Buttiglione) a voler impedire le nozze dei gay, a voler imporre le sue opinioni su donne, maternità, vita in famiglia, morale, etica, eccetera eccetera. E per uno che vuol far coincidere la vita reale (nostra) con i precetti del credo religioso (suo), la sedia di commissario europeo alle libertà non mi pare esattamente quella giusta. La faccenda potrebbe finire qui se non fosse che - preceduta da un intenso profumo di rose e da un solenne suono d'organo - scende in campo l'intellighenzja liberale italiana che si arrovella su un quesito: c'è forse un pregiudizio anticristiano? I cattolici sono una minoranza vessata e perseguitata? Rassicuriamo subito i neocatecumeni del libero mercato e i giulianiferrara del settimo giorno: sarà un vero problema in Europa perseguitare i cristiani. Le tigri sono quasi estinte, in settimana ci sono le coppe europee, sabato, domenica e lunedì c'è il campionato, trovare uno stadio libero per far mangiare i cristiani dalle fiere sarà molto difficile. Ma ormai la valanga è partita e l'ultima moda dei liberali laici è proprio questa, una tardiva conversione, un vibrante allarme sul pregiudizio anticristiano dell'Europa. Eccoli tutti che corrono con l'aspersorio in mano a difendere i sacri valori. Quelli della pace, o della tolleranza? Certo che no.
La critica cattolica alle spaventose disugliaglianze create dal sistema liberista? Nemmeno. L'importante è che non si sposino i gay, così ecco i rutilanti discorsi sull'Europa dei «culattoni», che fa il paio con l'Europa «massonica» di cui parla la Padania, quella «nichilista» dei teorici fascisti di An, quella «anticristiana e secolarizzata» di Panebianco. Perbacco, corro subito a comprarmi un'armatura. Il tutto innestato su quel comodo scenario che è lo scontro di civiltà che tanto piace a Pera & Oriana. Insomma, i grandi pensatori liberali italiani, forse per non parlare del monopolista che li ha assunti e se li è mangiati, o della costituzione che ci hanno cambiato sotto il naso, volgono lo sguardo verso temi alti: la persecuzione dei cristiani in Europa nel ventunesimo secolo. Ammetterete che è un tema affascinante, e anche un ottimo fumogeno per non parlare di quello che accade qui.
I pilastri del nuovo look liberale sono parecchi: Zapatero è una specie di anticristo, sempre per quella faccenda dei gay, ovvio, ma anche perché si è ritirato dalle crociate. L'Europa è un'entità smidollata che non vede l'ora di perdere il derby con i musulmani. Tra un po' anche i polacchi - notoriamente laici, atei e mangiapreti - ritireranno le truppe. Almodovar è un puzzone salvato dal rogo soltanto perché Ferrara ha finito i fiammiferi. Dove andremo a finire? Meno male che ci sono loro, i salvatori del cristianesimo, a scrivere i loro editoriali, sennò gireremmo tutti con due dita di barba e le ragazze col burqua (cosa che tra l'altro non mi pare spiacerebbe a Buttiglione).
Naturalmente io non ho nulla contro i pensatori liberali e anzi: per leggere Galli della Loggia basta un euro, sette volte meno di quel che costa un film dei Vanzina, dunque conviene. Però mi sforzo di essere più avanti di loro. Cioè: quale sarà la prossima moda? Dopo aver osannato come «liberale» Silvio, dopo aver teorizzato che ci vuole meno stato e più mercato, dopo aver lavorato incessantemente per tagliare le pensioni e andare in guerra, dopo aver difeso i cristiani dalla terrificante ondata di persecuzioni che li minaccia, dopo, dico, cosa si inventeranno? Molti di questi grandi pensatori liberali sono stati comunisti, poi socialisti craxiani, poi ultraliberisti e paladini della concorrenza, poi amici e teorici e dipendenti del grande monopolista. Ora eccoli accorrere in difesa dei cristiani che l'orribile Europa sta per sterminare. Quale sarà la prossima mossa? Un'apertura alle tesi venusiane? Un riconoscimento aperto e sincero dell'animismo di certe tribù del Borneo? Mi aspetto di tutto, essi sono imprevedibili. Proprio come chi, teorizzato un metodo piuttosto feroce (il liberismo) lo ha trasformato in ideologia e, convincendosi della sua stessa propaganda, lo ha scambiato per cultura. All'apparir del vero, poi, e vista la mala parata, ecco la crema del pensiero liberale che si compra un costume da integralista e fa la coda in Vaticano. Proviamo pure questa - si saranno detti i grandi pensatori liberali - non si sa mai.
13.10.04
Una tregua con il mondo musulmano: Può l’Europa essere in prima linea?
di Mark LeVine
E’ ora per gli Stati Uniti d’America di dichiarare una tregua con il mondo musulmano e in particolare con l’Islam radicale.
Questa può sembrare una proposta un po’ naïve - se non addirittura disfattista- considerato il Rapporto della Commissione sull’11 settembre, il quale ricorda ancora una volta come l’America rimanga una nazione in guerra calda contro il “terrorismo Islamico” e le idee che lo sostengono. Ciononostante una tregua - in Arabo, hudna - piuttosto che un sempre più pericoloso “scontro tra civiltà”, è l’unica soluzione per evitare un conflitto lungo e catastrofico. E deve essere l’Europa ad assumersi la parte del buon broker.
Infatti, finché George W. Bush rimarrà in carica, non ci sarà nessuna possibilità né di fermare la guerra al terrorismo né di compiere una virata netta nella politica estera americana. Anche se John Kerry vincesse le elezioni a novembre, ci sarebbero ben poche probabilità che l’ipotesi della tregua prenda corpo. Detto questo, c’è una grossa differenza- almeno sul piano della retorica- tra le due possibili presidenze. Kerry ha fatto della promessa di “ascoltare” gli alleati Europei, per costruire un approccio comune nella lotta al terrorismo, uno dei punti forti della campagna elettorale.
I leader Europei affrontano la minaccia di un conflitto sempre più sanguinoso con gli estremisti musulmani grazie al passato coloniale del continente e, in maniera più rilevante oggi, grazie al loro appoggio alle politiche americane in Israele/Palestina, Afghanistan e Iraq. Sarebbero saggi a suggerire al Presidente Kerry di dichiarare una tregua in modo che gli Stati Uniti, l’Unione Europea e “l’Occidente” in generale abbiano il tempo necessario per esplorare collettivamente e pubblicamente le ragioni della violenza che si emana contro di loro dal mondo musulmano- qualcosa che la Commissione sull’11 settembre avrebbe dovuto fare e che non ha fatto. In questo caso ci sarebbe almeno la possibilità che Kerry ascolti, specialmente se la guerra in Iraq continuasse a rimanere fuori controllo per gli Americani.
Ci sono varie modalità di tregua, la maggior parte delle quali non sono risolutive per la situazione che l’America sta affrontando. Qualcuna delle tregue più antiche, come la pace di Nicia (poi abortita) durante la Guerra del Peloponneso del quinto secolo a.C., erano stipulate solo per necessità tattica e non venivano rispettate appena cambiava l’equilibrio in campo. Questo tipo di tregua - durante la quale entrambi i fronti tentano di avvantaggiarsi prima del nuovo scoppio delle ostilità - sarebbe nel nostro caso sicuramente un disastro.
Altre tregue, come quelle che sancirono la fine della guerra in Corea nel 1953 e la guerra Arabo-Israeliana nel 1973, furono risoluzioni politiche di necessità, anche se insoddisfacenti, per conflitti altrimenti insolubili. Una tregua del genere finirebbe quasi sicuramente in una ripresa delle ostilità perché la ragioni che fondano la guerra al terrorismo sono il nocciolo dei valori delle politiche Occidentali in Medio Oriente. Decenni fa gli Stati Uniti iniziarono la loro relazione con una componente “socio-patica” di Islam wahhabita, dando così vita al figlio bastardo del “terrorismo islamico”che ora, come nei più luridi programmi drammatici della TV, vuole uccidere i genitori.
C’è sicuramente bisogno di un tipo di tregua differente; qualcosa che permetta alle parti, gli Stati Uniti (e in minor misura l’Europa) e i musulmani, di compiere il primo passo di una genuina rivalutazione delle proprie posizioni ed interessi di base, in modo che la pace e la conciliazione diventino finalmente concepibili. Nell’Islam c’è un precedente storico per questo tipo di tregua. Il profeta Maometto stipulò la prima tregua musulmana nel 628 tra il nascente Stato musulmano e i pagani della Mecca. Conosciuta come il Trattato di Hudaybiyah, essa durò per due anni prima di essere violata dai Meccani che attaccarono le tribù Beduine musulmane. I musulmani, comunque, rispettarono i termini della tregua, anche se molti di essi li ritenevano ingiusti.
Ancora più importante è il fatto che durante gli ultimi tre decenni, una presenza sempre più stabile della comunità musulmana in Europa ha portato ad una graduale riconsiderazione della regione europea da parte di questi ultimi, non più “dal al-harb” (o la Dimora della Guerra, la tradizionale categorizzazione musulmana per le terre non-musulmane) ma “dar al-hudna” - una terra di tregua tra i musulmani e non-musulmani - e perfino “dar al-Islam,”una terra di pace dove i musulmani possono sentirsi a casa.
In realtà, pur essendo pericolosa la presenza di poche migliaia di estremisti su una popolazione Europea di musulmani nell’ordine dei dieci milioni, i musulmani considerano l’Europa come una “terre de mediation” tra il mondo esterno e loro stessi. Una hudna sponsorizzata dall’Europa potrebbe quindi rappresentare un passo importante per consentire ai musulmani di riconoscere che gli Stati Uniti hanno il potenziale per trasformarsi- ma solo se i maggiori governi europei premessero assai, guidando il tentativo di riconsiderare e trasformare le politiche USA nei confronti delle terre musulmane.
Una hudna significativa tra l’Islam e gli Stati Uniti (e l’Unione Europea) includerebbe, sia pur non a titolo limitativo, i seguenti punti:
Primo, considerato che tutte le principali personalità musulmane hanno condannato l’estremismo musulmano, il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere sospinto da una controparte europea a fare l’importante passo psicologico di ammettere la responsabilità americana nelle sofferenze che milioni di musulmani hanno dovuto subire da parte di governi che si sono rivelati corrotti, guerrafondai e dittatoriali, supportati dalle amministrazioni americane per decenni soprattutto nel Medio Oriente.
Secondo, gli Stati Uniti d’America, l’Unione Europea e la N.A.T.O. dovrebbero sospendere tutte le offensive militari nel mondo musulmano e allo stesso tempo delineare un serio piano di ritiro delle truppe dai paesi musulmani, inclusi Afghanistan e Iraq (quest’ultime potrebbero essere rimpiazzate, dove necessario, da una robusta forza di pace ONU oppure da un’amministrazione di transizione sponsorizzata dall’ONU stesso). La caccia a Osama Bin Laden, Al-Qaeda e il relativo network del terrore sarebbe di conseguenza trasformata da quella che è una guerra di vendetta in quello che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio: una vigorosa azione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, dall’ONU e, dove rilevante, da altri governi tra cui quelli europei per catturare, processare e punire le persone ed i gruppi responsabili di molti attentati tra cui quelli dell’11 settembre 2001.
Terzo, tutti gli aiuti militari e gli accordi diplomatici con paesi del Medio Oriente che non sono democratici e che non rispettano i diritti delle popolazioni sotto il loro controllo dovrebbero essere sospesi. Questo vale per Israele quanto per l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita, e altri “alleati” e “partners”. Questo passo è cruciale se si vuole fermare la corsa regionale agli armamenti ed il ciclo di violenza che rende una riforma democratica e la pace nella regione impossibili.
Infine, le centinaia di miliardi di dollari devoluti alla guerra al terrorismo dovrebbero essere indirizzati verso quel tipo di progetti di carattere infrastrutturale, educazionale e sociale che il Rapporto della Commissione sull’11 settembre definisce come punti chiave se si vuole sconfiggere il terrorismo.
Una tregua basata su questi principi non deve essere vista come un atto di capitolazione o di giustificazione dei musulmani per i crimini commessi nel nome della loro religione. E` stata sicuramente giusta la decisione da parte dei leader europei di rifiutare una fantomatica “offerta di tregua”da parte di Osama Bin Laden lo scorso aprile con la condizione che i paesi Europei operassero il ritiro delle loro truppe da paesi musulmani e negassero il loro supporto agli Stati Uniti. I criminali non possono offrire tregue, e Osama Bin Laden e altri gruppi che usano la violenza terrorista sono sicuramente dei criminali che la comunità internazionale deve assicurare alla giustizia.
Oltre a considerare la minoranza criminale, il Rapporto sull’11 settembre ha sottolineato la necessità da parte dei musulmani in tutto il mondo di fare i conti con la versione intollerante e violenta della loro religione che sta avvelenando le loro società e che minaccia tutto il mondo. Sia i leader religiosi che i cittadini comuni dovrebbero promuovere un esame di coscienza per valutare al meglio le tendenze tossiche all’interno delle loro culture, una prassi simile a quella che si pretende dagli Americani e dall’Occidente in generale.
Gli Stati, come le comunità e le culture e a differenza dei criminali, possono offrire delle tregue. Per iniziare questo processo il Rapporto della Commissione avrebbe dovuto includere delle specifiche prescrizioni politiche. Da parte loro, i leader politici musulmani dovrebbero innanzitutto facilitare un rapido sviluppo di società civili altamente partecipative e assicurare, entro limiti di tempo ben specificati, delle elezioni monitorate dalla comunità internazionale. Questo è il modo più sicuro per costruire delle basi su cui sconfiggere il terrorismo.
Mentre è veramente difficile immaginare che gli Stati Uniti d’America abbozzino tale politica, l’Unione Europea potrebbe guidare tale tentativo dato che la maggior parte dei suoi membri non hanno i profondi legami con Israele o i principati del petrolio del Golfo che ancorano il sistema presente. Il bisogno di leadership è illustrato dalle raccomandazioni della Commissione sull’11 settembre che dimostra come gli Stati Uniti d’America siano incapaci dal punto di vista istituzionale di prendere delle decisioni audaci. Come esposto in una ricerca citata dal Rapporto - p. 466, nota 16 - in modo contrario alle mie opinioni, non trovo sorprendente che il Rapporto giudichi la posizione degli Stati Uniti come uno spettatore innocente in uno “scontro tra civiltà” la cui soluzione “deve venire dalle stesse società musulmane”.
Per fortuna i maggiori paesi europei come la Francia, la Germania e ora la Spagna non hanno quell’interesse finanziario nella globalizzazione pesantemente militarizzata che dall’11 settembre distorce la politica Americana e Britannica. Infatti, attraverso l’Unione Europea, questi paesi hanno creato un’area “Euro-Mediterranea”, la cui funzionalità dipende da uno sviluppo economico e politico esteso anche al mondo musulmano aumentando notevolmente lo scambio con quest’ultimo. Speriamo solo che abbiano il coraggio di spiegare al Presidente Kerry (o perfino a Bush) che, senza una assunzione di responsabilità per le politiche del passato e una trasformazione delle politiche future nei confronti delle regioni Islamiche , non ci sarà soluzione al terrorismo ma solo una continua spirale di violenza e di guerra.
A prescindere dal modo nel quale il prossimo Presidente proverà a condurre questa guerra, e anche se lo farà in modo intelligente ed efficiente, essa in realtà non si potrà concludere con una vittoria, come accadde in Vietnam e nella guerra contro la droga, e causerà molte più perdite nel futuro prossimo.
L’autore è Professore di Storia e Studi Medio-Orientali all’Università della California, Irvine.
L’articolo è stato tradotto da Jacopo Moroni.
di Mark LeVine
E’ ora per gli Stati Uniti d’America di dichiarare una tregua con il mondo musulmano e in particolare con l’Islam radicale.
Questa può sembrare una proposta un po’ naïve - se non addirittura disfattista- considerato il Rapporto della Commissione sull’11 settembre, il quale ricorda ancora una volta come l’America rimanga una nazione in guerra calda contro il “terrorismo Islamico” e le idee che lo sostengono. Ciononostante una tregua - in Arabo, hudna - piuttosto che un sempre più pericoloso “scontro tra civiltà”, è l’unica soluzione per evitare un conflitto lungo e catastrofico. E deve essere l’Europa ad assumersi la parte del buon broker.
Infatti, finché George W. Bush rimarrà in carica, non ci sarà nessuna possibilità né di fermare la guerra al terrorismo né di compiere una virata netta nella politica estera americana. Anche se John Kerry vincesse le elezioni a novembre, ci sarebbero ben poche probabilità che l’ipotesi della tregua prenda corpo. Detto questo, c’è una grossa differenza- almeno sul piano della retorica- tra le due possibili presidenze. Kerry ha fatto della promessa di “ascoltare” gli alleati Europei, per costruire un approccio comune nella lotta al terrorismo, uno dei punti forti della campagna elettorale.
I leader Europei affrontano la minaccia di un conflitto sempre più sanguinoso con gli estremisti musulmani grazie al passato coloniale del continente e, in maniera più rilevante oggi, grazie al loro appoggio alle politiche americane in Israele/Palestina, Afghanistan e Iraq. Sarebbero saggi a suggerire al Presidente Kerry di dichiarare una tregua in modo che gli Stati Uniti, l’Unione Europea e “l’Occidente” in generale abbiano il tempo necessario per esplorare collettivamente e pubblicamente le ragioni della violenza che si emana contro di loro dal mondo musulmano- qualcosa che la Commissione sull’11 settembre avrebbe dovuto fare e che non ha fatto. In questo caso ci sarebbe almeno la possibilità che Kerry ascolti, specialmente se la guerra in Iraq continuasse a rimanere fuori controllo per gli Americani.
Ci sono varie modalità di tregua, la maggior parte delle quali non sono risolutive per la situazione che l’America sta affrontando. Qualcuna delle tregue più antiche, come la pace di Nicia (poi abortita) durante la Guerra del Peloponneso del quinto secolo a.C., erano stipulate solo per necessità tattica e non venivano rispettate appena cambiava l’equilibrio in campo. Questo tipo di tregua - durante la quale entrambi i fronti tentano di avvantaggiarsi prima del nuovo scoppio delle ostilità - sarebbe nel nostro caso sicuramente un disastro.
Altre tregue, come quelle che sancirono la fine della guerra in Corea nel 1953 e la guerra Arabo-Israeliana nel 1973, furono risoluzioni politiche di necessità, anche se insoddisfacenti, per conflitti altrimenti insolubili. Una tregua del genere finirebbe quasi sicuramente in una ripresa delle ostilità perché la ragioni che fondano la guerra al terrorismo sono il nocciolo dei valori delle politiche Occidentali in Medio Oriente. Decenni fa gli Stati Uniti iniziarono la loro relazione con una componente “socio-patica” di Islam wahhabita, dando così vita al figlio bastardo del “terrorismo islamico”che ora, come nei più luridi programmi drammatici della TV, vuole uccidere i genitori.
C’è sicuramente bisogno di un tipo di tregua differente; qualcosa che permetta alle parti, gli Stati Uniti (e in minor misura l’Europa) e i musulmani, di compiere il primo passo di una genuina rivalutazione delle proprie posizioni ed interessi di base, in modo che la pace e la conciliazione diventino finalmente concepibili. Nell’Islam c’è un precedente storico per questo tipo di tregua. Il profeta Maometto stipulò la prima tregua musulmana nel 628 tra il nascente Stato musulmano e i pagani della Mecca. Conosciuta come il Trattato di Hudaybiyah, essa durò per due anni prima di essere violata dai Meccani che attaccarono le tribù Beduine musulmane. I musulmani, comunque, rispettarono i termini della tregua, anche se molti di essi li ritenevano ingiusti.
Ancora più importante è il fatto che durante gli ultimi tre decenni, una presenza sempre più stabile della comunità musulmana in Europa ha portato ad una graduale riconsiderazione della regione europea da parte di questi ultimi, non più “dal al-harb” (o la Dimora della Guerra, la tradizionale categorizzazione musulmana per le terre non-musulmane) ma “dar al-hudna” - una terra di tregua tra i musulmani e non-musulmani - e perfino “dar al-Islam,”una terra di pace dove i musulmani possono sentirsi a casa.
In realtà, pur essendo pericolosa la presenza di poche migliaia di estremisti su una popolazione Europea di musulmani nell’ordine dei dieci milioni, i musulmani considerano l’Europa come una “terre de mediation” tra il mondo esterno e loro stessi. Una hudna sponsorizzata dall’Europa potrebbe quindi rappresentare un passo importante per consentire ai musulmani di riconoscere che gli Stati Uniti hanno il potenziale per trasformarsi- ma solo se i maggiori governi europei premessero assai, guidando il tentativo di riconsiderare e trasformare le politiche USA nei confronti delle terre musulmane.
Una hudna significativa tra l’Islam e gli Stati Uniti (e l’Unione Europea) includerebbe, sia pur non a titolo limitativo, i seguenti punti:
Primo, considerato che tutte le principali personalità musulmane hanno condannato l’estremismo musulmano, il prossimo presidente degli Stati Uniti dovrebbe essere sospinto da una controparte europea a fare l’importante passo psicologico di ammettere la responsabilità americana nelle sofferenze che milioni di musulmani hanno dovuto subire da parte di governi che si sono rivelati corrotti, guerrafondai e dittatoriali, supportati dalle amministrazioni americane per decenni soprattutto nel Medio Oriente.
Secondo, gli Stati Uniti d’America, l’Unione Europea e la N.A.T.O. dovrebbero sospendere tutte le offensive militari nel mondo musulmano e allo stesso tempo delineare un serio piano di ritiro delle truppe dai paesi musulmani, inclusi Afghanistan e Iraq (quest’ultime potrebbero essere rimpiazzate, dove necessario, da una robusta forza di pace ONU oppure da un’amministrazione di transizione sponsorizzata dall’ONU stesso). La caccia a Osama Bin Laden, Al-Qaeda e il relativo network del terrore sarebbe di conseguenza trasformata da quella che è una guerra di vendetta in quello che avrebbe dovuto essere fin dall’inizio: una vigorosa azione internazionale guidata dagli Stati Uniti d’America, dall’ONU e, dove rilevante, da altri governi tra cui quelli europei per catturare, processare e punire le persone ed i gruppi responsabili di molti attentati tra cui quelli dell’11 settembre 2001.
Terzo, tutti gli aiuti militari e gli accordi diplomatici con paesi del Medio Oriente che non sono democratici e che non rispettano i diritti delle popolazioni sotto il loro controllo dovrebbero essere sospesi. Questo vale per Israele quanto per l’Egitto, la Giordania, l’Arabia Saudita, e altri “alleati” e “partners”. Questo passo è cruciale se si vuole fermare la corsa regionale agli armamenti ed il ciclo di violenza che rende una riforma democratica e la pace nella regione impossibili.
Infine, le centinaia di miliardi di dollari devoluti alla guerra al terrorismo dovrebbero essere indirizzati verso quel tipo di progetti di carattere infrastrutturale, educazionale e sociale che il Rapporto della Commissione sull’11 settembre definisce come punti chiave se si vuole sconfiggere il terrorismo.
Una tregua basata su questi principi non deve essere vista come un atto di capitolazione o di giustificazione dei musulmani per i crimini commessi nel nome della loro religione. E` stata sicuramente giusta la decisione da parte dei leader europei di rifiutare una fantomatica “offerta di tregua”da parte di Osama Bin Laden lo scorso aprile con la condizione che i paesi Europei operassero il ritiro delle loro truppe da paesi musulmani e negassero il loro supporto agli Stati Uniti. I criminali non possono offrire tregue, e Osama Bin Laden e altri gruppi che usano la violenza terrorista sono sicuramente dei criminali che la comunità internazionale deve assicurare alla giustizia.
Oltre a considerare la minoranza criminale, il Rapporto sull’11 settembre ha sottolineato la necessità da parte dei musulmani in tutto il mondo di fare i conti con la versione intollerante e violenta della loro religione che sta avvelenando le loro società e che minaccia tutto il mondo. Sia i leader religiosi che i cittadini comuni dovrebbero promuovere un esame di coscienza per valutare al meglio le tendenze tossiche all’interno delle loro culture, una prassi simile a quella che si pretende dagli Americani e dall’Occidente in generale.
Gli Stati, come le comunità e le culture e a differenza dei criminali, possono offrire delle tregue. Per iniziare questo processo il Rapporto della Commissione avrebbe dovuto includere delle specifiche prescrizioni politiche. Da parte loro, i leader politici musulmani dovrebbero innanzitutto facilitare un rapido sviluppo di società civili altamente partecipative e assicurare, entro limiti di tempo ben specificati, delle elezioni monitorate dalla comunità internazionale. Questo è il modo più sicuro per costruire delle basi su cui sconfiggere il terrorismo.
Mentre è veramente difficile immaginare che gli Stati Uniti d’America abbozzino tale politica, l’Unione Europea potrebbe guidare tale tentativo dato che la maggior parte dei suoi membri non hanno i profondi legami con Israele o i principati del petrolio del Golfo che ancorano il sistema presente. Il bisogno di leadership è illustrato dalle raccomandazioni della Commissione sull’11 settembre che dimostra come gli Stati Uniti d’America siano incapaci dal punto di vista istituzionale di prendere delle decisioni audaci. Come esposto in una ricerca citata dal Rapporto - p. 466, nota 16 - in modo contrario alle mie opinioni, non trovo sorprendente che il Rapporto giudichi la posizione degli Stati Uniti come uno spettatore innocente in uno “scontro tra civiltà” la cui soluzione “deve venire dalle stesse società musulmane”.
Per fortuna i maggiori paesi europei come la Francia, la Germania e ora la Spagna non hanno quell’interesse finanziario nella globalizzazione pesantemente militarizzata che dall’11 settembre distorce la politica Americana e Britannica. Infatti, attraverso l’Unione Europea, questi paesi hanno creato un’area “Euro-Mediterranea”, la cui funzionalità dipende da uno sviluppo economico e politico esteso anche al mondo musulmano aumentando notevolmente lo scambio con quest’ultimo. Speriamo solo che abbiano il coraggio di spiegare al Presidente Kerry (o perfino a Bush) che, senza una assunzione di responsabilità per le politiche del passato e una trasformazione delle politiche future nei confronti delle regioni Islamiche , non ci sarà soluzione al terrorismo ma solo una continua spirale di violenza e di guerra.
A prescindere dal modo nel quale il prossimo Presidente proverà a condurre questa guerra, e anche se lo farà in modo intelligente ed efficiente, essa in realtà non si potrà concludere con una vittoria, come accadde in Vietnam e nella guerra contro la droga, e causerà molte più perdite nel futuro prossimo.
L’autore è Professore di Storia e Studi Medio-Orientali all’Università della California, Irvine.
L’articolo è stato tradotto da Jacopo Moroni.
11.10.04
Metamorfosi terziste
"CONTRORDINE" di Alessandro Robecchi
Il povero signor Joseph K. si svegliò una mattina e si ritrovò trasformato in un grosso bacherozzo, lo sanno tutti. E' il mio incubo: svegliarmi una mattina trasformato in terzista, spero soltanto di non spaventare i bambini. Immagino l'angoscia dei parenti, l'incredulità degli amici, il dramma interiore di dover dire (per soldi) che Sandro Bondi, alla fine, certe volte, non ha poi tutti i torti. Naturalmente mi sono informato: il terzista sarebbe un tizio che sta a destra ma può anche riconoscere qualche pregio alla sinistra. Oppure sta a sinistra ma riconosce molti pregi alla destra. Di solito l'iter è questo: a) una mattina ci si sveglia terzisti; b) si ottiene il plauso generale per il proprio equilibrio; c) si conquista una prestigiosa rubrica oppure una trasmissione televisiva; d) si cerca di non farsi troppi nemici in attesa di sapere chi comanderà domani in modo da mantenere il proprio potere. Terzista, sul vocabolario non c'è. Però c'è «paraculo», che mi sembra sinonimo. Il terzista, comunque, è un animale interessante, difficile da afferrare, simile a un'anguilla insaponata. Rivendica di avere opinioni diverse sia da un estremo che dall'altro (intendendo per estremi i due schieramenti del maggioritario che spesso tanto si somigliano), che è una cosa comprensibile. Ma finisce in questo modo per non avere opinioni, che è esattamente quello che oggi si richiede a un buon opinionista. Su alcune cose marginali, il terzista può essere convincente e procede con l'infallibile metodo dialettico dell'altalena. Esempio. Certo la destra sbaglia. Ma la sinistra d'altronde sbagliò anche lei. E del resto, vista la situazione, la destra è costretta a sbagliare. La sinistra, al suo posto, non sbaglierebbe? Certo che sì. Ecco un tipico ragionamento terzista che, se portato alle estreme conseguenze, porterebbe tutti i terzisti a trasferirsi su Marte. Dove però (è acclarato) non ci sono rubriche ben pagate e trasmissioni tivù. Dunque (suppongo controvoglia) il terzista resta qui a dare ragione un po' a tutti e a creare la sua non indifferente fettina di prodotto interno lordo.
Dal punto di vista semantico, le espressioni preferite dal terzista sono «d'altronde», «d'altra parte», «del resto» e tutti gli altri giochetti dialettici che si usano come una paletta per rivoltare le frittate. Se si vuole far male a un terzista (ma del resto, perché, povera bestia?) basta chiedergli una posizione netta: sì o no? Il povero terzista si comporterà come un camaleonte finito per sbaglio su una tela scozzese, ed esploderà sporcando tutte le pareti. Ma va detto che, se è abile, non si farà incastrare. La guerra, per esempio: era sbagliata ma è stato giusto farla. Oppure era giusta ma è stata fatta male. O ancora era sbagliata, ma ora che ci siamo non è che possiamo tornare indietro. Gli antropologi si interrogano sulla nascita della figura del terzista. Il paraculo, si sa, è sempre esistito, il terzista invece no, è uno sviluppo recente nel genere umano. Silvio Berlusconi ha difficoltà a mettere un suo dipendente in un posto di prestigio? Nessun problema: si sceglie dal mazzo un terzista, cioè uno che ogni tanto, con garbo e cautela, finge di mostrarsi un pochino critico. E così si grida alla ritrovata «obiettività». Bel colpo. E' con questo sistema che siamo passati da Enzo Biagi a Pierluigi (cerchio)Battista, e poi a Oscar Giannino: un po' come se il mondo procedesse a ritroso e l'evoluzione partisse dall'homo sapiens per svilupparsi verso la scimmia. Si capisce perché le teorie di Darwin non piacciono a destra e si preferisce il creazionismo, infatti li ha creati Silvio: è consentita una piccola dose di dissenso, purché in modica quantità e per uso personale.
In ogni caso, come sempre, comanda il mercato. Essere terzisti, almeno nel campo dei media, aiuta gli affari e offre grande visibilità, anche perché i terzisti hanno la tendenza a intervistarsi, lodarsi e premiarsi tra loro e ad essere invece molto sprezzanti con chi ha opinioni nette e precise che non implicano l'arte di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte per mantenersi a galla. Unica eccezione di estremista che piace ai terzisti, il presidente del consiglio. Da manuale, il terzista dovrebbe schifarlo, in quanto incarna uno dei due estremi, ma (del resto, d'altronde, d'altra parte) egli ricopre un ruolo istituzionale ed è il maggior editore del Paese. E qui il terzista diventa molto rispettoso e timorato, si appiattisce a tappetino, si china e s'inchina, mette su un'aria pensosa e serissima. E annuisce. Tutti, naturalmente, plaudono alla sua «obiettività» e al suo essere «al di sopra delle parti». Lui incassa gli applausi, e invia la fattura.
"CONTRORDINE" di Alessandro Robecchi
Il povero signor Joseph K. si svegliò una mattina e si ritrovò trasformato in un grosso bacherozzo, lo sanno tutti. E' il mio incubo: svegliarmi una mattina trasformato in terzista, spero soltanto di non spaventare i bambini. Immagino l'angoscia dei parenti, l'incredulità degli amici, il dramma interiore di dover dire (per soldi) che Sandro Bondi, alla fine, certe volte, non ha poi tutti i torti. Naturalmente mi sono informato: il terzista sarebbe un tizio che sta a destra ma può anche riconoscere qualche pregio alla sinistra. Oppure sta a sinistra ma riconosce molti pregi alla destra. Di solito l'iter è questo: a) una mattina ci si sveglia terzisti; b) si ottiene il plauso generale per il proprio equilibrio; c) si conquista una prestigiosa rubrica oppure una trasmissione televisiva; d) si cerca di non farsi troppi nemici in attesa di sapere chi comanderà domani in modo da mantenere il proprio potere. Terzista, sul vocabolario non c'è. Però c'è «paraculo», che mi sembra sinonimo. Il terzista, comunque, è un animale interessante, difficile da afferrare, simile a un'anguilla insaponata. Rivendica di avere opinioni diverse sia da un estremo che dall'altro (intendendo per estremi i due schieramenti del maggioritario che spesso tanto si somigliano), che è una cosa comprensibile. Ma finisce in questo modo per non avere opinioni, che è esattamente quello che oggi si richiede a un buon opinionista. Su alcune cose marginali, il terzista può essere convincente e procede con l'infallibile metodo dialettico dell'altalena. Esempio. Certo la destra sbaglia. Ma la sinistra d'altronde sbagliò anche lei. E del resto, vista la situazione, la destra è costretta a sbagliare. La sinistra, al suo posto, non sbaglierebbe? Certo che sì. Ecco un tipico ragionamento terzista che, se portato alle estreme conseguenze, porterebbe tutti i terzisti a trasferirsi su Marte. Dove però (è acclarato) non ci sono rubriche ben pagate e trasmissioni tivù. Dunque (suppongo controvoglia) il terzista resta qui a dare ragione un po' a tutti e a creare la sua non indifferente fettina di prodotto interno lordo.
Dal punto di vista semantico, le espressioni preferite dal terzista sono «d'altronde», «d'altra parte», «del resto» e tutti gli altri giochetti dialettici che si usano come una paletta per rivoltare le frittate. Se si vuole far male a un terzista (ma del resto, perché, povera bestia?) basta chiedergli una posizione netta: sì o no? Il povero terzista si comporterà come un camaleonte finito per sbaglio su una tela scozzese, ed esploderà sporcando tutte le pareti. Ma va detto che, se è abile, non si farà incastrare. La guerra, per esempio: era sbagliata ma è stato giusto farla. Oppure era giusta ma è stata fatta male. O ancora era sbagliata, ma ora che ci siamo non è che possiamo tornare indietro. Gli antropologi si interrogano sulla nascita della figura del terzista. Il paraculo, si sa, è sempre esistito, il terzista invece no, è uno sviluppo recente nel genere umano. Silvio Berlusconi ha difficoltà a mettere un suo dipendente in un posto di prestigio? Nessun problema: si sceglie dal mazzo un terzista, cioè uno che ogni tanto, con garbo e cautela, finge di mostrarsi un pochino critico. E così si grida alla ritrovata «obiettività». Bel colpo. E' con questo sistema che siamo passati da Enzo Biagi a Pierluigi (cerchio)Battista, e poi a Oscar Giannino: un po' come se il mondo procedesse a ritroso e l'evoluzione partisse dall'homo sapiens per svilupparsi verso la scimmia. Si capisce perché le teorie di Darwin non piacciono a destra e si preferisce il creazionismo, infatti li ha creati Silvio: è consentita una piccola dose di dissenso, purché in modica quantità e per uso personale.
In ogni caso, come sempre, comanda il mercato. Essere terzisti, almeno nel campo dei media, aiuta gli affari e offre grande visibilità, anche perché i terzisti hanno la tendenza a intervistarsi, lodarsi e premiarsi tra loro e ad essere invece molto sprezzanti con chi ha opinioni nette e precise che non implicano l'arte di dare un colpo al cerchio e un colpo alla botte per mantenersi a galla. Unica eccezione di estremista che piace ai terzisti, il presidente del consiglio. Da manuale, il terzista dovrebbe schifarlo, in quanto incarna uno dei due estremi, ma (del resto, d'altronde, d'altra parte) egli ricopre un ruolo istituzionale ed è il maggior editore del Paese. E qui il terzista diventa molto rispettoso e timorato, si appiattisce a tappetino, si china e s'inchina, mette su un'aria pensosa e serissima. E annuisce. Tutti, naturalmente, plaudono alla sua «obiettività» e al suo essere «al di sopra delle parti». Lui incassa gli applausi, e invia la fattura.
6.10.04
L'inglesorum del ministro
di GIAN ANTONIO STELLA (Corriere della Sera - 6 ottobre 2004)
«Parla in francese al cane!», inorridiva Camilla Cederna per infilzare chi voleva darsi un certo tono. Fosse viva, avrebbe di che divertirsi. Nella scia di una lunga serie di sdottoreggiamenti anglofili, il ministro del Tesoro Domenico Siniscalco ha ieri individuato un metodo geniale per spazzare via con cristallina trasparenza tutti i dubbi e gli interrogativi e le perplessità sui nuovi pedaggi previsti nella Finanziaria per 1.500 chilometri di strade oggi gratuite. E volto alla plebe l'ha rassicurata così: «Si tratta di shadow toll ». Pedaggi-ombra.
Sono anni che si parla di questi nuovi pedaggi. Il primo a farlo fu Pietro Lunardi subito dopo essere stato fatto ministro, promettendo che la nuova Salerno-Reggio Calabria (magia!) sarebbe stata pronta «entro il 2004-2005: ho già chiesto che si paghi il pedaggio». E da allora non si contano le dichiarazioni e i commenti, senza che mai una volta il governo avesse sentito la necessità di correggere la definizione della parola. La quale nello Zanichelli risulta: «Tassa corrisposta per il transito di veicoli in determinati luoghi». Di più: «gabella, dazio». Storicamente: «diritto di mettere piede». Del resto, così sta scritto nella relazione tecnica della Finanziaria: «Per stimare l’introito derivante dalla vendita delle strade si assume una concessione quarantennale analoga a quella del gruppo Autostrade con un ricavo medio da pedaggio per km pari a circa 0,68...».
Tutto chiaro? Sembrava. Al punto che il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano, dato che nessuno gli aveva fatto uno squillo fornendogli l’interpretazione governativa della parola, si era lanciato ieri mattina in una appassionata arringa in difesa di quello che pensava fosse il provvedimento. E dopo aver assicurato che avrebbe proposto di studiare «l’abbonamento per chi usa più spesso le strade statali e quindi le usa per motivi di lavoro e trasporto merci» in modo che «così come esiste l’abbonamento ferroviario che comporta anche un costo minore per chi lo acquista, si possa studiare l’abbonamento per le strade statali», si era avventurato in una generosa arrampicata sugli specchi: «Bisogna capire i pro e i contro della decisione» e cioè che «non tutti usano le strade statali, oppure non con la stessa frequenza. Se non si paga il pedaggio, qualcuno paga, e cioè tutti quelli che le usano e quelli che non le usano». E via blablablando.
Ad immolarsi sullo stesso altare, però, la Lega non ci pensava proprio. E dopo aver sparato con Ugo Barolo un primo botto antimeridionalista («Se l’intenzione del governo è di pedaggiare le autostrade del Sud attualmente gratuite non possiamo che compiacercene»), aveva aggiustato il tiro con Alessandro Cè: «Se fosse a carico degli automobilisti sarebbe un’ipotesi sciagurata. Se si vuole una sollevazione popolare...». E così, mentre scoppiava la polemica a sinistra e tra i consumatori (che denunciavano apocalittici «il ritorno alle taglie medievali») con immediato contagio ai centristi e ai nazional alleati, il Tesoro si è precipitato a precisare: è tutto un errore! Anzi: un mistake , direbbe Siniscalco. E giù spiegazioni complicatissime, di cui parliamo a parte, riassunte come dicevamo: non si tratta di un vero pedaggio ma di uno shadow toll . Al che lo stesso Giancarlo Giorgetti borbottava: «Voi avete capito? Io no».
Classico. Ricordate don Abbondio che spiega a Renzo i motivi per cui non lo può maritare? «Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen...» «Si piglia gioco di me? Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?», lo interrompe il promesso sposo. E lui: «Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa». Morto il «latinorum», tocca all’«inglesorum».
Sono anni che l’andazzo è questo. E a mano a mano che i francesi tentavano un disperato arroccamento in difesa della loro lingua, noi abbiamo ceduto di schianto. Compiacendoci anzi della nostra provinciale rincorsa a ogni parola inglese che c’era nei dintorni. Federalismo? No: devolution . Stato sociale? No: welfare .
I rapporti sulla sanità? No: report card . E via così, fino al trionfo del linguaggio televisivo del «Grande Fratello» celebrato da Silvio Berlusconi che, dopo aver lanciato l’ Usa Day e il Tax Day e lo Sport Day e l’ Election Day , arrivò ad annunciare un possibile rimpasto col linguaggio di Taricone: «Non escludo qualche new entry ».
Del resto, l’ha teorizzato più volte: «Io sono allergico a tutte le parole della vecchia politica». Perché parlare andreottianamente di «verifica»? Meglio «tagliando del motore». Perché «manovra»? Meglio «taglio di spese dello Stato senza incidere su scuola, sicurezza, salute e servizi sociali». Cirino Pomicino ci ha sempre riso su: «Berlusconi fa ’o gallo sull’immondizia». Lui ha tirato diritto. Tanto da suggerire a Letizia Moratti un simpatico metodo educativo: «Nelle mense scolastiche i bambini devono chiedere quello che vogliono in inglese sennò non mangiano...».
Giulio «Genius» Tremonti non ha perso occasione per dargli ragione. Tanto che un giorno, racconta Bobo Maroni, usciti i sindacati per passar la staffetta agli imprenditori, sbottò: «Finalmente posso parlare in inglese». E via con panel e tax shield e close to balance , che indicando l’avvicinamento al pareggio stemperava la gravità del buco mettendosi nella prospettiva dei beati che tendono alla santità con pia rassegnazione a non raggiungerla mai.
Come poteva, dopo tale maestro, sottrarsi al percorso il suo discepolo e successore? Ed ecco Siniscalco, bacchettato perfino da Luca di Montezemolo con la battuta su the collegate , marcare altre new entry : spending review e golden rule e infine shadow toll .
Insistano. Magari copiando il poeta Pasquale Panella e i suoi deliziosi deliri esterofili: «Fui maître à penser / prêtàporter, entravo / in coupé in ogni / foyer, il mio water / fu un atelier, ogni/ pamphlet un défilé / d’emblée, soirée e matinée / ero fumé, tsetse, checché, coccodè, bignè / per autodafé diventai consommé».
di GIAN ANTONIO STELLA (Corriere della Sera - 6 ottobre 2004)
«Parla in francese al cane!», inorridiva Camilla Cederna per infilzare chi voleva darsi un certo tono. Fosse viva, avrebbe di che divertirsi. Nella scia di una lunga serie di sdottoreggiamenti anglofili, il ministro del Tesoro Domenico Siniscalco ha ieri individuato un metodo geniale per spazzare via con cristallina trasparenza tutti i dubbi e gli interrogativi e le perplessità sui nuovi pedaggi previsti nella Finanziaria per 1.500 chilometri di strade oggi gratuite. E volto alla plebe l'ha rassicurata così: «Si tratta di shadow toll ». Pedaggi-ombra.
Sono anni che si parla di questi nuovi pedaggi. Il primo a farlo fu Pietro Lunardi subito dopo essere stato fatto ministro, promettendo che la nuova Salerno-Reggio Calabria (magia!) sarebbe stata pronta «entro il 2004-2005: ho già chiesto che si paghi il pedaggio». E da allora non si contano le dichiarazioni e i commenti, senza che mai una volta il governo avesse sentito la necessità di correggere la definizione della parola. La quale nello Zanichelli risulta: «Tassa corrisposta per il transito di veicoli in determinati luoghi». Di più: «gabella, dazio». Storicamente: «diritto di mettere piede». Del resto, così sta scritto nella relazione tecnica della Finanziaria: «Per stimare l’introito derivante dalla vendita delle strade si assume una concessione quarantennale analoga a quella del gruppo Autostrade con un ricavo medio da pedaggio per km pari a circa 0,68...».
Tutto chiaro? Sembrava. Al punto che il ministro delle Attività produttive Antonio Marzano, dato che nessuno gli aveva fatto uno squillo fornendogli l’interpretazione governativa della parola, si era lanciato ieri mattina in una appassionata arringa in difesa di quello che pensava fosse il provvedimento. E dopo aver assicurato che avrebbe proposto di studiare «l’abbonamento per chi usa più spesso le strade statali e quindi le usa per motivi di lavoro e trasporto merci» in modo che «così come esiste l’abbonamento ferroviario che comporta anche un costo minore per chi lo acquista, si possa studiare l’abbonamento per le strade statali», si era avventurato in una generosa arrampicata sugli specchi: «Bisogna capire i pro e i contro della decisione» e cioè che «non tutti usano le strade statali, oppure non con la stessa frequenza. Se non si paga il pedaggio, qualcuno paga, e cioè tutti quelli che le usano e quelli che non le usano». E via blablablando.
Ad immolarsi sullo stesso altare, però, la Lega non ci pensava proprio. E dopo aver sparato con Ugo Barolo un primo botto antimeridionalista («Se l’intenzione del governo è di pedaggiare le autostrade del Sud attualmente gratuite non possiamo che compiacercene»), aveva aggiustato il tiro con Alessandro Cè: «Se fosse a carico degli automobilisti sarebbe un’ipotesi sciagurata. Se si vuole una sollevazione popolare...». E così, mentre scoppiava la polemica a sinistra e tra i consumatori (che denunciavano apocalittici «il ritorno alle taglie medievali») con immediato contagio ai centristi e ai nazional alleati, il Tesoro si è precipitato a precisare: è tutto un errore! Anzi: un mistake , direbbe Siniscalco. E giù spiegazioni complicatissime, di cui parliamo a parte, riassunte come dicevamo: non si tratta di un vero pedaggio ma di uno shadow toll . Al che lo stesso Giancarlo Giorgetti borbottava: «Voi avete capito? Io no».
Classico. Ricordate don Abbondio che spiega a Renzo i motivi per cui non lo può maritare? «Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen...» «Si piglia gioco di me? Che vuol ch’io faccia del suo latinorum?», lo interrompe il promesso sposo. E lui: «Dunque, se non sapete le cose, abbiate pazienza, e rimettetevi a chi le sa». Morto il «latinorum», tocca all’«inglesorum».
Sono anni che l’andazzo è questo. E a mano a mano che i francesi tentavano un disperato arroccamento in difesa della loro lingua, noi abbiamo ceduto di schianto. Compiacendoci anzi della nostra provinciale rincorsa a ogni parola inglese che c’era nei dintorni. Federalismo? No: devolution . Stato sociale? No: welfare .
I rapporti sulla sanità? No: report card . E via così, fino al trionfo del linguaggio televisivo del «Grande Fratello» celebrato da Silvio Berlusconi che, dopo aver lanciato l’ Usa Day e il Tax Day e lo Sport Day e l’ Election Day , arrivò ad annunciare un possibile rimpasto col linguaggio di Taricone: «Non escludo qualche new entry ».
Del resto, l’ha teorizzato più volte: «Io sono allergico a tutte le parole della vecchia politica». Perché parlare andreottianamente di «verifica»? Meglio «tagliando del motore». Perché «manovra»? Meglio «taglio di spese dello Stato senza incidere su scuola, sicurezza, salute e servizi sociali». Cirino Pomicino ci ha sempre riso su: «Berlusconi fa ’o gallo sull’immondizia». Lui ha tirato diritto. Tanto da suggerire a Letizia Moratti un simpatico metodo educativo: «Nelle mense scolastiche i bambini devono chiedere quello che vogliono in inglese sennò non mangiano...».
Giulio «Genius» Tremonti non ha perso occasione per dargli ragione. Tanto che un giorno, racconta Bobo Maroni, usciti i sindacati per passar la staffetta agli imprenditori, sbottò: «Finalmente posso parlare in inglese». E via con panel e tax shield e close to balance , che indicando l’avvicinamento al pareggio stemperava la gravità del buco mettendosi nella prospettiva dei beati che tendono alla santità con pia rassegnazione a non raggiungerla mai.
Come poteva, dopo tale maestro, sottrarsi al percorso il suo discepolo e successore? Ed ecco Siniscalco, bacchettato perfino da Luca di Montezemolo con la battuta su the collegate , marcare altre new entry : spending review e golden rule e infine shadow toll .
Insistano. Magari copiando il poeta Pasquale Panella e i suoi deliziosi deliri esterofili: «Fui maître à penser / prêtàporter, entravo / in coupé in ogni / foyer, il mio water / fu un atelier, ogni/ pamphlet un défilé / d’emblée, soirée e matinée / ero fumé, tsetse, checché, coccodè, bignè / per autodafé diventai consommé».
4.10.04
POSTA DA GUANTANAMO
12 luglio 2004
US Forces Administration
JTF/JDCG, Guantanamo Bay, Cuba
A Chiunque possa interessare
Re: Commenti supplementari (alla dichiarazione datata 5 luglio 2004)
Io, Moazzam Begg, cittadino del Regno Unito di Gran Bretagna, matricola 00558 (Camp Echo), ho sentito la necessità di integrare e chiarire ulteriormente la dichiarazione di cui sopra e di sottolineare le mie proteste e i miei intenti.
Dopo oltre due anni e mezzo trascorsi in custodia dell'esercito degli Stati Uniti, senza accuse, e, per di più, senza giurisdizione, attendo ancora che mi vengano concessi i diritti essenziali normalmente garantiti dalla costituzione degli Stati Uniti e dal diritto internazionale. Chiedo pertanto, irrevocabilmente e senza condizioni, di essere immediatamente liberato e restituito alla mia famiglia e al mio domicilio nel Regno Unito, con tutte le mie proprietà, inclusi i beni e il denaro confiscati dagli "agenti" americano/pakistani dalla mia residenza in Pakistan il 31 gennaio 2002.
Nella possibile eventualità che queste richieste vengano illegittimamente rigettate, o procrastinate senza motivo, rivendico i seguenti diritti secondo la legge degli Stati Uniti:
1: Un'informativa immediata ed esauriente circa i diritti garantiti dalla legislazione degli Stati Uniti, con particolare riguardo alla condizione degli stranieri.
2: Che ogni accusa/imputazione a mio carico venga presentata in modo non ambiguo e in forma scritta.
3: Pieno accesso alle telefonate internazionali allo scopo di poter comunicare con i miei familiari e i miei avvocati.
4: Pieno accesso a rappresentanze legali di mia nomina e scelta.
5: Un inventario dettagliato di tutte le proprietà confiscate (come sopra menzionato).
6: Accesso tempestivo e periodico alle comunicazioni postali con la mia famiglia e la cessazione degli occultamenti e dei sequestri della posta che mi arriva da casa.
In aggiunta ai diritti summenzionati, rendo noto che attendo spiegazioni logiche e ragionevoli dei seguenti maltrattamenti ed abusi, per i quali ho intenzione di ottenere giustizia e risarcimento:
(i) L'esatto scopo del mio rapimento e errata incarcerazione il 31 gennaio 2002, per ordine dei servizi segreti degli Stati Uniti.
(ii) In aggiunta, quale giurisdizione legale abbia consentito loro di trasferirmi con la forza in Afghanistan.
(iii) Con quale legittima autorità le mie proprietà e i miei soldi siano stati confiscati, lasciando mia moglie e i miei bambini senza denaro e in stato di bisogno.
(iv) Per quale motivo io sia stato condotto in zona di guerra e la mia vita messa a rischio.
(v) Perché io sia stato oggetto di abusi fisici e sia stato spogliato con la forza, in modo umiliante, per essere esibito di fronte a diverse videocamere del personale degli Stati Uniti.
(vi) Il motivo per cui io sia stato detenuto per oltre un anno nella prigione di Bagram e mi siano stati di conseguenza negati luce naturale e cibo fresco per la durata della carcerazione.
(vii) L'esatto motivo per cui sono stato trasferito in isolamento a partire dall'8 febbraio 2003.
(viii) Perché ogni notizia relativa alla mia situazione mi sia stata occultata.
(ix) I motivi per cui buona parte della posta proveniente dalla mia famiglia sia stata sequestrata e il poco che riusciva a filtrare sia stato censurato senza motivo - perfino le lettere di bambini di otto anni!
(x) Perché telefonate e rappresentanza legale mi siano state negate in continuazione, nonostante le frequenti rassicurazioni in merito.
(xi) Perché, nonostante le numerose richieste, io non abbia ancora potuto incontrare un cappellano in tutto questo tempo.
(xii) Con quale legittimità e scopo agenti dell'FBI e del CITF abbiano estorto la mia firma su una dichiarazione del febbraio 2003, sotto la minaccia di carcerazione di lunga durata, di processo ed esecuzione sommaria - il tutto senza rappresentanza legale.
Dichiaro qui, ufficialmente e in modo inequivocabile, che ogni documento da me presentato agli agenti degli Stati Uniti è stato firmato e sottoscritto sotto minaccia, il che rende legalmente contestabile la sua validità. Durante diversi interrogatori, in particolare - ma non esclusivamente - in Afghanistan, sono stato soggetto a terribili minacce di tortura, a torture effettive perpetrate per vendetta, e a minacce di morte - insieme ad altre tecniche di coercizione utilizzate negli interrogatori. Né mi è mai stata concessa o resa disponibile la presenza di un consulente legale.
I suddetti interrogatori sono stati condotti in un clima di terrore, in ambienti in cui risuonavano le urla terrificanti di altri detenuti trattati con metodi simili. In quest'atmosfera di disprezzo verso i detenuti era sistematico l'utilizzo di insulti razziali e religiosi. Il culmine, a mio avviso, si ebbe con l'uccisione di due detenuti per mano del personale militare USA, fatto di cui io stesso sono stato parziale testimone.
Nonostante le suddette crudeltà e i trattamenti descritti, ho mantenuto con i miei catturatori un rapporto amichevole e condiscendente, e un'attitudine alla cooperazione. Il mio record comportamentale è impeccabile, ma in stridente contrasto con i fatti di cui ho avuto esperienza, come appena detto.
Sono un cittadino del Regno Unito rispettoso delle leggi e proclamo con forza la mia innocenza, di fronte a Dio e alla legge, per qualunque crimine - benchè nulla mi sia ancora stato contestato. Non ho mai incontrato Osama bin Laden, né sono mai stato membro di Al Qaeda o di altre simili organizzazioni paramilitari. Non ho mai compiuto atti ostili contro gli USA, né ho aiutato tali gruppi a commetterne, benchè l'opportunità mi si sia presentata in più occasioni e per più motivi.
Al di là dell'esito di tutte le mie proteste e dei miei appelli alla ragionevolezza di questi anni, ribadisco la mia intenzione di cercare giustizia con ogni mezzo a me disponibile. E' con tale intento che ho preparato copie di questa dichiarazione, perché ne siano messe a conoscenza le autorità e le corti di giustizia. Ho richiesto che questo documento venga letto con attenzione dall'Ufficio di Coordinamento Nazionale del campo, che i suoi contenuti siano registrati nella loro interezza nel diario del campo, e che esso sia inviato agli appropriati destinatari.
Moazzam Begg (00558)
In data dodici di luglio 2004. (traduzione di Gianluca Freda)
Originale pubblicato dalla BBC online.
12 luglio 2004
US Forces Administration
JTF/JDCG, Guantanamo Bay, Cuba
A Chiunque possa interessare
Re: Commenti supplementari (alla dichiarazione datata 5 luglio 2004)
Io, Moazzam Begg, cittadino del Regno Unito di Gran Bretagna, matricola 00558 (Camp Echo), ho sentito la necessità di integrare e chiarire ulteriormente la dichiarazione di cui sopra e di sottolineare le mie proteste e i miei intenti.
Dopo oltre due anni e mezzo trascorsi in custodia dell'esercito degli Stati Uniti, senza accuse, e, per di più, senza giurisdizione, attendo ancora che mi vengano concessi i diritti essenziali normalmente garantiti dalla costituzione degli Stati Uniti e dal diritto internazionale. Chiedo pertanto, irrevocabilmente e senza condizioni, di essere immediatamente liberato e restituito alla mia famiglia e al mio domicilio nel Regno Unito, con tutte le mie proprietà, inclusi i beni e il denaro confiscati dagli "agenti" americano/pakistani dalla mia residenza in Pakistan il 31 gennaio 2002.
Nella possibile eventualità che queste richieste vengano illegittimamente rigettate, o procrastinate senza motivo, rivendico i seguenti diritti secondo la legge degli Stati Uniti:
1: Un'informativa immediata ed esauriente circa i diritti garantiti dalla legislazione degli Stati Uniti, con particolare riguardo alla condizione degli stranieri.
2: Che ogni accusa/imputazione a mio carico venga presentata in modo non ambiguo e in forma scritta.
3: Pieno accesso alle telefonate internazionali allo scopo di poter comunicare con i miei familiari e i miei avvocati.
4: Pieno accesso a rappresentanze legali di mia nomina e scelta.
5: Un inventario dettagliato di tutte le proprietà confiscate (come sopra menzionato).
6: Accesso tempestivo e periodico alle comunicazioni postali con la mia famiglia e la cessazione degli occultamenti e dei sequestri della posta che mi arriva da casa.
In aggiunta ai diritti summenzionati, rendo noto che attendo spiegazioni logiche e ragionevoli dei seguenti maltrattamenti ed abusi, per i quali ho intenzione di ottenere giustizia e risarcimento:
(i) L'esatto scopo del mio rapimento e errata incarcerazione il 31 gennaio 2002, per ordine dei servizi segreti degli Stati Uniti.
(ii) In aggiunta, quale giurisdizione legale abbia consentito loro di trasferirmi con la forza in Afghanistan.
(iii) Con quale legittima autorità le mie proprietà e i miei soldi siano stati confiscati, lasciando mia moglie e i miei bambini senza denaro e in stato di bisogno.
(iv) Per quale motivo io sia stato condotto in zona di guerra e la mia vita messa a rischio.
(v) Perché io sia stato oggetto di abusi fisici e sia stato spogliato con la forza, in modo umiliante, per essere esibito di fronte a diverse videocamere del personale degli Stati Uniti.
(vi) Il motivo per cui io sia stato detenuto per oltre un anno nella prigione di Bagram e mi siano stati di conseguenza negati luce naturale e cibo fresco per la durata della carcerazione.
(vii) L'esatto motivo per cui sono stato trasferito in isolamento a partire dall'8 febbraio 2003.
(viii) Perché ogni notizia relativa alla mia situazione mi sia stata occultata.
(ix) I motivi per cui buona parte della posta proveniente dalla mia famiglia sia stata sequestrata e il poco che riusciva a filtrare sia stato censurato senza motivo - perfino le lettere di bambini di otto anni!
(x) Perché telefonate e rappresentanza legale mi siano state negate in continuazione, nonostante le frequenti rassicurazioni in merito.
(xi) Perché, nonostante le numerose richieste, io non abbia ancora potuto incontrare un cappellano in tutto questo tempo.
(xii) Con quale legittimità e scopo agenti dell'FBI e del CITF abbiano estorto la mia firma su una dichiarazione del febbraio 2003, sotto la minaccia di carcerazione di lunga durata, di processo ed esecuzione sommaria - il tutto senza rappresentanza legale.
Dichiaro qui, ufficialmente e in modo inequivocabile, che ogni documento da me presentato agli agenti degli Stati Uniti è stato firmato e sottoscritto sotto minaccia, il che rende legalmente contestabile la sua validità. Durante diversi interrogatori, in particolare - ma non esclusivamente - in Afghanistan, sono stato soggetto a terribili minacce di tortura, a torture effettive perpetrate per vendetta, e a minacce di morte - insieme ad altre tecniche di coercizione utilizzate negli interrogatori. Né mi è mai stata concessa o resa disponibile la presenza di un consulente legale.
I suddetti interrogatori sono stati condotti in un clima di terrore, in ambienti in cui risuonavano le urla terrificanti di altri detenuti trattati con metodi simili. In quest'atmosfera di disprezzo verso i detenuti era sistematico l'utilizzo di insulti razziali e religiosi. Il culmine, a mio avviso, si ebbe con l'uccisione di due detenuti per mano del personale militare USA, fatto di cui io stesso sono stato parziale testimone.
Nonostante le suddette crudeltà e i trattamenti descritti, ho mantenuto con i miei catturatori un rapporto amichevole e condiscendente, e un'attitudine alla cooperazione. Il mio record comportamentale è impeccabile, ma in stridente contrasto con i fatti di cui ho avuto esperienza, come appena detto.
Sono un cittadino del Regno Unito rispettoso delle leggi e proclamo con forza la mia innocenza, di fronte a Dio e alla legge, per qualunque crimine - benchè nulla mi sia ancora stato contestato. Non ho mai incontrato Osama bin Laden, né sono mai stato membro di Al Qaeda o di altre simili organizzazioni paramilitari. Non ho mai compiuto atti ostili contro gli USA, né ho aiutato tali gruppi a commetterne, benchè l'opportunità mi si sia presentata in più occasioni e per più motivi.
Al di là dell'esito di tutte le mie proteste e dei miei appelli alla ragionevolezza di questi anni, ribadisco la mia intenzione di cercare giustizia con ogni mezzo a me disponibile. E' con tale intento che ho preparato copie di questa dichiarazione, perché ne siano messe a conoscenza le autorità e le corti di giustizia. Ho richiesto che questo documento venga letto con attenzione dall'Ufficio di Coordinamento Nazionale del campo, che i suoi contenuti siano registrati nella loro interezza nel diario del campo, e che esso sia inviato agli appropriati destinatari.
Moazzam Begg (00558)
In data dodici di luglio 2004. (traduzione di Gianluca Freda)
Originale pubblicato dalla BBC online.
Il governo ombra è introvabile
"Satira preventiva" di Michele Serra
Mossa a sorpresa del centro-sinistra che decide di presentarsi alle elezioni. Il leader sarà senza dubbio Prodi, nonostante la forte opposizione dei prodiani
Secondo clamorose indiscrezioni, il centro-sinistra intenderebbe presentarsi alle prossime elezioni. La mossa ha preso in contropiede analisti e opinione pubblica: nessuno dei comportamenti e delle dichiarazioni dei leader dell'Ulivo faceva infatti presupporre un loro imminente impegno politico. Secondo gli ultimi sondaggi, alla domanda: "Che cos'è l'Ulivo?", il 42 per cento rispondeva: "È un nuovo reality show particolarmente crudele", il 24 per cento: "È il nuovo spettacolo itinerante del Cirque du Soleil", il 20 per cento: "È un'agenzia di stampa che cerca di piazzare articoli noiosissimi sui giornali", il restante 14 per cento: "Non lo so, non seguo gli sport violenti". A sorpresa, in una conferenza stampa convocata in orari diversi a seconda delle esigenze dei diversi portavoce dei partiti membri, l'Ulivo ha deciso di uscire allo scoperto e di annunciare che, dopo anni di proficua attività nella pubblicistica, nella psicoterapia di gruppo e nella convegnistica, l'assemblea dei soci ha deciso di provare con la politica. "Per noi sarà un'esperienza nuova", ha dichiarato Romano Prodi, "e dunque l'entusiasmo non ci manca".
È stato diffuso un piano programmatico di orientamento per la preparazione di un piano operativo di discussione per l'adozione delle misure organizzative in vista di un'assemblea federativa che metta all'ordine del giorno i presupposti in base ai quali nominare gli organismi che dovranno stabilire le priorità dell'azione politica. Queste le tappe principali.
1. Alla fine di ottobre i leader della coalizione e gli intellettuali di riferimento si ritroveranno nell'Abbazia di Santa Desolina per una tre giorni di discussione. Previste una quarantina di relazioni, da quella di Citto Maselli su Godard e il cinema dell'impegno a quella, attesissima, di Sandro Curzi su 'La rivalutazione della Resistenza romana come condizione per ripensare il modello di sviluppo'. L'obiettivo sarà ricucire la rottura col 'Manifesto', alla luce di una rilettura critica dei fatti di Ungheria. Alcune relazioni, postume, verranno lette da Piera Degli Esposti.
2. Una commissione apposita verrà incaricata di contare, con maggiore esattezza rispetto al passato, i partiti della coalizione. Il numero è infatti incerto, c'è chi dice otto, chi 12, chi comprende anche l'Union Valdotaine nonostante non sia ancora stata informata, chi esclude Mastella perché, presiedendo le ultime tre riunioni del Polo, ha dato adito a qualche sospetto circa la sua lealtà. Una volta stabilito quanti sono i partiti membri, si procederà ad affittare una sede confederale con altrettante camere, una confortevole sala riunioni e una stanzetta, adiacente alla sala riunioni, destinata all'infermeria.
3. Nomina del governo-ombra. Per risparmiare tempo e denaro, verrà rispolverato il precedente, insediato negli anni Novanta e completamente dimenticato. L'operazione, però, si sta rivelando più ostica del previsto. Tre ministri-ombra di allora vanno ancora a lavorare ogni giorno nell'elegante sede-ombra sulla Collina Fleming, a Roma, ma non ricordano perché. Altri negano di avere mai partecipato a una stramberia siffatta e ridono, altri ancora hanno cambiato vita e si negano al telefono. La carica di presidente del Consiglio-ombra, come segno di volontà di dialogo, verrà proposta a uno dei leader della Casa delle libertà, probabilmente lo stesso Berlusconi.
4. Il programma è considerato, a giudizio unanime, il nodo cruciale, il più difficile, il più rischioso. È stato pertanto deciso di non farlo, per evitare spiacevoli discussioni. Gli elettori dovranno pertanto recarsi alle urne muniti di un programma personale, al massimo di un foglio protocollo, da consegnare al presidente di seggio. Una giuria di costituzionalisti, presieduta dal professor Barbera e dal professor Hanna, premierà il più meritevole, adottando il suo programma e regalandogli la videocassetta 'Conversazione con Massimo Cacciari'.
Il leader sarà senza dubbio Romano Prodi, nonostante la forte opposizione dei prodiani. Non ci sarà bisogno di eleggerlo attraverso le primarie a candidatura unica, con il nome di Prodi già sbarrato da una croce, come si era pensato di fare. Tutti gli altri candidati, infatti, hanno presentato un certificato medico.
"Satira preventiva" di Michele Serra
Mossa a sorpresa del centro-sinistra che decide di presentarsi alle elezioni. Il leader sarà senza dubbio Prodi, nonostante la forte opposizione dei prodiani
Secondo clamorose indiscrezioni, il centro-sinistra intenderebbe presentarsi alle prossime elezioni. La mossa ha preso in contropiede analisti e opinione pubblica: nessuno dei comportamenti e delle dichiarazioni dei leader dell'Ulivo faceva infatti presupporre un loro imminente impegno politico. Secondo gli ultimi sondaggi, alla domanda: "Che cos'è l'Ulivo?", il 42 per cento rispondeva: "È un nuovo reality show particolarmente crudele", il 24 per cento: "È il nuovo spettacolo itinerante del Cirque du Soleil", il 20 per cento: "È un'agenzia di stampa che cerca di piazzare articoli noiosissimi sui giornali", il restante 14 per cento: "Non lo so, non seguo gli sport violenti". A sorpresa, in una conferenza stampa convocata in orari diversi a seconda delle esigenze dei diversi portavoce dei partiti membri, l'Ulivo ha deciso di uscire allo scoperto e di annunciare che, dopo anni di proficua attività nella pubblicistica, nella psicoterapia di gruppo e nella convegnistica, l'assemblea dei soci ha deciso di provare con la politica. "Per noi sarà un'esperienza nuova", ha dichiarato Romano Prodi, "e dunque l'entusiasmo non ci manca".
È stato diffuso un piano programmatico di orientamento per la preparazione di un piano operativo di discussione per l'adozione delle misure organizzative in vista di un'assemblea federativa che metta all'ordine del giorno i presupposti in base ai quali nominare gli organismi che dovranno stabilire le priorità dell'azione politica. Queste le tappe principali.
1. Alla fine di ottobre i leader della coalizione e gli intellettuali di riferimento si ritroveranno nell'Abbazia di Santa Desolina per una tre giorni di discussione. Previste una quarantina di relazioni, da quella di Citto Maselli su Godard e il cinema dell'impegno a quella, attesissima, di Sandro Curzi su 'La rivalutazione della Resistenza romana come condizione per ripensare il modello di sviluppo'. L'obiettivo sarà ricucire la rottura col 'Manifesto', alla luce di una rilettura critica dei fatti di Ungheria. Alcune relazioni, postume, verranno lette da Piera Degli Esposti.
2. Una commissione apposita verrà incaricata di contare, con maggiore esattezza rispetto al passato, i partiti della coalizione. Il numero è infatti incerto, c'è chi dice otto, chi 12, chi comprende anche l'Union Valdotaine nonostante non sia ancora stata informata, chi esclude Mastella perché, presiedendo le ultime tre riunioni del Polo, ha dato adito a qualche sospetto circa la sua lealtà. Una volta stabilito quanti sono i partiti membri, si procederà ad affittare una sede confederale con altrettante camere, una confortevole sala riunioni e una stanzetta, adiacente alla sala riunioni, destinata all'infermeria.
3. Nomina del governo-ombra. Per risparmiare tempo e denaro, verrà rispolverato il precedente, insediato negli anni Novanta e completamente dimenticato. L'operazione, però, si sta rivelando più ostica del previsto. Tre ministri-ombra di allora vanno ancora a lavorare ogni giorno nell'elegante sede-ombra sulla Collina Fleming, a Roma, ma non ricordano perché. Altri negano di avere mai partecipato a una stramberia siffatta e ridono, altri ancora hanno cambiato vita e si negano al telefono. La carica di presidente del Consiglio-ombra, come segno di volontà di dialogo, verrà proposta a uno dei leader della Casa delle libertà, probabilmente lo stesso Berlusconi.
4. Il programma è considerato, a giudizio unanime, il nodo cruciale, il più difficile, il più rischioso. È stato pertanto deciso di non farlo, per evitare spiacevoli discussioni. Gli elettori dovranno pertanto recarsi alle urne muniti di un programma personale, al massimo di un foglio protocollo, da consegnare al presidente di seggio. Una giuria di costituzionalisti, presieduta dal professor Barbera e dal professor Hanna, premierà il più meritevole, adottando il suo programma e regalandogli la videocassetta 'Conversazione con Massimo Cacciari'.
Il leader sarà senza dubbio Romano Prodi, nonostante la forte opposizione dei prodiani. Non ci sarà bisogno di eleggerlo attraverso le primarie a candidatura unica, con il nome di Prodi già sbarrato da una croce, come si era pensato di fare. Tutti gli altri candidati, infatti, hanno presentato un certificato medico.
3.10.04
da Pennina (Il barbiere della Sera)
Caro csf, ho letto la tua intervista a Francesco Giorgino. E' curioso il percorso che fanno le "notizie" nel nostro anomalo mestiere: come da un fatto accertato possa nascere una balla. La storiella che riporti (Capezzone che racconta della lezione universitaria in cui Giorgino inviterebbe le studentesse ad usare il vibratore) è una vera cazzata, come lo stesso Giorgino ti ha confermato. Lo affermo con tanta certezza perché la battuta sull'uso della "vibrazione" l'ho prima udita e quindi riportata in un mio pezzo apparso sul Barbiere e poi ripreso da Dagospia forse più di un anno fa. Non che volessi una citazione della mia cronachetta (che allego a riprova di quanto scrivo), ma una domandina sulla carriera universitaria del prof. Giorgino ci stava proprio. Lo so che l'intervistatore sei tu e tu decidi con quali domande riempire le pagine che hai a disposizione. Ma quella domanda l'avrei voluta, più che da giornalista, da lettrice ed ex studentessa di Scienze della comunicazione a La Sapienza (dove il nostro ha una cattedra come professore a contratto). Di per sè questo non è uno scandalo. I corsi di laurea in Scienze della comunicazione hanno creato una domanda di prof. nei vari campi della comunicazione, compreso il giornalismo. Naturale che molti di questi prof siano stati reclutati tra i giornalisti (a cui non è parso vero di sentirsi apostrofare Prof. invece che Dotto'). Sciccherie che si pagano. Così uno è disposto a fare il prof anche se lo stipendio non è comparabile a quello di giornalista-mezzo busto. Solitamente i giornalisti-prof vengono chiamati ad insegnare materie tecniche nell'intento di aiutare gli studentelli ad uscire dai fumi della teoria e sbattere il muso nella pratica. Impresa meritoria pur se non sempre efficace in ambito universitario. Nel caso di Giorgino però la materia è tutt'altro che pratica. All'epoca della mia cronaca insegnava Sociologia della comunicazione. Che è una bella pippa filosofica. Roba che nessun giornalista ascolterebbe senza farsi venire un po' di orticaria. Ma Giorgino, che lo affermò noncurante in una memorabile intervista alla Vita in diretta, è un cultore di questa materia. Anche qui nessun reato. Ma lo sai quanti cultori della materia ci stanno in giro per le università che non dispongono di un lauto stipendio Rai? E che il posto dato a Giorgino sottrae lavoro a quanti quella materia la studiano sul serio da anni e con poca remunerazione? Mi sto permettendo di giudicare l'operato del prof. Giorgino? Sì, lo giudico. Da ex studentessa che ha assistito ad una lezione misera e didascalica. Roba da terza media. Una lezione inutile. Meglio stare a casa a leggersi il manuale. Però l'aula, anzi il cinema, era gremito in ogni ordine di posto: uno studente va a vedere la lezione di Giorgino. Anzi, va a vedere Giorgino. Per questo l'università gli dà una cattedra. Mica sono tontoloni gli accademici. Lo sanno come va il mondo. Ciò detto Giorgino è simpatico e quando mi incontra all'università saluta sempre. Non so se per educazione o timore (alla fine della famosa lezione gli dissi chi ero. E lui mi rispose incredulo: questa roba la pubblicate sul Barbiere?). Preoccupazione di un minuto, credo. Poi ognuno torna al suo mestiere. Giorgino a fare Giorgino, Pennina a scrivere. Scusa la sbrodolata, csf !!
l'articolo di Pennina
16.04.2002
Un Giorgino da leone
di Pennina
Approccio soft per una materia hard. Cronaca di una lezione di Sociologia della comunicazione-Prof. Francesco Giorgino
Ogni tanto a bottega capitano da fare cose divertenti. Ad esempio, stamattina invece di spidocchiare spazzole e pettini sono io a fare le pulci. La vittima (si fa per dire) è Francesco Giorgino, giornalista "conduttore" del Tg1 di cui già mi ero occupata in epoca sanremese.
Finalmente, dopo alcune settimane di inseguimento, sono riuscita a beccarlo al suo corso di Sociologia della comunicazione (in cui si alterna con un altro professore) all'Università La Sapienza, Facoltà di Scienze della comunicazione.
Il corso, scopro sul posto, è stato spostato altrove. Nella mia stessa condizione di smarrimento ci sono altri studenti, ma alla fine vien fuori che la meta da raggiungere è il Cinema Empire su Viale Regina Elena (eh sì, da noi si fa lezione nei cinema.).
Scherzo del destino che proprio Giorgino, definito da un sondaggio molto somigliante a Kevin Kostner, faccia lezione in un cinema.
In ogni modo, mi sono persa il suo ingresso e non so dirvi se è stato trionfale o meno. Trovo posto addirittura in seconda fila e qui sono testimone del primo miracolo: Giorgino ha iniziato puntualmente la lezione dimostrando così la sua estraneità al mondo accademico ed alle relative pessime abitudini in fatto di puntualità. Lui, contraddicendo anche la fama dei giornalisti, è in orario.
Si comincia: "Mettete le vibrazioni ai cellulari". Parla dello sciopero di domani e del fatto che non ci sarà la sua lezione. Parte l'unanime moto di approvazione degli studenti. "Non avevo dubbi" commenta il prof.
Siccome fatica un po' a tenere il silenzio nel cinema (galleria compresa!) sbotta: "Sto cercando di tradurre la materia nel modo più umile possibile per consentire a voi del primo anno un approccio soft".
Ad 'approccio soft' qualche ormone mi va fuori posto, ma con la freddezza richiesta da questo mestiere rimango concentrata.
La lezione prosegue: si parla di Gemeinschaft e Gesellschaft. "Non vi preoccupate - rassicura paternamente il suo pubblico - queste 'parolacce' in realtà nascondono concetti semplici".
Cosa però non ve lo spiego, cari i miei acculturati lettori. Se siete incuriositi, troverete i lucidi della lezione nella copisteria vicino la Facoltà: "prometto che entro mercoledì saranno disponibili" dice, scatenando un applauso entusiasta di tutti gli studenti.
Verso la fine della lezione il nostro si incazza proprio: "Cerco di essere sintetico e chiaro partendo dai vostri testi, che sono ben più complessi. Se non volete fare lezione state a casa!".
Tipica frase da prof, non c'è che dire. Poi fa un esempio: "Io conduco il telegiornale." "E questo lo sapevamo!" grida uno studente dal fondo. Giorgino redarguisce: "Questa battuta potevate anche evitarla". Fine delle ostilità.
In alcuni momenti mi fa davvero tenerezza, questo batuffolo pugliese in balìa degli studenti che so quanto possono essere fastidiosi e crudeli. Una categoria difficile da tenere a freno.
Non è come avere una telecamera di fronte. Gli studenti si agitano, chiacchierano, nei casi più gravi giocano a carte, fanno battute ed il professore deve continuare nella sua stoica opera di trasmissione del sapere.
Caro Giorgino, la lezione non è come il Tg. E' meglio che parli a ruota libera, magari infilando qualche svarione, piuttosto che leggere compunto (e senza neppure il gobbo!) i tuoi fogli.
Fine della lezione. Andate in pace. C'è un nugolo di studenti alla cattedra che pone domande di varia natura, ignari di darmi una grande mano: stanno lavorando loro al posto mio.
Domandina su un'intervista di Francesco Giorgino a 'Tv, sorrisi & canzoni': E' vero che fara' un programma di varieta'? "Ci sono stati degli incontri con Mara Venier per una prima serata, ma ancora non è stato deciso nulla".
Lui è lì, calmo e tranquillo, occhiali da sole azzurrati sul tavolo. A disposizione di tutti quelli che chiedono consigli o raccontano le loro esperienze lavorative nel difficile mondo della comunicazione. Lui sprona: "Non dovete essere rassegnati come se aveste 40 anni!". Ma gli studenti non sono rassegnati. Sono solo realisti.
Ora che siamo rimasti soli glielo posso chiedere: com'è che ha deciso di fare il prof? "Il preside Abruzzese e Mario Morcellini mi hanno visto durante una conferenza che ho tenuto a La Sapienza e mi hanno chiesto se volevo occuparmi di questa cattedra. Io che per passione studio la materia da qualche anno ho accettato".
Et voilà. catapultato nell'Empireo (o Empire, fate voi) dei professori universitari.
Pennina
1.10.04
SIMONA E SIMONA
LE INTERVISTE
intervista di Giuseppe D’Avanzo per La Repubblica
Perché siete state rapite?
"Perché siamo italiane".
C'è un filo che lega il vostro sequestro al rapimento degli altri italiani, i quattro body guard e Enzo Baldoni ucciso dopo il suo interprete Ghareeb?
Simona Pari: "C'è? Io non lo vedo".
Non avete mai pensato che questo filo possa esserci? Voi conoscevate Paolo Simeone e Valeria Castellani, i "reclutatori" di Quattrocchi, Stefio, Cupertino e Agliana. Baldoni vi aveva consegnato il suo denaro in deposito prima di partire per Najaf. Ghareeb "era di casa" nelle stanze di "Un Ponte per...". Come non si fa a pensare, anche soltanto per un attimo, anche soltanto per cancellarlo, che un filo possa esserci?
"E' vero, ho incontrato Simeone e Castellani in una sola occasione. Baldoni è passato da noi, come tutti gli italiani che arrivavano a Bagdad. Ghareeb era un uomo che si dava molto da fare per gli iracheni e noi gli davamo una mano".
(Maurizio Scelli)
Per Scelli, Ghareeb era un "doppiogiochista, palestinese spia degli israeliani".
Simona Pari: "Per noi, Ghareeb era un uomo generoso che veniva di tanto in tanto a chiedere medicine per portarle ai malati". Simona Torretta: "... E in questo slancio si prendeva anche dei rischi. Ricordo che organizzò un convoglio verso Falluja nei giorni dei peggiori bombardamenti sulla città. Riuscì anche a portare fuori da quella infelice città un gruppo di feriti. Al "Ponte", per definizione, teniamo la porta aperta a tutti. Non diciamo "tu sì, tu no". Se viene qualcuno e ha bisogno di medicine da portare a un malato, gliele diamo. Se vuole organizzare un convoglio umanitario gli diamo una mano senza chiedergli chi è e perché lo fa. E' la nostra filosofia. Sono i valori delle organizzazioni internazionali di solidarietà e di pace".
Tra le vostre parole, c'è qualche assenza che mette a disagio. Non avete mai chiesto che gli altri ostaggi siano liberati. Non avete mai condannato il terrorismo che uccide gli innocenti. Ritenete di poterlo fare adesso?
Simona Pari guarda Simona Torretta e non comprendo se con imbarazzo o fastidio. Ci sono lunghi momenti di silenzio, fino a quando Simona Torretta dice: "Fallo! Dillo!".
Simona Pari: "Noi non sapevamo neanche che ci fossero degli ostaggi oltre noi. Nessuno ce lo ha detto, nessuno ce ne ha parlato. No. No, lo giuro. Nessuno ci ha parlato dell'inglese prigioniero, né degli americani decapitati. Io dico che ogni vita deve essere salvata. Che il diritto alla vita è sacro ovunque e per chiunque. Se mi chiede del terrorismo, le rispondo che c'è il terrorismo e c'è la resistenza. La lotta di resistenza di un popolo per liberare il Paese occupato è garantita dal diritto internazionale. Il terrorismo uccide indiscriminatamente anche i civili. Condanno il terrorismo. Nessuno può chiedermi di condannare una lotta di resistenza".
------------------------------------------------------------------
intervista di Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera
E’ quasi certo che sia stato pagato un riscatto per la vostra liberazione.
«Se è stato pagato un riscatto ci spiace molto. Ma non so nulla. Io credo che questo fosse un gruppo religioso molto politico, che alla fine si sia convinto che non fossimo nemici».
Sono legittimi i sequestri per combattere l’occupazione?
«Io distinguo tra terrorismo e resistenza. La guerriglia è legittima, ma sono contraria ai sequestri di civili».
Le truppe italiane devono andarsene dall’Iraq?
«Sì, senza dubbio. Lo affermavo prima del rapimento e lo ribadisco oggi».
È legittimo il governo Allawi?
«No, è un burattino nelle mani degli americani».
E le elezioni previste per la fine di gennaio?
«Non saranno legittime. Durante questi giorni di detenzione, che verso la fine erano diventati disperati e tediosissimi, sono giunta alla conclusione che ci vorranno decenni per rimettere in piedi l’Iraq».
Quando ci tornerete?
«Vogliamo farlo. Ma non subito. Occorre attendere la fine dell’occupazione americana».
LE INTERVISTE
intervista di Giuseppe D’Avanzo per La Repubblica
Perché siete state rapite?
"Perché siamo italiane".
C'è un filo che lega il vostro sequestro al rapimento degli altri italiani, i quattro body guard e Enzo Baldoni ucciso dopo il suo interprete Ghareeb?
Simona Pari: "C'è? Io non lo vedo".
Non avete mai pensato che questo filo possa esserci? Voi conoscevate Paolo Simeone e Valeria Castellani, i "reclutatori" di Quattrocchi, Stefio, Cupertino e Agliana. Baldoni vi aveva consegnato il suo denaro in deposito prima di partire per Najaf. Ghareeb "era di casa" nelle stanze di "Un Ponte per...". Come non si fa a pensare, anche soltanto per un attimo, anche soltanto per cancellarlo, che un filo possa esserci?
"E' vero, ho incontrato Simeone e Castellani in una sola occasione. Baldoni è passato da noi, come tutti gli italiani che arrivavano a Bagdad. Ghareeb era un uomo che si dava molto da fare per gli iracheni e noi gli davamo una mano".
(Maurizio Scelli)
Per Scelli, Ghareeb era un "doppiogiochista, palestinese spia degli israeliani".
Simona Pari: "Per noi, Ghareeb era un uomo generoso che veniva di tanto in tanto a chiedere medicine per portarle ai malati". Simona Torretta: "... E in questo slancio si prendeva anche dei rischi. Ricordo che organizzò un convoglio verso Falluja nei giorni dei peggiori bombardamenti sulla città. Riuscì anche a portare fuori da quella infelice città un gruppo di feriti. Al "Ponte", per definizione, teniamo la porta aperta a tutti. Non diciamo "tu sì, tu no". Se viene qualcuno e ha bisogno di medicine da portare a un malato, gliele diamo. Se vuole organizzare un convoglio umanitario gli diamo una mano senza chiedergli chi è e perché lo fa. E' la nostra filosofia. Sono i valori delle organizzazioni internazionali di solidarietà e di pace".
Tra le vostre parole, c'è qualche assenza che mette a disagio. Non avete mai chiesto che gli altri ostaggi siano liberati. Non avete mai condannato il terrorismo che uccide gli innocenti. Ritenete di poterlo fare adesso?
Simona Pari guarda Simona Torretta e non comprendo se con imbarazzo o fastidio. Ci sono lunghi momenti di silenzio, fino a quando Simona Torretta dice: "Fallo! Dillo!".
Simona Pari: "Noi non sapevamo neanche che ci fossero degli ostaggi oltre noi. Nessuno ce lo ha detto, nessuno ce ne ha parlato. No. No, lo giuro. Nessuno ci ha parlato dell'inglese prigioniero, né degli americani decapitati. Io dico che ogni vita deve essere salvata. Che il diritto alla vita è sacro ovunque e per chiunque. Se mi chiede del terrorismo, le rispondo che c'è il terrorismo e c'è la resistenza. La lotta di resistenza di un popolo per liberare il Paese occupato è garantita dal diritto internazionale. Il terrorismo uccide indiscriminatamente anche i civili. Condanno il terrorismo. Nessuno può chiedermi di condannare una lotta di resistenza".
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intervista di Lorenzo Cremonesi per il Corriere della Sera
E’ quasi certo che sia stato pagato un riscatto per la vostra liberazione.
«Se è stato pagato un riscatto ci spiace molto. Ma non so nulla. Io credo che questo fosse un gruppo religioso molto politico, che alla fine si sia convinto che non fossimo nemici».
Sono legittimi i sequestri per combattere l’occupazione?
«Io distinguo tra terrorismo e resistenza. La guerriglia è legittima, ma sono contraria ai sequestri di civili».
Le truppe italiane devono andarsene dall’Iraq?
«Sì, senza dubbio. Lo affermavo prima del rapimento e lo ribadisco oggi».
È legittimo il governo Allawi?
«No, è un burattino nelle mani degli americani».
E le elezioni previste per la fine di gennaio?
«Non saranno legittime. Durante questi giorni di detenzione, che verso la fine erano diventati disperati e tediosissimi, sono giunta alla conclusione che ci vorranno decenni per rimettere in piedi l’Iraq».
Quando ci tornerete?
«Vogliamo farlo. Ma non subito. Occorre attendere la fine dell’occupazione americana».