Filippo Ceccarelli su Repubblica
«CENTRO di questi giorni»: è la minaccia che grava sugli ospiti delle terme mastelliane di Telese. «Io c?entro» era il claim dell?Udc alle ultime elezioni, rovesciato in «io c?esco» non appena Marco Follini riuscì a evadere dalla prigione dorata di Palazzo Chigi. Il centro, sostiene romantico Rutelli, «è il cuore della battaglia». Mentre De Mita scandisce, generico e pedagogico: «Il centro ? pausa, suspense, attimo metafisico ? è un modo di governare».
Che vano tesoro di immagini, che dispendio d?energie creative, che caotico affastellarsi di richiami culturali e perfino spettrali. Il centro, rivendica l?Udeur, è la continuazione della linea di Moro. Nel centro, caldeggia a sorpresa Sgarbi, rivive De Gasperi contro i suoi usurpatori. È tempo, esorta Publio Fiori, di ricomporre il centro attorno ai «valori»; così come chi, nel centrosinistra, invoca simmetricamente di ricostituirlo attorno al «riformismo», che è un?altra bella parola ormai vuota, logora e malamente invecchiata. Ma è inutile star lì a sottilizzare.
Utile sembra invece, nella presente temperie - minaccia terroristica, crisi economica, pandemia culturale - dedicarsi a che cosa? Al centro. Al gioco del centro. Inteso, questo centro, o «grande centro», come astrazione geometrica, spazio vacuo e fluttuante, meta-razionale, iniziatico, esteso, sincretico e polivalente. Il centro degli affari e dei poteri forti denunciato dalla Padania dopo l?uscita di Mario Monti; il centro estetico dei piacioni brizzolati Casini & Rutelli come li vede, ahilei, Rosi Bindi; il centro trattino sinistra, ma pure il centro trattino destra dei moderati del partito unico o unitario che dir non si voglia; il centro, addirittura, «snobbistico», come lo definisce l?onorevole Francesco Giro, cui una crudele nota d?agenzia affibbia la qualifica di «consigliere politico di Sandro Bondi»; il centro «tormentone dell?estate» secondo Prodi; e il centro «cavallo di Troia» secondo Calderoli.
S?ingolosisce, intanto, la classe politica dinanzi a tanta multiforme irrilevanza. Piepoli valuta al 37 per cento il grado di appetibilità centristoide; tempo fa Porta a porta alzava la soglia al 50; Rotondi, rianimatore di una miniatura post-democristiana, al 65. Emilio Fede ha addirittura organizzato un macchinoso tele-trastullo, «Il Sudoku del Centro»: posto di fronte a una lavagnetta magnetica e delimitata ai suoi due estremi da capitelli su cui riposano le teste di Berlusconi e di Prodi, il gentile ospite (Feltri, ad esempio) deve spostare pedine che rispondono ai movimenti degli eventuali e sospetti alfieri del presunto centro, cioè Mastella, Follini, Formigoni, Rutelli, Tabacci, Buttiglione.
E con il Sudoku di Fede si mette punto e a capo. Perché come tutte le cose che sono fatte della materia di cui vivono i sogni, il centro nella realtà non esiste. Ma oggi è come se esistesse due volte perché da una decina d?anni si configura come un luogo dell?immaginario del ceto politico (e mediatico) italiano. E da lì nessuno lo schioda: un po? fantasma nostalgico della Dc e un altro po? stizzita reazione al fallimento del maggioritario. Ma anche utopia, panacea, simulacro, desiderio, pretesto, chimera, spauracchio, mito e karaoke della Seconda Repubblica. Nulla insomma di cui ci si possa veramente fidare.
E difatti il «grande centro» nasce piccolo e cattivo, all?interno della Dc, per far fuori De Mita. La prima formulazione certificata sulle benemerite banche dati è ad opera dei dorotei (gruppo dell?onorevole Piccoli) e risale al gennaio 1988. Solo una scrupolosa e sconsolata ricerca disvela in effetti la più vivida inconsistenza e la più sorvegliata ambiguità del concetto. I fans e i nemici del centro, d?altra parte, mutano di continuo; e pochissimi sono quelli che nel corso del tempo non si siano segnalati per aver ora proposto ora paventato la nascita di un grande centro, e spesso per aver esternato entrambi gli atteggiamenti, in genere con la stessa determinazione.
È un campionario a suo modo sconcertante. Già nel 1994 Buttiglione e Segni propongono un centro «liberaldemocratico», poi massacrato alle elezioni. Ciò nonostante, D?Antoni persevera per un decennio, annunciando in pratica la nascita di «Democrazia europea», di lì a poco pure destinata al fallimento elettorale, in una memorabile puntata di Porta a porta sotto lo sguardo benevolo di Anna Kanakis, Ciriaco De Mita, Antonella Clerici e del cestista Dino Meneghin.
Per sua natura e vocazione, il grande centro è una creatura promiscua, non va troppo per il sottile, si lascia prendere da chiunque e per qualsiasi intento. Così, nel 1995, Bossi lo invoca contro «il mostro a due teste» D?Alema-Fini; poi è la volta di "Lambertow" Dini che lo delinea, pare di ricordare, come «terza gamba dell?Ulivo»; quindi si fa vivo dall?altro schieramento Berlusconi: «Noi - dice - non puntiamo al grande centro, noi siamo il grande centro, anzi il Super Centro».
Da allora ognuno se lo tira dalla sua. Nel 1997 Paolo Cirino Pomicino, ricoverato in fin di vita al Policlinico, fa accorrere Di Pietro, si toglie la maschera d?ossigeno e con un fil di voce lo implora: «Ci aiuti a rifare il grande centro». Passano un paio di mesi e Tonino si offre come «garzone di un nuovo grande centro». Passano un paio d?anni e tocca alla Pivetti, candidata prima dell?orsetto e poi dell?Udeur. Cossiga, com?è ovvio, s?è già mobilitato: reduce dalla delusione di Mastella, «ala concretista dell?Udr», in nome del grande centro convoca all?hotel Bologna un coordinamento di circoli con Sanza, Rebuffa e Meluzzi, quest?ultimo però già in fase avanzata di conversione ambientalista. Un giorno spunta Giuliano Amato. Gli chiedono: anche di lei si parla come possibile punto di riferimento del grande centro... «L?ho letto - è la replica - s?imparano tante cose sui giornali».
Vero. S?impara ad esempio che quando la vita pubblica perde il suo senso, tutto finisce per ripetersi alla noia. S?impara il dubbio e lo scetticismo rispetto alle astrattezze, alle fissazioni, alle formulette. S?impara a diffidare di un potere che forse non si riconosce più nella laboriosa conquista di spazi geometrici, ma vive ormai di lampi fugaci, interconnessi e allegramente ingannevoli.