24.8.04

L'IPOCRISIA DEI POLITICI INDIGNATI
di Massimo Fini (Il Gazzettino, 24 agosto 2004)

Trovo assolutamente ipocrita l'indignazione della classe politica italiana, di maggioranza e di opposizione, per la fuga di Cesare Battisti, il terrorista pluriomicida, latitante in Francia. Chi se non il governo italiano, solo, o quasi, fra quelli della Ue, si è opposto al mandato di cattura europeo che evita le defatiganti, e spesso inevase, richieste di estradizione? E perché l'ha fatto, se non per il timore che un Garzon, spagnolo o francese o lussemburghese, potesse emetterlo nei confronti di qualche alto e altissimo papavero della politica italiana che ha la coscienza nera come la pece?

Ci si indigna perché Battisti è stato lasciato a piede libero dalle autorità francesi col solo obbligo della firma settimanale, in attesa del giudizio d'appello sull'estradizione.

Ma se Battisti, che non è in buone condizioni di salute e soffre di depressione, si fosse suicidato in carcere, avremmo visto questi stessi indignarsi contro la magistratura francese, gridando che per un uomo che è in attesa di un giudizio - e tale è Battisti, condannato in Italia all'ergastolo in via definitiva, decisione che però deve passare al vaglio della giustizia francese - non si possono usare "manette facili" e che la libertà del cittadino è un bene sacro. E con che diritto, con che faccia, ci si indigna coi francesi quando noi abbiamo fatto scappare Giorgio Pietrostefani, pluricondannato come uno dei mandanti dell'assassinio del commissario Calabresi, lasciato senza nemmeno l'ombra di una sorveglianza con la stupefacente motivazione che «non si può sorvegliare un cittadino» sia pur condannato ma in attesa di giudizio definitivo, quando in Italia la polizia controlla anche gli incensurati?

Il Pubblico ministero Armando Spataro ha definito Battisti un "criminale puro" perché ha alle spalle quattro omicidi. Certo. Ma che altro è Adriano Sofri per il quale in Italia c'è un vastissimo movimento, con alla testa il Capo dello Stato, che vuole concedergli la grazia senza che costui si degni nemmeno di chiederla? E se fra le molte e varie e confusissime ragioni per cui si chiede la liberazione di Sofri ce n'è una che ha qualche ragionevolezza, deriva dal fatto che il suo delitto è ormai molto lontano nel tempo, come lontani nel tempo sono quelli commessi da Battisti.

E come mai proprio nel caso di Battisti dovremmo credere alla giustizia di condanne inflitte da una Magistratura che in questi dieci anni è stata delegittimata in tutti i modi, arrivando persino ad affermare, per bocca nientemeno che del Presidente del Consiglio, che i giudici sono antropologicamente dei pazzi, dei malati, dei deviati? Chi ci assicura che Battisti non sia stato condannato per un qualche "complotto", per un pervertimento politico della Magistratura?

Non possiamo essere d'accordo con Armando Spataro, magistrato che stimiamo moltissimo, come, sia chiaro, stimiamo i Borrelli, le Boccassini, i Davigo, i D'Ambrosio, i Greco, gli Ielo e Antonio Di Pietro quando faceva il loro mestiere, e che invece in questi anni sono stati criminalizzati come se fossero loro i delinquenti e non i tangentisti, i concussori, i corruttori e i corrotti che, a norma di legge, perseguivano, quando afferma: «Mi auguro che nessuno dica che era giusto che Battisti fuggisse visto il sistema delle leggi italiane». Perché mai Cesare Battisti o chiunque altro dovrebbe sottoporsi docilmente alla Magistratura, ai Tribunali, alle leggi del suo Paese quando il Presidente del Consiglio di questo stesso Paese ha fatto di tutto per sottrarvisi e Bettino Craxi, altro premier, pluricondannato, che è fuggito in Tunisia viene chiamato "esule" e non "latitante" ed è considerato addirittura un "martire"? Se questi sono gli esempi che vengono dai primi cittadini del Paese, con il vergognoso appoggio di buona parte dei mass media, tutti noi abbiamo il diritto di fare altrettanto. O almeno di provarci.

Queste sono le conseguenze, che paghiamo ora e che pagheremo ancor più in futuro, di dieci anni di berlusconismo irresponsabile che ha costantemente attaccato la nostra Magistratura, i nostri Tribunali, le nostre leggi. Questo è il vero scandalo. Non il fatto che il premier, per ricevere degli illustri ospiti stranieri, si sia messo una bandana da pirata.

21.8.04

SOFRI SUL CARCERE
stralcio da un'intervista ad Adriano Sofri realizzata e inviata da Daniela Binello

(...)
Sofri _ I più agguerriti, brutta parola, i più intelligenti e anche i più frustrati criminologi e studiosi del concetto di pena della nostra società parlano sempre di più della giustizia penale come di un business, come di un grande affare. Del resto ormai questo è arrivato anche alle cronache dei profani: la privatizzazione delle carceri. Gli appalti, la carcerizzazione affidata a società private che raggiunge percentuali inaudite, per esempio negli Stati Uniti dove ci sono due milioni di detenuti: un enorme affare. Nel caso dell’Italia noi siamo ancora a mezza strada fra l’affare moderno e l’arcaismo più gretto, più grossolano. I detenuti di cui ti ho descritto, così inadeguatamente, la terribile indigenza, assoluta spoliazione, sono al tempo stesso persone che costano ufficialmente alla comunità, allo Stato, quindi a tutti quanti, fra le 450 e le 700mila lire al giorno (Sofri è entrato in carcere otto anni fa, per cui continua a esprimersi in valori del vecchio conio; oggi si direbbe da 232 a 362 euro al giorno, ndr), o a volte una cifra superiore. Questo vuol dire che tutta questa macchina ha un costo che viene distribuito per ogni detenuto arrivando a sommare una cifra così alta. E’ facile, e non solo per paradosso, invertire questo ragionamento, cioè non che ogni detenuto costa allo Stato 450mila lire al giorno, ma che lo Stato costa a ogni detenuto, compresa l’ultima zingarella arrivata in galera con due bambini, compreso il ragazzo marocchino arrivato ieri o il tossicodipendente italiano sorpreso a rubare un’autoradio, 450mila lire al giorno (232 euro).

La tariffa tabellare dell’alimentazione quotidiana normale in un carcere, “colazione, pranzo e cena”, è di 2.530 lire (1,31 euro). Per esempio a Rebibbia, il carcere migliore, il più importante, il più vasto. Dunque fai una relazione fra queste cose e naturalmente salterà agli occhi l’assoluta mostruosità e anche l'assurdità. E’ grottesco. E’ grottesco, per esempio, che oggi si discuta _ in buona fede o mala _ del fatto che non si possa fare altro per affrontare la crisi delle carceri che costruire nuove carceri. Intanto, questo è un meccanismo infinito: più persone vorrai arrestare, più carceri dovrai costruire. A un certo punto, praticamente, potrai nominare “carcere” il mondo in cui viviamo, ma la cosa più interessante, più pratica, invece, è che tu non hai soldi nemmeno per riparare un rubinetto che perde o che non dà più acqua. Capisci? Tu non hai i soldi, non dico per mettere una doccia nelle celle o per eliminare l’adiacenza fra il cesso e il tavolino sul quale mangi _ compresa la mia cella per intenderci _, ma non hai il denaro nemmeno per pagare regolarmente gli stipendi degli agenti carcerari o per assumere dei direttori di carceri in molte galere in cui mancano. Dunque, una situazione del genere è o non è grottesca?
(...)

9.8.04

Se questi sono uomini
di MICHELE SERRA (Repubblica, 9 agosto 2004)

Per passare da uomo a bestiame, ci vuole pochissimo. Basta imbarcarsi in cento sopra una barca lunga come un camion. E' il passaggio inverso, da bestiame a uomo, l'impresa impossibile. Riavere un'identità, un nome, un'età quando si approda, quando il carico fitto dei corpi infreddoliti, stremati, si scioglie e prova a chiedere aiuto voce per voce, storia per storia, diritto per diritto.

Sull'ennesima carretta arrivata ieri, ennesimo "giorno del grande esodo" secondo la facile iperbole che dedichiamo alle nostre cose, ventotto erano già morti e finiti in mare durante la traversata dalla Libia alla Sicilia. Un quarto del carico.

Pare che, come i sopravvissuti, fossero ivoriani o ghanesi o liberiani, nazionalità africane con le quali ci stiamo impratichendo soprattutto grazie a qualche calciatore di successo.

Un quarto del carico, si diceva: perché quanto all'identità, cioè agli esseri umani che corrispondevano ai tonfi dei corpi nell'acqua nera, è già arduo darne una ai vivi, figuriamoci ai morti.

L'immigrazione dev'essere soprattutto questo spavento, per noi inimmaginabile: non riuscire più a dire di sé, avere un racconto - e che racconto - e non trovare più lingua né orecchie per raccontarlo. Essere all'arrivo, dopo averla scampata, solo uno del mucchio, merce indesiderata.

Intuire che ogni eventuale diritto - o briciola di diritto - si regge sul concetto di persona, di individuo, e annaspare nel numero vago e indistinto di un problema, quello dei "clandestini". Così vago e indistinto, quel numero, che mentre il ministro dell'Interno Pisanu lancia l'allarme sul cataclisma sociale e antropologico imminente, paventando "due milioni di clandestini alle porte", il suo sottosegretario Mantovano annuncia che nei primi sei mesi di quest'anno gli sbarchi sono dimezzati rispetto al 2003, e ridotti a un quarto rispetto al 2002: da dodicimila a ottomila a tremilacinquecento. Forse i milioni diventano migliaia, e viceversa, con speciale disinvoltura, proprio quando i conti non si fanno più con le persone, con gli individui, ma con "la piaga dell'immigrazione clandestina".


Così vago e indistinto, questo numero, e così innominate le storie e le vite di quei vivi e di quei morti, che il neo-ministro delle Riforme Calderoli - uno che ogni volta che parla comunica disagio e imbarazzo - non trova di meglio, commentando quest'ultima tragedia mediterranea, che proporre "nuove regole di ingaggio" per la nostra marineria contro i navigli in arrivo, come se si stesse giocando a battaglia navale, o come fosse una guerra vera, con qualcuno che ci vuole invadere e distruggere.
Le parole di Calderoli cadono, al solito, contro oggetti non identificati.

Ciascuno portatore muto di incredibili storie, mezza Africa attraversata su camion sgangherati, mezzo mare scavalcato a dorso di barche pazzesche, la morte di stenti o di malattia di quello che ti respirava accanto, l'arrivo in una terra della quale non sai niente, non le leggi, non la lingua, non il modo con il quale ti chiederanno chi sei e dove vai.

Tanto difficile è, per gli immigrati clandestini, ritornare uomo e smettere di essere bestiame, che alcuni di loro non sapranno mai di avercela fatta, sia pure virtualmente: per quattordici degli arrivati sulla penultima nave, quella dei finti sudanesi, il Tribunale di Roma (nel disinteresse generale) ha dichiarato illegittima l'espulsione, perfino nei termini di quella strettoia che è la legge Bossi-Fini. Avevano il diritto di restare, quei quattordici, ma non lo sapranno mai perché erano già stati rimpatriati in grande fretta. Persone pazienti, qui in Italia, erano riuscite a dare loro un nome, una nazionalità e un diritto ad personam. Troppa grazia per chi è rassegnato a non contare nulla, a non raccontare nulla e non essere raccontato.

5.8.04

L'AVVOCATO "TAO", SADDAM E I FUOCHI D'ARTIFICIO
di Matteo Tassinari

"Dopo che avrò detto chi è l'assassino del bimbo di Anna Maria Franzoni, mi occuperò di Saddam". Alt. Un passo indietro e cerchiamo di capire questo avvocato dai modi vulcanici e le parole che ringhiano come Gattuso al 90°. A mestare nei liquami torbidi della paella dell'informazione, solo i politici superano gli avvocati e giornalisti (di cui sono un inutile rappresentante di categoria). Veniamo ai fatti. Due mattine fa. Telefono a Luca. Mi racconta, fresca fresca, che la Adn Kronos ha pubblicato che il futuro avvocato di Saddam Hussein sarà Carlo Taormina: "Mi ha chiamato al telefono dalla Giordania la sorella del dittatore perchè il Rais mi vorrebbe al fianco del suo collegio difensivo". Al che capisco che Luca è di buon umore e gli va di spararle grosse invece di prendersela per le boiate che quel "cazzone" che tutti conoscono attua e dice (qui non mi riferisco a Taormina, ma sapete lo stesso di chi scrivo). E rido, rido, rido quanto e come avessi ascoltato un monologo di Luttazzi. Luca, ridendo pure lui, insiste: "Matteo, guarda che è una notizia vera. L'ha lanciata l'Adn Kronos". Ok! La Kronos non sarà la Reuters, però è pur sempre un'agenzia di stampa. Mi fiondo al computer. L'accendo. Google. Passano circa cinque minuti e il web informatico è pieno dell'ultima cagata dell'avvocato Carlo Taormina, ormai meglio conosciuto come il mostro di Cogne. Anche il sito o blog più buzzurro del web riporta la dichiarazione del Taormina, nome che evoca luoghi assolati e invece è solo un avvocato. In una intervista, "Tao" per gli amici, ha ribadito sul caso Cogne: "Il caso è risolto. Il nome dell'assassino, che stiamo tenendo sotto controllo perchè non scappi, sarà dato alla Procura di Torino". Si riferisca allo psichiatra Paolo Crepet? Al criminologo Bruno? Bruno Vespa? La dichiarazione termina così: "Poi mi ccuperò di Saddam". E un cittadino medio qualunque, a questo punto, è autorizzato a svenire, farsi una pippa, urlare, praticare il cunnilingus con chiunque incontri, guardare "Porta a Porta" e pensare che sia il Processo di Biscardi. Di più. Ci chiediamo come ci sconvolgerà "Tao", che avvocato lo fu anche di Erich Priebke, l'ex ufficiale nazista responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Dicendo che Tremonti è gay? Oppure che quel rettile di Costantino è figlio illegittimo dell'On. Rosy Bindi? Che Guevara era ipotente? Che diventerà anche l'avvocato del mostro belga di Marcinelle? Oppure dirà che il Papa ha un amante e si chiama Loretta di Bologna? Ma la boutade ha un nodo cruciale, politico: "Qualcuno - ha detto "Tao" - griderà allo scandalo facendo notare che il mio Premier è alleato di Bush, mentre io, deputato di F.I. ed ex sottosegretario all'interno, difendo Saddam. Tutto ciò non influisce affatto sulla mia scelta politica". Per un giorno i media hanno riempito le pagine e le tv e Internet per una falsa dichiarazione sparata fredda. Quando possono, i media, non lasciano nulla in disparte, ti fanno pagare tutto col sangue. E a rate. Non sanno nulla, ma non vedono l'ora di scriverlo.
Ciò che mi lascia più basito è un'apparente "banale" affermazione del "Tao", il quale ha pubblicamente ammesso la propria ammirazione per Muccioli. Testuale la Kronos: "Uno che si metteva nel letto dei drogati in crisi d'astinenza per impedire ricadute". E come faceva, signor avvocato fuochi d'artificio!

3.8.04

BANANAS - Riposi in pace
di Marco Travaglio

Premesso che quanto è accaduto ieri alla Camera è roba da squadristi. Premesso che Chiara Moroni è in Parlamento perché l'hanno eletta e ha il diritto di dire ciò che crede senza essere insultata. Premesso che chi ha malmenato Renzo Lusetti in aula non dovrebbe metterci piede mai più. Ecco, premesso tutto ciò, forse il modo migliore per ricordare Sergio Moroni, l'ex tesoriere del Psi lombardo morto suicida il 2 settembre '92 nella sua casa di Brescia dopo un avviso di garanzia per finanziamento illecito, è quello di rileggere la sua lettera di addio al mondo, inviata all'allora presidente della Camera Giorgio Napolitano.
In quella lettera - diversamente da quel che ha detto la figlia Chiara l'altro giorno alla Camera e hanno scritto ieri vari giornali - non compariva mai la parola "innocenza". Perché Moroni non si proclamava affatto innocente, ma partecipe di un sistema illegale, pur sostenendo che così facevan tutti e che le inchieste (com'era inevitabile, del resto) colpivano soltanto alcuni (quelli raggiunti da prove o chiamati in causa dai complici), in una "ruota della fortuna" che "assegna a singoli il compito di vittime sacrificali". Premesso che non aveva "mai approfittato di una lira", Moroni scriveva: "Un grande velo di ipocrisia (condivisa da tutti) ha coperto per lunghi anni i modi di vita dei partiti e i loro sistemi di finanziamento. C'è una cultura tutta italiana nel definire regole e leggi che si sa non possono essere rispettate, muovendo dalla tacita intesa che insieme si definiranno solidarietà nel costruire le procedure e i comportamenti che violano queste stesse regole. Mi rendo conto che spesso non è facile la distinzione tra quanti hanno accettato di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito e quanti invece ne hanno fatto strumento di interessi personali. Rimane comunque la necessità di distinguere ancor prima sul piano morale che su quello legale… Ho commesso un errore. Accettando il sistema, ritenendo che ricevere contributi e sostegni per il partito si giustificasse in un contesto dove questa era prassi comune…". E che altro significa "accettare di adeguarsi a procedure legalmente scorrette in una logica di partito", "ricevendo contributi e sostegni per il partito", se non aver commesso il reato di finanziamento illecito dei partiti, istituito dal Parlamento italiano con la famosa legge del 1974?
Non è nemmeno vero che, dopo la sua morte, Moroni sia stato assolto. Anzi. La sua posizione fu stralciata per "morte del reo". Ma nel 1994 la sentenza del Tribunale di Milano a carico dei suoi coimputati, nel processo sulle tangenti per le discariche, appurò quanto segue: "Risulta accertata e pienamente provata la materialità dei fatti" e cioè che Moroni aveva ricevuto "circa 200 milioni in totale nelle sue mani… in una cartellina tipo quelle da ufficio, avvolta in un giornale". Sentenza poi confermata in appello e in Cassazione.
Ai funerali, Bettino Craxi tentò di scagliare il cadavere di Moroni contro il pool Mani Pulite, tuonando: "Hanno creato un clima infame". Gli rispose il procuratore aggiunto Gerardo D'Ambrosio: "Il clima infame l'hanno creato loro. Noi ci siamo limitati a scoprire e perseguire fatti previsti dalla legge come reati". E fu proprio un dirigente socialista arrestato per mesi con l'accusa di varie mazzette, Loris Zaffra, a indicare i colpevoli di quel clima infame. Che non erano i magistrati. E nemmeno i giornalisti. Erano i partiti di Tangentopoli, che scaricavano ignobilmente i loro uomini che via via venivano presi con le mani nel sacco, trattandoli da "mariuoli" isolati e fingendo di non conoscerli. Per questo - spiegò Zaffra - Moroni si tolse la vita. La sua intervista a Marcella Andreoli, su Panorama del 24 gennaio '93, merita di esser letta dai tanti smemorati di oggi: "Venivo guardato - racconta Zaffra, appena scarcerato senza aver parlato - come un essere strano, miracolato, proprio perché ero stato anche a San Vittore… Avevo l'impressione di essere fuori dal mondo, di essere l'unico rimasto a presidiare un palazzo deserto. Mi sono sentito in una trincea vuota, e dopo tanti giorni di carcere ho capito che stavo combattendo una battaglia persa in partenza. La reazione del sistema era assolutamente ipocrita. Aveva ragione il povero Sergio Moroni, quando nella sua lettera scritta prima del suicidio aveva parlato di 'ruota della fortuna': se sei stato preso, peggio per te. Con Moroni ne avevamo discusso la scorsa estate. Aveva molto sofferto per il cordone sanitario che gli era stato fatto attorno. Tangentopoli ha messo a nudo, oltre al giro delle tangenti, la slealtà dei rapporti politici. Sei stato arrestato? Peccato per te, entri nel cerchio delle mele marce. Gli altri, che con te hanno diviso errori e responsabilità, si girano dall'altra parte. Inaccettabile". Complotti della magistratura? Macchè: "Ero in carcere quando Craxi scrisse quei tre corsivi contro il pool Mani Pulite e il giudice Di Pietro. Ma Craxi sbaglia… I magistrati non estorcono false confessioni: alla fine l'imputato racconta la verità. Sarà amaro ammetterlo, ma è così". Oggi Zaffra è un dirigente di Forza Italia. Vogliamo credere almeno a lui?
Possibile che l'altro giorno, alla Camera, nessuno abbia sentito il bisogno di alzarsi per ricordare cos'era Tangentopoli e chi erano le sue vittime (non i ladri, ma i derubati)? Possibile che nessuno rammenti i costi della corruzione, stimati dal Centro Einaudi di Torino in 15-20 mila miliardi di lire all'anno, per non parlare del boom del debito pubblico? Possibile che nessuno si ribelli all'ultimo colpo di spugna su Tangentopoli, il più insidioso, quello del revisionismo storico? Possibile che, a 20 anni dalla morte di Berlinguer e a 24 dalla sua intervista a Scalfari sulla "questione morale", destra e sinistra regalino a un pugno di squadristi in camicia verde la bandiera della denuncia e della lotta alla corruzione? Se proprio non trovano le parole, si rileggano la lettera di Moroni. O magari, visto che tanto lo rimpiangono, il discorso di Craxi alla Camera il 3 luglio '92: "All'ombra di un finanziamento irregolare e illegale ai partiti e al sistema politico fioriscono e s'intrecciano casi di corruzione e concussione… Si è diffusa nel Paese, nella vita delle istituzioni e delle pubbliche amministrazioni, una rete di corruttele grandi e piccole che segnalano uno stato di crescente degrado della vita pubblica… I casi sono della più diversa natura e spesso sconfinano con il racket malavitoso". Questo, cari signori, non è Di Pietro. E' Craxi. Vogliamo credere almeno a lui?

27.7.04

Riforme, il tavolo del pesce spada
di GIAN ANTONIO STELLA (Corriere della Sera, 27/07/2004)

Per ricomporre le risse sul tavolo della Casa delle Libertà, come ha spiegato Rocco Buttiglione con acuta analisi di falegnameria costituzionale, i litiganti hanno avuto un'idea luminosa: passare «dal tavolo delle commissioni al tavolo delle riforme». Tipo quello che l'anno scorso, a Lorenzago, tra pantagrueliche abbuffate e allegre scaraffate, fece così ben sperare che l'Ansa titolò: «Riforme, i saggi: trovato l'uovo di Colombo». A quel punto Roberto Calderoli, che per primo aveva lanciato l'idea di tornare in Cadore, si è sentito in dovere di far un passo in più. E come gesto di disponibilità ha proposto, lui, leghista, di trovare «una Lorenzago al Sud». Meglio se in Sicilia. Dai casunziei alla pasta 'ncasciata , dal capriolo al pesce spada a'sammurigghu : che c'è di meglio dei buoni sapori, per superare i dissapori? Questo disse ironicamente, l'anno scorso, il sottosegretario di fede berlusconiana Aldo Brancher, alla domanda se fosse rimasta qualche ombra tra i pensosi gitanti che in soli quattro giorni di porcini, grigliate e cabernet avevano ridicolizzato il lavoro dei bravi ma lenti padri fondatori della Repubblica riscrivendo mezza Costituzione: «Sì, non lo nego, effettivamente ci sono stati dei dissapori tra noi. D'Onofrio aveva serie perplessità sulla polenta che ho preparato per cena mercoledì: grigia, alla segale, l'ho fatta con una certa farina integrale che ci arriva da un mulino della Carnia». E rideva. I soliti giornalisti diffidenti! Possibile che non capissero che lì, nella Baita Sacra alla Patria, era già stato tutto risolto? «La riunione si è conclusa con un testo abbastanza dettagliato», spiegava trionfante Francesco D'Onofrio, «un documento traducibile in articolato in poche ore».
L'idea di fare in vacanza ciò che non è andato in porto durante il normale orario di lavoro, o perlomeno di approfittare delle atmosfere turistiche trovare margini di tregua nelle situazioni più complicate, in realtà, non è nuova. Già nella Prima Repubblica, per dire, la ricomposizione della frattura che nel 1947 aveva spaccato in due i socialisti, venne avviata da Pietro Nenni e Giuseppe Saragat a Pralognan, tra le montagne della Val d'Aosta. E ancora nei convegni a Saint Vincent (maglioni e pedule forzanovisti) e Lavarone (maglioni e pedule zaccagniniani) furono individuate le vie d'uscita montane a tanti governi balneari.
Per non dire della gestione del potere in Abruzzo e nel Molise, che zio Remo Gaspari amministrava accasciato su una sdraio davanti alla pensione Sabrina di Vasto dove assessori e sindaci e presidenti provinciali stavano in coda anche per ore, in giacca e cravatta, sotto il sole a picco.
E come dimenticare la magica estate dei due mari del 1994? Sulla costa sarda del Tirreno, nella villa «La Certosa» non ancora ingentilita dalla costruzione (abusiva) delle cinque piscine di talassoterapia, Silvio Berlusconi cercava di rabbonire un Umberto Bossi che, perfettamente a suo agio sulle spiagge di Naomi Campbell e Daniela Santanché, si sdraiava con stratosferica disinvoltura sull'arena con la sua canottiera «metalmeccanico style» come fosse all'Idroscalo. Sulla costa dello Jonio, a Gallipoli dov'erano entrambi in ferie, Massimo D'Alema e Rocco Buttiglione avviavano la svolta che avrebbe portato al ribaltone davanti a un immenso piatto di crostacei. Cosa che avrebbe consentito a Gaio Fratini di tracciare una delle sue fulminanti strofette avvelenate: «D'Alema e Buttiglione / S'incontrano a cena / Per fare il partitone / Dell'opposizione / E han già trovato il simbolo: / un gamberone».
Eppure mai come l'estate scorsa, prima che il presidente del Consiglio si rifugiasse per cinque interminabili settimane nella sua villa sarda tirandosi addosso un diluvio di polemiche dalle quali riemerse roseo come un putto grazie al lifting, si era parlato tanto delle «vacanze di lavoro». Sembrò anzi, per qualche giorno, che le intere sorti del Paese fossero legate al destino di quei quattro villeggianti che si erano dati convegno nel paese dei Tremonti, dove un abitante su sei fa di cognome Tremonti e l'ultima sfida elettorale per le comunali ha visto Mario Tremonti contro Carlo Tremonti per sostituire Nizzardo Tremonti sulla poltrona di sindaco che i Tremonti occupano quasi senza interruzione da decenni nella scia di Lucillo Tremonti.
Nel solenne ruolo di «saggi», chiamati ad aggiornare la forma dello Stato disegnato da Cavour, Giolitti o Einaudi, i partiti della Casa delle Libertà mandarono la crema della crema: il notaio pescarese Andrea Pastore per Forza Italia, l'avvocato messinese Domenico Nania per Alleanza Nazionale, il professor Francesco D'Onofrio per l'Udc e per la Lega il dentista Roberto Calderoli, autore di una mondiale auto-biografia dal titolo «Mutate mutanda» nella quale aveva narrato di come avesse compiuto una «faticosa autopsia di se stesso» dissezionando la propria «sfera cosciente e l'iter emozionale» fino a «superare l'impeachment della timidezza».
Tra statisti, si sa, ci si capisce. E va da sé che il lavoro, sul quale vigilavano tra una biciclettata e l'altra Giulio Tremonti e Umberto Bossi («Io gli ho dato uno schema, poi loro lavorano») fu proficuo.
Pochi giorni e, assorbendo anche i rallentamenti operativi causati dagli abbiocchi pomeridiani («L'esperto di presidenzialismo è Nania», spiegò Brancher, «Se lui è a far la pennichella state certi che non affrontiamo l'argomento»), le tracce della nuova costituzione erano già nero su bianco. Al punto che i padri della neo-patria trovarono il tempo di fare una scampagnata a Pian dei Buoi per discutere di senato delle regioni tra la zuppa di farro, le cipolle e le costine di maiale del rifugio «Baion» o per tirar tardi la sera con l'Umberto al pianoforte che cantava «Parlami d'amore Mariù» e Tremonti che, travolto dal notorio spirito di collegialità, ritmava in compagnia: «O mare nero / o mare nero / o mare ne / tu eri chiaro e trasparente come me». Francesco Cossiga, di passaggio nel borgo, restò ammutolito: «Di fronte a un simile concentrato di saggezza e conoscenza non oso proferire verbo». Macché: un anno di discussioni e i saggi devono cominciare da capo. In Sicilia, stavolta. Stanno già cercando il posto giusto: Licodia, Limina, Linguaglossa, Lipari, Longi, Lucca Sicula... Ma chistu Lorenzagu siculo dove sta?

25.7.04

A scuola con i Nasi Forati
Satira preventiva di Michele Serra

Sono un nativo americano della tribù dei Nasi Forati. Abito in Italia da qualche anno e mi trovo benone, nonostante io sia l'unico Naso Forato di questo paese. Ho un figlio e vorrei farlo studiare. Secondo la legge italiana, tra l'altro, l'istruzione è un obbligo. Ero molto contento di mandarlo alla scuola pubblica, che mi piace perché è uguale per tutti. Ma ho saputo che, dopo le scuole cattoliche e le scuole ebraiche, si sta decidendo di introdurre anche le scuole islamiche.

Allora mi sono detto: perché loro sì e mio figlio no? Mi è stato risposto che esiste un problema di quantità, grosso come una casa. I cattolici sono moltissimi, gli ebrei sono una comunità piccola ma con identità e tradizioni culturali forti e radicate, i musulmani sono ormai il secondo gruppo religioso del paese. Mio figlio, invece, è il solo studente Naso Forato italiano, e probabilmente l'unico in Europa. Ho risposto che il ragionamento non regge, da nessun punto di vista: i diritti non sono mai un problema di quantità, sono un problema di qualità. Il mio diritto non è diverso da quello di cattolici, ebrei e musulmani solo perché loro sono tanti. In democrazia, la minoranza è sacra. E nessuno è più minoranza di mio figlio.

Ho dunque presentato al Tar, al Provveditorato, al Ministero e a una decina di altre istituzioni un capitolato molto ben scritto (ho tre lauree), giuridicamente agguerrito, chiedendo che venga istituita una scuola parificata per Nasi Forati. Naturalmente, ho vinto: nessun giurista, nessun democratico, nessuna persona dotata di buon senso poteva negare a mio figlio lo stesso trattamento che può spettare, qualora lo vogliano, ai ragazzi cattolici, ebrei e musulmani. Se le radici sono importanti, allora devono esserlo per tutti, nessuno escluso. E se si decide che le radici comuni offerte dalla scuola pubblica non bastano più, allora mi prendo anche io la mia giusta porzione di diversità.
Dal primo settembre, dunque, mio figlio frequenterà il primo Liceo Parificato Gufo Pedante (fu il più celebre pedagogista del nostro popolo). Non avrà sede: la nostra cultura non sopporta la stanzialità, e gli edifici in muratura ci opprimono. Sarà dunque un liceo all'aperto, che stabilirà di giorno in giorno dove tenere le sue lezioni, seguendo l'antica traccia delle migrazioni dei bisonti (come concessione alle usanze del paese ospitante, e per ovviare alla mancanza di bisonti in Italia, la scuola seguirà la migrazione delle beccacce). Le lezioni di tiro con l'arco saranno sospese durante l'attraversamento dei centri urbani. L'ora di grido di guerra avrà luogo solo a debita distanza dagli ospedali. L'accampamento per i nove docenti e le loro famiglie, e per l'unico alunno, comprenderà anche un wigwam palestra e un totem al quale legare il motorino di mio figlio.

Le materie principali sono caccia al bisonte, concia dei pellami, guerra, teoria e pratica dello scalpo, astronomia e orientamento, cavallo, arti sciamaniche, acconciatura, pagaia, epica orale e, ovviamente, religione. Mio figlio sarà educato nel culto del Grande Spirito, Manitù. Non disponendo di aule, non sarà possibile appendere al muro il simbolo del nostro culto, un tronco di sequoia lungo quaranta metri. Mio figlio, che l'hanno scorso ha frequentato le scuole medie pubbliche, ha provato ad appenderlo accanto al crocifisso facendosi aiutare dal genio civile, ma il parziale cedimento della parete lo ha dissuaso. In sostituzione, mio figlio ha appeso gli scalpi dei ministri Buttiglione e Moratti, ottenendo l'imprevisto e clamoroso appoggio di docenti e compagni di scuola. I costi?

Secondo i principi della nuova riforma della scuola, anche i costi delle scuole private parificate sono in buona parte a carico della collettività. Mio figlio pagherà la retta simbolica dei nostri avi, un tacchino vivo, che verrà consegnato solennemente al capo del governo, in segno di deferenza. La somma restante (un milione e settecentomila euro all'anno) la pagherete voi contribuenti. Ma non vi lamentate: se la vostra scuola di Stato vi sta così poco a cuore, dovete rassegnarvi a mantenere anche le scuole confessionali. Dice un antico proverbio dei Nasi Forati: chi ha ucciso il bisonte non lo rimproveri perché è morto. Augh!

22.7.04

Mare nostrum
di GUGLIELMO RAGOZZINO (Il Manifesto, 21 luglio 2004)

Non è solo l'articolo 11 della Costituzione italiana a vietare la costruzione di portaerei. Vi è anche l'articolo 59 del trattato di pace e una legge del 1931, di gusto prettamente fascista, tuttora in vigore. Nella costituzione è scritto che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». Se qualcuno è in grado di spiegare a cosa serva una portaerei, se non come strumento di offesa per fare la guerra e risolvere così le controversie internazionali, si faccia avanti. Prima di varare, come ha fatto ieri il presidente Ciampi, prima di costruire, come sta facendo la beata Finmeccanica per conto della Marina militare e del governo Berlusconi o anche prima di progettare portaerei, come hanno fatto i governi di centrosinistra, sarebbe stato necessario por mano alla Costituzione e riformarla, in senso militarista, cancellando lettera e spirito dell'articolo 11 . Nessuno lo ha fatto, nessuno ha avuto il coraggio di farlo. L'articolo 59, comma II, del Trattato di pace è di una chiarezza cristallina: «L'Italia non costruirà, acquisterà, utilizzerà, o sperimenterà alcuna portaerei». L'impegno che De Gasperi aveva assunto, per conto di tutti noi italiani, nel 1947 era un impegno di lealtà, da rispettare. E fu rispettato per una quarantina d'anni, fino ai tempi del falso incrociatore Garibaldi, in realtà portaelicotteri. Neppure allora ci fu una dichiarazione formale, del tipo: l'Italia da oggi disattende gli obblighi del Trattato di pace, cui è stata costretta da forze soverchianti, ecc. ecc. E neppure: a partire da oggi l'Italia ha deciso di fare la guerra, se le garba, e di bombardare con missili dal mare e dall'aria, i suoi eventuali nemici. Anche questa dichiarazione non c'è stata, anzi l'incrociatore Garibaldi aveva un doppio travestimento. Era una portaerei per l'uso interno e per le commesse dei cantieri nazionali, e una nave multiuso con solo qualche piccolo elicottero nascosto nella pancia, per gli alleati-rivali della Nato e per l'ormai disattenta Urss.

La legge del 1931 è un episodio della contesa tra marina e aviazione, tipica degli anni del fascismo. L'aviazione militare, non solo in Italia, era ostile a una marina che, contro natura, fosse capace di volare. Negli Stati uniti o in Giappone prevalsero le marine che ottennero aerei e campi di atterraggio galleggianti, dando luogo a fantastiche battaglie come quella delle Midway. In Italia, l'aviazione era la pupilla del regime e ottenne al contrario un successo completo, sottolineato da una popolare canzonetta «Gira gira l'elica, romba il motor/ questa è la bella vita, la vita bella dell'aviator». Mussolini dettò la linea; e fece scrivere sui muri che l'Italia non aveva bisogno di portaerei essendo essa stessa una portaerei al centro dei mari.

Dopo settanta e più anni la Marina è riuscita a rovesciare la politica nazionale. Ha dovuto però accettare una serie di compromessi. Ha sofferto nel prendere il nome di Cavour, un signore con i piedi ben piantati sulla terra, lasciando il ben più evocativo Andrea Doria. D'altro canto, dopo Garibaldi, nave con il nome di sinistra, perché non accettare un nome da nave liberale di centro, cattolica ma anche certamente laica? Cavour è un grande padre della patria, che ha portato i bersaglieri in Crimea (modello per il Kosovo di D'Alema) e senza bisogno di portaerei. In ogni caso non ha detto lui:«libera Nave in libero Stato»? E così avremo Cavour. Risulta, ancora irrisolta, una sorda disputa tra chi voleva soprattutto una portaerei, beninteso di pace, capace però di portare carri armati pesanti e chi preferiva invece mantenersi sul classico: aerei a decollo verticale, elicotteri quanto basta. La nave li avrà entrambi: carriarmati e aerei. Sarà probabilmente la prima portaerei Ro-ro, cioè concepita come una nave avanti-e-indietro (Fincantieri ha vinto così fantastiche commesse per modernissimi traghetti) e capace di andare fino alla riva per scaricare i marines, alla caccia di bin Laden. O di Sandokan, se necessario.

27.6.04

INTERVISTA A CLAUDIO SABELLI FIORETTI
di Antonella Bersani (Punto Com - 27/06/2004)

Claudio Sabelli Fioretti è i suoi capelli. Ricci, voluminosi, anarchici. Il biglietto da visita di un giornalista che ha girato 14 giornali, collezionato cinque direzioni, fughe, licenziamenti e ritorni. Sabelli Fioretti ha affrontato di petto le sue battaglie, pagato in prima persona. Con due soli rimpianti: il quotidiano del gruppo Espresso e la mazzetta dei giornali gratis: “Partecipai alla fondazione di Repubblica, ma fui sedotto dal progetto di Tempo Illustrato e la abbandonai. Lasciare Repubblica, che cazzata!”.
Oggi dopo aver fatto l’inviato per Panorama, per il Secolo XIX, diretto quotidiani come Abc e Cuore, settimanali come Sette e mensili come Gente Viaggi, lo spirito anarchico ha ormai prevalso. Sabelli Fioretti vive bene di collaborazioni, le sue interviste su Sette (da buon irriducibile non si convince a chiamarlo Corriere della Sera Magazine) sono diventate un culto, e dopo la fondazione del Pa.po.po, il Partito Popular Populista, è venerato dal popolo di Caterpillar (la trasmissione di RadioDue) come una sorta di comandante Marcos. Visto il paragone, è fin troppo ovvio che il rapporto con i potenti non sia altrettanto felice. Ma è una scelta di campo, perché Claudio Sabelli Fioretti a fare il Gianburrasca si diverte un mondo.
Un esempio? Lasciò l’amaca di Panorama per buttarsi nel 1975 nella direzione di Abc, testata di grandi battaglie libertarie, tette al vento comprese. Il proprietario era un editore di porno. “Abc era un giornale da barbiere, è vero. Ma impegnato. E’ stato in prima linea nella grande battaglia per il divorzio. Lo presi a 20mila copie e lo feci scendere velocemente a diecimila togliendo ogni residuo di tette e culi”, ironizza Sabelli Fioretti. L’ultimo servizio fu dedicato all’omicidio di Giannino Zibecchi (l’insegnante travolto da una camionetta dei carabinieri durante una dimostrazione antifascista), con foto molto crude in copertina e titolo: “Carabinieri assassini”. Inutile dire che fu subito chiuso.
Altro esempio? Le valanghe di querele piovutegli addosso con la direzione di Cuore, montagne che sta spalando ancora adesso battagliando contro gli avvocati degli eredi di Vincenzo Muccioli, il fondatore della comunità di San Patrignano, oggetto delle puntute inchieste di Cuore. “Sono soprattutto loro che mi perseguitano, ma oggi è un gran giorno. Ho appena vinto una causa contro Cesare Previti”.
E poi c’è l’inimicizia storica con il sindaco di Roma Walter Veltroni, attaccato perché colpevole di aver “inquinato” l’Unità con libri e videocassette. “Veltroni? Un cattivo vero – dicono - che finge quando dice con la sua faccia buonista di essere disinteressato alle poltrone – arringa ancora oggi Sabelli Fioretti -. I gadget editoriali oggi hanno fatto scuola e salvato giornali, è vero, ma snaturando il prodotto e allontanandolo dal suo vero pubblico di riferimento. Bisogna dirlo: i gadget sono la droga dei giornali”. Frase che procurerà a Sabelli Fioretti un insolito sostenitore: Urbano Cairo, amico di Berlusconi. Che dire poi di uno che per amor di goliardata scatenò le ire di Vittorio Sgarbi? “Pubblicammo una pagina intera con i numeri di telefono dei Vip. La chiamammo “Il telefono, la tua voce”. Divertentissimo. Purtroppo però molti lettori chiamarono Sgarbi insultandolo. Come potevo sapere che il mio target faceva così schifo?”. Comunque Sgarbi non porse l’altra guancia. Ma rese pan per focaccia utilizzando la tv. Risultato: i telefoni della redazione di Cuore intasati, il telefono personale di Sabelli Fioretti inutilizzabile. “Oggi siamo amici. Anzi, sai cosa mi dice? Che dopo che ho intervistato lui, sua madre, la sua fidanzata e sua sorella, suo padre si è incazzato”.
Ultimi episodi: il licenziamento di Rusconi, che lo caccia dalla direzione di Gente Viaggi “ma ho appena perso la causa e non mi va di parlarne”. E il litigio al confine con la Cina, con gli autori della trasmissione Overland. “Era una missione finanziata dall’Unicef e mi sarei aspettato che propagandasse un messaggio per i bambini del mondo. Me ne sono andato per divergenza di vedute”.
Anche Michele Serra, che lo ha preceduto alla direzione di Cuore schivando pure le querele, dice che lui ama il conflitto. Ma Sabelli Fioretti si dice cambiato: “Un tempo forse ero più battagliero. A ogni disaccordo erano dimissioni. Oggi, invece, me ne frego. Il giornale sarà un po’ più brutto? E chissenefrega, ce ne sono tanti brutti in giro. Però c’è una verità da dire: come direttore sono inaffidabile. Per questo non so se io sia mai stato davvero bravo a guidare un giornale. Diciamoci la verità: ce lo vedi qualcuno proporre Claudio Sabelli Fioretti per la direzione de La Stampa?”. Ride lui per primo. Ma a dispetto di questa fama di cattivo ingestibile, in realtà Sabelli Fioretti è un tipo davvero affidabile. Perché coerente. “Sono da sempre fedele alla vecchia scuola di Lamberto Sechi, quella della notizia. Per me si devono scrivere solo cose vere, e il giornale non deve avere nessun altro interesse se non il raccontare i fatti”.
Detto questo, se qualcuno crede davvero che l’età abbia calmato Sabelli Fioretti, provi a farlo parlare della crisi della sinistra. “Cofferati è l’unico leader naturale e carismatico che abbiamo, tanto carismatico che questa sinistra gli ha subito tagliato le gambe. Cofferati è stato costretto a dirottare su Bologna, ma ha dimostrato che potrebbe vincere ovunque. Sai cosa ti dico? Che se si candidasse con Forza Italia lo voterei. Sono così stufo delle solite facce. Di Fassino, del ritornello sull’intelligenza di D’Alema. Basta! Sono con Nanni Moretti quando dice: con questi leader non andremo da nessuna parte”. Come il regista girotondino, Claudio Sabelli Fioretti è un autarchico.
Lontano dalla città, dai salotti, sai soliti cori. Lui, laziale, ha la sua patria di adozione in un paese di montagna. E qui, disintossica muscoli e fegato spaccando legna o costruendo mobili nel laboratorio di falegnameria che si è attrezzato in casa: “Contro nervi e paturnie, non c’è niente di meglio che costruire una bella cassapanca” afferma. E lui in qualche modo si deve sfogare, perché a dispetto dello sbandierato menefreghismo, resta un uomo che si arrabbia.
D’altronde, anche le sue interviste sui voltagabbana e i cortigiani non sono altro che una crociata contro le ipocrisie che più detesta. Per non parlare della provocazione del Pa.po.po. Scusi, Sabelli Fioretti, ma lei ha sempre votato lo stesso partito? “Il voto è il mio dramma, perché a volte voto a Milano e a volte in Trentino e qui mi propongono sempre Marco Boato, che non riesco a mandare giù. E non voto. Nei secoli invece ho votato di tutto, da ragazzino liberale, una volta repubblicano, Valpreda, i radicali, mai però socialisti o Msi. Neppure Rifondazione mi convincerà mai, io resto un orfano di Cofferati”. E qual è la definizione di voltagabbana? “E’ quello che cambia posizione e poi spara a zero contro i suoi ex compagni. Questo mi fa davvero schifo”. E giù l’elenco, dal direttore dell’Unità Furio Colombo all’immancabile portavoce di Forza Italia Sandro Bondi: “Io adoro Bondi, perché è simpaticissmo – dice Sabelli Fioretti -, ma santo cielo: come si fa? E’ stato un sindaco comunista. E poi l’adulatore Emilio Fede, che adesso non tifa nemmeno più per la Juventus”.
Figlio d’arte (suo padre è stato direttore del Corriere dello Sport), Claudio Sabelli Fioretti ha imosso i suoi primi passi nella testata di sport minori Selesport “100 lire a tabellina e 300 lire per i goal”, poi “Nevesport” a conferma di chi lo vuole ottimo sciatore, quindi sei anni a Panorama con Lamberto Sechi, quello che oltre a Sabelli Fioretti ha cresciuto direttori come Carlo Rognoni, Paolo Panerai, Miriam De Cesco e Carlo Rossella. E’ il periodo di “Stanze Rosse” e di “Cotta Continua”, secondo una definizione dello stesso Rossella. “Vero, ma si dimentica sempre di dire che in quelle stanze dell’estrema sinistra c’era anche lui – interrompe Sabelli Fioretti -. Carlo è stato anche cossuttiano. Tanto è vero che quando lo fecero direttore del Tg1 Cossutta confidò agli amici: Ma lo sai che hanno messo a capo del Tg1 uno dei miei? Non sapeva che aveva già cambiato idea. Rossella è inafferrabile, si è fatto anche l’automarchetta per il libro Grand Hotel su Panorama. Incredibile, ma il libro è bellissimo, perché Rossella è un raccontatore splendido. Per lui tutto è fiction”.
Niente da fare. Claudio Sabelli Fioretti non perde il vizio. Confligge. Soprattutto con chi gli concede le interviste e poi tenta di bloccarne la pubblicazione. “Con l’attrice Ida di Benedetto fu una bella battaglia, mentre Alain Elkann a metà intervista disse che ci aveva ripensato, ma questo è un suo diritto. – racconta -. Antonella Boralevi (giornalista e scrittrice) invece, scassò talmente tanto che alla fine non la pubblicammo. Se tornassi indietro venderei molto più cara la pelle”.
E’ la legge dello sfinimento, che i giornalisti conoscono bene. Sabelli Fioretti compreso, perché i suoi intervistati li prende per stanchezza. Anche a rate, come il direttore de Il Giornale Maurizio Belpietro, che sostenne due appuntamenti più una lunga conversazione telefonica. Per un totale di oltre cinque ore di colloquio. “E’ il segreto. Documentarsi moltissimo prima e parlare a lungo, molto a lungo. E poi applico la tecnica di Enzo Biagi: se l’intervistato non risponde a una domanda, bisogna riproporgliela dopo un quarto d’ora in forma diversa. Se lui non risponde, avanti ancora dopo un altro quarto d’ora. E se non risponde, il tormentone è talmente divertente che puoi scriverlo così com’è”. Hai collezionato tanti rifiuti? “Tantissimi: Lilly Gruber, Alda D’Eusanio, Vincenzo Mollica, Paolo Bonaiuti, Berlusconi. Beh sai, io l’intervista gliel’ho chiesta”. Tutti sinceri, gli altri? “Tutti bugiardi, consapevolmente o no, perché ognuno tende ad essere fedele all’immagine che si è fatto di se stesso e non sempre coincide con la verità. Poi sai, c’è la storia. Gianfranco Fini dice che non è mai stato fascista? Ci sono le sue foto mentre fa il saluto romano. Veltroni dice di non essere stato comunista? E cosa ci faceva iscritto al partito? Qui c’è poco da dire: o sono scemi o sono bugiardi. E siccome scemi non sono…”
L’avventura di Repubblica, si colloca dopo Panorama e la direzione di Abc. Ma dura tre mesi, e tre mesi dopo Tempo Illustrato “Il tempo di capire che avevo fatto un’altra cazzata” è con Melega all’Europeo e poi di nuovo a Panorama con Carlo Rognoni. Seguirà la direzione di Panorama Mese, ma anche questa avventura finisce male. Fu chiuso dopo averlo trasformato in un geografico. Anticipando National Geographic italiano, trasmissioni come Geo e riviste di divulgazione scientifica. “Anticipare i tempi, non è pregio, ma un difetto – commenta -. Oggi 90 mila copie di target alto sarebbero considerate un successo, ma la Mondadori di allora non era pronta”. Seguiranno gli anni come inviato del Secolo XIX, chiamato sempre da Carlo Rognoni “per raccontare quelle storie che nessun altro riusciva a trovare”. E qui Sabelli Fioretti incontra una donna che lo ha folgorato più di Alessia Marcuzzi e Valeria Marini (intervistate due volte). E’ Gigliola Guerinoni, la mantide di Cairo Montenotte. Ne scrisse, ne riscrisse. Passava a prenderla a casa per accompagnarla ai processi. “In redazione, dicevano che mi ero fidanzato. Ho scritto anche un libro su di lei, una donna strana: 125 copie in tutto. Credo che lei sia come Sofri”. Come Sofri? “Innocente, ma che sa tutto”. Non è un innocentista convinto? “In questo Paese ci sono due cose che non puoi toccare: Craxi (gli costò una dura polemica con Filippo Facci su Il Giornale) e Sofri. Insomma, diciamolo: Craxi è morto latitante, non esule. E di Sofri si sono occupati 9 processi, che mi sembrano abbastanza altrimenti ci mettiamo a discutere il ruolo dei giudici. Che debba fare io il difensore dei giudici, questa poi…Io non li amo, ma il loro ruolo è indiscutibile. Se il caso Sofri è così lampante, perché non ci hanno pensato i suoi amici? Giuliano Ferrara, Claudio Martelli, sono stati tutti al governo”.
Forse un libro su Sofri avrebbe avuto più fortuna di quello sulla Guerinoni, o di quello sull’ex Presidente del Consiglio Giovanni Spadolini, 300 copie vendute: “Scrivere un libro su Spadolini è puro masochismo – ride -. Credo che quelle 300 copie le abbia acquistate tutte lui, perché le regalava in campagna elettorale. Però ho firmato un altro libro di successo: “Dimmi, dammi, fammi” uno scritto ironico sulla partita dei sessi. Risultato: 10 mila copie, ma tutto il ricavato andava ad Emergency”.
Qualcosina avrebbe invece fatto comodo per sostenere i costi della mazzetta, che per un free lance come Sabelli Fioretti è sempre piuttosto onerosa. “Compero e leggo per primo Il Corriere, poi La Stampa, Repubblica e il Foglio. Quasi sempre Il Giornale e L’Unità. A volte Il Riformista e Libero”. Niente Manifesto, “perché non amo rileggere quello che già penso” E perché insegue solo alcuni giornalisti: “Leggo il Corriere per Gianantonio Stella, il Giornale per Giancarlo Perna, la Stampa per Granellini, Ceccarelli e anche per Pigi Battista, perché dice delle cose che non stanno né in cielo né in terra”.
C’è qualcos’altro che non sta né in cielo né in terra. Sono gli orti aerei che Claudio Sabelli Fioretti coltiva, una sorta di giardini pensili babilonesi da cui ricava insalate, verdure e altre freschezze. “Li ho chiamati ortovolanti. Fantastici, perché si possono coltivare senza doversi chinare”.
Il pollice verde è l’alternativa al piallare le cassapanche. Ma se non è in treno, non sta spaccando legna, annaffiando le carote o sparando a zero su Veltroni, state certi che Claudio Sabelli Fioretti sta scrivendo per il suo blog. “Il blog è la democratizzazione dello spazio su internet, dove io ricavato il mio angolo di libertà di stampa – spiega -. E ogni giorno mi meraviglio perché molti colleghi non l’abbiano ancora adottato. Anche se ho il sospetto che i giornalisti parlino tanto di libertà di stampa, ma purché sia pagata”. L’ultima sua uscita fuori dal coro è comparsa proprio sul blog: una interpretazione controcorrente della sconfitta italiana agli europei di calcio: “Anziché stare a discutere del complotto di Svezia e Danimarca, perché non guardiamo all’ultimo goal di Cassano? Il portiere bulgaro ha ritirato le mani, aveva quasi paura di parare”.
IL MIRACOLO MATRIOSKA
satira preventiva di Michele Serra (Repubblica)


A Genova una veggente ha visto il volto di padre Pio dentro il costato del Cristo degli Abissi: primo caso al mondo di miracolo-matrioska. E non è ancora niente: tornata il giorno dopo con una lente di ingrandimento, la donna, esaminando meglio l'apparizione, ha scorto, in mezzo alla barba di padre Pio, una Madonna che salutava. In successivi esami al microscopio, una commissione vescovile ha potuto scorgere l'arcangelo Gabriele dentro la pupilla della Madonna che salutava dalla barba di padre Pio sul costato del Cristo degli Abissi. Se poi si considera che il Cristo degli Abissi era a sua volta esposto ai fedeli all'interno di un salone apparso miracolosamente con i soldi delle Colombiane, possiamo concludere che l'arcangelo Gabriele è apparso nella pupilla di una Madonna apparsa nella barba di padre Pio apparso nel costato del Cristo degli Abissi apparso in un salone apparso per grazia ricevuta (alcuni fedeli assicurano di avere udito, come colonna sonora della catena di miracoli, 'Alla Fiera dell'Est').

Nel frattempo, un pool di studiosi ha classificato tutte le apparizioni di padre Pio (a partire dalla prima e più celebre, quando il frate apparve sulla porta di casa sua per aprire al portalettere). Il volto del santo si è materializzato prevalentemente sui piatti con la sua effigie acquistati a San Giovanni Rotondo: non si contano le persone che hanno riconosciuto distintamente il volto di padre Pio sui piatti raffiguranti il volto di padre Pio, cadendo in trance.
Frequenti, ma poco attendibili, anche le visioni di padre Pio nei piatti di papa Giovanni e Lady Diana: in accurati esperimenti di laboratorio, è risultato che i volti di papa Giovanni e Lady Diana, qualora semicoperti nel piatto da una forchettata di spaghetti, possono essere confusi con un'immagine barbuta, dunque con padre Pio. Diffuso anche l'equivoco con le fotografie di Fidel Castro.

Ugualmente dubbie sono le apparizioni segnalate dalle massaie negli sgabuzzini delle scope. Molte delle scope in commercio, specie del tipo mocio, in penombra possono ricordare la fluente barba del santo (il forte profumo di rose che accompagna la visione sarebbe molto simile a quello di Vetrella, Bref, Emulsio Facile e altri detersivi molto diffusi). Dello stesso tenore, e dunque molto sospette, le apparizioni di padre Pio nelle cassette di seppie delle pescherie, sugli scogli guarniti da alghe, tra le stalattiti delle grotte di Castellana e in quei siti che presentano formazioni pendule e striate. La Chiesa, per evitare equivoci, ha simulato al computer un volto di padre Pio senza barba. Ma il risultato era identico a Johnny Dorelli, e per evitare di alimentare un culto di Johnny Dorelli le autorità ecclesiastiche hanno tenuto nascosti i risultati dell'esperimento.

Come sempre, di fronte alla fede popolare, la Chiesa è in difficoltà. Come distinguere la credulità del primo babbeo di passaggio da quella del secondo babbeo di passaggio? E come spiegare che quasi tutti gli avvistamenti sono a tutt'oggi opera di pastorelle, pur essendo la pastorizia estinta da più di un secolo? E soprattutto, come giustificare, di fronte al rammarico dei familiari, il fatto che il 90 per cento dei santi non appare in alcuna apparizione, o addirittura, come nel triste caso di San Crispino, appare ma non viene riconosciuto e viene allontanato a maleparole dai presenti, che aspettavano padre Pio?

Quest'ultimo punto, molto dolente, viene ormai riconosciuto dalle autorità ecclesiastiche come un vero e proprio problema di democrazia interna. Dai dati ufficiali, risulta che il duopolio Maria-padre Pio ha monopolizzato il 99 per cento delle apparizioni, lasciando alle minoranze solo le briciole. I devoti dei santi minori si sono costituiti in comitato. Tra le richieste più significative, si esige che padre Pio lasci libere almeno alcune delle frequenze destinate alle apparizioni. Oppure, come seconda scelta, che una percentuale dei volti di padre Pio venga attribuita d'ufficio ad altri santi, a rotazione.

18.6.04

Viva la lista Occhetto Del Piero
"Satira preventiva" di Michele Serra

Dopo le Europee, la sinistra italiana si ritrova più o meno al solito 45 per cento, dato invariato dai tempi di Giuseppe Mazzini. Il vero talento consiste nel ripartire sempre gli stessi voti tra liste ogni volta differenti. È come spostare i vecchi mobili di casa una volta all'anno, per avere una inebriante sensazione di novità pur vivendo da sempre nello stesso trilocale ereditato da nonno. Anche questa volta gli arredatori di Casa Sinistra si sono superati. Nella scheda elettorale i simboli dell'opposizione formavano un pittoresco motivo a pois, molto ornamentale. Alcuni elettori si sono attardati nel seggio per giocare a 'che cosa apparirà?' unendo i puntini con la matita copiativa (ad alcuni solutori è apparsa una carriola senza ruota, ad altri ancora una veduta di Weimar). Diversi elettori anziani hanno chiesto al presidente di seggio se, essendo riusciti a leggere correttamente tutti i simboli, potevano rinnovare la patente. Anche se non serve a niente, perché a sinistra tutto è provvisorio, proviamo a ripassare i principali simboli.

Listone Istituito per consorziare tutti i partiti già presenti nell'Ulivo, a ogni riunione riusciva a farne fuori uno. La lista ha potuto presentare al voto i pochi partiti residui solo perché l'ultima riunione è stata sgomberata dai pompieri perché la sede risultava pericolante. È il primo caso conosciuto di somma ottenuta sottraendo gli addendi: le principali facoltà di matematica stanno studiando il fenomeno. Il risultato è strabiliante: l'Ulivo, quando Prodi vinse le elezioni, era formato da 12 partiti (giuro, li ho contati), adesso, dopo il grandioso sforzo unitario degli ultimi mesi, sono rimasti in quattro.

Lista Di Pietro-Occhetto Apparentemente irresistibile sul piano della comunicazione (Occhetto si veste come Peter Gabriel, Di Pietro come se avesse appena svaligiato una tintoria), la coppia puntava al voto del ceto medio riflessivo (definizione di Paul Ginsborg), della sinistra dei professori (leader Paul Ginsborg) e dello stesso Paul Ginsborg. L'errore è stato non calcolare che, in un target così altamente politicizzato, tutti i potenziali elettori si candidano, e non rimangono più elettori disponibili a votarli.

Comunisti Italiani Sono gli ex comunisti che, pur essendo ancora comunisti, non fanno parte di Rifondazione Comunista, a differenza di quegli ex comunisti che, pur comunisti, stanno nel correntone della Quercia non comunista. Hanno fatto il pieno dei voti tra gli appassionati di enigmistica e gli studiosi di psicanalisi. Un buon risultato, minato però dal pericolo di un'imminente scissione tra corrente freudiana e junghiana.

Verdi È l'unico partito ambientalista d'Europa che considera scontato occuparsi di ambientalismo. L'attività prevalente sono le animate assemblee congressuali dove si mettono ai voti fino a dieci mozioni distinte, alcune presentate da abilissimi delegati che si iscrivono a parlare fingendo di appoggiare una mozione, e all'ultimo momento decidono di improvvisarne un'altra lì per lì. Il loro leader Pecoraro Scanio si è dichiarato bisessuale, nel senso che ha avuto due rapporti sessuali.

Rifondazione Bertinotti ha fatto il pieno dei voti dei giovani pacifisti con la kefia, in aggiunta a quelli dei vecchi stalinisti con l'elmetto dell'Armata Rossa. Il principale sforzo politico è evitare accuratamente che i due gruppi si incontrino. I voti accumulati sono ormai molti milioni, Bertinotti li ha messi sotto il materasso e li conta ogni notte. Non si fida né a spenderli né a metterli in banca. Quando arriverà al 10 per cento comprerà un materasso più grande.

Le novità Tra i nuovi soggetti di sinistra previsti per le prossime elezioni: una Lista Pisacane, che si propone di sbarcare in armi a Sapri, la Comune di Parigi, che riunisce tutti gli esuli del terrorismo residenti a Montmartre, e una Lista Occhetto-Del Piero. Voci incontrollate sul ritorno a sinistra di Gianni De Michelis, con un biglietto aereo prepagato, e su una Lista Moratti che, se votata da tutti i giocatori e allenatori dell'Inter degli ultimi anni, potrebbe contare sulla maggioranza relativa.

17.6.04

FINALMENTE ESPORTIAMO QUALCOSA ANCHE NOI IN EUROPA
da Aldo Vincent (http://cassate.blog.excite.it)

Il presidente del Senato Marcello Pera ieri ha fatto passare a Palazzo Madama l'assegnazione di un posto al Consiglio d'Europa, l'assemblea di Strasburgo alla quale mandano rappresentanti 45 Stati membri, dal Portogallo alla Russia.
«Come comunicato alla conferenza dei capigruppo - ha comunicato Pera - la presidenza propone che alla nomina del sostituto, sulla base della ricordata designazione del gruppo, possa procedere direttamente il presidente, in applicazione dell'articolo 25, comma 5, del regolamento. Non facendosi osservazioni, tale procedura si intende adottata. Il senatore Dell'Utri è pertanto nominato componente supplente della delegazione».
In base all'articolo 15 del General agreement sulle immunità, firmato a Parigi nel 1949, i componenti del Consiglio d'Europa sono protetti su tutto il territorio degli Stati membri dall'arresto e dalla traduzione a giudizio. Ieri, nel processo per mafia, le parti civili di Provincia e Comune di Palermo hanno chiesto a Dell'Utri 10 milioni di euro per danni.

il 24 giugno il Consiglio d'Europa discuterà un progetto di risoluzione, approvato dalla commissione Cultura, secondo il quale da noi Berlusconi mantiene «un controllo senza precedenti sul mezzo di comunicazione più potente», la tv.

L'onorevole ( e' un ossimoro) Dell'Utri ha accumulato finora pene per un anno e otto mesi di reclusione, con la condizionale, per le frodi fiscali di Publitalia. Il 27 aprile, in primo grado, ha ricevuto due anni per tentata estorsione. In Spagna è congelata la procedura su lui e Berlusconi per l'inchiesta Telecinco da sommarsi agli undici anni comminati recentemente per collusioni mafiose .

13.6.04

L'INVASIONE DEI MESSAGGI
di Alessandro Robecchi (dal Manifesto)


Sapete tutti quello che distingue l'uomo dalla scimmia: l'uso del pollice. Nessuna scimmia sarebbe riuscita a mandare 57 milioni di messaggini col telefonino per ricordarci di andare a votare. E sicuramente nessuna scimmia li avrebbe fatti pagare a noi. Mi ha scritto una lettera, mi ha mandato un sms, ha il mio numero di telefono, conosce il mio indirizzo. E' molesto, sa? Confesso di guardare con un certo timor panico il citofono: e se viene a casa? Se si presenta? Vorrei fare una denuncia. Esagero? Già, e se si nasconde in macchina, io metto in moto e lui sta accucciato sul sedile posteriore e mi prende alle spalle? Sono sicuro che il garante della privacy si turberebbe: ehi, non si può aspettare la gente accucciati sul sedile posteriore! Sarebbe un severo monito. Questo mi riempie di fiducia. E se me lo trovo di fianco al cinema? Se spunta dal tubetto del dentifrico? Dalla tazza del cesso? Non c'è niente da ridere: in un paese in cui gli altoparlanti degli aeroporti strillano gli annunci della presidenza del consiglio nessuno è al sicuro, date retta. Dà un certo brividino alla schiena. Ora aspetto, com'è nelle strategie del Grande Comunicatore, messaggi un po' meno generalisti, più mirati. Altoparlanti agli incroci, pick-up che girano amplificati per le strade... attenzione... messaggio della presidenza del consiglio! Signora Maria, ritiri i panni, che sta per piovere! Robecchi, porta giù il cane! Luigino, lava i denti! L'intrusione nelle nostre vite, che già è massiccia, potrebbe diventare totale, un po' fastidioso ma alla fine normale, come un rumore di fondo.

Ecco, un rumore di fondo, un brusio indistinto, un ron-ron continuo, come il rumore del frigo, che te ne accorgi solo quando smette di botto. Questo è, oggi, Silvio Berlusconi e la sua ghenga di ripetitori. Da mesi sentiamo questa cazzata del meno tasse, taglio le tasse, riduco le tasse, così, come un mantra che si ripete identico, ipnotico, all'infinito. Ogni tanto uno dei camerieri viene mandato alla gogna a spiegare dove trovare 12-13 miliardi di euro per tagliare le tasse. Quello va, gorgheggia, sputazza, peteggia, prende tempo, viene immancabilmente sbertucciato e torna nelle retrovie dopo un'inevitabile figura di merda.
Ma questo non cambia niente: il mantra meno-tasse continua, come uno strumento da bordone, accompagna le nostre vite.

Vedete Berlusconi da Washington, da Arcore, dalla Sardegna, con cravatta, senza cravatta, più alto, più basso, accorato, spiritoso, preoccupato, ammonitore. E' il pupazzo generale, l'uomo ovunque, il tappetino mediatico di base delle nostre vite. Sta diventando una cosa naturale, una curiosità etnica, alcuni popoli mangiano piccante, altri pescano facendo un buco nel ghiaccio, gli italiani vivono con un rombo continuo in sottofondo nelle orecchie: è Silvio, il grande comunicatore.

Quanto ci metteranno a rompersi definitivamente le balle, a reagire con una crisi di rigetto e se quella di oggi sarà magari la volta buona non si sa. Ma è certo che ormai è netta la distinzione: da una parte c'è la vita reale, gli affetti, il lavoro, la famiglia, le preoccupazioni e le gioie; e dall'altra c'è Silvio Berlusconi con le orecchie da vulcaniano e il sorriso da squalo.

Sono cose che non c'entrano nulla tra loro, che non si intrecciano e non si toccano più. Se mai (dico per assurdo) Berlusconi dovesse un giorno comunicarci una cosa sensata (per telefono, lettera, citofono, telegiornale pubblico, telegiornale privato, piccione viaggiatore, digitale terrestre, sms o altro) è quasi certo che nemmeno lo staremmo a sentire.

Succede così a Rimini, a Riccione, sugli spiaggioni nazional-popolari: al centesimo rimbombante annuncio che il piccolo Mirko ha perso la mamma, tutti cominciano leggiadramente a fottersene. Se ne fanno un baffo, sogghignano, al massimo sbuffano. Uff! Atro rumore di fondo. Uff! Altre cazzate. Questo, ormai, è Silvio per gli italiani. Il rumore del frigo.

11.6.04

Nove milioni di dollari e nessun blitz
Enrico Piovesana - «PeaceReporter» (Emergency)

10 giugno 2004 - «Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era disabitata da almeno due mesi.
Fino a lunedì sera tardi (7 giugno, n.d.r.) quando, intorno alle 23, si è sentito un gran trambusto. Io, che abito al 13, ho visto arrivare alcune auto e fermarsi davanti a quella casa. Sono entrate un po' di persone. Era buio, non abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati via ed è tornata la calma».
«Il mattino seguente, intorno alle 9:30, sono arrivate cinque auto militari americane, di colore verde oliva. Si sono fermate davanti a quella casa. Ne sono scesi alcuni uomini vestiti in abiti civili e con gli occhiali scuri. Erano sicuramente uomini del mukhabarat (servizio segreto, n.d.r.) americano. Hanno aperto la porta dell'abitazione, senza forzarla, come se fosse già aperta, e sono riusciti subito con solo quattro uomini, che poi abbiamo saputo essere i tre ostaggi italiani e un ostaggio polacco.
Li hanno caricati su un furgoncino bianco e se ne sono andati via. Il tutto con la massima calma. Non è stato sparato un colpo. Nella casa, a parte gli ostaggi, evidentemente non c'era più nessuno. Non è stato assolutamente un blitz militare come è stato annunciato tre ore dopo. Quelli sono tutta un'altra cosa. Lì si è trattato di una semplice presa in consegna. Gli americani sono andati lì a colpo sicuro. Sapevano che gli ostaggi erano stati portati lì, si erano messi d'accordo. Il vostro governo ha pagato un riscatto: nove milioni di dollari. Qui ormai lo sanno tutti. Adesso però basta parlare al telefono, non è sicuro».

A parlare, raggiunto al telefono da PeaceReporter, è un iracheno, il signor Fahad, che assieme ad altri due suoi vicini, il signor Mohammed e il signor Ibrahim, è stato testimone oculare della liberazione di Agliana, Cupertino e Stefio. Fahad parla dalla sua casa, al 13 di Zaitun Street, ad Abu Ghraib, il sobborgo occidentale di Baghdad divenuto tristemente famoso per lo scandalo delle torture sui prigionieri iracheni.
La sua versione dei fatti è confermata da un'altra fonte irachena raggiunta da PeaceReporter, vicina al braccio politico della guerriglia. Una fonte che ha voluto rimanere anonima, e che ha fornito la sua versione di tutta la vicenda del sequestro, delle trattative e della liberazione.
La fonte inizia facendo un nome, quello di Salih Mutlak. "Mutlak - dice - è un facoltoso commerciante iracheno arricchitosi con le speculazioni e il contrabbando durante il periodo dell'embargo. Da molti è definito semplicemente come un 'mafioso'. Lui è il personaggio chiave della vicenda della liberazione dei tre ostaggi italiani, assieme al già noto Abdel Salam Kubaysi (solo un omonimo di Jabbar al-Kubaysi), ulema sunnita e docente all'università di Baghdad, salito all'onore delle cronache televisive internazionali per il suo ruolo nella trattativa per il rilascio - dietro pagamento di riscatto - degli ostaggi giapponesi".
Secondo la fonte, con Mutlak e con Kubaysi il governo italiano avrebbe trattato segretamente per settimane al fine di ottenere il rilascio di Agliana, Cupertino e Stefio, rapiti il 12 aprile assieme a Quattrocchi, ucciso il 14 aprile. Si scoprirà poi che aveva in tasca un porto d'armi rilasciato dalle forze britanniche e un pass della Coalizione.

I contatti tra i nostri servizi segreti, il Sismi, e la coppia Mutlak-Kubaysi sono iniziati subito dopo quei tragici giorni, e già il 20 aprile erano cominciate a trapelare notizie sull'accordo con il governo italiano per il pagamento di un riscatto di 9 milioni di dollari.
Il 22 era stato lo stesso governatore italiano di Nassiriya, Barbara Contini, a lasciarsi scappare che non c'era nulla da stupirsi del fatto che il governo pagasse un riscatto. "Si è sempre fatto così" aveva detto. Subito dopo aveva smentito questa dichiarazione, e il ministro degli Esteri, Franco Frattini, aveva detto che si trattava di "storie prive di fondamento". Lo stesso giorno, una qualificata fonte dei servizi segreti italiani rivelava all'agenzia Ansa: "La trattativa, avviata da giorni, è già stata definita in tutti i suoi aspetti, sia para-politici, sia economici. Quello che dovevamo fare l'abbiamo fatto".
Dopo questa burrasca il Sismi ha protestato per queste fughe di notizie che rischiavano di far saltare le trattative in corso. A quel punto, il governo ha deciso di imporre il silenzio stampa assoluto sulla vicenda.
"Le trattative - spiega la fonte - sono proseguite fino a quando, all'inizio di maggio, Salih Mutlak è andato in aereo a Roma. Ragione ufficiale del suo viaggio: affari. E' rimasto nella capitale italiana per una ventina di giorni, tornando a Baghdad alla fine di maggio con una valigetta piena di soldi. Cinque milioni di dollari, prima tranche di un riscatto complessivo di nove milioni di dollari. Gli altri quattro, questi erano gli accordi da lui presi, sarebbero stati consegnati ai rapitori dopo la liberazione degli ostaggi".
Dopo il ritorno di Mutlak con i soldi, nei primi giorni di giugno si è consumato un duro scontro all'interno delle fila dei guerriglieri iracheni. Da una parte il braccio 'militare' dei guerriglieri, quelli che detenevano materialmente gli ostaggi e che, tramite Mutlak e Kubaysi, erano in contatto con il governo italiano: per loro l'importante era solo incassare il malloppo. Dall'altra parte il braccio 'politico' che non voleva fare la figura di una banda di delinquenti che rapiscono per soldi e che quindi non volevano accettare il riscatto.

"Noi ci siamo opposti a questo gioco sporco. Questa storia del riscatto e della messa in scena della liberazione - sostiene la fonte - avrebbe rovinato l'immagine della nostra causa, facendoci passare per dei volgari banditi, e poi avrebbe giovato al governo italiano e quindi prolungato l'occupazione militare dell'Iraq. Noi volevamo consegnare gli ostaggi, senza alcun riscatto, nelle mani di rappresentanti del mondo pacifista italiano, sia laico che cattolico, con cui eravamo già in contatto da tempo e con i quali eravamo vicinissimi a una conclusione".
Ancora domenica scorsa 6 giugno, i rappresentati della Santa Sede in Iraq si dicevano infatti certi che la liberazione dei tre italiani sarebbe stata questione di ore. Anche il governo italiano sentiva che la questione era giunta a un punto decisivo: venerdì scorso, 4 giugno, il ministro Frattini ha annullato una sua importante visita a Tokyo per "motivi familiari". Forse quello è stato un giorno decisivo.
"Alla fine - prosegue la fonte, con tono infuriato - l'hanno spuntata i 'militari' senza scrupoli, che nei giorni scorsi, assieme a Mutlak, hanno organizzato in gran segreto il trasferimento dei tre ostaggi italiani dal loro luogo di detenzione, cioè Ramadi, un centinaio di chilometri a ovest di Baghdad, fino alla periferia occidentale della capitale, nel sobborgo di Abu-Ghraib. I tre sono stati lasciati in una casa e poi la loro posizione è stata comunicata ai servizi italiani e a quelli americani perché li venissero a prelevare. Il loro piano era di far sembrare tutto come un blitz militare che si concludesse con l'arresto dei sequestratori. Ma non è andata così".
E in effetti, fonti vicine ai servizi italiani hanno rivelato che i due arrestati effettuati in connessione con il presunto blitz erano in realtà solo due pastori iracheni, che nulla avevano a che fare con la guerriglia e che erano stati pagati per farsi trovare lì.
Di certo, il fatto che a condurre l'operazione siano stati militari americani, e non italiani, preclude alla magistratura una effettiva indagine sui "liberatori".
In Iraq, al mercato nero delle armi, un kalashnikov costa tra i venti e i trenta dollari. Con nove milioni di dollari se ne possono comprare centinaia di migliaia.
Enrico Piovesana

7.6.04

LA VALIGETTA
di Alessandro Robecchi sul Manifesto


Gorge Bush che si paragona a Roosvelt non è poi molto sorprendente, anche Little Tony credeva di essere Elvis. Per il resto, bella la cerimonia, bene che nessuno si è fatto male, buono il menu tutto tricolore, un po' impagliate le ragazze, Lòura, come dicono i tg, e Veronica, the queen of Brianza. Alla fine, tanto casino per niente: solo l'incontro tra i due candidati perdenti alle proprie rispettive elezioni. Mancata la guerriglia evocata da Silvio, le cronache cercano di individuare nei dettagli l'immensa potenza dello sgradito ospite. La Cadillac iperblindata, la scorta, le tecnologie che interrompono le comunicazioni radio, tutte cose che separano l'uomo più potente del mondo dal comune mortale (molto mortale, se è irakeno). E poi, naturalmente, c'è la valigetta nucleare. Una ventiquattrore che consente al presidente di lanciare un attacco atomico in ogni momento, in pratica di distruggere buona parte del pianeta. La porta, a stretto contatto con il presidente, Paul Montanus, maggiore dei marines, che è naturalmente autorizzato a fulminare con un colpo di Beretta calibro nove chiunque tenti di fregargli la valigia. A Termini, a Malpensa, e in buona parte delle stazioni e degli aeroporti del paese farebbe una strage.
E' proprio così, sapete bene cos'è un'escalation. Uno stronzo si tiene in macchina un cacciavite per la rissa. Uno molto stronzo gira con la pistola in tasca per la sparatoria. E il più stronzo di tutti ha una valigia per distruggere il mondo. Abbonda l'aneddotica: quella volta che Clinton si dimenticò la valigetta, quella volta che Reagan se la portò in udienza dal Papa, eccetera, eccetera. Gossip e radiazioni. Non ci spiegano, i giornali (di botto, chissà perché, l'aneddotica si arresta, le notizie scarseggiano), verso chi o che cosa sono puntati i missili che George W. Bush comanda con il joystick dalla valigetta nucleare che tiene sempre a portata di mano. Uno che cade dalla bicicletta, che perde conoscenza mangiando un salatino, che si sceglie Dick Chaney come vice, potrebbe anche fare una cazzata grossa, prima o poi. Siamo umani dopotutto, e tra un paio di milioni di anni lo saranno anche i Bush.
Dunque? Corea? Iraq? Afghanistan? Verso chi è puntata "l'arma fine di mondo"? Non si sa o non si dice: lo zelo dei raccontatori di curiosità & aneddoti si arresta come impietrito. Eppure qualche notazione verrebbe spontanea (e se George ricomincia a bere?). Ma visto che si chiacchiera tanto di scontro di civiltà e guerre di religione, la cosa più inquietante mi sembra un'altra. In un mondo che è un bailamme di fedi in ebollizione, chi tiene in mano l'interruttore del disastro planetario? Un membro particolarmente ottuso e fondamentalista dei cristiani rinati, che su scala planetaria rappresenta una setta piuttosto minuscola. Fatte le debite proporzioni, è come se San Marino, o Andorra, o Montecarlo, avessero la bomba atomica e la capacità di distruggere il mondo. E'una banale questione di precauzione: lasciare il bottone dell'apocalisse in mano a uno che interpreta la Bibbia alla lettera e che dall'apocalisse è chiaramente affascinato, non è una cosa particolarmente astuta. E visto che spesso si usano le infuocate parole degli imam per giustificare la crociata cristiana in atto, sarebbe bene ogni tanto ricordarsi anche delle prediche dei reverendi americani. Per esempio, quel Tim LaHaye, un pastore della Moral Maiority che ha fatto i soldi con il nuovo filone del thriller biblico, in testa alle classifiche americane. Roba tipo: "?le parole del Signore fanno scoppiare il sangue dalle loro vene, la loro carne si squaglia, gli occhi liquefatti e le lingue disintegrate". Bello, eh? Direi che basta, per dare un'idea della setta isterica che si sta mangiando i neuroni dell'America. E che ha un figliuolo prediletto che è l'uomo più potente di tutti. E che ha una valigetta per finire il mondo.

6.6.04

Ora d'aria
di Marco Travaglio (L'Unità, 5 giugno 2004)

Ogni anno, in tempi di esami e di pagelle, un centinaio di ragazzi italiani fra i 14 e i 18 anni tentano il suicidio per paura di essere bocciati o per essere stati bocciati. L'altro giorno, vicino a Sondrio, una quattordicenne s'è lanciata da un ponte. Si attende da un momento all'altro un articolo di Barbara Palombelli per denunciare il «massacro» di studenti perpetrato da insegnanti criminali che ogni anno si ostinano a interrogare, rimandare e bocciare i somari. Perchè è in base a questa logica (si fa per dire) che la spalla di Giuliano Ferrara ammorba da due settimane le pagine del "Magazine" del Corriere della sera con il suo «senso di colpa» per il «massacro» perpetrato dai giudici di Mani Pulite. L'altro ieri, rispondendo a una lettrice che contestava il suo delirio, la signora Palombelli ha rincarato la dose: «Dovremmo capire e perdonare chi ha fatto parte di un sistema politico che ha garantito a questo Paese tanti anni di democrazia e di libertà. I 45 morti del biennio del terrore italiano (o della cosiddetta rivoluzione) pesano su molte coscienze». Scrive proprio così: terrore. Senza virgolette nè condizionali. Non le passa neanche per la testa che le indagini e gli arresti, previsti da leggi scritte dagli stessi politici che le violavano, fossero atti dovuti in un Paese dove l'azione penale è ancora obbligatoria e la legge uguale per tutti. Né che certi gesti pesino sulle coscienze di chi ha costruito un sistema di malaffare, non di chi l'ha scoperto. Secondo lei è tutta colpa dei magistrati che «usavano il carcere» come non garba a lei, e dei (rari) giornalisti che quei reati hanno descritto e denunciato, spesso ancor prima che arrivassero i giudici. Sarebbe poi interessante conoscere i nomi e i cognomi dei «45 morti» di cui favoleggia la Palombelli, visto non c'è un solo indagato fatto arrestare dal pool di Mani Pulite che si sia suicidato in carcere.
Sempre su "Magazine", qualche pagina più avanti, la stessa Palombelli si domanda con notevole sprezzo del ridicolo il perchè di questa «illegalità ovunque»: «Nel calcio si cambia campo per denaro, nel ciclismo ci si dopa come e più di prima, a scuola si vendono i diplomi, ci si può comprare una patente senza esami, si possono convincere centinaia di medici con le bustarelle, ci sono i furbi che vendono alla tv la pubblicità occulta, quelli che imbrogliano ai concorsi...E' difficile spiegare il valore dell'onestà, se si vive in una società così». Già, è difficile: soprattutto in una società dove imperversano giornalisti che, se un colpevole si uccide per paura di finire in carcere o per la vergogna di essere stato scoperto, anzichè dar la colpa a lui e ai suoi complici, la affibbiano ai giudici che li smascherano.
A Capannori in quel di Lucca - informa Panorama - il sindaco di centrodestra Michele Martinelli è agli arresti domiciliari dal 5 maggio per corruzione. Per fortuna non nutre propositi autolesionisti, né ha pensato di autosospendersi: s'è ricandidato. Solo che, non potendo uscire di casa, fa la campagna elettorale dal balcone. Manda in giro videocassette registrate e riceve a domicilio i suoi fans in processione. Nell'ora d'aria. L'altro giorno Elio Veltri e la lista Di Pietro-Occhetto hanno scoperto che alcuni candidati del centrosinistra alle comunali di Foggia hanno fedine penali lunghe così. Uno dello Sdi, R.L., ha condanne definitive per ricettazione, rapina continuata, resistenza a pubblico ufficiale (2 anni di manicomio giudiziario per vizio totale di mente), furto continuato, furto in concorso, evasione, danneggiamento, armi, abuso edilizio, senza contare tre processi ancora pendenti. Un altro candidato dello Sdi, D.P., ha un processo per porto abusivo d'armi e due condanne definitive per furto, più una per oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale. Uno della Margherita, C.L., vanta una condanna definitiva per lesioni personali colpose, tre per assegni a vuoto, una per spendita di monete falsificate, una per evasione fiscale, una per violazione del testo unico di pubblica sicurezza, e deve ancora affrontare due processi. Sempre a Foggia, il centrosinistra si è alleato col Nuovo Psi del segretario provinciale Roberto Paolucci, appena condannato dal tribunale a 5 anni per concussione: mazzette dalla Emit per il nastro trasportatore di Manfredonia. Per lo stesso scandalo è stato condannato alla stessa pena in primo grado il presidente provinciale dello Sdi Domenico Romano. Anzichè vergognarsi, alcuni di costoro annunciano querela contro Veltri. E il candidato sindaco della Margherita Orazio Ciliberti, «magistrato del Tar», per nulla imbarazzato da simili compagnie, accusa Veltri di «settarismo e falso moralismo». Annuncia che «i nove partiti della coalizione hanno candidato, nella quasi totalità dei casi, persone di eccezionale qualità morale e civile» (da notare quel «quasi»: ricorda quella madre con la figlia «leggermente incinta»). Quanto ai pregiudicati in lista, «la politica è luogo e strumento di recupero e riaggregazione dei cittadini» che «hanno avuto difficoltà di integrazione nel tessuto sociale».
Geniale: le istituzioni come comunità di recupero per le devianze. Una volta i condannati, per riabilitarsi, intrecciavano cestini di vimini. Oggi entrano in consiglio comunale.

5.6.04

HO CAPITO
da Aldo Vincent

Dio ti ringrazio perche' hai aperto la mia mente e mi hai permesso di capire.

Comincio' tutto col mio viaggio in Germania con la 850 fiat. Si pianto' sul Bernardino, mi soccorse un camionista dalle parti di Ulm e quando arrivai a Francoforte faceva cosi' freddo che al mattino andavo a lavorare in tram.
Tutti gli altri andavano in auto, perche' la loro partiva, ma la mia, no.
Ma non capivo.

Dopo un inverno al Nord, un giorno mi sedetti in auto e il fondo, reso marcio dal sale delle autostrade nordiche e dalla ruggine, si stacco' facendomi sedere sull'asfalto.
Ringraziai la fortuna che non aveva fatto cedere la lamiera marcita in autostrada, altrimenti starei scrivendo questo pezzo col sedere brasato.
Ma nemmeno quella volta capii.

Tornai in Italia con una vecchia cinquecento, la miglior macchina mai venuta al mondo, ma la fiat aveva deciso di ritirarla per andare sul mercato con la nuova 126.
La sorpresa venne all'autosalone: mi offrivano 750 mila lire per un'auto che stava tirando gli ultimi e che da nuova era stata acquistata per 560.000!
Vuoi vedere che gli Agnelli si sono rincoglioniti? Mi sono chiesto. Poi ho chiesto il prezzo della 126: ottomilioni.
Stesso motore, stesse ruote, stessi rumorini all'interno.
Ottomilioni, che nel giro di pochissimo diventarono 10.800.
Ma non capii nemmeno quella volta.

Comprai la 124 spider che beveva piu' di Liza Minnelli ma mi piaceva.
In autunno purtroppo constatai che ci pioveva dentro e andai a lamentarmi.
Mi dissero che se non volevo che piovesse dentro l'auto, non dovevo comprare una spider col tettino di tela!!
Mi parve una risposta convincente e la cambiai.

Comprai una fiat Dino.
La facevano in due versioni: una un po' truzza per gli scemi, e l'altra piu' ganza per gli scemi ricchi.
Non teneva bene la strada e andai a sbattere sulla Milano Genova. Quando andai a ritirarla riparata, approfittai dell'assistenza Ferrari ( erano gli stessi operai, ma con una tuta con dietro scritto Dino) e mi lamentai perche ' nelle curve strette a sinistra la macchina rallentava e perdeva colpi.
Mi dissero che quello era un motore progettato per correre in pista che gira in senso orario se svoltavo improvvisamente in senso antiorario, la benzina che arrivava a caduta non forniva perfettamente gli ultimi due cilindri.
Non capii nemmeno allora e mi comprai un Porche 911

Successero un sacco di altre cose, nella mia vita. Vidi passare la Duna, la Barchetta, la Punto Spider, la Panda e pure la Multipla, ma continuai a non capire.

Quando la fiat acquisi' anche la Lancia (per una lira!!) comprai una concessionaria all'estero e come rappresentanza mi presi una Lancia modello Beatrice Cenci.
Non che si chiamasse proprio cosi', ma quando viaggiavo col finestrino aperto tentava di avvelenarmi con tutta la famiglia coi gas di scarico, ecco perche' me la ricordava...
Poi persi tutti i soldi della mia vita con la concessionaria Lancia e finii pure in tribunale.
Mi venne un sospetto, ma poi lasciai perdere

E nemmeno quando qui in Grecia entravo nell'autorimessa gestita dal mio amico Spiro e leggevo il cartello: "DOXA TO THEOS: Ringraziamo Dio, per aver creato le fiat e le lancia e le alfa romeo che con i loro problemi ci danno da mangiare tutti i santi giorni..."
Nemmeno allora capii...

Poi finalmente venerdi' scorso, come Saulle da Tarso, sulla strada per Damasco, ho visto la Luce: che se per diventare presidente della Fiat basta essere Montezufolo, allora finalmente ho proprio capito tutto!!

appropo'

Ma questo presidente di Confindustria, Fiat, Ferrari (tre miliardi al mese di stipendiuccio), Ieffe Holding, Fiera di Bologna, Federazione Editori, Charmes, Poltrone Trau, praticamente proprietario di due quotidiani e con un piede nel terzo, com'e' che non c'e' nessuno che ciocca per il conflitto d'interessi?
Vuoi vedere che questa volta non c'e' conflitto e che gli interessi vanno d'amore e d'accordo?

2.6.04

Le missive pericolose del mago Sil-Sil
Avviso In arrivo lettere pericolosissime e piene di imbrogli: bruciatele

di STEFANO BENNI per il Manifesto

Dal NASP, nucleo anti-sofisticazioni propagandistiche. A tutte le questure e i cittadini. E' stata appurata l'esistenza di una vasta operazione truffaldina e terroristica che potrebbe coinvolgere milioni di potenziali vittime.

Un sedicente statista, che millanta di rappresentare tutti gli italiani, ha inviato a mezzo posta quindici milioni di depliant pubblicitari che stanno sommergendo le cassette postali del paese.

Avvertiamo che detto personaggio, il mago Sil-Sil, è coinvolto in diversi episodi giudiziari, è iscritto alla setta esoterico-golpista detta P2 e non ha mai spiegato da dove venga la sua smisurata ricchezza.

E' inoltre proprietario di diversi lussuosi studi magici in varie città italiane, ridicoli antri dove si adorano teschi, compassi, ritratti di Mussolini e di Ceausescu.

Il mago Sil-Sil è da anni tristemente noto per la sua attività di imbonitore e bugiardo. Con false promesse di posti di lavoro, ricchezze immediate e sparizioni di tasse, ha già abbindolato milioni di clienti. Ha numerosi spazi televisivi, che vanno da una a ventiquattro ore, su vari canali, e non mette mai il sottotitolo messaggio pubblicitario, a riprova della sua malafede.

Il mago Sil-Sil invierà queste lettere con grande dispendio di danaro che recupererà poi con salassi ai cittadini e leggi ad personam. Ma stavolta egli si è spinto oltre le promesse truffaldine, mettendo in atto un piano ben più subdolo.

Si avvisano infatti i cittadini che queste lettere sono estremamente pericolose per i seguenti motivi:

1. Metà delle copie contengono un microscopico chip collegato alla centrale computerizzata del mago Sil-Sil, situata in un falso Partenone sulle coste della Sardegna. Mediante questo chip, il mago Sil-Sil può prosciugare il vostro conto corrente, infettarvi il computer, intercettare le telefonate e tentare brogli elettorali.

2. Alcune lettere contengono un pericoloso virus, il mendacius nanus, assai aggressivo. Basta toccare la busta ed entro poche ore si rischiano danni irreparabili alla salute: perdita di altezza fino a ventisei centimetri, delirio di onnipotenza, sindrome persecutoria, avidità sfrenata e lingocalceismo, ovverossia tendenza a leccare le scarpe ai passanti (sindrome di Alberoni-Fede).

3. Altre lettere, essendo il mittente un noto menagramo, possono portare fino a dieci anni di sfiga, e non si può chiedere la proscrizione dei termini, né di spostare la sfiga a Brescia.

4. Alcune lettere contengono una falsa ricevuta con cui si diventa azionisti di un fantomatico ponte sopra il mare lungo quattro chilometri.

5. Altre contengono una cimice elettronica, altri una normale cimice bottarina in grado di impestarvi tutta la casa.

6. Molte lettere sono dotate del Gnaf, un meccanismo inglobatorio a distanza. Possono aprirsi e ingoiare altre buste contenenti le vostre pensioni o i vostri assegni, dopodiché tornano al mittente.

7. Alcune, in numero fortunatamente limitato, contengono reliquie di pelle del mago, e precisamente tagliatelle di cute rimaste dall'ultimo lifting.

Tutte le lettere quindi, sotto l'aspetto patinato, contengono una fregatura, come la maggior parte della attività del mago Sil-Sil.

Chiunque riceva una lettera di questo tipo la bruci subito, o la restituisca al postino dopo essersi accertato che non sia comunista, oppure la esorcizzi con la pratica detta della mundatio natium, che chiunque può facilmente svolgere nel bagno della propria abitazione.

Ma soprattutto la vittima vada subito in questura, dai vigili o dal proprio parroco e denunci di aver ricevuto la lettera, e parimenti denunci il mittente per sabotaggio di servizio postale, sperpero di pubblico danaro, violazione delle leggi elettorali e della decenza propagandistica, contagio dell'igiene pubblica, invasione della privacy e diffusione di notizie false a tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico.

Non preoccupatevi, tanto il processo lo schiverà. E non tacciateci di allarmismo. Abbiamo controllato queste notizie insieme all'intelligence americana e italiana, e si sa che quando queste strutture spargono la notizia di un pericolo o di un attentato, la disgrazia avviene. A costo di far loro tutto il lavoro.

In quanto al NASP, fidatevi di noi. Da anni il nostro nucleo operativo combatte le balle i falsi allarmi e i depistaggi con le stesse armi, cioè con balle evidenti e non nascoste, anche se non diffuse in quindici milioni di copie. Attenti: nessun pataccaro uguaglia il sedicente mago Sil-Sil. Ma non contate sul fatto che il suo astro sta declinando. Questo non è l'ultimo atto della sua paranoia, può fare di peggio.

31.5.04

Denarologia di Mike Bongiorno
di ALESSANDRO ROBECCHI (Il Manifesto)

Tra i tanti sampietrini di fuffa pressofusa che i media ci hanno sparato sulla capoccia in settimana, l'ottantesimo compleanno di Mike Bongiorno mi sembra particolarmente rivelatore. Guarda tu, mi sono detto, dove si va a cacciare l'ideologia (dove l'hanno cacciata, anzi!). E guarda tu - aggiungo - cosa ci può rivelare il compleanno di un ottuagenario. So che sembrerà un dettaglio, un minuscolo pezzo dell'enorme puzzle delle ideologie contemporanee, ma qualche riflessione la merita, e cerco di spiegare perché. Delle facce dei nostri vecchi abbiamo una specie di venerazione. Ricordo gli ottant'anni di Bobbio, un vecchio che parlava di futuro, di passione, di come fosse stato dentro alla sua epoca con la schiena dritta. Altri vecchi, giunti alla boa, raccontano del loro attraversamento della vita, scherzano su disincantati consigli e impastano in modo magistrale il ricordo, il rimpianto e tutte le speranze che loro - fisicamente - non si possono più permettere. Mike Bongiorno no. Del suo attraversare il secolo, richiesto di un aneddoto sulla sua vita, ripete instancabilmente la stessa storiella: il giorno in cui venne chiamato da Silvio che gli offrì seicento milioni. Punto. All'interno del Tg5 la storia ha avuto la sua massima celebrazione. Quell'assegno annuale, sganciato da un cavaliere esordiente che spiegava «qui paga la pubblicità», ha sostituito d'un botto, nei ricordi di nonno Mike, i fasti antichi di Lascia o Raddoppia, Rischiatutto, l'invenzione del quiz e altri brandelli di sociologia televisiva. D'un tratto, nel mezzo del cammin della vita di Mike, si è tracciata una riga. Punto a capo. Seicento milioni laddove - nota malignamente una trasmissione del pomeriggio dello stesso padrone - alla Rai ne prendeva una ventina. Silvio paga in contanti, paga bene, conquista. Tanto che nei ricordi dell'ottantesimo compleanno si rende omaggio a Mike, sì, ma il compleanno pare sia di Silvio. Che ha pagato - giusto - e quindi incassa stima e complimenti.

Abbarbicato a una poltrona papale nel suo salotto, Mike racconta e chiacchiera con la sua notoria naïveté, e non si rende conto di raccontare un pezzo della nostra storia.
Tra i tanti sampietrini di fuffa pressofusa che i media ci hanno sparato sulla capoccia in settimana, l'ottantesimo compleanno di Mike Bongiorno mi sembra particolarmente rivelatore. Guarda tu, mi sono detto, dove si va a cacciare l'ideologia (dove l'hanno cacciata, anzi!). E guarda tu - aggiungo - cosa ci può rivelare il compleanno di un ottuagenario. So che sembrerà un dettaglio, un minuscolo pezzo dell'enorme puzzle delle ideologie contemporanee, ma qualche riflessione la merita, e cerco di spiegare perché. Delle facce dei nostri vecchi abbiamo una specie di venerazione. Ricordo gli ottant'anni di Bobbio, un vecchio che parlava di futuro, di passione, di come fosse stato dentro alla sua epoca con la schiena dritta. Altri vecchi, giunti alla boa, raccontano del loro attraversamento della vita, scherzano su disincantati consigli e impastano in modo magistrale il ricordo, il rimpianto e tutte le speranze che loro - fisicamente - non si possono più permettere. Mike Bongiorno no. Del suo attraversare il secolo, richiesto di un aneddoto sulla sua vita, ripete instancabilmente la stessa storiella: il giorno in cui venne chiamato da Silvio che gli offrì seicento milioni. Punto. All'interno del Tg5 la storia ha avuto la sua massima celebrazione. Quell'assegno annuale, sganciato da un cavaliere esordiente che spiegava «qui paga la pubblicità», ha sostituito d'un botto, nei ricordi di nonno Mike, i fasti antichi di Lascia o Raddoppia, Rischiatutto, l'invenzione del quiz e altri brandelli di sociologia televisiva. D'un tratto, nel mezzo del cammin della vita di Mike, si è tracciata una riga. Punto a capo. Seicento milioni laddove - nota malignamente una trasmissione del pomeriggio dello stesso padrone - alla Rai ne prendeva una ventina. Silvio paga in contanti, paga bene, conquista. Tanto che nei ricordi dell'ottantesimo compleanno si rende omaggio a Mike, sì, ma il compleanno pare sia di Silvio. Che ha pagato - giusto - e quindi incassa stima e complimenti.

Se si vuole datare l'infiltrazione nelle nostre vite dell'ideologia commerciale all'ultimo stadio, del cinismo del mercato che tutto spiega e compra, e che monetizza tutto, anche i ricordi del nonno, bisogna probabilmente andare a cercare lì, alla data di quell'assegno. Alla scoperta (Mike pare un po' stupito pure adesso) di un mercato che nemmeno era immaginabile, di una riserva di soldi e potere che ancora non si era intuita. Un po' come passare dal treno a vapore all'astronave, e questo di colpo, in un botto, pani e pesci moltiplicati d'incanto, oplà! Seicento milioni! Il gentile sponsor che ti ruba l'anima. E la reazione dell'ineffabile Mike, beh, l'anima, che sarà mai... Forse è poco per farne un frammento di ideologia quotidiana, eppure mai l'elogio del mercato è stato tanto palese, quasi incarnato. E che Mike Buongiorno finisca i suoi anni terreni facendo il suo onesto lavoro da testimonial ha pure una sua ironica coerenza. Testimonial del nuovo che avanzava, e che poi è tracimato. L'iperrealismo arcoriano che ha sostituito il neorealismo. Nelle rughe dei nostri vecchi riconosciamo cose antiche, vere, magari non tutte nobili, ma passate per il setaccio della vita. Il serafico Mike vanta una bella ruga soltanto con scritto sopra: seicento milioni! Racconta e riracconta quella storia, che i media del suo padrone rilanciano con frequenza, come in loop. Messaggio. Tutto era fermo e polveroso e democristo, poi venne la luce, zot! E le famose tre I di Berlusconi: I soldi, I soldi, I soldi.

Ce ne dovrebbe fregare qualcosa? Forse no, forse sì. E' soltanto un piccolo aneddoto rivelatore di come si possano comprare, insieme a tutto il resto, anche i ricordi, le vite passate, gli anni, le storie e le anime. Ultima domanda: qual è la trasmissione migliore della tivù? Risposta di Mike: ma la mia no? E giù a snocciolare orari e date della sua prossima fatica televisiva, come un esordiente qualunque che si fa lo spot. Tutto ciò che è stato è stato, solo quel che si può ancora vendere, monetizzare, trasformare in profitto, ha un minimo interesse. Poi dicono che le ideologie sono morte. Macchè. Hanno ottant'anni, e vanno fortissimo.